NOTE: le parti racchiuse tra i cancelletti ## denotano flashback, parti della storia ambientate nel passato. In origine avevo usato un carattere diverso per evidenziare la cosa, ma in formato solo testo non è possibile (o sbaglio?)
Le parentesi quadre (che si svolgono dopo le tonde, tanto per far felice il mio ex prof di mateca) indicano invece pensieri, più o meno consci, dei protagonisti.


In un paese d'estate

di Unmei

parte IV


Socchiuse gli occhi, assonnato e intontito; prese conoscenza solo quel poco che bastava per accorgersi di avere la testa poggiata in grembo a qualcuno, un qualcuno che stava tenendo la sua mano..la vicinanza di un altro corpo era un calore a cui non era abituato, e avrebbe voluto assaporarlo meglio, continuare a sentire il respiro di quella persona che accompagnava il suo, ma ancora una volta le spire del sogno lo avvilupparono, riportandolo giù, nel passato.


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Ewan rifletté: se Edgard non voleva aiutarlo, avrebbe dovuto escogitare qualcosa da solo. E non erano semplicemente la convinzione di essere nel giusto a spingerlo, e il sentimento d'amicizia verso il condannato. C'era anche, inconsciamente, un desiderio di ripicca, di approfondire quel solco che separava il mondo dei nobili, dei padroni, dei potenti, dal suo e da quello degli altri...servi.
Quella parola gocciolava nulla sua mente, bruciante come acido, e lo feriva non per il suo significato, ma per le connotazioni che ad essa venivano attribuite. Non c'era niente di male a svolgere mansioni umili; non c'era niente di male nemmeno ad appartenere a qualcuno, per come la pensava, ma per la prima volta si rendeva conto di come lui, e quelli come lui, dovevano apparire agli occhi dei signori: oggetti.
Forse ancor meno che oggetti, bensì cose prive di qualsiasi importanza, e l'essere venuto a sapere che anche la persona per lui più importante al mondo, attorno alla quale gravitava tutta la sua vita, la pensava in tal modo, gli pugnalava il cuore ad ogni battito.
Aveva un paio di giorni per riuscire a liberare Martin...
Sì, ma come?
Nemmeno a parlarne di uno scontro diretto.lui era assolutamente incapace di lottare, figuriamoci farlo contro delle guardie addestrate.ed in ogni caso, il solo pensiero di usare la violenza gli faceva orrore. Se ci fosse stato il modo di metterle fuori combattimento anche solo per un po', il tempo di tirare fuori il prigioniero dalla sua cella e di farlo scappare.
Ebbe un'idea rischiosa, ma fattibile. Forse sarebbe bastata un po' di fortuna...
Balzò giù dal letto e corse ad aprire la cassapanca dove Edgard teneva i libri; cominciò a passarli in rassegna fino a quando non trovò quello che stava cercando.
..ci sarebbe riuscito, ne era sicuro.
[Ma Edgard sarebbe molto deluso da questo tuo comportamento. Cosa penserebbe se sapesse quello che vuoi fare?]
Ammonì una voce dentro di lui.
Ewan rimase per un attimo a fissare il volume che aveva tra le mani, indeciso tra il rimetterlo a posto e lasciar perdere il piano, e l'andarsi a sedere più vicino alla luce e sfogliarlo.
Infine scelse, e con il libro sotto braccio tornò al proprio letto, cominciando a cercare quanto gli interessava.
Lungo le pagine si susseguivano nomi di bacche, piante ed erbe, con minute descrizioni del loro aspetto e dei loro effetti, magici, medicamentosi, soporiferi..
Oh sì...sì, poteva riuscirci.poteva certamente trovare quello che gli serviva nel laboratorio del medico del castello, quell'uomo coltivava un intero orto abbondante di quelle piante dai nomi strani. Un po' di quella polvere grigiastra, macinata finemente.giusto quanto bastava per far addormentare le guardie, versandola nel loro vino, o nella birra e avrebbe fatto uscire Martin di cella.
Soddisfatto, richiuse il libro e lo rimise al suo posto; si spogliò e si infilò sotto le coperte, fermamente intenzionato a prendere sonno prima del ritorno del padrone.
O, nel caso non ci fosse riuscito, a fingere di dormire.
Fingere, dopotutto, non fu necessario.
Si addormentò piuttosto in fretta, e si svegliò con il sole già alto. Nella camera Edgard non c'era; il letto era disfatto e freddo, segno che era rientrato, aveva dormito e si era già alzato, andandosene poi senza svegliarlo.
Ewan non seppe se esserne lieto o rattristato: il pensiero di rivedere il proprio padrone lo metteva stranamente a disagio; una parte di lui voleva evitarlo, far passare abbastanza tempo perché l'incidente venisse dimenticato. ..e l'altra parte già sentiva la sua  mancanza...così presto. 
Si alzò e si lavò il viso, spruzzandosi con l'acqua anche i capelli, poi vide sul tavolo qualcosa, coperto da un grosso tovagliolo di lino, che il giorno precedente non c'era. Curioso, sollevò il pezzo di stoffa.
Trovò della frutta, formaggio, del pane bianco e una boccale pieno si sidro dolce e leggero, come quello che si dava da bere ai bambini.
Non bisognava fare troppi sforzi d'immaginazione per capire chi avesse lasciato là quel cibo per lui, e quel pensiero lo fece sentire un po' meglio.
Affamato, Ewan divorò tutto.

************

Quella mattina sul tardi, verso l'ora settima, riuscì ad entrare nel laboratorio dove il medico teneva le sue polveri, i distillati e tutto quanto servisse alla sua scienza. L'uomo non c'era, e lui non sapeva dire dove fosse o quando sarebbe tornato, per cui doveva fare il più presto possibile.
Cercò in fretta la medicina che gli serviva, tra i tanti vasi e contenitori che affollavano gli scaffali, etichettati con nomi strani e misteriosi, badando bene di non rompere nulla e di non mettere disordine. Quando trovò l'orcio giusto, mise un po' di polvere dentro ad un pezzo di stoffa, che ripiegò con cura per non perdere nemmeno un pizzico di quel materiale prezioso. Rimise a posto ciò che aveva toccato ed uscì, di soppiatto come era entrato.
Era a buon punto, pensò. L'ora era quella del pranzo, quindi gli abitanti del castello sarebbero stati tutti occupati, chi a mangiare, chi a preparare i cibi, chi a servirli. era il momento ideale, perfetto.
Scese nelle cantine e riempì una brocca di birra scura, la più forte che trovò, per mascherare completamente l'odore pungente della droga, fece per versare il frutto del suo piccolo furto, ma esitò per un istante: chissà se sarebbe stato meglio aggiungere tutto subito o farlo solo all'ultimo momento. Infine si risolse, drogò la bevanda e la rimestò con un cucchiaio di legno.
"Speriamo solo che sia la dose giusta.devono solo addormentarsi, non voglio certo far sentire male quelle guardie."
Considerò soprappensiero, ad alta voce.
"Un proposito molto gentile, Ewan."
La voce alle sue spalle, perfettamente calma, troppo calma.spaventosamente calma. lo fece sobbalzare a tal punto che rovesciò quasi la metà della birra.
"S-sir Edgard..buon..buongiorno."
Disse, tentando di suonare il più disinvolto possibile.
"Cosa hai messo là dentro?"
Chiese l'altro, ignorando il saluto.
"Niente!"
Mentì Ewan, illogicamente, poiché negare l'evidenza non poteva servire a nulla, ma in quel momento la sua mente stava girando a vuoto perché potesse rendersene conto.
"Davvero? Allora immagino non ti dispiaccia se ne assaggio; ho molta sete." 
Tese una mano verso la brocca, ma Ewan fece istintivamente un passo indietro, esclamando:
"No!!"
"E perché, 'no'?"
Il ragazzo annaspò e si guardò intorno, cercando una scusa, senza trovarne; infine, sconfitto, chinò il capo e non disse nulla, con lo stomaco serrato e il viso in fiamme.
Edgard parlò, sempre con quella tranquillità agghiacciante, con un tono discorsivo e piacevole sotto al quel pulsava distintamente una vena di gonfia di rabbia.
"Prima mi era sembrato di vederti entrare nel laboratorio di Adelius...ma mi sono detto 'starò sbagliando, Ewan non ha nulla da fare là dentro'. Però, non so perché, mi sono fermato ad aspettare e dopo qualche minuto sei uscito, circospetto e cauto come un ladro, stringendo un piccolissimo fagotto in una mano.
Ed allora ho pensato che fosse meglio seguirti, perché somigliavi tanto a qualcuno che stava per commettere un'idiozia. Ed infatti eccoti qui, a mettere in atto quello che ha tutta l'aria di essere un maldestro piano di evasione a beneficio di quell'assassino! O lo vuoi negare?"
Ewan strinse tra le mani la brocca, come se avesse potuto scaricare attraverso di essa la tensione e di nuovo non rispose, non alzò nemmeno il viso, irritando infine Edgard, il quale attendeva soltanto di poter esplodere.
Cosa che alla fine fece.
Con un gesto brusco colpì la brocca, che saltò via di mano ad Ewan, cadendo a terra con un rumore metallico, rovesciando tutto il suo contenuto.   Il giovane servo emise un breve grido soffocato, di stupore, ma anche di terrore. Aveva paura, veramente paura.
Edgard lo afferrò violentemente per un polso, usando troppa forza, tanta da strappargli un lamento, e lo trascinò via senza riguardi. Camminando velocemente risalì le scale e poi lo trascinò lungo i corridoi, incurante del fatto che le sue gambe fossero più lunghe di quelle di Ewan, come  pure lo erano i suoi passi:  il servo, dietro di lui, incespicava, cercando inutilmente di liberarsi, chiedendogli di rallentare, con gli occhi fissi sulla mano serrata di Edgard, che sembrava così grande, tanto che il suo polso era completamente sparito dentro di essa.
Il padrone lo strattonò a quel modo fin che raggiunse la propria camera; una volta entrato lo scaraventò sul letto e poi compì un infuriato giro della stanza; l'aria sembrava essersi fatta rovente.
Alla fine Edgard si piantò davanti a Ewan, alzando la voce per la prima volta in tanti anni.
"Sei pazzo! Ma che diavolo ti è saltato in testa?"
Ewan deglutì e si morse le labbra, guardando a terra.
"Voi...non volevate aiutarmi...." Mormorò.
"Aiutarti? Io ho...lasciamo perdere, è un discorso completamente inutile. -solo per un istante l'espressione sul viso del nobile sembrò placarsi, illuminarsi, addolcirsi, ma quando parlò nuovamente il suo tono era ancora appesantito dall'ira, e non solo da quella. Lui stesso non sapeva dare un nome all'altro sentimento che gli si stava agitando nel petto, non  subito, almeno. Guardando meglio dentro se stesso scoprì che cosa aveva scatenato quella reazione violenta, così insolita da parte sua.
Paura.
Paura nata dalla consapevolezza di aver salvato appena in tempo una situazione che sarebbe stata altrimenti irreparabile. Paura di quello che sarebbe accaduto se non avesse fermato Ewan.
"Come puoi aver pensato di farcela? Che razza di idea assurda! E se non ti avessi visto io, se fosse stato qualcun altro a scoprirti, cosa che sarebbe sicuramente avvenuta, stanne certo..ti rendi conto di quello che sarebbe accaduto? "
Si bloccò, come per dargli una possibilità di replicare, poi, afferratolo per le spalle lo scosse.
"AVREBBERO IMPICCATO ANCHE TE, LO CAPISCI, STUPIDO?"
A Ewan sembrava un incubo..quanto avrebbe voluto svegliarsi e scoprire d'aver sognato, e ritrovare quell'Edgard che gli voleva bene, come sempre. 
Invece quella era la realtà, non la poteva sfuggire, e bruciava come sale su una ferita aperta
"E a voi che importa? Sarebbe servito di monito agli ALTRI!"
Scattò infine, alzando uno sguardo luccicante verso il suo padrone.
Edgard gli mollò le spalle come se scottassero.
Ewan vide i suoi occhi spalancarsi e gli sembrò che si fossero riempiti d'ombra, diventando quasi più scuri,  e poi lo vide aggrottare le sopracciglia, e anche sollevare una mano e tirare indietro il braccio, fluidamente, prendendo lo slancio per uno schiaffo.
Serrò d'istinto gli occhi gli occhi, preparandosi ad essere colpito. 
Aspettò, ma la cosa non avvenne.
Quando tornò a guardare la mano di Edgard era così vicina alla sua guancia che ne poteva avvertire il calore, pure senza che vi fosse contatto diretto.
Edgard stava praticamente trattenendo il fiato, Ewan poteva vedere i muscoli della sua mascella serrata tesi tanto da tremare; infine il nobile allontanò lentamente da lui la propria mano, e la richiuse in un pugno talmente stretto da far schioccare e sbiancare le nocche.
"Tu non uscirai di qui fino a che tutto non sarà finito."
Fu la sua laconica sentenza, poi voltò le spalle e se ne andò. Appena fu uscito, Ewan sentì il rumore secco della serratura che veniva chiusa a chiave.
Poi, l'unica cosa rimasta a fargli compagnia fu il silenzio assoluto.
Si lasciò cadere all'indietro sul materasso, e rimase per qualche istante a fissare il soffitto di pietra; poi rotolò sullo stomaco e affondò il viso nella coperta, prendendo a pugni rabbiosi il materasso.
[Non piangerò! Non piangerò! Non piangerò!]
Giurò a se stesso, serrando gli occhi con tutta la forza di cui era capace.
In quel momento Ewan era convinto che avrebbe sofferto in eterno. Esausto, deluso, impaurito, era in una cella anche lui, seppure la sua fosse comoda e pulita, e non si era mai sentito tanto solo.
Le cose non si potevano più aggiustare, lo strappo si era allargato troppo...ed anche riuscendo a rammendarlo, la cucitura sarebbe rimasta, ruvida ed evidente come una cicatrice, a ricordare tutto quanto era successo.
Quella mattina era stato quasi sicuro che l'incidente si sarebbe concluso bene, ed ora era invece convinto di aver perso per sempre la fiducia di Edgard.
Verso sera un uomo gli portò da mangiare, e rimase a guardarlo finché non ebbe finito tutto, poiché, disse, così gli era stato ordinato. Poi lo scortò alle latrine e infine lo riaccompagnò in camera, ove lo chiuse nuovamente.
Quella sera no, non ce la fece a dormire; non si mise nemmeno a letto, ma restò seduto ai piedi di esso, sul pavimento, guardando il livido prendere forma sul polso là dove era stato stretto, somigliante ad una parte di dolore che emergeva alla superficie dal profondo dell'anima, e lasciando la propria mente libera di fare tutto ciò che preferisse; immaginare, riflettere, ricordare, rimpiangere.
Edgard, quel giorno, non tornò. Doveva essere veramente arrabbiato, e disgustato..Ewan si domandò dove fosse, e che cosa stesse facendo.
Chissà se almeno lui stava dormendo.
Il secondo giorno si svolse esattamente come il primo. Gli portarono da mangiare e da bere, cibo buono e acqua fresca,  lo accompagnarono alle latrine, lo ricondussero in camera, ove lo chiusero di nuovo.
Era quasi il tramonto quando gli occhi cominciarono a farglisi pesanti, e stancamente, svogliatamente, si spogliò e si infilò nel letto. Per un po' rimase a fissare l'altro giaciglio, vuoto; nemmeno quel giorno Edgard aveva fatto ritorno.
Quanto tempo doveva durare ancora quel castigo?
Perché era un castigo, vero?
Fino dopo l'esecuzione, aveva detto il padrone, ma poi? Dopo?
Il dopo..era quello che più lo spaventava.
Fuori pioveva, il cielo era un manto di nuvole e l'aria si era fatta fredda; si raggomitolò sotto le coperte, cercando di catturare tutto il calore che poteva; chiuse gli occhi e si morse le labbra, sperò di potersi addormentare subito, e magari di non svegliarsi più.
La condanna fu eseguita il giorno dopo. Fu teatrale, e terribile, proprio come ci si aspettava che fosse.
Avvenne puntuale, la mattina, senza un intoppo.
Niente da dire, né da raccontare...non aveva mai visto nessuno morire, né di vecchiaia, né di malattia o incidente. Non voleva pensare a come doveva essere la scena di un uomo trascinato su un patibolo...della corda attorno al suo collo, della sua vita che soffoca nell'agonia.
E magari di qualcuno che applaude tale vista.
Qualcuno che la approva e ne trae soddisfazione.
[Finita...è proprio finita.]
Pensò Ewan.

************

Quello fu anche il giorno in cui Edgard tornò: verso sera Ewan sentì la serratura scattare, e si aspettava di vedere il solito servo dai capelli rossi portargli da mangiare; quella sera non avrebbe toccato cibo, non potevano certo costringerlo, non potevano ficcargli il cibo in gola a forza.
Invece entrò il giovane nobile, con gli occhi più stanchi del mondo; sedette sul proprio letto senza rompere il silenzio.
"Avete bisogno di qual cosa?"
Chiese Ewan tenendosi tuttavia in disparte, cercando di recuperare almeno l'illusione della normalità; la domanda gli sembrò sciocca e vuota, ma non riusciva a trovare null'altro da dire.  Edgard alzò appena la testa, voltandosi verso di lui, e poi fece un muto cenno di diniego.
Si alzò, portò la sedia vicino alla finestra e là rimase seduto a guardare fuori.
"Ewan, che cosa pensi di me?"
Chiese infine, dopo un tempo che parve lunghissimo.
I pensieri del ragazzo vorticarono.
Come poteva rispondere ad una domanda simile, se non conosceva nemmeno abbastanza parole per esprimere i propri sentimenti?
[Che cosa penso?]
[Che avrei voglia di scappare via da voi, ma anche di rivedere il vostro sorriso, di riavere la vostra compagnia...Penso che mi avete fatto male, e anche paura, che in questi giorni non ho desiderato che di piangere e sparire, che siete stato cattivo con me, e nonostante questo...nonostante questo...]
"Capisco."
Disse Edgard, interpretando il suo silenzio.
"Ma, signore--"
"Sono stanco; lasciami riposare, adesso."
Il silenzio li separò di nuovo; poi il buio li nascose e infine, insieme, nella stessa stanza, furono soli.
Il mattino dopo, all'alba, fu Ewan ad andarsene per primo, la sua fu come una fuga silenziosa.
Ma per quanto tempo potevano continuare a evitarsi l'un l'altro?
Come potevano riuscire a vivere ancora fianco a fianco? Sopportare il silenzio soffocante e la distanza impacciata e lancinante, quella malinconia stagnante come acqua morta...era difficile, troppo.
Ewan passeggiava nel giardino e si chiedeva se fosse normale provare tutto quel dolore.
Tutta quella tristezza, quell'amarezza.
[E' il tuo padrone, non un tuo amico. Non hai diritto di provare questi sentimenti.]
Però c'erano..c'erano, e si facevano sentire.
L'aria si scaldò pian piano, il cielo divenne più luminoso, si tinse di un azzurro sempre più intenso...doveva tornare indietro, aveva ancora dei compiti a cui attendere. Per quanto tempo li avesse avuti, poi, restava tutto da vedere...lui lavorava soltanto per Edgard, e il giovane signore da giorni ormai non gli chiedeva più nulla.
"Ewan! Vieni qui!"
La voce femminile che lo aveva chiamato, morbida come velluto, era quella di Lady Johanne, la madre di Edgard. La donna sedeva su una panchina, aveva un lavoro di ricamo sulle ginocchia e i raggi del sole accarezzavano gentili la sua figura piccola, avvolta in un abito verde.
"Signora, buon giorno. Avete ordini per me?"
Lei gli sorrise e gli porse un pettine d'avorio lavorato.
"Intrecciami i capelli, Ewan. Hai mani sottili, credo che il tuo tocco sia delicato."
"Oh, ma io... non ho mai intrecciato i capelli di nessuno!"
"Non fa niente, non è difficile. Avanti."
Titubante, il ragazzo prese il pettine e obbedì, cominciando a passarlo con cautela tra i lunghi capelli della signora.
"Ah, è così rilassante farsi acconciare i capelli, sai?"
"I suoi sono molto morbidi, signora."
"Ormai imbiancando...sai quanti anni ho, Ewan?"
"No."
"Meglio così, allora! Sapessi quando odio pensare al tempo che passa."
Johanna contemplò gli uccellini che beccavano le briciole che poco prima aveva gettato in terra.
"Non ti ho visto molto in giro, negli ultimi giorni, Ewan, eri malato, forse?"
La mano di lui tremò lievemente nel far scorrere i denti del pettine lungo il mare dei capelli di lei.
"In un certo senso non stavo bene."
"Spero tu stia meglio, ora. Questi ultimi giorni non sono stati molto piacevoli..tutto quello che è successo, una disgrazia, davvero. Certe cose mi turbano il sonno..e poi sono preoccupata anche per Edgard, che ha litigato con suo padre e con Thomas, per quella storia..ah, ecco, ora dividi i capelli in tre grosse ciocche. bravo."
"Hanno... litigato?"
Chiese Ewan, seguendo le istruzioni che gli venivano impartite.
"E' che sono così diversi...io ho tentato di prendere le parti di Edgard, lui mi ricorda il mio caro fratello, morto tanti anni fa..ma l'opinione di una donna non ha molto valore, e non ho potuto aiutare concretamente mio figlio."
"Signora, se posso chiederlo, perché hanno litigato?"
"L'ho detto, quella storia della condanna a morte..stringi un po' di più.. Edgard chiese che la condanna a morte venisse annullata, magari trasformata in un periodo di detenzione, o anche in una punizione fisica,  ma che la vita del condannato venisse risparmiata. Ovviamente ciò ha scatenato tuoni e fulmini... Mio marito era tanto fuori di sé da minacciare di chiudere anche lui in una cella, se non avesse rivisto tutta la sua condotta, in generale, e Thomas...beh, di lui non è nemmeno il caso di parlare. È stato quello che ha urlato di più; e pensare che era un bambino così dolce... Alla fine Ed è riuscito ad ottenere qualcosa, per quanto poco..che il corpo di quell'uomo venisse subito tolto dalla forca, una volta sopraggiunta la morte; inizialmente mio marito aveva intenzione di lasciarlo lì appeso a farlo divorare dai corvi. Lo spregio al cadavere è stato risparmiato...sebbene sia una ben misera consolazione, me ne rendo conto. Ewan, perché hai smesso?"
"Quando..quando è successo tutto questo?"
Chiese, e la voce gli tremava.
"Il giorno successivo alla condanna. Edgard arrivò di buon mattino e rimase a discutere per ore."
Il mattino successivo alla condanna..
Lo stesso giorno in cui lui aveva rubato la droga dal laboratorio.
Ed Edgard lo aveva scoperto..e lo aveva sgridato..e rinchiuso..e non gli aveva raccontato nulla.
Le sue parole, il suo rimprovero... 'avrebbero impiccato anche te, lo capisci, stupido?'...tutto assumeva una valenza diversa, alla luce di quella rivelazione.
E lui, come giustificazione al proprio gesto, aveva detto 'voi non mi volevate aiutare', proprio poco dopo che Edgard aveva tentato di farlo..
"Ecco il nastro, stringi bene."
Johanne gli porse una lunga striscia di sottile velluto blu. Ewan la avvolse più volte al termine della treccia, e poi lo annodò con cura.
"Oh, bene - gli disse infine la donna, tastando soddisfatta l'acconciatura - Adesso puoi andare."
La donna gli sorrise, e riprese a ricamare, ed Ewan fu quasi sicuro che tutto quel discorso non gli fosse stato fatto a caso.

****
Ewan spiava nervosamente la tavolata dei signori, nella sala da pranzo, attendendo ordini insieme agli altri domestici, la sua attenzione concentrata sul suo padrone. I musici suonavano i loro strumenti, cantavano di avventure, di amori, di cavalieri; i commensali chiacchieravano, qualcuno rideva; solo Edgard rimaneva silenzioso, rifiutando una portata dopo l'altra, assorto in pensieri che non lasciava trasparire sul proprio volto, somigliante ad una statua.
Il nobile, infine, guardò verso di lui, improvvisamente, come se avesse avvertito addosso i suoi occhi. I loro sguardi si incrociarono, ed Ewan arrossi; Edgard gli fece cenno di avvicinarsi.
Ewan si apprestò a riempirgli la coppa di Beaune , ma il nobile lo fermò, allontanandogli delicatamente la brocca dall'orlo del bicchiere,  sembrò fissargli le mani con attenzione rapita, come se esse costituissero il fulcro stesso del mondo.
"Lascia stare qui e vieni con me."
Così dicendo Edgard si alzò in piedi e si allontanò. Dopo essersi guardato smarritamente in giro per un paio di secondi, Ewan posò la caraffa e obbedì all'ordine ricevuto.
"Mi dovete parlare, signore?"
Chiese, quando furono soli. Edgard non fece un gesto, né rispose, ed Ewan non lo considerò un buon segno. Si morsicò l'interno del labbro.
Ancora silenzio...silenzio, nient'altro che quello, ed Ewan non ne poteva più.
Lui..rivoleva Edgard. Il suo Edgard.
Come era bello quell'aggettivo unito al nome del signore...come sembrava giusto, dolce come zucchero.
"Ascoltate! Se siete ancora arrabbiato con me--"
"Shhh."
Il duca lo interruppe; gli si avvicinò, e presagli una mano, gli tirò la manica su, lungo il braccio.
Guardò il livido violaceo che spiccava sul polso e cominciò ad accarezzarlo, massaggiarlo, teneramente, lentamente, come se sperasse che  il tocco delle sue dita lo potesse cancellare.
Un calore intenso, straordinario, risalì lungo il braccio di Ewan, irradiandosi nel suo petto, colorandogli il viso.
"Sono stato io a farti questo. Io...che anni fa giurai a me stesso che ti avrei difeso...ti ho fatto del male. Ho detto parole crudeli e piene di una superbia che mi illudevo di non possedere; ti ho deluso, ho alzato la voce, ti ho quasi picchiato..io sono sicuramente la persona peggiore che si possa immaginare. Tra noi due sei tu quello che deve essere arrabbiato. Dovresti odiarmi."
"Ma che cosa state dicendo?"
Ewan già sentiva un nodo formarglisi in gola, doloroso, ma bene accetto. 
Dio, che voglia di piangere.
Che sciocco, a piangere tanto spesso...anche quando era felice...felice da svenire.
"Sto dicendo che ti chiedo scusa..perdono. Perdonami. Perdonami. Perdonami. Non puoi immaginare quanto mi sei mancato Ewan, e quanto ancora mi manchi..Vorrei poter far tornare tutto come era prima. Cosa devo fare per avere il tuo perdono?"
Edgard intrecciò le proprie dita a quella di Ewan, imprigionandole in una gabbia gentile e lo fissò negli occhi.
"Perché...perché non mi avete detto che avevate tentato di soddisfare la mia preghiera? Perché non mi avete detto che per ciò vi siete scontrato con vostro padre?"
"Come lo sai?"
"Non importa come! Se voi me lo aveste detto--"
"Che senso poteva avere raccontarti un fallimento? Non avevo nessuna buona notizia da darti, non sarebbe cambiato nulla."
"Sarebbe cambiato tutto, invece! Non avrei passato questi giorni con la paura che voi non voleste più vedermi, con la convinzione che mi disprezzaste! Non--"
D'improvviso si ritrovò stretto tra le braccia di Edgard.
Il viso premuto contro la stoffa della sua blusa e le mani di lui che consolatorie scorrevano lungo la sua schiena, gli carezzavano la nuca; tutto il corpo di Ewan cominciò a tremare.
La voce di Edgard mentre gli parlava era un sussurro fragile e forte assieme, bisbigliato tra i suoi capelli. In quella posizione Ewan non poteva vedere gli occhi chiusi del suo signore, l'espressione del suo viso, il sorriso dolce amaro che aveva disegnato sulle labbra.
"Non dire mai una cosa simile! Mai! Io ti ho rimpianto in ogni singolo istante...Quel giorno ho sbagliato tutto, ma ero spaventato. Avevo capito che ero stato ad un soffio dal perderti davvero..e che come non avevo potuto a fare nulla per Martin non sarei riuscito a fare nulla per te.   E temevo anche..lo stesso sentimento che sto provando ora, che mi fa desiderare di poterti stringere così in eterno. Tu sei la creatura più dolce e bella che io abbia mai visto, Ewan, e se devo disprezzare qualcuno, si tratta solo di me stesso, per come ti ho trattato. La mia nobiltà è solo nel titolo, mentre la tua risiede nel tuo cuore."
Ewan si seppellì ancora di più contro il padrone, inebriato dal suo calore.
Ricambiò l'abbraccio, stringendosi prima timidamente,  esitante, quasi volesse domandare un permesso che non aveva bisogno di chiedere;  poi si aggrappò a Edgard, con tutta la forza di cui era capace, abbandonandosi contro di lui, lasciando svanire dal proprio corpo tutta la tensione di quei giorni.
"Mi siete mancato così tanto.non andatevene più, vi prego."
"Io c'ero, Ewan...anche se non potevi vedermi. Ci sono sempre stato."
##############

Il tessuto del sogno si stava lacerando..
[No, non ancora, non mi voglio svegliare adesso!]
Ma ormai il sonno era perso, svanito, il presente lo stava reclamando.
E Matthias aprì gli occhi.
La luce nella stanza era quasi abbagliante, feriva la sua vista, così li richiuse  e rimase steso sul divano; gli sembrava di aver dormito per un'eternità.
E si sentiva felice...
Forse era pazzo, forse il suo era un delirio, ma non gli importava...bisognava preoccuparsi delle cose che   rendono tristi, non del contrario.
Si stiracchiò soddisfatto, ancora un po' assonnato, e altre sensazioni riaffiorarono alla sua mente: di carezze e labbra sulla sua pelle, e di una frase sussurrata.
[Keith!]
Si sfiorò la bocca con a punta delle dita; forse anche quello era stato un sogno...ma in caso contrario..
...aveva detto a Keith 'tu mi piaci'..e lui aveva risposto...aveva risposto..
Il suo cuore stava battendo forte, al ricordo di se stesso in quei momenti..era una memoria tanto dolce da fare male.
Dicono che da ubriachi si fanno cose che non si farebbero mai da sobri..
Dicono che l'alcol trasformi le persone...
Sì, forse sì...ma solo perché sfoca le paure e permette alle persone di comportarsi davvero sinceramente, di essere se stessi senza finzioni, o indugi.
Quei baci lui li aveva desiderati. Aveva desiderato la vicinanza, l'abbraccio, in quel momento gli avrebbe concesso tutto di sé , lo sapeva.. 
...e l'idea lo terrorizzò.
Provare simili emozioni..non andava bene..non era normale. Non ci doveva nemmeno pensare!
Sarebbe stato meglio evitare Keith per un po'...almeno per riuscire a fare un po' di ordine nei propri pensieri, per capire quello che gli stava succedendo.
--- Succede che ti sei innamorato, genio che non sei altro! Non sei tu quello che crede ai colpi di fulmine?---
Gli fece disinvoltamente notare la sua coscienza.
Matthias balzò a sedere, con gli occhi spalancati e improvvisamente sveglissimo.
Ma da dove...da dove gli venivano simili idee? Vero che credeva nei colpi di fulmine, ma vero anche che Keith era *leggermente* diverso dalla persona che lui poteva avere in mente...
E soprattutto era anche *leggermente* del sesso sbagliato.
Ma gli stava davvero capitando una cosa simile? Proprio a lui?
Assolutamente impossibile...se gli fossero piaciuti i ragazzi se ne sarebbe accorto prima.
Comunque...dov'era Keith? Era già andato via, senza aspettare il suo risveglio? Ma aveva promesso che sarebbe rimasto con lui, gli aveva detto...
Matthias chinò la testa con un sospiro, comprendendo tutto.
E poi sorrise.
Okay.
Okay, va bene.
Era definitivamente innamorato.


"Finalmente! Buongiorno!"
Dalla soglia della cucina, colui che aveva appena scoperto essere l'oggetto del suo affetto, lo stava guardando. Scalzo, con la camicia tirata fuori dai pantaloni e le maniche arrotolate sugli avambracci, ed una tazza rossa tra le mani, da cui bevve un sorso, solo per poi fare una smorfia.
"Questi tè in bustina non sanno di niente.  Te ne porterò un po' dei miei, vedrai che differenza. Del Russian Caravan...del Sencha..magari del Keemun, che è il mio preferito. Allora, come va?"
Matthias lo guardava senza parole.
Diavolo..era vero ciò che aveva detto sua nonna un paio di giorni prima: era bello sul serio, chissà perché se ne accorgeva solo ora.
"Matthias, ehi?"
Keith andò nella sua direzione e si accucciò sui talloni accanto a lui, posando la tazza sul tavolino.
"Sì, sì, va tutto bene."
Si affrettò a dire, con tutta la convinzione di cui era capace.
"Niente mal di testa?"
"No, no."
"Meno male, allora!" - Keith si rimise in piedi e fece un cenno con la testa, rivolto alla cucina - "Hai fame? Ti preparo due toast?"
"In effetti...sì, ho un po' di fame. Faccio colazione volentieri."
L'altro lo guardò per un attimo e poi rise divertito.
"Colazione? Merenda! Ma non hai visto che ore sono, Matt?"

Occhiata titubante all'orologio.
Le quattro e mezza passate.
"Volevo svegliarti, stamattina, ma dormivi così bene che ho pensato di lasciarti stare. "
Keith sparì di nuovo in cucina, e poco dopo Matthias lo seguì; lo osservò mentre versava nel lavandino il proprio tè, lamentandosi ancora una volta della sua totale mancanza di sapore, poi preparare due tramezzini e infilarli nella tostiera.
La televisione era accesa su MTV, il volume disattivato.
"Temo di aver ficcato un po' il naso qui dentro, oggi...spero che non ti dispiaccia. Tra l'altro hai finito il caffè, l'ho segnato sulla lavagnetta."
Perché stava usando tutta quella disinvoltura, quasi eccessiva? Perché si stava comportando come se nulla fosse accaduto? Il giorno prima gli aveva detto di amarlo, e lo aveva baciato..doveva avere un significato, no?
A meno che non avesse scherzato.
No, no, no...una cosa simile non poteva essere vera. E se lo fosse stata non glielo avrebbe mai perdonato; se aveva voluto prendersi gioco di lui in quel modo allora veramente non avrebbe mai più voluto vederlo, né parlargli; soprattutto dal momento che aveva capito di provare veramente dei sentimenti tanto forti verso di lui. Forse ancora un po' confusi, forse incerti, ma inconfondibili.
Matthias si sedette e fissò le proprie mani sul tavolo, come se le vedesse per la prima volta.
C'era anche un'altra possibilità, e cioè che si fosse sognato tutto, mentre si trovava in quel territorio  neutrale tra la coscienza e il sonno, quando, con le difese abbassate, meglio si possono comprendere i desideri e le paure.
Se ciò era vero...se si era immaginato tutto...chissà quanto avrebbe riso di lui Keith.
Chissà quanto avrebbe riso chiunque.
[E dimmi qualcosa, accidenti! Fammi capire! Sei così difficile da interpretare..]
"Sei sempre così pensieroso appena sveglio?"
Scherzò Keith,  occupando la sedia accanto a quella di Matt.
"No...io, di solito...mi è solo venuta in mente una cosa."
[Pensieroso? Hai appena messo a soqquadro la mia vita, ribaltando una delle poche certezze che avevo su me stesso. Come dovrei essere?]
Keith sorrise.
Sorrise, ma con un fondo lontano, appena percepibile, di tristezza; così lieve che forse in realtà non c'era nemmeno.
"Beh...sei sveglio e stai bene..allora adesso ti saluto."
"Cosa? Dove vai?'"
L'altro alzò un dito verso il soffitto.
"A casa mia."
"Ma di già?"
"Di già? Guarda che sono ventiquattr'ore che siamo assieme!"
Gli fece notare Keith con il suo tono brillante
...come luccicavano i suoi occhi, ora, pensò Matthias.
"Però...però io ho ne ho dormite quasi sedici! Non sono stato molto di compagnia! Così visto che adesso..visto che è domenica, c'è ancora tempo, e..." - perfetto, gli si stava pure ingarbugliando la lingua; stava facendo una figura da... da papero, ecco. - "Scusa, magari hai altro da fare."
Concluse infine, stringendosi le braccia al petto e abbassando gli occhi, completamente sicuro di non essersi mai sentito tanto in imbarazzo.
"Davvero vuoi che resti ancora?"
"Mi piacerebbe."
Confermò Matt con un filo di voce.
E come avrebbe potuto non acconsentire? Avrebbe desiderato non andarsene mai.
"D'accordo, allora. Immagino che questo voglia dire che non faccio poi schifo, come vicino."
L'altro alzò lo sguardo come fulminato.
"Ma che cosa dici?"
"Beh, la prima volta che siamo incontrati tu ti stavi augurando che io non fossi un rompiscatole, no? Se mi inviti a rimanere presumo di aver passato l'esame. "
"Quel giorno stavo..ragionando ad alta voce, dicevo per dire! Non ti sei offeso, vero?"
"Se mi fossi offeso adesso non sarei qui."
"E..e sei felice di esserci?"
..oh dio, glielo stava chiedendo veramente? Dove stava portando il discorso?
"Riesco a immaginare poche cose che potrebbero rendermi più felice"
[Pensaci, Matt...vuoi davvero continuare? Ti stai avventurando in un territorio che non conosci..e Keith sta usando parole così facili da fraintendere...]
"Per esempio?"
Ora si guardavano negli occhi, legati stretti, catturati. 
..niente di cui aver paura..fiducia, soltanto quella, avvicinandosi l'uno all'altro un passo dopo l'altro, chiedendo il reciproco permesso per aggiungere un'altra parola a quel discorso.
...se saltiamo, saltiamo assieme...
...se ci fermiamo, ci fermiamo assieme...
"Per esempio continuare a stare qui. E stare con te."
Matthias si inumidì le labbra, sentendo una sete arsa e improvvisa.
"Perché?"
"Sono io che chiedo a te perché lo vuoi sapere."
         ...se saltiamo...
"Perché..mi piaci, Keith."
Riuscì a dirgli, in un solo imbarazzato e liberatorio respiro.
"Lo so... Me lo hai già detto."
C'erano parole non dette, implicate in quella semplice frase, e Matt le colse tutte quante.
Le mani gli tremarono; non era stata immaginazione.
Cosa stava per succedere? Lo sapeva, e tremò ancora di più, d'emozione e aspettativa.
"Matthias, credi di poter accettare ciò che sto per dirti?"
"Posso accettare qualunque cosa..qualunque cosa se sei sincero."
"Ti amo."
E sporgendosi in avanti, attirò la testa di Matt verso la sua e lo baciò. 
    ...saltiamo assieme...
Keith non era più Keith.
E non era nemmeno Edgard.
Era solo un'anima che finalmente si spogliava da un dolore sordo a cui era talmente abituata da considerarlo normale, parte integrante del proprio essere, componente naturale dell'esistenza.
Sarebbe andato tutto bene...non avrebbe più commesso errori.
Non un'altra volta, non li avrebbe ripetuti, lo avrebbe difeso veramente.
A qualunque costo, non avrebbe mai ferito Matthias.
Matthias, che gli cingeva il collo con le braccia, completamente perso, assorbito, volontariamente imprigionato in quel bacio lungo, lento.
Era dolce la sua bocca.
Erano dolci le loro bocche unite e i respiri confusi..
Ed erano dolci le loro bocche anche quando si separarono appena, i loro occhi specchiati gli uni negli altri, i loro visi arrossati e caldi.
Erano finiti giù dalle sedie, inginocchiati per terra. Quando era successo, esattamente? Non se ne erano nemmeno accorti..
"Ti amo, Keith. - sospirò, nascondendosi contro di lui - Non è troppo presto per dirlo, vero?"
"No, certo che no."
E gli sollevò il volto verso il proprio, tracciandone i contorni con piccoli baci lievi, bevendo come nettare l'espressione beata di Matthias, e poi tornò sulla sua bocca, e si unirono ancora, desiderosi e impazienti, come fiori disposti a bucare l'asfalto pur di poter sbocciare.
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"Che diamine stai facendo?"
Rain sobbalzò alla voce di Jael. Accidenti a lui e a quando mascherava di proposito la propria aura.
  "Ah...ehm ehm...beh, il mio mestiere, no? Siamo Custodi, giusto? Guardiani...quindi guardo."
"Già, guardiani, non guardoni."
Puntualizzò lo spirito, dando appena un'occhiata alla finestra dimensionale aperta dal suo collega, dentro alla quale si vedevano Keith e Matthias esplorare con mani e bocche quella che era la loro appena nata relazione.
Sospirò, e si apprestò a chiudere quel passaggio.
"Aspetta! -protestò Rain - Non puoi, abbiamo delle responsabilità...stanno...stanno bruciando i toast, ecco! E se scoppia un incendio? Dobbiamo essere pronti a intervenire!"
"...Rain?..."
"Sì?"
"Non ti sopporto più."
E ad un cenno della sua mano la finestra sparì, restituendo ai due ragazzi la loro privacy.







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