NOTE: le parti racchiuse tra i cancelletti ## denotano flashback, parti della storia ambientate nel passato. In origine avevo usato un carattere diverso per evidenziare la cosa, ma in formato solo testo non è possibile (o sbaglio?)
Le parentesi quadre (che si svolgono dopo le tonde, tanto per far felice il mio ex prof di mateca) indicano invece pensieri, più o meno consci, dei protagonisti.


In un paese d'estate

di Unmei

parte II


Matthias si stiracchiò sul divano, sbadigliando.  Erano solo le dieci e stava letteralmente cascando dal sonno, ma voleva vedere tutto il film, anche se per la decima volta. E, probabilmente, per la decima volta, si sarebbe commosso come un cretino. stupidi film dal finale tragico!
"Bzzzz-tlkt!"
Improvvisamente si ritrovò al buio, spento il televisore, sparita la luce.
"Un altro black out...chissà quanto è esteso."
Andò alla finestra senza difficoltà, conosceva la disposizione di ogni mobile tanto bene da potersi muovere con naturalezza anche al buio, e guardò fuori; tutto il quartiere era illuminato come sempre.
"Allora è proprio l'impianto elettrico del palazzo a fare schifo, questa è già la terza volta in un mese che capita. Credo che i miei non abbiano fatto un grande affare a comprare qui."
Il silenzio fu rotto dallo squillante campanello d'allarme dell'ascensore, segno evidente che qualcuno vi era rimasto chiuso dentro; uscì di casa e sentì l'aprirsi delle porte dei suoi vicini, il borbottare di qualcuno che si lamentava dell'impianto con parole molto più crude delle sue.
Si avvicinò all'ascensore e parlò a voce molto alta per farsi sentire da chi si trovava all'interno.
"Ehi, tutto bene?"
"Sì, nessun problema!"
"Quanti siete là dentro?"
"Ci sono solo io. ehi, la tua voce la conosco! Sei il ragazzo delle chiavi, vero?"
"Eh? Ma allora sei tu, il tipo dell'altro giorno...mi chiamo Matthias, comunque. E devo ancora restituirti la tuta."
"Ah, non ti preoccupare. Basta che qualcuno mi tiri fuori di qui in fretta."
"Soffri di claustrofobia?"
"No, è che... ero uscito per comprare una vaschetta di gelato e si sta sciogliendo."
[Oh, santa pace!]
Esclamò mentalmente Matthias. Sentendo i secondi di silenzio prolungarsi troppo, Keith parlò ancora.
"Gelato al cioccolato...sai, carenze affettive...qualsiasi idea tu ti sia fatto di me, sappi che in realtà sono molto più serio."
"Ma davvero?"
"Io nascondo dietro ad una ingannevole maschera faceta la mia indole oscura e tormentata!"
Dichiarò con tono melodrammatico.
[E non sai quanto, tormentata.]
Pensò Keith, immerso nel buio.
In quel momento gli mancavano le parole... non sapeva che dire, non sapeva che fare. C'era una cosa che, stupidamente, non aveva considerato, accettando l'occasione di rinascere che gli era stata offerta, e cioè Matthias stesso. Se ne era reso conto solo in quel momento: aveva completamente trascurato l'idea che egli poteva essere perfettamente felice, soddisfatto della propria vita e che magari non aveva assolutamente interesse a rinvangare il passato. 
Forse era solo tutto un errore... sin dall'inizio.
Forse avrebbe semplicemente dovuto accettare il fatto di essere stati separati; avevano avuto il loro tempo, lo avevano usato e finito. 
Perché tutti quei dubbi, all'improvviso?
I ricordi...se solo avesse potuto fare in modo che solo le memorie felici di Ewan venissero alla luce, lasciando da parte ogni lacrima versata. Invece...
La sua serenità sarebbe stata turbata.
Il mondo che conosceva sarebbe andato in frantumi.
Tutto perché lui non voleva perderlo.
[Egoista] pensò di se stesso [Non sei cambiato affatto, continui a calpestare i sentimenti delle persone senza nemmeno accorgertene. Oggi, come allora.]
Con uno scossone l'ascensore si rimise in moto, e dopo un pochi secondi le porte si aprirono al terzo piano, proprio davanti Matthias.
Keith cancellò velocemente l'espressione pensierosa del suo viso e rivolse al ragazzo uno sguardo perplesso.
"Perché sono qui? Avevo premuto per il quarto."
"Ah. quando questo ascensore si blocca, una volta ripartito si ferma sempre al piano più vicino."
"Capito. Beh, l'ultimo allora lo faccio a piedi, non voglio rischiare. Ci si vede."
Spostandosi per farlo passare Matthias lo guardò bene in viso.
"Scusa, ma.non ci siamo già visti da qualche parte?"
Keith si voltò esibendo un sorriso esagerato.
"Sì, due giorni fa, proprio qui sotto."
"Ma non intendevo questo! Io...bah, lasciamo perdere. Ciao."
Si ficcò le mani in tasca e volgendogli le spalle rientrò a casa.

"Che razza di cretino!"
Esclamò una volta richiusa la porta.
[Gli ho proprio chiesto se ci eravamo già incontrati!!...sembra una di quelle penose scuse che si usano per abbordare le ragazze...una di quelle che non funzionano nemmeno, tra l'altro. Però è vero; ha un'aria familiare, anche se non somiglia a nessuno che conosco. Eppure un tipo del genere me lo ricorderei di sicuro. Ora che ci penso somiglia a...no, no, che sciocchezza. ]
Spense il televisore, decidendosi che era davvero troppo stanco per vedere il film fino alla fine e che l'unica cosa che voleva era sprofondare nel proprio comodo letto.
Chissà se Sarah si sarebbe arrabbiata se avesse preso la sua stanza...era la più grande dell'appartamento, una volta ci dormivano i loro genitori, e tanto lei non l'avrebbe più usata; si sarebbe fermata in Francia per anni, tornando a casa solo per le feste, probabilmente.
Spostando un po' i mobili, e soprattutto facendo sparire i poster di Brad Pitt mezzo nudo, sarebbe stata una bella camera, molto più luminosa della sua.
Bussarono alla porta.
Matthias diede un'occhiata all'orologio. Non aspettava nessuno, e l'unico che talvolta gli faceva delle improvvisate serali era Andrew, che in una conoscenza lunga quasi quanto le loro vite non aveva ancora recepito il semplice concetto che lui detestava le improvvisate.
Era talmente sicuro della propria previsione che quando spalancò la porta era già pronto ad esordire con un  "Te l'ho già detto che non..."
Per fortuna fece in tempo a non dire nulla, perché il visitatore non era il suo amico, ma Keith.
Keith con un gatto. Anzi, con il suo gatto, solo che in un primo momento non ci fece caso.che ricordasse lui, l'animale si stava facendo le unghie sulla tappezzeria come al solito.
Che ci faceva in braccio al nuovo vicino?
"Meoww!!"
"Disturbo?"
"N.no.credo. Stavo andando a dormire."
"Ah. Scusa, ma sei l'unica persona che conosca qui dentro, e così chiedo a te. Quando sono salito ho trovato questo profugo sulla porta di casa mia. Sai di chi è?"
Grattò la testa del micio, che fece fusa beate.
"E' mio...deve essere uscito prima, ho lasciato la porta aperta. Strano, di solito non mette mai zampa oltre la soglia. È il gatto con l'istinto di cacciatore più scarso che io abbia mai conosciuto."
"Meeeeoowww!"
Miagolò con disapprovazione il felino. Keith lo prese per la collottola e lo porse a Matthias.
"E come si chiama?"
"Bestiaccia."
Bestiaccia rimase qualche istante in braccio al padrone, poi si arrampicò sulla sua camicia, fino alla spalle, balzò a terra e riprese con soddisfazione a decorare di artistiche unghiate la parete.
"Di nome e di fatto. Non da' retta a nessuno, è solo capace di fare il ruffiano quando vuole da mangiare. Ma pensa che rientri nel modo di comportarsi del micio-medio."
Commentò Matthias sconsolato.
"I gatti hanno lo stesso carattere degli esseri umani, dopotutto, no? Opportunisti esattamente allo stesso modo, solo che sanno esserlo in maniera molto più piacevole della nostra."
"Dici? Io non credo che tutti gli uomini siano opportunisti."
"Forse non tutti.ma c'è sempre qualcuno pronto ad usarti. Prima o poi lo incontrerai di sicuro, se fino ad oggi non ti è ancora capitato. Per come la vedo io, nessuno fa niente senza aspettarsi qualcosa in cambio; magari solo a livello inconscio, ma tutti pretendo una ricompensa di qualunque tipo per le loro 'buone azioni'...fosse anche solo sentirsi a posto con la propria coscienza. Buonanotte, Matthias."
Keith gli fece un vago cenno di saluto con la mano e fece per andarsene.
Non gli piaceva che chiudesse il discorso con un pensiero tanto cinico.
Era ..triste. Era come dire che la generosità non esisteva. Doveva trovare qualcosa da dire, una risposta che lo facesse riflettere su quanto fosse generalizzante la sua opinione; persone che non fanno nulla per nulla esistevano, ma a lui piaceva pensare, forse ingenuamente, che fossero la minoranza.
[Cosa posso dire? Come ribatto?]
"Allora anche tu volevi qualcosa in cambio, quando mi hai aiutato?"
[Ecco! Cercavo qualcosa di profondo e filosofico e ho proferito una scemenza. Mi ha fatto solo usare il telefono, nemmeno mi avesse salvato la vita!]
Keith lo guardò stupito per qualche secondo, poi un sorriso strano gli increspò gli angoli della bocca.
"Chissà."
Rispose a bassa voce, voltandosi.
[Non andare, non andare, non andare], pensò Matthias, senza sapere perché.
"Aspetta!"
Lui lo guardò ancora, restando in silenziosa attesa di quanto avesse ancora da chiedergli.
Il fatto era che lui non sapeva proprio che dirgli; bloccarlo era stato un impulso.
"Non...non te li levi proprio mai quegli occhiali da sole?"
Chiese, spostando il peso del corpo da un piede all'altro; effettivamente quella era una cosa di cui era curioso. Portarli anche nel buio della sera, e pure durante un black out.
Keith gli si avvicinò, quasi incombendo su di lui a causa della maggiore altezza, e lo fissò senza parlare. Prendendoli  dalle stanghette con entrambe le mani, si sfilò delicatamente gli occhiali, guardandolo senza la
barriera di vetro azzurrina. E i suoi occhi erano.

Intensi. Così intensi.
E lontani.
Pieni di ombre e luci soffuse.
Di angoli nascosti, irraggiungibili.
Sembrava che gli stessero chiedendo qualcosa, che lo volessero strappare alla sua vita, dai suoi pensieri, e portarlo via, con loro. Altrove.
[Se vengo potrò appoggiarmi a te?]
Guardavano dentro di lui, si specchiavano nei suoi, troppo da vicino...
[Tu non mi manderai mai via, vero?]
Ed aspettavano...aspettavano lui.
[Ho avuto paura...]
Erano occhi color dell'ambra.
[...che tu...]
Esattamente come.

Matthias trasalì, scuotendosi dallo strano trance che lo aveva imprigionato come una sottile ragnatela.
Non sapeva spiegarsi perché il suo cuore avesse accelerato a quella velocità folle, e nemmeno la gioia e la paura che si contendevano il dominio su di lui. Fece di scatto un passo indietro e chiuse la porta sbattendola. Rimase a fissarla per quasi un minuto prima di decidersi a muoversi, andandosene in camera e abbattendosi sul letto senza nemmeno cambiarsi, addormentandosi nel giro di pochi secondi.

Rientrato a casa, Keith lanciò con noncuranza gli occhiali sul tavolino dell'ingresso. Non che fossero una necessità, la sua vista era perfetta sotto tutti i punti di vista, e non erano nemmeno un vezzo abituale, perché li indossava solo da un paio di mesi. Mascheravano piuttosto bene il colore strano dei suoi occhi, e la reazione di Matthias quando li aveva visti 'nudi' era stata piuttosto forte.
Che avesse aperto una breccia?
Chiuse gli occhiali in un cassetto; da quel giorno non li avrebbe più portati.




"Sono in ritardo, sono in ritardo, ma porca..."
Si precipitò giù dalle scale, evitando per un soffio di travolgere la vecchietta del piano di sotto, che gli gridò dietro del delinquente, e contemporaneamente cercando di sbloccare la lampo del giubbotto che si era incastrata.
Quella mattina toccava a lui aprire il negozio. che avrebbe dovuto farlo già da dieci minuti!
Mai dormito come un sasso a quel modo. con un certo sollievo, in ogni caso;  ultimamente le sue notti erano piuttosto agitate, le ore di sonno lo lasciavano stanco tanto quanto lo era quando andava a letto.
Invece quella mattina si sentiva riposatissimo e tutto sommato, nonostante il ritardo e il salto della colazione, la giornata iniziava bene.
"Matthias, ehi!!"
Per strada, una moto, rallentando e accostandosi al marciapiede, lo aveva affiancato. Era inforcata da Andrew.
"Sei in ritardo?"
"No, corro perché mi alleno per i cento metri piani."
"Oh. allora immagino tu non voglia un passaggio. See ya."
Diede una leggerissima accelerata.
"E fammi salire, accidenti!"
"Allora, quando la pianti con quel lavoro?"
Matthias alzò gli occhi al cielo.
"Non cominciare anche tu, per favore! Ma perché prima o poi saltate tutti fuori con questo discorso?"
"Dico solo che cazzeggiare per un po' va bene, ma ora dovresti riprendere gli studi. Insomma.eri così in gamba, non puoi lasciar perdere tutto." 
Andrew, parlando, voltò la testa verso di lui 
"Guarda la strada!!! Andrew, la bicicletta!!!! "
"Baah."
Con fare annoiato il motociclista sterzò, schivando il ciclista, mentre Matthias con un braccio si teneva aggrappato alla sua vita e con l'altro si era coperto il viso.
Lentamente osò dare un'occhiata per accertarsi dello scampato pericolo.
"Ti giuro che ci ho visti spiaccicati. Andrew ti avviso."
"A proposito, i freni non funzionano tanto bene, quindi vedi di non distrarmi."
"IO distrarre TE?! Ma se... I freni COOOSA?!?!" Chiese stridulo Matthias.
"Stavamo parlando di te, non cambiamo discorso."
"Sono contento del mio lavoro. Ed in ogni caso devo farlo per forza se  voglio mantenermi. Poi, studiare, nella classica accezione termine, non mi è mai piaciuto."
"Che? Ma se avevi voti alti in ogni materia. C'era Russel che ti detestava, ogni volta che prendevi un giudizio migliore del suo ti guardava con un tale odio... Era uno spasso quel tipo."
"L'avere voti alti non significava che studiare mi piacesse. Di fatti non lo facevo mai, davo solo un'occhiata agli appunti. E poi la cultura per me è un'altra cosa...non ti servono mica tanti titoli, per possederla. Io preferisco autogestirmela."
"Però..."
"Guarda che sono arrivato."
Lo avvisò Matthias bussandogli sul casco.
Con una frenata piuttosto difficoltosa, la moto fermò davanti al "Maxwell's Bookshop".
Salutando velocemente, Matthias scese dalla moto e cominciò ad armeggiare con la serranda del negozio. Andrew lo guardò e scosse la testa, ripartendo con un'accelerata.
"Non gli piace studiare e lavora in una libreria. Che razza di elemento."



"NEL RETRO CI SONO DEGLI SCATOLONI CON GLI ULTIMI ARRIVI. COMINCIA A CATALOGARLI E A METTERLI A POSTO. CI SI VEDE NEL POMERIGGIO."

Staccò il post it dallo schermo del computer e lo accartocciò.
Dopo aver messo un po' di musica decise di dare subito un'occhiata a quanto c'era da fare, e poi era anche curioso di vedere quali erano le ultime novità.
Aprì il primo pacco, cominciando a tirare fuori i tomi, disponendoli in una pila ordinata di fianco a sé.
"E questo?...chi lo avrà ordinato? 'Navigatio Brendani'. Certo che non vendo tutti i giorni titoli simili."
Commentò osservando il volume, scorrendo in fretta le pagine in latino.
Sulla copertina era raffigurata una pagina di quella che doveva essere probabilmente un'antica edizione del libro, a giudicare dallo stile delle lettere e dalle miniature. eleganti, perfette nella forma, nel colore.
La sua attenzione venne completamente assorbita da quelle decorazioni meticolose, dalle  parole scrupolosamente tracciate a mano. la carta ruvida della sovraccopertina richiamava persino l'idea tattile della pergamena.
Dejà vu...
Si rese conto solo troppo tardi di stare scivolando nel torpore, in un sogno ad occhi aperti.
In un ricordo...


#####Usciva dal giardino stringendo al petto mazzi di profumatissima verbena, che avrebbe riposto, una volta essiccata, nei bauli e nelle casse panche insieme agli abiti.
"Io continuo a sostenere che Abelard ha usato termini esagerati.."
"Non se consideri che parla d'amore non d'amicizia."
"Edgard!! Insomma! Ciò che dici è sacrilego!"
"Guarda che sei tu il cristiano, conosci la Bibbia molto meglio di me, li hai letti i libri di Samuele o no? "
Matthias si fermò ad ascoltare. Aveva riconosciuto la voce di Edgard, ma non quella del suo interlocutore.
"Amore inteso come...amicizia profonda, come fraternità! Certo non amore carnale! Come puoi tu aver frainteso, piuttosto? "
"Fraternità!? Richard, tu vuoi farmi esasperare...devo recitarti tutto parola per parola, confrontando la poesia con i salmi?"
In quel momento, svoltando l'angolo del vialetto, Matthias si trovò davanti i due uomini. Il compagno di Edgard era un signore apparentemente vicino ai quarant'anni, vestito elegantemente, in colori scuri. Portava una barba leggera ed aveva un accento nel parlare che lui non riusciva ad identificare.
Salutò i due, scostandosi per farli passare, ma con sua sorpresa Edgard si fermò, bloccando l'altro prendendolo per un braccio.
"Lui è Ewan, Richard. Vogliamo sentire che ne pensa?"
Il giovane guardò il padrone con occhi interrogativi, non badando invece all'esame attento a cui lo stava sottoponendo l'uomo biondo.
"Di cosa, signore?"
"Stavamo disquisendo di un'opera che conosci anche tu; esprimi pure la tua opinione senza remore... - guardò Richard - E dopo che lo avrà fatto chiuderemo il discorso, perché immagino che in ogni caso nessuno di noi due farà cambiare idea all'altro, vero?"
"Probabilmente."
Replicò lo straniero, interessato.
"Di che. stavate parlando?"
"Ah - Edgard si fece serissimo - l'hai letto anche tu, tra i miei libri.ricordi il 'Lamento di Davide per Gionata'?"
Non dovette pensarci nemmeno un istante; certo che lo ricordava, così bello e così triste.
"I due amanti?"
Chiese, del tutto candidamente.
Edgard si batté un pugno sul palmo della mano con un'esclamazione soddisfatta, Richard ciondolò la testa esasperato, massaggiandosi una tempia.
"Edgard, cosa stai insegnando a questo ragazzo?"
Domandò, con aria drammatica.
"Guarda che qui non c'era nulla da insegnare, ha tratto da solo le sue conclusioni; sei tu che--"
"A-a-ah-!! Fermo, avevi detto che avremmo chiuso il discorso, mi arrendo alla maggioranza."
Edgard batté un paio di leggeri colpetti sulla spalla di Ewan.
"Era tutto qui.grazie per aver funto da voce dell'innocenza..."
Richard incrociò le braccia alzando gli occhi al cielo, capendo perfettamente che la discussione era tutt'altro che finita.
Venne accomiatato, ma mentre si allontanava, sentì ancora, vagamente, le voci dei due..
"Era l'Ewan di cui abbiamo parlato?"
"Esattamente."
"...interessante. Davvero."


Quella sera stessa Edgard leggeva, mentre Ewan accendeva altri ceri per rischiarare la stanza, ormai avvolta dall'imbrunire.
Il nobile lo osservò di sottecchi per un po', poi chiuse il volume. 
"Ewan, ti devo parlare. Vieni qui."
Lui obbedì, sedendo al suo solito posto, con espressione attenta.
"L'uomo con cui mi hai visto oggi si chiama Richard Renart... un mio amico da molti anni. E' qui solo di passaggio, ha fatto una tappa per salutarmi prima di tornare in Normandia."
Ewan annuì.
"Qualche tempo fa gli avevo inviato alcune pergamene.brani del 'Beowulf'. Li avevi copiati tu. Richard ne è rimasto molto colpito...favorevolmente."
"Oh, mi ricordo! - esclamò l'altro, illuminandosi, felice per il complimento - Però non erano poi così buone.insomma. c'erano un sacco di imperfezioni. Ancora non riesco a tracciare come vorrei."
"Non ti sminuire, Ewan; erano ottime, e continui a fare dei progressi. E considerato che sei un'autodidatta, il risultato è ancora più apprezzabile."
"Ma non sono un autodidatta! Voi mi avete insegnato!"
Protestò il ragazzo.
"No, io ti ho insegnato solo a leggere e a scrivere, il resto lo hai fatto tu. Non sarei capace di realizzare una miniatura o un semplice disegno nemmeno se ne andasse della mia vita;  invece tu hai imparato da solo a farne, e hai molto talento, manchi solo d'esperienza."
Ewan si sentiva pronto ad arrossire, imbarazzato e senza sapere come rispondere.
Ma Edgard non si aspettava alcuna risposta, andò invece avanti nel suo discorso.
"A me i tuoi lavori paiono belli, ma sono un profano. però la pensa così anche Richard, che è un amanuense ed un miniaturista dei migliori. Nel suo paese è molto conosciuto, quindi del suo giudizio ti puoi fidare. E di questo io e lui abbiamo parlato oggi."
Edgard fissò per qualche istante il fuoco e poi parlò ancora, dominando a stento il proprio entusiasmo.
"Concordiamo entrambi sul fatto che il tuo talento qui è sprecato: non c'è nessuno che possa aiutarti a sviluppare le tue doti, mentre se avessi un buon maestro accanto potresti diventare veramente, dico veramente, uno dei migliori in questo campo. E Richard sarebbe un ottimo maestro; tra qualche giorno tornerà in Normandia e tu potrai andare con lui.ha già alcuni allievi, laggiù, e vorrebbe anche te. Per me ovviamente va bene. Non è una grande opportunità? Se lui ti insegnerà, in poco tempo..."
Tutto l'entusiasmo e la gioia per le lodi ricevute evaporarono all'istante dall'animo di Ewan, lasciando il posto ad una stringente sensazione di panico ed incredulità.
Che stava dicendo Edgard?
Normandia?
La Normandia era al di là del mare.
Lo stava mandando via, così lontano?
Lo stava davvero mandando via, sorridendo, raccontandogli quante cose avrebbe imparato.
Perché sorrideva? Non c'era nulla di cui sorridere.
"Ma..."
Esalò con voce flebile, e non riuscendo a trovare altre parole guardò semplicemente il suo signore con occhi supplici. 
"So  che non potresti lasciare queste terre, essendovi legato da servaggio, ma ho pensato anche a questo: ho già pronto il documento con cui ti sciolgo da ogni vincolo, rendendoti uomo libero. Certo ci vuole il consenso di mio padre, ma non avrà nulla in contrario. Questa è la tua fortuna, Ewan!"
Il ragazzo evitò lo sguardo del padrone.
"La mia fortuna."
Ripeté lentamente.
Non poteva sostenere ancora l'atmosfera di quella stanza.l'aria gli sembrava greve, non gli riempiva i polmoni, ma gli bruciava la gola e gli occhi.
La sua fortuna.
Si alzò di scatto, e andò meccanicamente al tavolo alle spalle di Edgard, cercando qualcosa da dire, qualsiasi cosa.
"Il...il vino è finito. Scendo a prenderne dell'altro."
Dichiarò, parlando troppo in fretta. Uscì dalla stanza di corsa, lasciando la porta aperta, sotto lo sguardo confuso di Edgard.
Il nobile si alzò,  e richiuse la porta.
Il vino finito? Ma se solo il giorno prima ne aveva fatto portare di nuovo.
Controllò la caraffa sul tavolo; era piena per tre quarti, infatti.

Passò più di un'ora prima che decidesse di essersi calmato abbastanza per poter tornare di sopra.
A dir la verità non si era calmato per niente, però cosa poteva fare? Stare nascosto, rincantucciato in un angolo dei sotterranei per tre giorni?
Ad aspettare che cosa?
A quanto pare Edgard aveva già deciso, sicuramente lo aveva fatto per il suo bene e lui non poteva deluderlo. Doveva fare del suo meglio per dimostrargli la sua gratitudine, e diventare un bravo scrivano.
Ma partire, andare così lontano.
Lui non aveva mai lasciato le terre del ducato, nemmeno per un giorno.
Quanto tempo occorreva per percorrere tutta quella strada, per attraversare il mare?
Quando avrebbe potuto rivedere il suo padrone?
No.se davvero gli avesse dato la libertà, Edgard non lo sarebbe più stato; lui non sarebbe più appartenuto a nessuno. Sarebbe stato libero.
Libero.
Solo.

Entrò silenziosamente nella camera. il fuoco era acceso, e un lume ad olio rischiarava ulteriormente il buio. Edgard era a letto giaceva sulla schiena, le lenzuola gli arrivavano fino alla vita e il petto nudo si alzava ed
abbassava regolarmente; era lì, quieto, con un braccio piegato sopra gli occhi.
Di solito non andava a dormire così presto, ma rimaneva sveglio fino ad ora tarda.
Beh, forse era meglio così. Forse avrebbe dovuto mettersi a dormire pure lui.
Andò al proprio letto e cominciò a slacciarsi i vestiti, lentamente.
Da tanti anni dormiva in quella stanza; già dal primo giorno il padrone gli aveva procurato un giaciglio, e lo aveva fatto piazzare di fronte al proprio, a pochi passi di distanza, contro la parete.
Fino a poco tempo prima il diciassettenne Edgard divideva la camera con il gemello, ma Thomas aveva preso moglie e si era trasferito in altre stanze con la consorte. Ora quei coniugi avevano tre figli, due maschi ed una femmina.
Una volta che Edgard si fosse sposato, quella sarebbe diventata la sua camera nuziale.
E a giudicare anche dalle pressioni del padre, quel giorno non doveva essere molto lontano.
Trattenne un sospiro sconsolato.
"Ewan?"
Alzò gli occhi, colto di sorpresa; Edgard era seduto sul letto, e lo stava guardando.
Non c'era molta luce, ma da quel che poteva vedere, non aveva certo l'aria di una persona appena sveglia.probabilmente poco prima non stava affatto dormendo, allora.
"Avete bisogno di qualcosa?"
Chiese, lasciando perdere i lacci della tunica.
"Dovevano ancora raccoglierla, l'uva per fare il vino? Non eri andato a prenderlo...un'ora fa?"
Chiese con tono leggero il nobile.
Ewan si sentì colto in fallo; aveva del tutto dimenticato la piccola scusa. o bugia.che aveva inventato per lasciare la camera, ed era stato così sciocco da non tornare nemmeno con una brocca di vino.
Non sapeva proprio che giustificazione inventare; perché quando il signore lo guardava in quel modo lo privava della voce, di ogni pensiero?
Il silenzio si prolungò, ed alla fine fu di nuovo il nobile a parlare, coricandosi nuovamente.
"Domani avremo molto da fare; vai a dormire, Ewan."

Aprì gli occhi per primo, prestissimo; era troppo agitato per dormire, ed il suo breve sonno  non era stato per nulla tranquillo. Rimase per ore a fissare il soffitto, prima di decidere ad alzarsi.
Indossò velocemente calzoni e camicia e aprì lo scuro della finestra: oltre la griglia di giunchi il cielo era azzurro e sereno, l'aria del mattino limpida e pulita.
Che giornata splendida.
E che giorno orribile.

Riuscì a resistere tutta la mattina, ascoltando quanto Edgard gli raccontava sulla Normandia, dove lui era già stato, una volta, dieci anni prima.
Aveva anche posto domande pertinenti sulla durata del viaggio, sulle città che aveva visitato.
Ma poi.
"Prima della partenza ti farò realizzare degli abiti nuovi...sarà meglio mettere subito al lavoro i sarti, visto che non manca molto."
"Ma quelli che ho sono ancora buoni. Non ho bisogno d'altri. Davvero."
Disse con voce bassa.
Era difficile ora.
"Non accetto rifiuti, Ewan. Guarda che per il momento sei ancora al mio servizio, devi obbedire."
.Così difficile trattenerle, lo stava facendo dal giorno prima...
"Va bene."
" Naturalmente sarà Richard a pensare al tuo sostentamento, laggiù, fino a quando sarà necessario; ma ti darò una lauta buonuscita...così non potrai dire in giro che il tuo ex-padrone era un avaro."
...e  adesso non ci riusciva più. E allora le lasciò andare, lasciò che scorressero, tutte le sue lacrime, tutte insieme.

Edgard spalancò sia gli occhi che la bocca; non si aspettava una reazione del genere. Non riusciva nemmeno a capire bene che cosa l'avesse scatenata; aveva usato un tono palesemente scherzoso.
Invece le spalle di Ewan erano scosse da singhiozzi violenti, e il suo viso era arrossato, le labbra gli tremavano.
Non lo aveva mai visto piangere, e la cosa lo turbava, lo disorientava. Non sapeva proprio come affrontare una situazione simile.
"Ewan?"
Lo chiamò, sfiorandogli una spalla. Il ragazzo teneva ostinatamente il viso basso, ombreggiato da una folta massa di capelli biondi, e non gli rispose.
Con una mano, delicatamente, gli sollevò il mento, per guardarlo in faccia; il servitore non gli oppose alcuna resistenza.
"Ewan, cosa c'è?"
"Non..non... - parlare era difficile, perché i singulti si mangiavano tutto il suo respiro e gli spezzavano la voce - non mandatemi via! Perché mi volete mandare via? Vi ho forse offeso, mi sono comportato male?"
"Niente di tutto questo...ma cos--"
"Non voglio andare in Normandia.non mi importa di essere libero, non voglio essere uno scrivano! Io sto bene qui, voglio restare qui!.Perché non mi volete più? Padrone, per favore...per favore...non mi cacciate!"
Se Edgard non l'avesse sostenuto, si sarebbe lasciato scivolare a terra, in ginocchio, esausto.
"Non voglio...non voglio essere nulla più di quello che già sono.per favore."
Edgard era frastornato; non aveva nemmeno lontanamente immaginato un turbamento simile; aveva creduto che Ewan fosse felice dell'occasione che gli si offriva, invece ne era atterrito. Anzi, terrorizzato.
Però.pensandoci, non si era mai mostrato entusiasta dell'idea, non aveva espresso alcun parere; era stato anzi piuttosto evasivo.
Di più, era letteralmente scappato quando gliene aveva parlato. E lui, stupidamente, non si era nemmeno accorto di quanto fosse spaventato.
Bell'esempio di sensibilità.
"Ewan.non ti voglio cacciare. Niente affatto. Credevo che saresti stato felice di questa idea."
Scosse la testa, tirando su con il naso.
"Non voglio andare via...fatemi restare con voi."
Ripeté ancora, asciugandosi il viso. Edgard sospirò, un po' preoccupato.
Certe volte aveva l'impressione.l'impressione che Ewan fosse troppo fragile, troppo emotivo. A volte gli sembrava ancora tale e quale a quel bambino raccolto anni prima.
"Va bene, certo che puoi rimanere, ma ora basta. Avanti, hai già gli occhi tanto gonfi da far paura. Ehi.- gli batté qualche colpo leggero sulla spalla - non è il caso di fare così."
"L-la smetto."
Disse. Ma non lo fece.anche se un po' si calmò; adesso che gli era stato levato quel peso dal petto si sentiva molto più leggero.
"Perché non me lo hai detto subito? Avremmo evitato questa scena  tanto disperata."
"Ecco io...temevo di recarvi offesa, rifiutando un'offerta tanto generosa."
Non era tutta la verità.ma andava bene lo stesso.
"Offesa? Questo non può offendermi;  è quasi una lusinga il fatto che tu preferisca rimanere qui piuttosto che avere la libertà. Egoisticamente direi anzi che sono sollevato dal fatto che tu voglia così."
"Davvero?"
Chiese Ewan, asciugandosi il viso con una manica.
"Credo che mi saresti mancato, sai? Beh,ora vado a recuperare Richard e a dirgli che ha perso un pupillo ancora prima di acquistarlo. Ah, mi pare già di sentirlo."
Senza aggiungere altro Edgard uscì dalla camera.
Ewan guardò ancora dalla finestra.
Sì, era giorno bellissimo, e lui aveva un sacco di cose da fare.#####


Era finito?
Era di nuovo se stesso, nel retro del negozio?
Lasciò cadere il libro come se scottasse. Questa volta era stato tutto ancora più nitido, più forte.
Ma quanto tempo era passato? Diede un'occhiata all'orologio.
Solo pochi minuti. in un tempo così breve lui aveva vissuto un'intera giornata.
Ciò che lo spaventava di più, però, era l'aspetto di quel giovane.tanto somigliante a Keith. Possibile che quel ragazzo, in così poco tempo, lo avesse influenzato fino a tal punto?
Però.lo aveva già sognato prima di incontrarlo, e.nella stessa ambientazione.
Non sembravano nemmeno sogni; nei sogni c'è sempre un alone di irrealtà, ci sono contraddizioni, stranezze. Ma quelle visioni erano troppo. reali. Troppo tangibili; precise, credibili, per nulla confuse.
[Se riuscissi solo a pensarci con calma.invece mi sembra di stare impazzendo. Forse sto esagerando le cose ma.ma questa non è certo un'esperienza normale.]
Squillò il campanello, annunciando che dei clienti erano entrati, e per il momento abbandonò le proprie riflessioni.



Keith rientrò all'ora di cena, un po' più tardi del previsto; era un bel po' di tempo che non gli capitava di fare tante ore di straordinario; quando lui se ne era andato, il suo capo, un uomo di cinquant'anni, due lauree e tre infarti, era rimasto ancora, a ricontrollare dall'inizio, per la terza volta, un lavoro perfetto.
Non si poteva negare che quell'uomo fosse letteralmente uno stacanovista, affetto anche da una lieve mania di onnipotenza.
"'sera, Edg."
"Ciao."
Rispose al corale saluto di Rain e Jael, che stavano seduti in mezzo alla sala, circondati da libri sparpagliati sul pavimento,  e andò direttamente in cucina, per scaldarsi la cena nel microonde. Avere quei due che bene o male gli gironzolavano per casa quasi ogni giorno era un'abitudine. sin da bambino, quando talvolta si lamentava con la madre che "Rain gli aveva fatto venire il mal di testa".
I genitori pensavano si riferisse ad un amico immaginario.
Già, come no.
"Ehi."
Jael era entrato e si era seduto sul tavolo.
"Novità?"
"Questa mattina siamo passati dove lavora Matthias. Lo teniamo d'occhio con maggiore attenzione perché comincia a capire che i suoi non sono sogni ma memorie."
"Ha ricordato qualcos'altro?"
"Ma lo sai che questi cibi preconfezionati fanno male? Fai un favore al tuo fegato e smetti di mangiarne; vorrai mica morire prematuramente un'altra volta?"
Rain, sbucato dal nulla, guardava con espressione schifata il pasto che ruotava sul piatto del forno. Sicuramente, se lui avesse avuto bisogno di mangiare, non avrebbe mai assaggiato porcherie simili.
"Stavamo cercando di parlare di cose serie."
Rimbeccò il suo collega.
"Anche questo è serio, lo dico per il suo bene.. Con tutti i problemi che può dare una cattiva alimentazione. In ogni caso, Matthias lavora in un negozio carino, una libreria, e abbiamo anche fatto un po' di spese."
"Pagando?"
Chiese scettico Keith, conoscendo le abitudini dei due.
"Certo! Siamo entrati come clienti e abbiamo fatto acquisti per la tua biblioteca."
"Tornando a noi - disse Jael, a voce un po' più alta del normale, per attirare l'attenzione - sì, ha ricordato ancora qualcosa, di una volta che tu avevi intenzione di mandarlo in Normandia."
"Oh. già. Poi dovetti andare da Richard ed annullare tutto ciò che già era stato pianificato, raccontargli che Ewan non voleva partire e che io non avevo alcuna intenzione di costringerlo. Buffo, mi sovviene solo adesso una cosa a cui non avevo mai più pensato; dopo che gli ebbi spiegato come stavano le cose, lui mi guardò molto seriamente, non fece commenti ma mi disse solo di fare attenzione. Allora non capii assolutamente a cosa si riferisse, ma ora credo di sì. Era un po' rigido, Richard, ma un brav'uomo."
"Vi aveva già capiti prima che vi capiste voi."
Disse Jael, prima di scomparire. Keith rimase solo con Rain.
"Matthias non solo ha capito che ciò che vede è qualcosa di più serio che non dei sogni; - raccontò il guardiano - lui ti ha anche riconosciuto."
"Cosa?"
Per qualche secondo la mente di Keith fu assalita dal panico: se lo aveva riconosciuto, perché non era ancora andato da lui? Forse allora veramente non desiderava quella riunione?
"Beh.volendo essere più precisi, ha sovrapposto il viso di Edgard a quello di Keith e ha visto che sono pressappoco identici, cosa che lo ha lasciato molto pensieroso. I suo ricordi stanno come trapelando goccia a goccia, lentamente. Potresti anche andare a trovarlo in negozio, uno di questi giorni; sai, se tu ora riuscissi ad acquistare con lui maggiore familiarità, ci vorrebbe poco per infrangere barriera che separa il passato dal presente. "
"...Perché ho paura momento in cui ciò accadrà, Rain?"
"Perché è normale averne. Sarebbe anomalo il contrario."
"Tu sei veramente un tipo strano, sai?"
"Sì, ogni tanto me lo dicono."
Jael ricomparve, e con lui quello che aveva l'aria di essere il buffet di un ristorante di lusso.
"Questo perché il collega qui la smetta di preoccuparsi del tuo fegato. Effettivamente ha ragione, nutrirsi solo di surgelati e zuppe in scatola è poco salutare. Rain, andiamo, il Consiglio vuole vederci. Bye, Edg."
  "Ehi, un momento!"
Troppo tardi, già scomparsi tutti e due.
"Almeno dopo restituite l'argenteria al legittimo proprietario."
Disse Keith rivolto al vuoto, guardando il carrello straripante di portate al di fuori delle sue tasche.
Acquisire maggiore familiarità con Matthias...
Rain aveva ragione.


-------------Fine 2° parte------------

Note:

1) Il viaggio di Mathias in moto con Andrew si rifà ad una mia personale esperienza, anche se avvenuta in macchina e non in moto:
"Marco, perchè la spia dei freni rimane sempre accesa?"
"Ah, niente...non funzionano."
"O_o;;;;"
"Se è per questo pure il volante si blocca, ieri quasi mi schiantavo."
"o_O;;;;;;"
(non è una balla, gente, lo giuro!)


2)Il lamento di Davide per Gionata di Peter Abelard, la poesia di cui discutono Edgard e Richard...ho tentato di tradurla dall'inglese, ma si perdeva la metrica, la musicalità, le rime... sicchè la copio qui sotto in
lingua originale, che si capisce lo stesso. (spero!)

David's Lament for Jonathan - P. Abelard (1079 - 1142)

Low in thy grave with thee
Happy to lie,
Since there's no greater thing left Love to do;
And to live after thee
Is but to die,
For with but half a soul what can Life do?

So share thy victory,
Or else thy grave,
Either to rescue thee, or with thee lie;
Ending that life for thee,
That thou didst save,
So Death that sundereth might bring more nigh.

Peace, O my stricken lute!
Thy strings are sleeping.
Would that my heart could still
Its bitter weeping!



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