NOTE: le parti racchiuse tra i cancelletti ## denotano flashback, parti della storia ambientate nel passato. In origine avevo usato un carattere diverso per evidenziare la cosa, ma in formato solo testo non è possibile (o sbaglio?)
Le parentesi quadre (che si svolgono dopo le tonde, tanto per far felice il mio ex prof di mateca) indicano invece pensieri, più o meno consci, dei protagonisti.


In un paese d'estate

di Unmei

parte VI


######Edgard si svegliò con un fastidioso dolore alle tempie e la bocca così secca che la lingua gli si era completamente attaccata al palato; per di più nell'ultimo periodo aveva accumulato del sonno arretrato, sicché era ancora stanco, assonnato e l'unico suo desiderio era di ficcare la testa sotto il cuscino, chiudere gli occhi ed addormentarsi di nuovo. Peccato che quel mal di testa glielo avrebbe certamente impedito.
Si stiracchiò, rotolandosi sul materasso; al di fuori dell'isola di calore creata dal suo corpo il grande letto era freddo, e il contatto delle lenzuola fresche con la sua pelle lo risvegliò del tutto, rassegnandolo ad alzarsi.
Indossò solo la veste blu che la sera prima aveva lasciato sulla cassapanca e si avvicinò al fuoco, che ormai languiva nel camino; smosse i ciocchi e lo ravvivò un po', illuminando la stanza di una vivace luce rossastra, calda e morbida.
Andò alla finestra e guardò fuori; non era ancora l'alba, il cielo cominciava appena a rischiararsi, a smorzare il buio, nemmeno gli uccelli si erano ancora svegliati. In tutto quel silenzio sentiva solo due rumori: quello delle fiamme e quello, più sottile, del respiro quieto e regolare di Ewan.
Edgard si avvicinò al suo letto e vi si sedette sul bordo.
Il ragazzo dormiva su un fianco, abbracciando il cuscino, la sua bocca, che ancora conservava un delicato disegno infantile, era leggermente socchiusa; osservandolo sorrise.
A vederlo così gli sembrava ancora più fragile, gli faceva completamente dimenticare che aveva quasi diciotto anni, che era un adulto e non più un bambino...gli evocava alla mente un profumato e morbido mazzo di gigli e rose, l'acqua fresca e dolce dei ruscelli in cui trovare sollievo d'estate,  l'erba bagnata di rugiada su cui è bello camminare scalzi, la tenerezza dei passeri curiosi che si posavano a volte sul davanzale della finestra, alla ricerca di un po' di cibo.
Che razza di paragoni...però calzavano tutti a meraviglia.
"Chissà se è possibile volere troppo bene ad una persona. Tu cosa ne dici, Ewan?"
Il suo servo ovviamente non rispose, continuava a dormire e probabilmente a sognare...non lo poteva sentire, e così lui poteva parlargli liberamente.
"Hai detto di voler restare qui, ed io ti ci terrei per sempre...ma non mi aspetto che tu sia al mio servizio per il resto dei miei giorni; forse, prima o poi, desidererai qualcosa di più; vorrai una vita completamente tua, che non appartenga a nessun altro. Sarebbe normale. Io non ti tratterrò, non sarebbe giusto: pure se mi appartieni sei una persona, non un oggetto; ma il solo pensiero di una tale separazione già mi fa sentire la tua mancanza. Sono molto sciocco, vero?"
Si chinò su di lui per osservarlo più da vicino, e gli soffiò sul viso per scostargli una ciocca di capelli che vi ricadeva sopra. Ewan arricciò graziosamente il naso, ma non si svegliò.
Oh, sì, era delizioso, incantevole...era una poesia dai versi perfetti.
[Io vorrei...]
[Non lo so cosa voglio.]
[Forse perdermi in te.]
[Ci sono delle volte in cui mi lasci senza parole, come ora, anche se non fai nulla, stai solo dormendo e mi basta guardarti per sentirmi confuso...]
[Confuso e un po' ridicolo. Se apri gli occhi adesso, che faccio? Che scusa trovo per l'essere qui, ad un fiato da te?  Cosa ti dico?]
Si rialzò piano e andò a finire di vestirsi, decidendo di aspettare il sorgere del sole leggendo.


Ewan svegliandosi strofinò la testa sul cuscino; attraverso le palpebre chiuse poteva già percepire la luce del mattino. Si sedette sul letto stropicciandosi gli occhi, soddisfatto per il sonno piacevole e ristoratore di quella notte.
  "Buon giorno, Ewan."
...e poi, sentire come primo suono la voce bassa e musicale del suo padrone era il risveglio più bello  che potesse immaginare.
No, a dir la verità...ce ne sarebbe stato uno ancora migliore, e il pensiero lo fece avvampare fino dentro alle ossa. Ormai  aveva capito benissimo che l'affetto che nutriva per il suo signore andava oltre ogni sentimento avesse mai provato per chiunque altro; gli faceva desiderare di venire stretto tra le sue braccia, poggiare la testa al suo petto e sentire la sua voce sussurrargli ancora una volta parole piene di dolcezza... ardeva di provare uno di quei baci descritti in certi libri che aveva letto...non uno solo, tanti...e poi potersi sciogliere contro di lui, contro il suo calore, contro la sua pelle nuda. Sognava che lo toccasse come a volte si toccava lui, di nascosto, procurandosi un piacere solitario ed amaro, che al culmine gli faceva salire un nodo in gola e le lacrime agli occhi, e che poi lo lasciva comunque insoddisfatto, triste e pieno di vergogna.
E quel desiderio nuovo, improvviso, sfolgorante, gli faceva malissimo; mai avrebbe avuto il coraggio di confessarglielo, di raccontargli quei suoi sogni e pensieri. E se lui ne fosse rimasto offeso? Disgustato? Se si fosse arrabbiato per quello sconfinare dell'affetto in un amore che era proibito, dalle leggi, dalla bibbia, e, anche se questi ultimi lo avessero mai permesso, dal loro status sociale?
Sì, Edgard aveva sempre badato molto poco, quasi per nulla, ai dettami provenienti dall'alto su quali avrebbero dovuto essere le regole morali, ma forse quello sarebbe stato eccessivo anche per lui: il fatto che gli volesse bene non significava che potesse ricambiare quel tipo sentimenti.
E allora...allora si sarebbe accontentato di quella vicinanza, se la sarebbe fatta bastare...
"Buongiorno a voi, signore."
...per quanto difficile potesse essere.

Edgard si alzò e chiuse il libro.
"Oggi è il primo giorno d'estate; l'aria del mattino è ancora un po' fresca ma non ci metterà molto a riscaldarsi. Ho voglia di fare una cavalcata, vieni con me?"
"Oh, sì! Certamente!"
L'espressione sul suo viso fu tanto radiosa da incantare Edgard, facendogli per un momento dimenticare le fitte dolorose  nella sua testa. 
  "Io comincio a scendere, allora. Ti attendo giù."

*** *** *** ***

Il falco planò elegantemente, andando a  posarsi sull'avambraccio di Keith, coperto dalla protezione di cuoio.
"Scusa, bello" - disse, porgendogli un boccone di carne cruda - "Lo so che ultimamente di sto trascurando."
"Questa è sicuramente l'ultima delle cose di cui ti dovresti preoccupare."

Edgard non dovette nemmeno voltarsi a guardare chi avesse parlato.
"Buona giornata anche a te, Thomas."
Gli disse freddamente.
"Vorrei parlarti, se non hai altro da fare. E pure se ce l'hai."
"Mi stai già parlando, mi sembra."
Edgard si voltò verso il gemello, ben immaginando  quale discorso lo attendeva, e desideroso di terminarlo al più presto, se proprio non lo poteva evitare.
Thomas sospirò e si passò una mano fra i capelli, con un'aria di stentata condiscendenza.
"Sei sempre stato una persona di idee strane, fratello, sin da quando eravamo bambini...ma ora stai superando il limite, decisamente."
"Probabilmente il tuo concetto di strano non coincide con il mio."
"Questo non mi interessa. Ormai è troppo tardi per cambiarti, è chiaro.
Quello che davvero non sopporto è che nostro padre continui a dare maggior retta ai tuoi pareri che non ai miei."
"Che cosa?!?!"
Edgard fu quasi sul punto di mettersi a ridere; rimise il falco nella voliera, guadagnando così qualche secondo per poter rispondere con un tono appena controllato.
"Darebbe più ascolto a me che a te, Thomas? Come l'ultima volta, riguardo alla condanna di quell'uomo? Davvero molto divertente."
"Mi stavo riferendo ad altro, ma visto che sei entrato nel discorso...mi sono chiesto come mai tu non abbia subito alzato obiezioni sulla sentenza, bensì te ne sia uscito soltanto il giorno successivo con quella richiesta di grazia. Chi ti aveva fatto cambiare idea? Naturalmente la risposta è ovvia, ci metterei la mano sul fuoco...scommetto che ne hai parlato a quel tuo servetto, vero?"
"Quel 'servetto' sa leggere e scrivere meglio di te."
L'espressione di Thomas si indurì, ma quella fu la sua unica reazione, e continuò a parlare ignorando il commento.
"Gli racconti sempre troppe cose...deve essere stato lui a chiederti di intervenire, immagino per una specie di solidarietà fra gente di basso rango, e tu ti sei lasciato convincere. Ma di che mi stupisco, poi? Esiste forse qualcosa che tu gli abbia mai negato? Certe volte mi domando chi tra voi due sia davvero il padrone."
"Bada, fratello..."
"Per non parlare dal fatto che lo tieni a dormire nella tua stanza!"
"Non sono certo l'unico ad avere un valletto nella propria camera. Ti spiacerebbe venire al dunque? Avevi detto che non era questo il discorso che volevi farmi."
"Già...libero di comportarti come ti pare, dopotutto, per quel che mi riguarda. Ma almeno ti pregherei di non mettere più il naso negli affari del ducato."
Le sopracciglia di Edgard schizzarono stupite verso l'alto.
"Prego?"
"Come ho detto, nell'amministrazione di terre e in ciò che riguarda i rapporti con gli altri casati, nostro padre ormai ascolta principalmente te. È una cosa che non riesco a sopportare, che provi più fiducia per un figlio indegno anziché per quello che lo segue e rispetta. Per cui, d'ora in poi, stanne fuori."

Edgard questa volta rise di gusto, soprattutto per l'espressione mortalmente seria sul viso del suo gemello.
"Non costringermi a risponderti volgarmente, Thomas."
Disse, facendo per passare oltre suo fratello, che gli si parò davanti per bloccarlo.
"Anche se tu mi sei maggiore, seppure di molto poco, è a me dovrebbe giustamente spettare questo feudo in eredità. Io mi sono sposato, io ho dato un erede al nostro casato.non mi farò portare via ciò che è mio diritto da un fratello forte solo del fatto di avere visto la luce una manciata di minuti prima di me."
"Ma senti senti che disinteressato discorso di amore filiale. Se, come sei convinto, nostro padre ascolti me più di te, non credo proprio che lo faccia solo per una questione di primogenitura, è troppo intelligente per ragionare in un modo tanto semplicistico. In quanto al fatto che l'avere un erede dovrebbe averti dato dei diritti maggiori dei miei...potrei sposarmi anche io, Thomas, che ne dici? E i miei figli, anche se più giovani, avrebbero la precedenza sui tuoi, in una futura successione. Sai bene che, nel momento in cui decidessi di prendere moglie, non impiegherei più di un giorno a trovare una consorte. Una nobile e ricca consorte."

I due si fissarono, Thomas con lo sguardo furente e le sopracciglia aggrottate, Edgard con il sorriso più falso del mondo sulle labbra. Una cosa di cui erano certi entrambi era che la tensione fra loro prima o poi sarebbe scoppiata. La gelosia e l'astio che erano nati nel corso degli anni nel cuore di Thomas si erano espansi fino a raggiungere quello di Edgard, che reagiva all'ostilità con freddezza, con un certo sprezzo, ma senza mai perdere la calma.
Una cosa che, nemmeno a dirlo, irritava ancora di più suo fratello.
"Chiudiamo qui la questione, Thomas, prima di rovinarmi questa giornata."


*** *** *** ***

Maledizione anche a suo fratello e ai suoi spocchiosi discorsi...era anche riuscito a fargli aumentare il mal di testa. Si fermò per un attimo, chiudendo gli occhi e massaggiandosi la fronte e le tempie; forse sarebbe bastata dell'acqua fresca, e sdraiarsi un po' all'ombra. Già, se si fosse rilassato sarebbe passato tutto in fretta.
"Padrone! Eccomi!"
Oh, Ewan...perfetto, aveva già preparato i cavalli.
"Signore, state bene? Siete pallidissimo."
Preoccupazione nella sua voce, apprensione nei suoi occhi.
"Non è niente. Su, andiamo."
"Ma..."
  "Andiamo."

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[Che freddo. Eppure l'aria dovrebbe essere tiepida, il cielo è così azzurro e il sole tanto luminoso...
E la testa, ancora. Che male. Pulsa, stringe, martella, esplode. Peggiora. Potessi me la strapperei.
Il sorriso mi si è impiastricciato sulle labbra insieme ad una smorfia tesa.
E poi questo profumo dolciastro, stordente, ammorbante, di fiori..non lo senti, Ewan? No? Che mi succede? Parla più forte, io non ti capisco bene...c'è rumore nelle mie orecchie che copre la tua voce. Non ce la faccio più, la schiena mi si piega, non mi sorregge, ma non voglio tornare indietro.
Ci fermiamo un po', mi stendo un momento, l'erba è alta e morbida, un buon materasso.
Forse davvero non mi sento bene.
Ewan, ciò che mi stai dicendo somiglia un po' ad un rimprovero, sai? Non fare quella faccia, sto qui per mezz'oretta e tutto mi passerà...magari anche il freddo, forse questo sole mi scalderà.
Però, che sete. No...niente vino. Svuota la borraccia e riempila d'acqua al ruscello.
Questo profumo è sempre più forte, ma s'è calmato almeno il rumore nella mia testa. Però i miei occhi sono così pesanti, ora che li ho chiusi non riesco più a riaprirli.
Pesano, pesano.
Di tutto il mio corpo sento solo il dolore...nient'altro.
Non mi muovo.
Che freddo.
Aiuto...ma non riesco a parlare. Perché?
Aiuto, Ewan.
Sei di nuovo qui? Ti sento vicino...
Scusa se non rispondo al tuo richiamo, non ci riesco.
Mi scuoti, mi chiami...no, non sto scherzando. Non scherzerei mai in questo modo. Non con te.
Mi spiace farti preoccupare, scusami.
Forse effettivamente era meglio restare a casa, la prossima volta ti darò retta.
L'acqua che tenti di farmi bere mi scivola lungo il mento, e poi sul collo, bagna la stoffa della mia tunica, però un poca riesce anche a scendere nella mia gola, dandole sollievo. Grazie.
Panico nella tua voce? Urgenza? Forse paura.
Non devi, è solo un sonno strano, sempre più avvolgente.
Appiccicoso. Denso.
Adesso il dolore è sparito, d'improvviso, come spegnere una candela.
La tua voce è sempre più lontana.
Sta svanendo tutto il mondo...
Resta solo il nauseante profumo dei fiori.
Fiori raccolti, fiori morti.
Che stia forse morendo anche io?
Ma ho ancora tante cose da fare! E non voglio lasciarti...
Però...tutto scivola via.
Non riesco a oppormi.
Me ne devo andare senza salutare nessuno, dunque?
Ewan, io...
...non riesco neanche più...
...a pensare.
......] ########

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"Keith...ehi, dormi a occhi aperti?"
Più che la voce della donna fu il suo lieve e insistente calciargli delicatamente la caviglia a richiamare la sua attenzione.
"Scusa, ero distratto. Stavo pensando ad una cosa...di molto tempo fa."
"Avevi la stessa identica espressione assente di mio marito quando gli parlo della gestione dei titoli che abbiamo comprato. Quell'uomo non capisce niente di numeri."
"Beh, questo parla a suo favore, Monica."
Commentò Keith, bevendo quel che restava del suo caffè prima che si freddasse del tutto.
La donna ridacchiò, girandosi la fede al dito.
"Vuoi sapere una cosa divertente sul mio maritino? Pensa che credeva che tu fossi il mio amante!...ehi, piano, ti ci vuoi strozzare, con quel caffè?"
"Che cosa...che cosa credeva, scusa?'"
Riuscì a chiedere lui, appena ebbe finito di tossire.
"Beh, sai, il fatto che è già la quarta volta che andiamo in trasferta assieme, e poi lavoriamo allo stesso progetto e ci sentiamo spesso anche al di fuori del lavoro... È geloso! Non è carino?"
"Non trovo carino che un tale alto un metro e novanta e che pesa il doppio di me mi consideri un suo rivale; mi fa piacere avere tutte le ossa intere!" 
"Oh, via...siete alti uguali, sarà anche più grosso ma tu hai anche quindici anni meno di lui, dovresti essere più in forma. E poi gliel'ho giurato che per me c'è solo lui!"
"Pover'uomo."
"Spiritoso."
Keith si alzò con un vago sorriso.
"Vado in camera mia, sono un po' stanco."
Monica gli augurò la buonanotte e ordinò un'altra porzione di dolce al cioccolato.

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Si lasciò scivolare nella vasca piena d'acqua calda e chiuse gli occhi, immergendosi fino al mento. Ricordava ancora benissimo la sensazione fisica di perdere il contatto con il suo corpo, di smarrirsi come una fragile barca alla deriva in mezzo al mare. Nessun controllo.
Aveva davvero pensato di stare morendo.
Invece no.
Magari...magari essere potuto morire in quel modo;  quasi come addormentarsi.
E soprattutto senza dover vedere Ewan...andarsene...prima di lui.

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###### [Aprite gli occhi, per favore. Vi prego, mio signore...questo sonno non è normale. Che cosa vi è successo? Svegliatevi...parlatemi!]
Stargli vicino senza poter fare nulla per lui era opprimente. Da ore non apriva più gli occhi, restando fermo ed inerte, respirando appena.
Adelius era tornato al suo laboratorio per prendere altre erbe da bruciare nel piccolo braciere disposto accanto al letto, nella speranza che i fumi medicamentosi potessero riportare alla coscienza Edgard, ma fino a quel momento nemmeno quel medico alchimista tanto dotto era riuscito a fare qualcosa di efficace per il giovane. Il duca padre era stato al capezzale del figlio, ed era affranto, preoccupato; in quel momento non gli importava che il suo discendente desse adito a chiacchiere con i suoi comportamenti controcorrente, né che non si comunicasse né confessasse da più di dieci anni. Non gli importava che fosse la sua fonte costante d'apprensione; rivoleva   indietro il giovane con cui litigava e faceva pace, con cui andava a caccia e giocava a scacchi, il magnifico cavaliere, il diplomatico serio e  accorto nei rapporti con gli altri nobili ma che alle feste danzava con le damigelle e le accompagnava nel canto con la cetra.
Rivoleva indietro suo figlio, e tutto ciò che egli era, nel bene e nel male.
Non c'era, ora, nella stanza, perché si era raccolto nella cappella insieme alla moglie e alla corte per rivolgere una preghiera a quel dio in cui Edgard non credeva, ma che lui sperava fosse abbastanza misericordioso da perdonargli tale peccato.
In quanto a Thomas, era al castello, ma non lo si era visto. Forse lui ci sperava proprio, nella morte del fratello.
Ewan guardò quel volto spento, privo di ogni espressione ed il suo cuore ebbe una fitta.
"Vi prego..."
Sedutogli accanto, si chinò a guardarlo più da vicino e gli accarezzò adagio una guancia. Sembrava quasi che quella specie di morte esaltasse la sua bellezza elegante, imprigionandola come nel marmo liscio e candido di una statua, promettendo di conservarla per sempre.
Ecco, ancora...ancora quei pensieri, anche in quel momento così drammatico, quel desiderio di unione, di contatto. Ewan provò orrore di se stesso, si diede dell'egoista, del mostro e dello sciocco...ma c'era una cosa non aveva mai provato...e che mai probabilmente avrebbe avuto occasione di provare; mai...al di fuori di quel momento.
[Oh, la sua bocca..come sarebbe meraviglioso toccarla con la mia, almeno una volta.]
Singhiozzò.

Lentamente avvicinarsi ancora, e percepire il tenue profumo di lavanda e verbena che i suoi abiti gli avevano lasciato addosso, sentire il suo respiro leggerissimo...
[Anche se mi scoprissero adesso, non mi importa. Anche se dopo mi frustassero non mi importerebbe.]
Ecco, così...lieve, sulle sue labbra morbide e pallide, e il cuore che accelerava tanto da scoppiare...e chiudere gli occhi, perché a guardarlo così da vicino, a guardarlo durante quel bacio clandestino, sarebbe svenuto lì, sopra di lui.
Fu un breve e lunghissimo istante, con il tempo fermo e tremolante, come una goccia d'acqua in bilico sulla punta di una foglia, che sembra poter rimanere lì immobile, in equilibrio per sempre, ma che alla fine si stacca e cade, come lui si staccò dalle sue labbra.
"Vi chiedo scusa, mio signore, ma io vi amo."
Mormorò separandosi da lui, esprimendo per la prima volta i suoi sentimenti a voce alta.
Un attimo dopo, Adelius rientrò con le sue erbe curative.


Era come il lento svegliarsi da un lungo sonno...riemergere da un'acqua fonda e cupa...
Fruscii e lievi rumori intorno, ed era in un letto, appoggiato su tanti, morbidi cuscini.
Ma era ancora così debole, non aveva voglia di muoversi. Non capiva cosa gli era successo, e perché.
Tutto era poco chiaro, sfocato; aprì gli occhi e vide la sua stanza, tutta rischiarata dalle fiammelle di lumi e candele; un odore strano nell'aria, quasi di incenso, ma non proprio, gli solleticava le narici.
Qualcuno gli stringeva una mano, con il viso affondato nell'incavo del gomito del suo braccio piegato.
Piano piano, ancora intorpidito, ricambiò la stretta calda di quelle dita, voltandosi a guardare la persona accanto a sé.

Bastò quel leggero movimento perché Ewan alzasse  di scatto la sua testa bionda, incontrando  lo sguardo del padrone e ricevendo da lui un sorriso. 
I suoi occhi si allargarono e gli strinse convulsamente la mano, cercò di dire qualcosa, ma riuscì solo ad aprire e chiudere la bocca senza emettere alcun suono, così alla fine fu Edgard a parlare per primo.
"Come stai, Ewan?"
Quelle tre parole riuscirono a scuoterlo dal suo stupore.
"Voi chiedete a me come sto? Mio signore io...ero tanto preoccupato! Ho avuto paura che voi non vi svegliaste più..."
Ewan baciò la mano che stringeva fra le proprie, prima di continuare.
"Se voi foste morto sarei morto anche io."
"Non dire sciocchezze."
Rispose Edgard quietamente.
"E' così invece! Io non sarei stato capace, non sarei mai potuto rimanere qui, e vivere...senza di voi."
"Vieni più vicino."

Eccolo, così, il suo viso tenero e gli occhi limpidi in cui specchiarsi, in cui vedere un se stesso migliore; Ewan ancora non lasciava la sua mano, continuava a stringerla se possibile ancora più forte.
"Io non muoio tanto facilmente, sai?"
Ewan annuì, con occhi lucidi.
"Ricordi che ti dissi che avevo pronto un documento con cui ti davo la libertà? C'è ancora, non l'ho certo gettato; se mai mi dovesse capitare qualcosa lo consegnerai a mio padre, e lui ti scioglierà da ogni vincolo. Ed allora dovrai andare in Normandia, così come ti avevo proposto; la tua nuova vita laggiù sarebbe sicuramente migliore di questa"
"Non è vero! Non riuscirei mai ad essere felice."
Protesta fermamente il giovane servo.
"Ah, Ewan... - sospirò Edgard - certe volte sei davvero testardo, infantile e troppo emotivo."
"Mi--mi dispiace....io - abbassò lo sguardo e le sue labbra tremarono - "...cercherò di cambiare."
"No. Non voglio che cambi, sei splendido così."
Il nobile tacque e restò a studiarlo, più che guardarlo, in silenzio, con un'espressione così intensa che gli stava bucando l'anima.


[Se continua a non dire nulla non resisto e lo bacio di nuovo. E glielo urlo, glielo urlo che lo amo, se lui non riesce a capirlo...Padrone, quando mi parlate in questo modo mi regalate una felicità che mi uccide, perché è incompleta, perché mi lascia sperare nell'impossibile.]


Edgard girò lentamente lo sguardo, esaminando la propria stanza.
"L'ultima cosa che ricordo è che ero steso su un prato, a una certa distanza dal castello, e che ho perso i sensi. Come sono tornato qui? Hai chiamato aiuto?"
"No. Vi ho messo sul vostro cavallo e vi ho riportato indietro."
"Cosa? Da solo sei riuscito a sollevarmi e a caricarmi sul cavallo? Non ti facevo così forte."
"Infatti non lo sono. Non so come ci sono riuscito...se dovessi rifarlo ora non credo che ce la farei di nuovo. Solo che, in quel momento..."
"Grazie, Ewan."
Edgard alzò la mano libera e gliela passò dietro la testa, attirandolo a sé, e si sollevò quel tanto che bastava per andare incontro al suo viso e baciargli la fronte.
Un bacio sicuro e fermo, caldo, che si posò su di lui per alcuni secondi prima di ritrarsi lentamente.

Ewan arrossì violentemente, e fissò il suo padrone con occhi più grandi del solito.
Edgard lo lasciò andare e si rimise giù.
"Dalla tua faccia mi sembra di capire che non sai quello che significa questo gesto."
L'altro scosse lentamente la testa in diniego; forse lo sapeva, ma improvvisamente i suoi pensieri erano così in subbuglio  che non riusciva a ricordarsene.
"La mia fiducia. Il mio rispetto. La mia protezione. Per sempre."
Edgard tacque un momento, assaporando l'espressione emozionata sul viso del ragazzo. Aveva deciso, quel mattino, di fargli passare una giornata serena, che gli facesse dimenticare i giorni tristi appena passati, ed invece lo aveva fatto preoccupare ancora di più; però, forse, era ancora in tempo per sdrammatizzare quella situazione. Lanciò un'occhiata ad Adelius che dormiva sulla sedia.
"Gli ho detto io di riposare un po'!" - si affrettò a spiegare Ewan - "E' notte fonda, e lui era davvero molto stanco. Ho promesso che lo avrei svegliato se fosse successo qualcosa. Anzi! Lo devo chiamare!"
Ricordò all'improvviso, e si alzò di botto, ancora stringendo la mano del suo padrone.
"Aspetta un momento." - lo interruppe questi, trattenendolo - "Invece che mi sono svegliato, prova a dirgli che ho smesso di respirare; vediamo che cosa fa."
Concluse con un piccolo sorriso perfidamente divertito, immaginando la possibile reazione dell'uomo.
"Signore! Sarebbe uno scherzo crudele, povero Adelius!"
"Ma no, non crudele. A me sembra solo innocente ed innocuo."
"Beh, però io...veramente..."
"Non importa. Dai, vai a chiamarlo." #################


Non appena l'acqua gli finì nelle narici si scosse dalla sua rêverie, accorgendosi di stare letteralmente affondando nella vasca.
Ne uscì e si avvolse nell'accappatoio bianco con lo stemma dell'albergo ricamato sul taschino e si buttò a peso morto sul letto, e dieci minuti dopo dormiva già.


**** **** ***** ***** ***** ***** ***** *****


I giorni che dovevano passare erano passati. Dal canto suo Matthias aveva fatto ciò che poteva per farli trascorrere il più in fretta possibile; facendo gli straordinari in negozio, andando a letto presto   (che dormendo le ore passano più velocemente); era pure andato in piscina la sera, cosa che non faceva da mesi, a nuotare per un paio d'ore. Lo aveva fatto anche quel giorno...ed era proprio da lì che stava tornando.
Tutto quanto per non pensare.
Tutto quanto per non stare di continuo a fare mentalmente il conto delle ore che lo separavano dal rivedere Keith.
Per non chiedersi 'chissà che cosa sta facendo', 'chissà se mi sta pensando'.
Chissà, chissà, chissà....
Diede un'occhiata all'orologio. Erano quasi le nove di venerdì sera, e lui sarebbe tornato di sabato mattina; quindi quella era l'ultima notte prima di poterlo rivedere. Keith se ne era andato dicendo che gli stava dando tempo per riflettere, e invece lui non aveva riflettuto nemmeno un po': non era stato necessario, perché si era accorto di essere innamorato come un ragazzino alla prima cotta.
Beh, tanto quanto era arrivato a  casa; si sarebbe mangiato qualcosa, poi a letto, e magari il giorno dopo sarebbe andato a prendere Keith all'aeroporto, facendogli una sorpresa.
Poi, già dall'altra parte della strada, la vide. Vide la luce accesa alla finestra dell'appartamento sopra il suo.
Era già tornato?

Tu-tum.
Il suo cuore.
Tu-tum
Gli balzò
Tu-tum
In gola.

Si buttò   in mezzo alle macchine, attraversando senza guardare e non badando minimamente alle frenate brusche, i colpi di clacson e gli epiteti poco gentili che gli rivolsero gli automobilisti, poi sbagliò chiave due volte nel tentativo di aprire il portone e infine si trovò davanti all'ascensore occupato. Aspettò nervosamente giusto cinque secondi, e poi si fece di corsa le rampe di scale fino al quarto piano, salendo gli scalini a due a due come quando era bambino.
Ed eccola, finalmente, la porta di Keith, con il suo pomolo di ottone lucido e lo zerbino nuovo di zecca.
Non aspettò nemmeno di prendere fiato, lasciò cadere il borsone con la sua roba e suonò il campanello.

Immaginò in che stanza potesse essere, e cosa stesse facendo...magari era in camera sua a leggere un libro, steso sul letto a pancia in giù; sente lo squillo, e posa il volume sul comodino...si alza e si dirige verso l'entrata, per aprirgli...
Matthias provò a contare i passi...tre, quattro, cinque, sei...sempre più vicino. Afferra la maniglia...
E la porta si aprì.

Keith lo guardò con un po' di sorpresa mista alla sua espressione indefinibile. Poi un cauto sorriso, ed un semplice:
"Ciao."
Matt rimase a fissarlo; i pantaloni slavati di tela leggera, legati in vita da un cordoncino, la t-shirt bianca e attillata, sotto la quale si indovinavano chiaramente tutte le linee del suo torace,  e da cui gli riuscì difficile staccare gli occhi, ed i capelli umidi che sembravano ancora più scuri.
Il suo modo di rispondere al saluto fu quello di gettargli le braccia al collo tirandolo verso di sé, aggrappandosi a lui e baciandolo con una tale foga da sbilanciarlo, costringendolo a piantare gli mani sugli stipiti per non cadere.

Keith gli lasciò dominare il bacio, accogliendo e godendosi la sua lingua che si muoveva affannata, impaziente; cominciò a indietreggiare lentamente, portandosi dietro Matthias, e chiuse la porta, spingendovelo poi contro.
Dovettero staccarsi per espletare quella noiosa funzione biologica che era il dover respirare, e si guardarono, appoggiati fronte contro fronte.
"Questo è senz'altro il miglior bentornato che mi sia mai stato dato."
Sospirò Keith, percorrendogli il petto con la punta dell'indice, arrivando fino alla cinta dei pantaloni, agganciandola come con un uncino e attirandolo verso di sé, facendo aderire ancora di più i loro corpi. 
"Sei arrivato prima."
"Sei contento?"
"Certo che s... - l'ampio sorriso sul suo viso sparì, lasciando il posto ad un'espressione offesa, e approfittò del fatto di stare abbracciandolo per dargli un piccolo pugno sulla schiena  - No! Non mi hai telefonato nemmeno una volta! E non dire che non avevi il numero, perché non è vero, e comunque ci avresti messo tre minuti a rintracciarlo. Sarebbe questo il tuo modo di dimostrare che m-mmmhhhh..."
Keith lo aveva zittito con uno dei modi più efficaci al mondo e Matt sentì le gambe farglisi di gelatina e gli occhi chiuderglisi, e fu quasi certo di sentire violini e campanelli d'argento suonare in sottofondo.

"Non ti ho chiamato solo per non distrarti."
Andò a sussurrargli all'orecchio, sfiorandoglielo con le labbra.
"Distrarmi?"
"Dalla decisione che dovevi prendere. Dalla risposta che mi devi dare."
"Te l'ho già data la mia risposta. Oggi non ci fermeremo"



Via il giubbotto, via la camicia di jeans, che se ne caddero ai suoi piedi, e le mani di Keith erano di nuovo sulla sua pelle.
Però quello non gli bastava.
Afferrò la sua t-shirt, cominciando a tirarla su.
"Toglitela."
Chiese, ordinò, pregò, tutto in una sola parola. Per accontentarlo Keith smise per un attimo di mordicchiargli le clavicole e si raddrizzò, si sfilò l'indumento e poi tornò contro di lui, schiacciandolo contro la porta.
"Ti basta che mi sia levato quella?"
"Nnmhh, no...tutto. Tutto."
Ah,  com'era caldo il suo petto, sembrava fatto apposta per stringervisi..
"Prima tu."
Keith si chinò a spogliarlo completamente, sfilandogli le scarpe, slacciandogli i pantaloni ed abbassandoli fino alle caviglie, alzandogli prima un piede e poi l'altro per levarli di mezzo del tutto. 
Poi le sue mani risalirono lungo le gambe, accarezzandole, arrivarono fino all'elastico dei boxer e li si fermarono per qualche istante, mentre lui osservava la stoffa tesa dell'indumento, che già presentava una macchia umida.
Alzò lo sguardo, incontrando quello di Matthias, senza staccare gli occhi dai suoi allungò la lingua, sfiorandogli il pene ancora prigioniero, e il ragazzo gemette, strusciandosi contro la porta.
"Solo per vedere quanto sei sensibile. Ma adesso..."
Tirò giù anche i boxer, con un unico movimento veloce, e lo lasciò finalmente nudo davanti a sé.
Stupendo. Dolcissimo. Soltanto suo.
Avvicinò la testa alle sue gambe, deciso a non limitarsi a stuzzicarlo soltanto.

"Aspetta!"
Esclamò con urgenza Matthias.
"Avevi detto che non ci saremmo fermati."
"E' così, ma...non qui. Non credo che riuscirei a stare in piedi."

Keith si rialzò,  con un ginocchio gli separò le gambe, e poi, passandogli le mani sotto le natiche, lo sollevo da terra con facilità.
Matt si aggrappò stupito alle sue spalle; era da quando aveva cinque anni che nessuno lo prendeva in braccio in quel modo, e quell'ultima volta non era certo stato nudo.
"Cosa..."
"Dovrei avere un letto, da qualche parte."
Disse, voltandosi e incamminandosi lungo il corridoio.
Matthias rise.
"Dovresti?...e poi perché tu indossi ancora i pantaloni?"
Chiese, infilando una mano tra i loro corpi e cominciando a slacciare il cordino.
"Guarda che se mi cadono finisce che ci inciampo."
"Ti do ancora cinque secondi, allora. Sai, io...sono molto felice. Ecco, volevo che lo sapessi."
"Io voglio renderti felice."
Colui che un tempo si chiamava Edgard spalancò la porta della propria camera e depositò l'amato fardello sul letto allo scadere del quinto secondo, e subito dopo i suoi pantaloni volarono in un angolo della stanza

Quanto era adorabile, il suo Matthias. Quando arrossiva e quando provava a prendere l'iniziativa, quando commetteva qualche sbadataggine  e quando lo guardava con l'espressione un po' arrabbiata se lui insisteva nelle sue battute...
[Sono malfatto, vero? Quando non so cosa fare, cosa dire, non riesco a trovare niente di meglio che scherzare. Peggio di un ragazzino...ma adesso, di scherzare, non ho affatto bisogno. Chissà se ti piacciono ancora le stesse cose di una volta.]
Gli alzò le gambe e infilò la testa fra di esse. Matthias lanciò un piccolo grido stupito, sentendo la lingua bagnata di lui insinuarsi tra i suoi glutei, muoversi piano e profondamente, spostarsi più su e ruotare attorno ai suoi testicoli, e alla fine scivolare lungo tutto il suo sesso eretto; Matt quasi strappò le lenzuola quando l'altro lo prese in bocca.
"Keith! Se fai così ioOOHHH!...finisco subito..."
Ansimò, e si ritrovò una mano di lui sul viso, a muoversi a tentoni verso la sua bocca, infilandosi tra le sue labbra; succhiò golosamente le dita che gli venivano offerte come se fossero state la più dolce delle caramelle, continuando ad assaporarne il gusto anche quando egli le ritrasse.

Keith infilò le dita umide tra le natiche di Matthias, sfiorandone l'apertura con dolcezza, e alzò lo sguardo verso il suo viso; voleva, e doveva, vedere la sua espressione per essere sicuro di non stare facendogli male.
Penetrò con un dito, ma non vide su di lui altro che beatitudine, nessun dolore o fastidio, e allora lentamente ne aggiunse un altro.
Questa volta il viso del ragazzo si fece un po' teso, ed un  piccolo lamento gli sfuggì dalle labbra. Per distrarlo da quel dolore Keith succhiò più forte, accarezzando con la lingua il suo membro e cominciando a muovere le dita dentro di lui, contemporaneamente preparandolo e cercando un punto ben preciso; quando lo trovo, il mondo per Matthias si liquefece in una pozza di piacere e  con un fremito nei fianchi, raggiunse il proprio culmine.

Matt riprese fiato, un braccio rovesciato sopra la testa e l'altro appoggiato sul il petto che si alzava e abbassava velocemente; riaprì gli occhi e trovò il  suo amante vicino a sé, lo sguardo  fisso nel suo. Sorrise a Keith e gli scostò i capelli che gli erano andati a coprire il volto.
"Sembri quasi diverso..."
"Cioè?"
"Il tuo viso...è così sereno. Voglio dire, non che prima avessi un'aria cupa, certo, però adesso...adesso mi sembra di poter vedere tutta la tua anima, di poterla toccare."
"Hai già toccato la mia anima da tanto tempo...non sai quanto."
"Cosa?"
Ma l'altro lo baciò, senza rispondergli, prima la bocca e poi sul collo.
"Ora...ora tu, Keith."
Disse Matthias, appena le sue labbra furono libere.
"Mi vuoi?"
"Sì!!"

Entrò dentro di lui piano, con attenzione, come se avesse paura di fargli male; ed era proprio così, in verità, perché quella calda carne che lo circondava e lo stringeva gli pareva così tenera e delicata da doversi lacerare per la sua intrusione. Matthias strizzò gi occhi, scoprendo per un attimo i denti in un'espressione contratta da una sofferenza che non si aspettava, ma il dolore scomparve dal suo viso quando Keith iniziò a muoversi, a spingere e tirarsi indietro. Il piacere, che all'inizio fu solo una fiammella nel buio, si trasformò in una luce abbagliante e calda come il sole d'agosto, e non era solo il suo corpo ad esserne riempito, ma anche la sua mente, il suo cuore.
Era così che Keith lo voleva vedere, completamente abbandonato a quelle sensazioni, con le guance accese e i capelli arruffati, a contorcersi languido sotto di lui, muovendosi naturalmente, spontaneamente, al suo stesso ritmo, ansimando, quasi singhiozzando, con gli occhi socchiusi e le labbra tremanti, fino ad inarcarsi con un grido muto, cingendolo strettamente con le gambe, gettando la testa all'indietro, bagnandogli di seme la mano che giocava con la sua erezione.
Vederlo nell'orgasmo per la seconda volta gli incendiò il sangue, e con poche altre spinte anche Keith venne, dentro di lui, e il mondo gli svanì dalla testa per alcuni secondi, il piacere lo inghiottì come un gorgo.
Ricadde sopra di lui, respirando corto e gli baciò delicatamente il lobo di un orecchio.
Con le poche energie che gli erano rimaste Matthias lo abbracciò.
"Va tutto bene, Matt?"
"Mhhh...credevo che sarei svenuto."
"Oh, adulatore. Senti, ti peso troppo se stiamo un po' così?"
"No, anzi..volevo chiedertelo io."

Da qualche parte, nel palazzo, qualcuno stava ascoltando musica, e mentre entrambi chiudevano gli occhi, appisolandosi senza rendersene conto, fu la voce di Elton John, che cantava 'The One' ad accompagnarli nel sonno. (1)

"Sveglia...Matthias, sveglia!"
Matt aprì gli occhi e vicino a sé aveva Keith, sdraiato su un fianco che lo guardava.
Era innamorato, ricambiato, la notte precedente era stata la più meravigliosamente spossante della sua vita ed ora aveva davanti un intero week end libero per sfiancarsi alla stessa maniera. Poteva giornata iniziare in un modo più radioso?
"Ciao."
Lo salutò, sporgendosi a baciarlo.
"Come va?"
"Uhhm...benissimo. Ma sto morendo di fame."
"Vado a vedere se ho qualcosa di commestibile in casa."
Keith scese dal letto nudo com'era e andò in cucina. Matthias sentì il rumore del frigo che veniva aperto e richiuso, l'aprirsi di cassetti.
"Preparo del caffè...e ho una scatola di biscotti danesi ancora integra. Ti piacciono?" (2)
"Li adoro! Ora mi alzo."
"No, no! Stai lì, porto la colazione in camera."
"Ma sbricioleremo sul letto!"
"Con ciò che ha visto ieri sera, a quel letto gli fanno un baffo, le briciole."
Matthias arrossì, ma gli scappò anche da ridere. Guardò la sveglia sul comodino.
"Ma sono le cinque del mattino!"
"Ehm...deve essere stato il cambiamento di fuso orario a scombussolarmi i ritmi circandiani."
"Certo, tra Londra e Berlino ci sono nove ore di differenza, no?" Keith ridacchiò.
"Ti spiace se ti ho svegliato?"
"No. No, stai tranquillo."
Matthias si sedette, sgranchendosi, e dopo un paio di minuti Keith arrivò con un vassoio, due tazzoni di caffè lungo e la scatola di biscotti. 
"Ecco qui."

Sgranocchiava un biscotto dopo l'altro, sorseggiando il caffè scuro e dolce, appoggiato al petto di Keith, in una pace totale.
Che strana sensazione, improvvisamente; dolcissima e nostalgica, triste e felicissima.
Qualcosa di già vissuto, fare colazione assieme su un letto sfatto, con un braccio di lui che gli circondava la vita, coccolandolo. Non mangiavano biscotti e caffè, ma una focaccia dolce, bevendo latte e miele.
E la notte precedente non era stata la prima volta che accoglieva quell'uomo nel suo corpo...era già successo, in una memoria lontana.  Nella sua mente due volti maschili molto somiglianti si sovrapposero, entrambi dai capelli corvini e gli occhi ambrati.
[Sei tu...?]
Quanto gli era mancato...ogni singolo giorno della sua vita,  prima ancora di conoscerlo. Quanto era pesato quell'inspiegabile senso di vuoto e di incompletezza, di irrealtà, di trovarsi nel luogo sbagliato. 
Ma adesso tutto era diventato perfetto.
Matthias si affrettò a posare la tazza sul comodino, perché sentì di stare per mettersi a tremare così forte da rovesciare la bevanda, e la testa gli girava.
Si concentrò sul calore di Keith contro il suo, sul quelli che erano i suoi modi e il suo sguardo quando la smetteva di giocare, e diventava quasi cinico e malinconico al contempo, strana miscela di sentimenti.
...Ricordi come lampi che illuminano la notte, e mostrano scene di tempi sepolti, frasi spezzate e ricordi a metà...
La stanza ondeggiò.
Separati, separati per secoli, tenuti lontani a forza da una legge che non riusciva a ricordare.
[Ma mi hai ritrovato. Ti ho ritrovato.]
Ma che cosa significava?
Si voltò verso il suo amante, un po' spaventato, abbracciandolo e cercando il suo sguardo.
"Keith, posso chiederti una cosa?"
"Tutto quello che vuoi."
Intanto la testa continuava a girare, e cominciava ad avere le vertigini.
Lo strinse più forte che poté, artigliandoli i muscoli senza quasi rendersene conto.
Il cuore gli martellava il petto.
Prese coraggio, deglutì e parlò.
"...Edgard?"

Keith spalancò gli occhi e trasalì appena; poi gli sorrise in un modo incredibile, caloroso, dolce e protettivo,  felicissimo e commosso, e sembrò quasi somigliare ad un arcangelo scintillante, una di quelle figure radiose e un po' tristi dei dipinti antichi. Lo accarezzò, sfiorandogli le labbra con il pollice.
"Sono qui."
Gli rispose.
E Matthias svenne.

************************CONTINUA********************

Note:

(1): Io la trovo una canzone bellissima, e non ho resistito all'idea di inserirla.....

(2): Li avete presenti quei biscotti al burro nelle scatole di latta blu? Da uno a dieci sono buoni dodici!









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