NOTE: le parti racchiuse
tra i cancelletti ## denotano flashback, parti della storia ambientate nel
passato. In origine avevo usato un carattere diverso per evidenziare la
cosa, ma in formato solo testo non è possibile (o sbaglio?)
Le parentesi quadre (che si svolgono dopo le tonde, tanto per far felice
il mio ex prof di mateca) indicano invece pensieri, più o meno consci,
dei protagonisti.
In un paese
d'estate
di Unmei
parte I
DLIIIIIIN DLOOOOOON
......
...
DLIIIIIIIIIIIN DLOOOOOOOON
...
..."Arrivo, arrivo!"
Sarah aprì la porta, trovando dall'altra parte suo fratello Matthias,
completamente fradicio d'acqua, i boccoli castano chiaro appiccicati alla
testa.
"Bravo, bravo, continua a dimenticare le chiavi."
Lui si sfilò le scarpe sul pianerottolo ed entrò in casa sgocciolando
sul
parquet.
"Vado subito a farmi una doccia, sono troppo giovane per morire di
polmonite."
"Prima devo dirti--"
"Me lo dici dopo! Sto morendo di freddo!"
Ormai erano sull'orlo della primavera, ma quell'inverno gelido ancora non
voleva demordere; tutto un giorno di pioggia ghiacciata e battente, quei
tre
minuti da percorrere a piedi che c'erano dalla fermata del bus a casa sua
erano stati sufficienti per inzupparsi fino alle ossa.
Accolse con gratitudine il getto d'acqua calda che gli sciolse i muscoli,
e
si crogiolò nel tepore con aria beata. Passare ore sotto la doccia poteva
anche essere uno spreco energetico, ma era troppo bello. troppo piacevole.
'Vediamo. docciaschiuma al cioccolato, sapone alla fragola, shampo alla
vaniglia. bleeh, è terribile! Sembra che sia esplosa una pasticceria! Ma
perché ogni volta che va Sarah a fare la spesa torna con questo genere di
cose?'
Si diresse in cucina, avvolto nel suo accappatoio candido, strofinandosi i
capelli con un asciugamano; erano da poco passate le cinque e Sarah
preparava il tè, canticchiando sulle note di "Bridge over trouble
water",
trasmessa alla radio, steccando terribilmente su ogni nota alta.
"Poveri Simon & Garfunkel. Se fossero morti si rivolterebbero
nella tomba."
Commentò Matthias, sedendosi al tavolo. Lei gli mise davanti una tazza di
tè
allo zenzero e un piccolo vassoio di biscotti all'arancia, e gli si
sedette
di fronte, con un sorrisetto acido, ma non rispose.
"Ho dovuto usare i tuoi mefitici prodotti 'prodotti schiumogeni' ed
ora
lascio una scia di profumo da fare invidia ad una battona."
"Uhm.sai come si dice.impara l'arte. potrebbe tornarti utile un
giorno."
C'era qualcosa di diverso nel modo in cui Sarah ribatteva ai suoi
punzecchiamenti. sembrava un po' distratta.un po' distante.
"Ah, già. prima non dovevi dirmi qualcosa?"
"Già. appunto. Matthias.fra tre giorni parto."
Lui sbatté gli occhi.
"Dove vai?"
A lei crollarono le spalle.
"Lo sai da sei mesi! Quel lavoro in Francia!"
"Che cosa? Ma non doveva essere da settembre?"
"Sì, ma oggi mi hanno telefonato, annunciandomi che, se ero
interessata, c'era la disponibilità di inserirmi già ora nello staff. Ovviamente ho
accettato."
"Sì, certo, hai fatto bene."
Matthias si rigirò pensierosamente la tazza fra le mani. Aveva sempre
proclamato di stare contando i giorni che lo separavano dall'avere l'appartamento tutto per sé, ed ora, improvvisamente, l'idea lo metteva in
apprensione. Forse perché non si aspettava che sarebbe accaduto così in
fretta.
"Per te va bene, Matt? Sei sicuro?"
"Certo che sì - si sbloccò - non sono mica un ragazzino!"
"Non dovresti avere problemi di denaro. L'alloggio è di proprietà.
ci sono
anche i soldi che ci hanno lasciato mamma e papà.poi c'è il tuo lavoro,
non
prenderai una gran cifra, ma se non ti dai alla bella vita dovrebbero più
che bastarti. E di sicuro a farti la spesa ci penserà la nonna, che come
suo
solito non vorrà essere rimborsata."
"So badare a me stesso! È solo che.che mi hai colto alla sprovvista,
ecco."
"Uhm. un maschio di diciannove anni non è in grado di badare a se
stesso!
Non sei neanche capace di stirarti una camicia!"
"Neanche tu lo sei!"
"Comincio a prepararmi le valigie!"
Sarah trotterellò fuori dalla stanza ignorando la constatazione, poi tornò
indietro, affacciandosi dallo stipite:
"Ehi, perché non mi accompagni? Puoi chiedere qualche giorno al tuo
capo."
"Uhm.sarebbe bello. ci proverò."
"Vai grand'uomo, fatti valere!"
Esclamò Sarah, andando verso la sua camera.
Matthias finì il suo tè, lasciandone un po' giusto per evitare di bere
anche
le foglioline sfuggite al filtro della teiera.
Si sentiva... strano.
La casa sarebbe stata così silenziosa.
Aveva paura di sentirsi solo, non ci era abituato, ecco tutto. Sarah era
sempre sicura di sé e convinta di ciò che faceva. si buttava in
qualsiasi
avventura apparentemente senza alcun timore. E aveva solo tre anni più di
lui, non decenni d'esperienza.
A lui, l'idea di partire per un paese straniero di cui conosceva poco la
lingua, cominciare un lavoro nuovo, in mezzo a persone sconosciute e più
competenti avrebbe messo una terribile agitazione; avrebbe camminato su e
giù per la casa, intrattabile e nervosissimo. Sua sorella invece
canticchiava tranquilla preparando i bagagli.
Ma non era forse sempre stato così? Il padre gli aveva sempre
rimproverato
la sua immotivata insicurezza, sin da quando era bambino; era un aspetto
del
suo carattere che era diventato abbastanza bravo a mascherare con i suoi
amici, ma in famiglia era stato davvero impossibile. E poi aveva l'impressione, da qualche tempo, ormai, che gli mancasse qualcosa. Non
sapeva
esattamente che potesse essere, ma ogni giorno che passava gli dava l'idea
di un'occasione persa, di uno spreco irrecuperabile. Quasi come se tra lui
e
la sua vita, la sua vita vera, quella che gli spettava di diritto, ci
fosse
uno spesso muro di vetro; così vicina, così irraggiungibile. Come se il
tempo gli stesse sfuggendo tra le mani, inesorabilmente.ed era troppo
giovane per provare quel tipo di sentimento.
"Mah, ci sarà qualcosa di sbagliato in me." Considerò, lavando
la
tazza."...e poi devo smetterla di avere paura del mondo!"
###Le fiamme nel camino erano altissime, vivaci; a lui piaceva guardarle,
ed
osservare le ombre danzanti che disegnavano sui muri e gli oggetti;
ascoltare il crepitio del fuoco, respirarne il profumo. Si poteva dire che
il fuoco avesse un profumo? A lui pareva di sentirlo, ed era buono,
confortante. In quella stanza si sentiva completamente in pace, gli
sembrava
il posto più sicuro del mondo. No, in realtà gli sembrava che il mondo
fosse
tutto lì, tranquillo e perfetto.
"Buonasera, Ewan. Sognavi?"
Il ragazzo trasalì leggermente e, rivolto lo sguardo verso l'alto, vide
Sir
Edgard al suo fianco, che si slacciava il fermaglio dorato del mantello,
sulla spalla destra. Balzò in piedi, imbarazzato; i passi del suo padrone
erano sempre leggeri, e sulla paglia intrecciata che copriva il pavimento
erano stati assolutamente silenziosi.
"Perdonatemi! Non vi avevo sentito! Ero distratto e..."
"Non c'è nessun problema. Non avevo certo intenzione di
rimproverarti per
una cosa simile."
Edgard stava sorridendo, e il ragazzo si sentì immediatamente più
sicuro.
Quel giovane duca, alto ed elegante, in tanti anni, quasi otto, non aveva
mai usato una parola dura contro di lui, né aveva mai alzato la voce. Era
sempre stato gentile, generoso, sin dal primo giorno. Ewan prese dalle sue
mani il mantello e lo piegò con cura, poggiandolo su una cassapanca.
"E' stata una battuta ricca?"
Edgard avvicinò la propria sedia al fuoco e si rilassò contro l'alto
schienale. La luce delle fiamme giocava sui suoi capelli corvini e sul suo
viso.
"Sì, ma mi sono annoiato. La caccia non mi diverte particolarmente,
preferisco i tornei."
Ewan, come ogni sera, gli servì una coppa di vino speziato, e dalle
labbra,
involontariamente, gli sfuggì una frase che tante volte avrebbe voluto
pronunciare, ma senza mai trovarne il coraggio.
"Non mi piace che partecipiate ai tornei."
Resosi conto delle proprie parole, si portò una mano alla bocca, quasi
sconvolto dal proprio ardire; sebbene il suo padrone fosse molto
permissivo
verso di lui, capì di essersi preso una libertà troppo grande.
Edgard alzò un sopracciglio, e fermò la coppa a poca distanza dalle
labbra.
"Perché?"
Ewan si torse le dita, e sedette sulla balla di fieno di fronte al sedile
del duca. Accarezzò nervosamente la stoffa pesante di cui era coperta,
seguendo con la punta delle dita i fiori ricamativi sopra.
"Sono. pericolosi. Mi sembrano solo grandi zuffe confuse. - tacque
per qualche secondo, ma Edgard non diede segno di essersela presa per le sue
parole - centinaia di persone, che si combattono senza una ragione! È
terribile!"
" Si combatte per provare il proprio valore, la propria abilità,
ecco la
ragione. Ogni gruppo deve essere ben organizzato, ogni cavaliere deve dare
il meglio di se stesso, come se si trattasse di una vera battaglia. Spesso
i
combattenti vengono da molto lontano, viaggiano a lungo per parteciparvi,
rischiando il loro onore, i loro possedimenti, il loro futuro, anche la
loro
nobiltà. capisci cosa intendo? - il suo volto era acceso d'ardore, come
sempre, quando parlava di quelle sfide cavalleresche - Di giorno si
combatte, e la sera si danza e si banchetta. Ci sono artisti e giocolieri,
mercanti, musici, poeti! I tornei sono feste, non zuffe."
"Ma in una festa non ci sono feriti! Né tantomeno dei morti! Invece
in ogni
torneo essi abbondano! Non sono finte battaglie, non sono solo esercizi di
guerra se le armi che vengono usate sono affilate e letali, se il sangue
che
inzuppa il terreno è autentico!"
L'impeto che aveva messo in quelle parole era del tutto insolito in lui,
di
solito così timido e remissivo.
Ewan ricordava il figlio minore del conte di Durham, un giovane bello e dai
capelli rossi, trafitto da una lancia nel cuore in una di quelle 'feste'.
E
come lui, tanti altri. Morti dunque per divertimento? Morti con gioia?
Certo
morti inutilmente, e spesso privati anche di una sepoltura cristiana,
perché
la Chiesa disapprovava quello sport crudele.
E il gemello di Edgard, Thomas, in quei giochi di guerra, aveva perso una
falange del mignolo sinistro, ma era stato fortunato, perché la daga era
stata a un soffio dal privarlo dell'intera mano.
Ad Ewan si torceva lo stomaco quando doveva aiutare il padrone a vestire
l'usbergo e il giustacuore; si sentiva disperato nell'assisterlo quando
organizzava l'accampamento, ed era ancora peggio vederlo partecipare a
quei
combattimenti con un impeto e un coraggio che rasentavano l'incoscienza.
Ma di quella sua angoscia Edgard non si era mai accorto.
"Perdonate le mie parole. Non ho il diritto di contestare le
abitudini del
mio signore, ma temo per la sua incolumità. Ho solo... paura di perdere
il
mio
padrone."
Mormorò infine, con lo sguardo basso e le guance soffuse da un leggero
rossore.
Per circa un minuto l'unico rumore udibile fu il crepitare delle fiamme;
poi
il nobile sorrise al suo servo, che aveva ancora gli occhi
inchiodati al
pavimento.
"D'accordo."
Ewan alzò il viso per guardarlo, confuso.
"Avresti potuto parlarmene prima; se disapprovi tanto i tornei, e se
sei
così gentile da preoccuparti per me, vorrà dire che non vi prenderò più
parte."
Il ragazzo più giovane boccheggiò, incredulo, in subbuglio per la
naturalezza insita in quella voce, e quasi certo d'avere capito male,
poiché
nessun padrone avrebbe mai rinunciato ai propri divertimenti per
compiacere
un servo.
"Ma...ma..."
Edgard finì il suo vino, e gli sorrise di nuovo, rassicurante.
"Non vi partecipo certo per i premi in denaro, né perché mi piaccia
combattere. Le guerre purtroppo sono necessità crudeli, soprattutto per i
nobili...ad esse non mi potrei sottrarre; invece ai tornei concorro solo
per
amore della strategia sul campo di battaglia, come gioco d'intelligenza.
Ma
se ti causa tanta sofferenza vedermi impugnare la spada, affinerò le mie
astuzie solo sulla scacchiera. Questo ti rasserena?"
Ewan fece un tremante cenno affermativo con la testa, senza parole,
abbagliato ed incantato dagli occhi color dell'ambra del suo signore,
splendenti tra lunghe ciglia corvine.
Occhi profondi come un lago.
E pieni di luce e calore, esattamente come il fuoco che lui tanto amava.
###
"Biiip bip! Biiip bip! Biiip bip!"
Matthias allungò di malavoglia un braccio fuori dalle coperte, e spense
la
sveglia.
Accidenti, quel sabato non doveva andare a lavorare, ma si era dimenticato
di disattivare l'allarme. Poco male, ci avrebbe messo un minuto a
riaddormentarsi. quello non era certo un problema.
Si voltò su un fianco, abbracciando pigramente il cuscino.
"Edgard."
Mormorò, prima di cedere ancora al sonno.
"Ehi!. Ehi, Matt, sveglia!"
Andrew non stava avendo molto successo a svegliare il suo amico. La famosa
puntualità di Matthias: l'appuntamento è alle dieci, e alle undici meno
venti è ancora a ronfare beato...no, era esagerato dire così. la maggior
parte
delle volte il suo amico era puntuale, ma capitava qualche volta che si
scordasse completamente gli impegni, probabilmente a causa del fatto che
era
spesso con la testa fra le nuvole. Sarah lo aveva fatto salire, ed era
subito uscita affidandogli l'incarico di buttare giù dal letto il
fratello,
un compito che poteva rivelarsi abbastanza divertente, dopotutto.
Usando come pinze l'indice e il pollice gli tappò il naso, aspettando l'ovvia reazione. Matthias si mosse, s'agitò un po', corrugò la fronte,
poi
spalancò gli occhi e aprì la bocca per riprendere fiato. Compiaciuto del
proprio successo, Andrew lo lasciò andare.
"Ma sei un cretino, allora!"
"Oh, preferivi essere svegliato con un bacio?"
Tanto per rendere l'idea, Andrew sporse le labbra schioccando bacini.
"No, avrei scelto piuttosto di dormire in eterno. "
"Bella cosa da dire al tuo migliore amico."
Matthias lo spinse via e si alzò stiracchiandosi, sentendosi. spaesato.
Qualcosa mancava.Qualcuno mancava. Gettò un'occhiata all'orologio gli
scappò
un leggero 'oh!'. Cosa che non sfuggì all'altro.
"Ecco, bravo, 'oh!'. Abbiamo dodicimila cose da fare e lui dorme. Vabbè,sbrigati almeno."
Nella fretta di recuperare un po' del tempo perduto, Matthias accantonò
la
sensazione così intensa provata poco prima, anche se un sottile senso di
disagio continuò a serpeggiargli nell'animo per tutto il giorno.
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'Non ti occorrerà cercarlo, lo troverai lo stesso.'
Ecco ciò che gli avevano promesso Coloro che giocavano con le esistenze
degli uomini come con dei soldatini. Gli avevano assicurato che sarebbe
bastato seguire lo scorrere della vita, ed essa stessa avrebbe pensato a
guidarlo da lui, e che lo avrebbe riconosciuto immediatamente, nello
stesso
momento in cui le loro esistenze si fossero incontrate ancora, per
riprendere la loro storia là dove si era interrotta.
Era la sua seconda possibilità. una vita in attesa, forse inutile; perché
una volta che avesse rincontrato Ewan, e che egli lo avesse riconosciuto.
Nulla lo avrebbe obbligato ad amarlo ancora.
O ad accettare di essere amato da lui.
Il suo volto nello specchio era incredibilmente simile a quello che aveva
quando il suo nome era Edgard, quasi come se si fosse addormentato nel XII
secolo per svegliarsi, una mattina, nel XXI. si chiese se fosse così
anche
per colui che un tempo era un ragazzo biondo, minuto e sensibile. Che
aspetto aveva ora il suo viso? Ed il suo cuore? Chissà se anche Ewan
ricordava, e se sì, fino a che punto.
Lui sin da piccolo aveva avuto memoria della sua vita passata; era già un
adulto, ma nel corpo di un bambino. Non aveva mai potuto essere
spensierato
come i suoi coetanei, vivendo di giochi e di sogni, di amori infantili e
adolescenziali. aveva sempre dovuto convivere e soffrire con tutti i suoi
ricordi di zucchero e di sale, lontani, ma così vividi, . Ricordi.
Il giorno che si incontrarono.lui aveva diciassette anni, ed Ewan... Ewan
era
solo un bambino.
###Edgard era l'orgoglio e la disperazione di suo padre. Orgoglio, perché
quel figlio era intelligente e di mente sveglia, garbato nei modi ed abile
con la spada e nell'arte delle armi in generale. Mancava ancora d'una
certa
esperienza, ma sarebbe diventato un ottimo cavaliere ed un degno erede, un
giorno. sarebbe stato difficile decidere chi, tra lui e Thomas, sarebbe
divenuto il nuovo signore; il gemello, nato solo pochi minuti dopo Edgard,
era egualmente intelligente e capace, ma talvolta troppo impulsivo, caratteristica che poteva diventare scomoda, se non dannosa, in guerra,
come
in politica e negli affari.
Edgard era anche la sua disperazione per via di certe idee troppo anticonvenzionali. Il duca padre temeva quasi che, prima o poi, quel
suo
figlio sarebbe stato scomunicato; disertava le messe e non rispettava i
digiuni, leggeva libri pagani e addirittura si era permesso di criticare
l'utilità delle Sante Crociate, definendole sprechi di vite e denaro in
nome
di un'ideale falso, che la religione non aveva bisogno di reliquie o di
templi, che andava vissuta, se la si voleva vivere, esclusivamente con l'anima, e senza l'intermediazione di preti o papi, che non era il nome del
dio che adorava a stabilire il valore di un uomo.
Aveva persino affermato, un giorno, che il peccato non esisteva, ma che
era
un'invenzione degli uomini di Chiesa per esercitare maggior potere sulle
persone, che al massimo poteva esistere la 'colpa', e questa dipendeva
solo
dalla sensibilità, da metri di giudizio esclusivamente personali, non da
quelli scritti in un libro di secoli prima.
Quella volta gli aveva dato uno schiaffo, ma se ne era subito pentito,
soprattutto vedendo l'espressione delusa sul volto del figlio.
Con quelle sue idee sfiorava il limite dell'eresia, e anche rendendosene
conto non aveva assolutamente intenzione di scendere a più ragionevoli
termini. Dove lo avrebbe condotto questo suo modo di ragionare?
Quel ragazzo dalle idee ribelli stava tornando alla sua dimora dopo una
passeggiata, in un giorno di giugno profumato e limpido quando,
attraversando l'alta corte, vide un ragazzino trasportare faticosamente
una
gerla quasi più grande di lui; la cesta doveva essere pesante, ed il
piccolo
arrancava sotto di essa, fino a che non mise un piede in fallo, e si
sbilanciò in avanti.
Edgard gli era abbastanza vicino da riuscire a prenderlo prima che
cadesse,
e, scattando, lo afferrò con ottimi riflessi, tenendolo in piedi.
"Grazie signore."
Le parole non erano che un sussurro imbarazzato.
"Credo che quella sia troppo pesante per te. Non avresti dovuto
caricarla
tanto."
Tenendo gli occhi bassi, il bambino fece un cenno affermativo con la testa.
"Avanti, dalla a me. Te la porto io, se mi dici dove devi
andare."
Senza aspettare una parola, Edgard gli sfilò la gerla e se la mise sulle
spalle, stimandone il peso come ben superiore ai dieci chili, e rimase in
attesa di indicazioni.
"Allora. di qua."
Il ragazzino lo tirò per la manica, e lui lo seguì, lasciandosi condurre
lungo strade che conosceva a memoria, tra gli sguardi increduli dei
villani.
Sogghignò leggermente al pensiero di cosa avrebbe detto di lui suo padre
se
lo avesse visto in quel momento.
"Come ti chiami, ragazzino?"
"Ewan, signore."
Rispose il piccolo servo che aveva un'aria più rilassata rispetto a poco
prima; a pensarci bene, Edgard aveva avuto la sensazione, quando lo aveva
afferrato impedendogli di cadere, che il bambino si aspettasse di essere
sgridato.
Probabilmente non veniva trattato nel migliore dei modi, si disse.
Nelle cucine l'aria era profumata di spezie, l'attività fervida, in
preparazione della cena, e nessuno fece caso subito alla loro entrata,
ognuno era troppo assorbito nel proprio lavoro per badare ad altro. Edgard
si guardò intorno con interesse, non gli era mai captato di entrare in
quei
locali.
"Allora, dove vuoi che la posi?"
Domandò. Ewan lo tirò ancora, accompagnandolo alla tavola più grande,
dove Jonin, il corpulento capo cuoco, stava preparando la cacciagione che
avrebbe
costituito le portate principali. L'uomo alzò gli occhi nel momento
in cui
Edgard gli depositò davanti la gerla, brontolando qualcosa sul fatto di
averci messo troppo tempo. Poi, con un'esclamazione, si accorse di
non
avere di fronte il suo piccolo sguattero, ma la figura elegante del figlio
del padrone. Impallidì e prese a pulirsi nervosamente le mani sul
grembiule,
balbettando parole di saluto e scuse al nobile; la sua reazione non passò
inosservata, e presto tutti i lavoranti, uno dopo l'altro, avevano cessato
le loro attività, e guardavano in allibito e intimorito silenzio l'ospite
inatteso che aveva varcato la loro soglia.
"E tu, moccioso, come ti salta in mente di disturbare in
questa maniera il
giovane signore? Chiedi perdono per avergli recato noia!"
Jonin alzò minacciosamente una mano sul ragazzino, che chiuse gli occhi e
si
riparò istintivamente con un braccio, come se fosse abituato ad essere
battuto; ma Edgard afferrò saldamente il polso dell'uomo,
bloccandolo.
"Lascia stare questo bambino. Gli hai affidato un compito superiore
alle
sue forze. è troppo esile perché possa compiere una simile fatica.
Quindi
che non si ripeta."
"S.sì, signore. Ma..."
"Inoltre non mi ha arrecato alcun disturbo."
Edgard lasciò andare il cuoco, che abbassò il braccio e si massaggiò il
polso indolenzito.
Ewan, intanto, guardava ad occhi spalancati il ragazzo che lo aveva
aiutato.
Non si era chiesto chi fosse, aveva solo immaginato si trattasse di un
soldato della guarnigione, o magari di un paggio...non si era reso conto
che
quello sconosciuto era troppo riccamente vestito per appartenere a una di
quelle categorie.
Il nobile si accorse di quello sguardo, delle domande che esso
racchiudeva, e si chinò per essere all'altezza del viso del bambino e
poterlo guardare negli occhi.
"Il mio nome è Edgard; sono il primogenito del duca di queste terre.
Anche
tuo padre lavora in questo posto, Ewan?"
"No, signore. Lui è morto."
La voce era lieve con un filo di vento.non solo la timidezza era tornata,
ma
si era anche mescolata alla soggezione; nonostante ciò, la gratitudine
per
l'essere
stato salvato dalle botte di Jonin era perfettamente leggibile sul
quel viso un po' scarno. Il capo cuoco s'intromise, preoccupato di
guadagnare qualche punto nella stima del figlio del suo signore.
"Era uno degli stallieri, ed è morto di febbri un anno fa, poco
tempo dopo
sua moglie. Ewan non è in grado di tenere a bada dei cavalli, così l'ho
preso qui; avevo bisogno di un garzone e visto che ormai ha dieci anni è
grande abbastanza per lavorare. In cambio gli do qualcosa da mangiare e un
posto dove dormire."
[Probabilmente pane secco ed un pagliericcio con una coperta logora, con
in
più botte gratuite... ed ha l'ardire di considerarlo un merito!]
Pensò ferocemente Edgard. Niente di che stupirsi se Ewan avesse quasi
paura
del prossimo.
"Dieci anni... avrei detto di meno."
Considerò infine, raddrizzandosi. Lavorare in una stalla, oppure in una
cucina, ma anche nei campi, o essere l'apprendista di un fabbro, erano
tutti mestieri troppo faticosi per quel ragazzino dagli occhi grandi: era troppo
gracile, probabilmente aveva patito anche lui per le febbri. Lavoro
pesante,
malnutrizione e, a quanto pareva, maltrattamenti, gli avrebbero reso la
vita
breve ed infelice.
Non sarebbe vissuto a lungo, se lo avesse lasciato lì; ma se avesse
potuto
aiutarlo in qualche modo... era sicuro che si sarebbe ben ripreso. Però
era
pur sempre figlio di servi, non di uomini liberi, e come tale era
vincolato
a lavorare per la sua famiglia. Troppo giovane per dargli la libertà,
troppo
esile per faticare, almeno per il momento.che altro poteva fare? Rimaneva
una sola cosa possibile, a suo parere.
Gli accarezzò la testa, lisciando le folte ciocche bionde.
"Trovati un garzone più robusto, Jonin, e trattalo meglio di come
hai
trattato lui. Questo è un ordine."
"Perdonate, signore, ma che volete dire?"
Edgard ignorò completamente l'uomo, rivolgendosi invece al ragazzino.
"Desidero un servitore personale e sono libero di scegliere
chi voglio;
perciò da oggi tu verrai a stare con me. Ti spiegherò tutto ciò che sarà
tua
mansione e t'insegnerò a farlo se non ne sei capace. ma stai tranquillo,
sono di poche pretese. Sei mai stato nella dimora signorile, Ewan?"
"Mai, maestà."
Il giovane si mise a ridere di cuore e gli scompigliò i capelli in quello
che era un gesto d'affetto a cui Ewan non era più abituato da tempo.
"Guarda che non sono mica un re. Anzi, per il momento non sono
nemmeno
duca. Avanti, ora, andiamo."
Mentre percorrevano fianco a fianco la loro strada, la mano piccola di
Ewan
s'infilò dentro la sua, spontaneamente, e il ragazzino lo guardò con i
suoi
infiniti occhi azzurri, pieni d'adorazione Quel giovane gli sembrava alto
e
forte come il più splendente dei cavalieri, ed era colui che lo aveva
portato via da quel posto che detestava, da quell'uomo che lo faceva
piangere tutti i giorni.
Edgard si sentiva veramente soddisfatto della soluzione che aveva trovato;
non aveva alcun bisogno di un servitore, anzi, non sapeva esattamente cosa
avrebbe fatto fare a Ewan, ma andava bene così: si sarebbe sentito male
con
se stesso se lo avesse lasciato, anche per un solo giorno di più, nelle
mani
di quel rozzo cuoco privo di ogni sensibilità. Decise che gli avrebbe
insegnato al ragazzino a leggere e scrivere, ad apprezzare la musica e la
poesia. e che avrebbe cancellato ogni sua tristezza e paura.
...Quel pomeriggio le loro mani si erano strette per non lasciarsi più,
ma
questo ancora non lo immaginava. ###
Perfetto...semplicemente perfetto. Era appena tornato da Parigi, e Londra
aveva immediatamente pensato a dargli il benvenuto. Per prima cosa, giunto
all'aeroporto gli avevano rubato il portafoglio. Frugandosi nelle tasche
era
riuscito a mettere insieme abbastanza spiccioli da riuscire a prendere un
bus e ad arrivare al suo quartiere. Aveva lasciato la città sotto la
pioggia, e sotto la pioggia la trovava ancora, e fradicio d'acqua, con la
sua sacca a tracolla, si chiese perché avesse deciso di mettersi i jeans
bianchi, l'unico paio firmato che possedesse, proprio quel giorno.
Dulcis in fundo.aveva dimenticato le chiavi, per la centesima volta nella
sua vita e se ne era reso conto solo quando si trovava ormai sulla soglia
del palazzo. Solo che in casa non c'era nessuno che potesse aprirgli; l'unica cosa che poteva fare era suonare da un vicino e chiedere di poter
fare
una telefonata; chiamare sua nonna e domandarle di portargli il duplicato
.
Sperando che l'arzilla signora non fosse al suo corso di yoga.
O a quello di pittura.
O a quello di astrologia.
Una volta le vecchiette stavano in casa a ricamare e preparare torte per i
nipoti, invece di girare il mondo a quel modo.
Matthias lesse i nomi vicini campanelli del citofono, cercando di decidere
chi, tra i suoi vicini, costituisse il male minore. Notò che l'unica
targhetta lasciata in bianco recava ora un nome, ' Keith Willberg'. Il
solo
alloggio libero nel palazzo era quello esattamente sopra al suo;
evidentemente c'era stato un trasloco proprio nei giorni della sua
assenza.
Senza pensarci fece le sue considerazioni ad alta voce.
"Speriamo solo che questo Willberg.sia almeno una persona civile, non
come
quei maleducati dell'ultimo piano. E speriamo anche che non sia un
rumoroso
rompiscatole."
"Mah, riguardo alla civiltà, per il momento mi fanno ancora entrare
nei
ristoranti. In quanto al rumore, quando parlerò da solo cercherò di
farlo a
bassa voce."
Matthias sobbalzò letteralmente e si voltò di scatto per vedere,
all'altezza
dei propri occhi... un impermeabile scuro. Più su, c'era il viso divertito
del
suo nuovo vicino di casa. Ciuffi di capelli neri spuntavano da sotto il
cappuccio, e, nonostante il tempo inclemente, portava occhiali da sole
dalle
lenti azzurre.
Matthias si ritrovò completamente privo di parole. Fissò l'altro,
cercando
di trovare qualcosa di intelligente da dire per tirarsi fuori dall'imbarazzo. Quello che invece gli riuscì di fare fu starnutire.
Il leggero sorriso sul volto dello sconosciuto, Keith Willberg, si allargò
impietosamente
"Hai dimenticato le chiavi?"
Chiese con garbo, guardandolo, o meglio, studiandolo, perché i suoi occhi
stavano percorrendo con attenzione tutta la sua fradicia figura.
"Perché, si vede tanto?"
Senza rispondergli l'altro gli passò davanti ed aprì il portone,
imponendo
alle proprie mani di smettere di tremare, e gli fece cenno di precederlo
all'interno.
Matthias osservò di traverso il nuovo arrivato, che si era abbassato il
cappuccio rivelando capelli piuttosto lunghi e lisci, insieme al
quale
stava attendendo l'ascensore.
[Ho già esordito con una pessima figura.tanto vale farne un'altra.]
"Scusa...so che è invadente da parte mia, ma potresti farmi fare una
telefonata?"
Willberg gli disse che non c'era alcun problema e un secondo dopo le porte
dell'ascensore si aprirono. In silenzio salirono fino al quarto piano.
L'alloggio, nella disposizione, era identico al suo. C'erano ancora
scatoloni in giro, quadri incartati appoggiati contro le pareti. C'era
persino il parquet sul pavimento, e a dire che aveva un aspetto migliore
di
quello a casa di Matthias. Dal soffitto pendeva una lampadina appesa al
filo
elettrico, che gettava una luce quasi malata nella stanza, ed uno specchio
era stato appeso vicino all'entrata, ma era tutto ancora troppo spoglio,
non
c'era niente che potesse dare un'idea precisa sul carattere della persona
che vi abitava.
"Ho ancora un sacco di lavoro da fare."
Disse il giovane spiegando l'ovvio, poi gli porse un cordless.
"Fai pure con comodo. Io vado di là per un momento."
Matthias fece un breve giro del salotto e andò alla finestra. Era lo
stesso
panorama che vedeva dal suo appartamento, solo che era un piano più su.
Ma
la prospettiva già cambiava. quasi fosse un altro posto, un'altra città.
Quanto grigiore in quel quartiere. città grigia sotto un cielo grigio, e
acqua che da esso continuava a scendere. quella pioggia era monotona e
malinconica, come la vita in certi giorni in cui sei stanco di tutto;
cadeva
sempre con lo stesso tono, ticchettava sui vetri, scorreva lenta lungo di
essi come lacrime. Però la preferiva ai temporali, che lo spaventavano da
sempre.il rumore dei tuoni gli causava illogici e gelidi brividi lungo la schiena, e detestava livido illuminarsi del cielo ad ogni lampo. Da
bambino,
durante quegli sfoghi della natura, si rifugiava piangente sotto le
coperte,
o si nascondeva dentro l'armadio della sua camera, con le ginocchia
strette
al petto e gli occhi serrati, letteralmente terrorizzato a pensarci dopo
tanti anni, il ricordo gli faceva quasi tenerezza.
Poggiò a terra la sacca, sedette su una poltrona e chiamò sua nonna.
Non era assolutamente sua intenzione origliare, ma la voce di Matthias gli
arrivava chiaramente fin nel bagno, dove era andato ad appendere l'impermeabile ad asciugare. Colpa delle pareti troppo
sottili. Un tempo i
muri
venivano costruiti più spessi. Molto, molto più spessi.
"Ma ti dico.no, non sono da un mio amico, altrimenti non ci sarebbe
problema. Non posso restare qui a disturbare.nonna! Ma...ma...va bene, va
bene,
d'accordo. Sì, ci vediamo dopo."
Con un sospiro un po' esasperato chiuse la chiamata.
"Ci sono problemi?"
Matthias guardò il suo nuovo vicino, tornato da lui a piedi scalzi, con
le
mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans. Notò anche che
continuava a
portare gli occhiali da sole. Forse era fotofobico, o qualcosa del genere.
"Sembra che mi toccherà pazientare un paio d'ore. in ogni caso
adesso
vado."
"Vai dove? Ad aspettare sul pianerottolo, seduto sullo zerbino di
casa tua?
Davvero molto saggio. "
"Non mi va di disturbare oltre."
Spiegò Matthias restituendogli il telefono e alzandosi.
"Grazie di tut-"
Si voltò per raccogliere la sacca, ma si bloccò: sulla stoffa chiara
della
poltrona era rimasta, evidentissima come se l'avessero disegnata, la
sagoma
del suo corpo, lasciata dagli abiti bagnati. L'ultima sillaba del
ringraziamento gli morì in bocca.
Si girò nuovamente verso Willberg, che guardò prima la poltrona con un
sopracciglio inarcato, e poi lui con aria interrogativa. Matthias ricambiò
lo sguardo e riuscì finalmente a dire qualcosa; un desolato:
"...Ops."
Keith si coprì educatamente la bocca con una mano, soffocando una risata.
Matthias fu piuttosto perplesso da quella reazione.
"Ti ho rovinato una poltrona e lo trovi divertente?"
Chiese, quasi sospettoso.
"No, è per via dell'espressione che avevi, veramente comica."
[Vale a dire che ha riso di me?]
".senti, mi spiace molto.avrei dovuto stare più attento. Se
vuoi-"
"Lascia stare, vorrà dire che scoprirò subito se la fodera è
veramente
lavabile come mi ha assicurato il negoziante quando l'ho comprata. cioè
stamattina. Piuttosto, non credo ti faccia bene rimanere con quei vestiti.
ti presto una tuta da ginnastica, poi, se desideri, vai pure."
"D'accordo, allora. Grazie per la gentilezza."
"Oh, non è niente. Sai, in questo modo è più facile che la gente
si fidi di
me, così poi posso attirarla a casa mia, farla a pezzi e riempirmi il
congelatore di provviste."
Matthias sentì i propri occhi spalancarsi ed il sangue defluirgli
dalla
faccia.
"Scherzo."
Matthias fece il conto di quante volte lo sconosciuto lo aveva preso in
giro
in quel quarto d'ora. Tre? Quattro? Di più?
"Beh, con quel che costa la carne potrebbe essere un'idea per
risparmiare."
Ribattè scrollando le spalle, sentendosi soddisfatto di essere riuscito
almeno a dire qualcosa che somigliasse ad una battuta, prima di fare
definitivamente la figura dell'imbranato.
Gli scalini erano freddi e non esattamente comodi; Matthias, vestito in
una
tuta grigia troppo grande per lui, sbuffò, pensando che dopotutto avrebbe
anche potuto accettare l'ospitalità di quel ragazzo.
Due chiacchiere.magari una tazza di tè. poi almeno quel tipo era giovane,
avrà avuto solo qualche anno più di lui. di sicuro alcuni argomenti in
comune li avrebbero trovati.
Puntò i gomiti sulle ginocchia e appoggiò il mento fra le mani; beh,
poiché
era stato proprio lui ad offrirgli di poter aspettare a casa sua...poteva
andare a suonare e dire d'avere cambiato idea.
Prese in considerazione l'ipotesi, ma la scartò quasi subito; si era
lamentato dei vicini rompiscatole e non gli andava di comportarsi come
tale;
quindi avrebbe continuato ad aspettare seduto sullo scalino fino
all'arrivo
di sua nonna.
"Che noia, però!"
Esclamò, alzandosi in piedi. Le vertigini lo aggredirono all'improvviso,
e
si aggrappò al corrimano per non cadere; gli sembrò che il pavimento si
muovesse sotto i suoi piedi, che le pareti ondeggiassero, sfocate. Si portò
una mano alla bocca, trattenendo un conato di vomito. Lentamente si lasciò
di nuovo sedere, a testa china, mentre pensieri confusi parlavano nella
sua
mente.
###."Mi dispiace...è colpa mia...è solo per colpa."
Il resto della frase soffocò fra i singhiozzi; tutte le lacrime
trattenute
che gli annebbiavano la vista cominciarono a scendere liberamente dai suoi
occhi, bagnandogli il viso, raggiungendogli le labbra e regalandogli un
sapore amaro.
"Non hai nessuna colpa, Ewan, semplicemente perché essa non è
quella che tu
credi. Ascoltami. Guardami. - asciugò il suo viso e lo tenne
delicatamente
fra le mani fresche - Se colpa c'è, essa appartiene solo alla crudeltà
del mondo. Forse anche a me, ma certo non a te. Mai, a te." .###
La vita riprese le tinte di sempre, le voci svanirono. Matthias rimase
ancora tremante aggrappato convulsamente alla ringhiera, pallido e con il
cuore che pompava troppo forte, troppo velocemente; rialzò la testa con
circospezione, temendo altre vertigini, ma esse non arrivarono. Sentì gli
occhi bruciargli, e si accorse di avere le guance bagnate da lacrime
bollenti, che non si era accorto di aver versato. Le terse via lentamente,
con la punta delle dita, toccandole quasi con stupore, e inspirò in
profondità e con attenzione, per vincere il nodo strettoglisi nel petto,
che
rendeva quasi doloroso respirare.
"Ma se io n-non ci fossi stato, a-adesso... - balbettò - adesso
cosa? Cosa
mi
succede?"
L'immagine nella sua mente era breve e incisiva come il flash di una
macchina fotografica, e come tale continuava a rivederla, appena sbiadita,
se chiudeva gli occhi.
.Era il viso di un giovane, bello e addolorato.
[Vorrei che fosse di nuovo qui...]
...Era triste per me, non per se stesso.
[...Lui mi ha difeso...]
...E il tocco delle sue mani era così consolante.
[...Sin da quando ero un bambino.]
Rimase a pensare a quel volto, a quelle parole, accucciato sul secondo
scalino, e fu così che sua nonna lo trovò quando arrivò per
consegnargli le
chiavi.
Keith stava seduto a gambe incrociate al centro divano, con le braccia
conserte e lo sguardo lontano; una tazza di caffè nero era stata lasciata
a
raffreddarsi sul tavolino, completamente dimenticata.
Non fece assolutamente caso a Rain e Jahel che gli erano comparsi a
fianco,
uno alla sua destra, l'altro alla sua sinistra.
"Ma guardalo, una statua perfetta."
Commentò il primo, tirandogli una ciocca di capelli.
"Non credi che faresti meglio a mettere in ordine questo posto, prima
di
cadere in trance?"
Disse Jahel, dopo essersi dato un'occhiata intorno.
Lui non badò a nessuno dei due, e gli esseri spirituali si scambiarono
un'occhiata d'intesa reciproca.
"Non sarà mica morto?"
"Naaah, ce ne saremmo accorti. Si direbbe che dorma con gli occhi
aperti."
"Credi sia possibile?"
"Non me ne stupirei, gli umani sono una continua fonte di
sorprese."
"Spero che sia così. visto che è sotto la nostra custodia sarebbe
seccante
se gli capitasse qualcosa di... come dire... .fatale."
"Possiamo evitare che finisca sotto una macchina, ma certo non
possiamo
prevedere se gli prenderà un attacco cardiaco."
"Ma non è un po' giovane per avere un infarto?"
"E' molto sotto l'età media, ma c'è sempre una probabilità
che-"
"Avete finito?"
Chiese gelidamente Keith, stanco di quel chiacchiericcio.
"Quando ci ignori non è che abbiamo molta scelta su come attirare la
tua
attenzione."
Lui si guardò le mani, che ancora erano scosse dal tremito.
Continuavano a tremare da quando aveva incrociato quel ragazzo. Tutto il
suo
corpo era preda di brividi; il suo respiro, il suo cuore, i suoi pensieri,
tutto andava più veloce. Una voce dentro di lui gli aveva urlato
"eccolo".
eccolo, alla fine lo aveva ritrovato, la lunga separazione era finita, la
promessa di poterlo rivedere non era stata dunque una menzogna.
Era diverso, nel colore degli occhi e dei capelli. ma il suo viso un po'
era
somigliante, ed in certi momenti lo era stato anche il suo sguardo. Però...
"Lui non mi ha riconosciuto."
Mormorò alla fine, stringendo i pugni e sentendo le unghie graffiargli il
palmo.
"Sapevi che quasi sicuramente sarebbe andata così."
"Dovrai avere pazienza. Lui ha appena cominciato a ricordare
qualcosa,
anche se per il momento non capisce quanto sta accadendo. Ma mi
raccomando."
"...ricordati i patti."
I due spiriti si erano fatti molto seri, improvvisamente, e assunsero un
aspetto quasi solenne.
Rain e Jael. come potevano essere definiti? Non erano spettri o fantasmi,
perché non erano mai stati umani. Forse qualcuno li avrebbe potuti
definire
angeli, oppure demoni, ma una simile classificazione avrebbe implicato un
argomento religioso che non aveva nulla a che fare con loro: la struttura
del mondo spirituale era piuttosto complicata, e notevolmente diversa da
come qualsiasi religione la immaginasse. Lui li aveva sempre chiamati 'spiriti', il che era inadeguato e poco preciso, considerato anche il
fatto
che potevano rendersi materiali come gli umani, ma per lo meno non del
tutto
sbagliato.
Rain aveva capelli rosso cupo, vestiva quasi sempre di scuro, ed aveva un
senso dell'umorismo piuttosto bizzarro. Jael, per contrasto, con i suoi
capelli chiarissimi
e la carnagione pallida aveva un aspetto quasi etereo, e tra i due era il
più pacato...o almeno lo era stato, visto che l'influenza di Rain lo
aveva
ormai definitivamente traviato. Entrambi avevano visi senza età, lisci e
giovani nella pelle, ma con occhi che avevano visto tutto il dipanarsi
della
storia, tutta la follia degli uomini. Erano come dei custodi, assistevano
coloro che avevano trovato più straziante abbandonare il mondo umano, e
nonostante la loro apparenza giocosa lui aveva imparato che erano
responsabili ed inflessibili, se necessario.
Erano stati loro due ad accoglierlo nell'aldilà. come se morire non fosse
stato abbastanza traumatico, si era trovato ad avere a che fare con due
entità tanto stravaganti.
###Jael e Rain erano fianco a fianco, davanti a lui.
"Ben arrivato, Edgard."
"Adesso è tutto finito, puoi dimenticare quanto è successo."
Dimenticare? Aveva pensato lui.mai! Aveva accettato la morte, anche se era
stata così ingiusta, ma chiedergli di scordare la vita era inconcepibile;
c'erano anche dei bei ricordi, c'era Ewan. e le due cose, a dir la verità,
coincidevano perfettamente.
"Questo posto non è male per passarci l'eternità."
"Puoi fare tutto quello che desideri. Conoscendoti, penso che
potrebbe
interessarti la nostra biblioteca; è praticamente infinita, in essa sono
raccolti tutti i libri scritti, quelli ancora da scrivere e quelli che
invece non lo saranno mai, destinati a rimanere solo idee nella mente dei
loro creatori. Ma se ti annoierai t'informo che ci stiamo organizzando per
un campionato di hockey. Ah, già, ma nella tua epoca non era ancora stato
inventato. Allora."
"Dov'è lui?"
Rain inclinò la testa da un lato, un po' deluso per essere stato
interrotto
mentre si accingeva a spiegare le regole di quello sport che lui adorava.
"Lui? Ah! Beh, capisco la curiosità, ma hai davanti una fila di
qualche
centinaio di milioni di anime. Dovrai avere un po' di pazienza.ma ti
avverto, non è esattamente come la religione del tuo popolo crede.
Innanzi
tutto non c'è un solo di-"
"Non credo che si stesse riferendo a quello. Vuoi smetterla di
parlare a
vanvera?"
S'intromise Jael, scoccandogli un'occhiataccia, per poi rivolgersi a
Edgard,
con un'espressione sinceramente dispiaciuta.
"Anche lui è qui, ma non lo puoi incontrare."
"Che cosa? Per quale motivo?"
Senza rendersene conto aveva coperto la distanza che lo separava da Jael e
lo aveva afferrato per le spalle.
"Non dipende da me, ma qui. voi rimarrete per sempre separati."
"Non ti ho chiesto chi ha deciso questo! Voglio sapere il perché!"
Lo spirito biondo rimase in silenzio per alcuni lunghi secondi prima di
dargli risposta.
"Il perché è quello che dentro di te sai già benissimo."
Le mani di Edgard lasciarono lentamente la presa, scivolando sulla serica
stoffa della veste di Jael, mentre comprendeva appieno le sue parole.
"C-come?"
"Sono le regole."
"Ma io lo amavo! Non conta forse niente? Non è giusto che..."
"Non possono essere fatte eccezioni, questo lo capirai anche tu.
Dovrete
restare separati."
"Ci dispiace."
Aggiunse contrito Rain.
"Dimenticalo."
Lo invitò Jael.
"No, questo è impossibile. Se il ricordo è l'unica cosa di lui che
mi sia
concesso di avere non me la lascerò portare via da nessuno. Non importa
quanto sarà doloroso, dimenticarlo sarebbe come tradirlo, per me."
Edgard si morse le labbra e voltò la testa, lasciando lo sguardo correre
in
quel luogo sconosciuto, ma senza in realtà badare a nulla; poteva anche
essere una specie di paradiso, ma a lui sembrava meno accogliente di una
palude.
Rain lo osservò per un momento, poi rivolse la sua attenzione a Jael;
rimase
a guardarlo senza che l'altro se ne accorgesse, e si rese conto di non
avere
mai visto un'espressione così triste sul suo volto; il non poter fare
nulla
per permettere il loro incontro lo stava turbando più di quanto non si
aspettasse lui stesso. Però. forse. sfiorò la mano di Jael per
avere la sua
attenzione e gli sussurrò qualcosa.
L'altro spirito spalancò gli occhi e lo fissò con un misto di speranza e
scetticismo;
"Credi davvero che potrebbe funzionare?"
"Non lo so, ma è l'unica possibilità. Forse il Consiglio accetterà
la
nostra richiesta, forse no, ma non abbiamo niente da perdere,
giusto?"
"E' lui a non avere niente da perdere, Rain. In ogni caso, hai
ragione tu.
D'accordo, appena possibile andremo insieme dal Consiglio. Edgard!"
Lui si volse distrattamente verso di loro.
"Sii sincero; non rimpiangi nulla?"
"Cosa?"
" Non rimpiangi d'aver scelto Ewan?"
"NO! Che razza di domanda è?"
Gridò in faccia ai due spiriti, che non si scomposero per nulla.
"Rifaresti tutto, dal primo all'ultimo momento?"
Per un attimo Edgard sembrò rabbuiarsi, come malignamente incantato da un
ricordo orribile, ma tornò quasi subito a fissare i suoi interlocutori.
"La mia risposta è sì."
"E se nel momento in cui decidesti di prendere con te Ewan avessi
saputo
quello che sarebbe successo nel vostro futuro, lo avresti accolto lo
stesso?"
Gli domandò Rain, questa volta.
"Senza esitare! Io avrei solo cercato di evitare gli errori che
involontariamente hanno causato la sua sofferenza... cercherei di essere
migliore di quanto non sia stato."
Concluse amaramente.
"Forse possiamo aiutarti, allora."
"Se sei disposto ad aspettare. potreste avere il permesso di
reincarnarvi."
"Ma ci sono delle regole che dovrai rispettare." ###
"Li ricordo benissimo, i patti. Sono novecento anni che non fate
altro che
ripetermeli."
"Potrebbe non essere così facile rispettarli, però, anche
volendolo."
"Non gli racconterò nulla! Non lo forzerò a ricordare! Non gli
parlerò mai
dei punti nodali delle nostre passate esistenze fino a che le sue memorie
non vi arriveranno naturalmente."
"Non intendevo questo."
Spiegò quietamente Jael.
"Lo so. scusa, ma sono un po' nervoso."
"Mph!" - Esclamò Rain alzandosi in piedi - "Bah, per tutto
il resto della
giornata sarai sicuramente inservibile. Credo che non muoverai un dito per
occuparti di questo posto... ci pensiamo noi."
Un bagliore azzurro riempì tutto l'appartamento, dilagandosi dalle figure
di
Rain e Jael. Sembrò essere assorbito dai muri, dai pochi mobili, dal
pavimento... quando tutto fu finito, tutte le sue cose erano al loro posto
preciso, quello che gli avrebbe dato lui personalmente, e persino la tinta
sui muri sembrava data di fresco, il pavimento era scintillante, come pure
i
vetri.
Gli venne da sorridere.
"Perché non mettete in piedi un'agenzia di pulizie, voi due? Grazie,
comunque."
"Sciocchezze. Però manca qualcosa...guarda quel muro com'è
spoglio."
"Hai ragione! Jael, tu che dici?"
"Ci vorrebbe un quadro."
Rain sembrò pensarci su, poi batté una volta le mani, come per l'aver
trovato una bella soluzione, e sul muro comparve un dipinto.
"Ah! Monet! Buona scelta, Rain, mi sembra adatto a lui."
"Consideralo un regalo di buon augurio, Edg."
Lui guardò scettico il dipinto che ora stava appeso alla sua parete.
"Trovo di cattivo gusto tenersi in casa la copia di un'opera famosa.
ma
visto che è un regalo..."
"Davvero troppo gentile."
"Ci vediamo presto, allora."
Gli spiriti svanirono, lasciandolo solo nella sua nuova casa.
....La giornata era stata molto intensa. forse sarebbe riuscito a dormire
nonostante l'eccitazione di essere finalmente riuscito ad incontrare Ewan.
Avrebbe finito la cena, poi un bagno, magari una tisana di tiglio e
camomilla, e poi a letto. Sedette a tavola con il suo pasto pronto appena
uscito dal microonde e accese la televisione per ascoltare il
telegiornale.
Una giornalista con un'acconciatura orribile stava leggendo le ultime
notizie.
"...alcune ore fa il dipinto "Ninfee, il mattino" di Claude
Monet è stato
rubato dal Musèe de l'Orangerie di Parigi. La polizia non sa
spiegarsi l'accaduto, il capolavoro è praticamente scomparso nel nulla, il sistema d'allarme non ha registrato alcun."
"RAIN!! JAEL!!"
Ruggì balzando in piedi, vedendo sullo schermo lo stesso quadro che lui
aveva appeso in salotto.
'Stesso' nel vero senso della parola.
Fine prima parte
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