Questa fic è la mia prima AU, quindi non abbiate troppe pretese…

Avvertenze!! E’ ambientata nel periodo del Medioevo Ellenico, quindi più o meno attorno al IX secolo avanti Cristo. Comunque, ho anche fatto dei voli di fantasia inserendovi, ad esempio, una fantomatica ‘Lega delle isole’ di cui storicamente non è comprovata l’esistenza… e non garantisco l’assenza di eventuali cantonate pazzesche^^! Il titolo è greco antico scritto in caratteri occidentali, e tradotto significa ‘Vittoria di Amore’.

La dedico a Calipso e Nausicaa per la loro simpatia e bravura… ed un saluto a Ise!


 

 

Erotos nike

Parte III

di Dream

 

 

"Kaede, posso entrare?"

Il tono usato era stato estremamente calmo e controllato. Possibile che fosse riuscito a controllarne i tremiti? Meglio così.

"Vieni pure"

Hanamichi fece il suo ingresso nella stanza di Rukawa e lo ricercò con lo sguardo in quello che sapeva essere il suo luogo preferito. Infatti, eccolo lì: seduto sul vasto davanzale della finestra, le gambe richiamate al petto e cinte dalle braccia bianche. Il mento era posato sulle ginocchia, gli splendidi occhi persi nella contemplazione di quel mare la cui tinta zaffiro pareva scialba se raffrontata a quelle gemme blu, affascinanti nella loro insondabile profondità.

Era bello, bello di un’avvenenza che risiedeva non tanto nel suo aspetto fisico, quanto nel suo stesso atteggiamento pensoso, schivo e riservato: uno scrigno che cercava di celare gelosamente le pietre preziose che racchiudeva. Ma lui sarebbe riuscito a violarne le difese! Non con la forza, ovviamente… sarebbe stato totalmente inutile combattere con Kaede su questo piano, lui l’aveva ormai capito da tempo. No, ce l’avrebbe fatta con la dolcezza, con la fiducia e l’amore… proprio con ciò che Rukawa considerava ‘debolezza’.

Non voleva avere. Si era reso conto che ciò che voleva era soprattutto ‘dare’. Voleva dargli tutto ciò che avrebbe potuto desiderare. Ciò a cui aspirava era la sua gioia, il suo sorriso… essere felice, ma della sua felicità.

Voleva amarlo. Farlo sentire amato… ed essere amato da lui.

Si avvicinò in silenzio e posò una mano su una spalla nuda, da cui era appena scivolata la spallina della veste. Come evitare di ripensare alla morbida, setosa tristezza della scorsa notte? A quel corpo fra le sue braccia, stretto a lui, abbandonato completamente contro il suo petto… che situazione paradossale!! Gioire d’amore ed al contempo morire di desiderio. Ma era riuscito a resistere, non si era spinto oltre. Non aveva voluto forzarlo: doveva assolutamente evitare di fargli credere che ciò che desiderava da lui fosse solo il suo corpo. Non era così. Non lo era affatto! Il suo non era un amore volgare, era… era l’amore dell’anima. L’amore che vuole e pretende di condividere non solo la gioia, ma anche le paure, ansie, le sofferenze… dolore, passione, calore, gelo. Divenire un’unica entità separata, raggiungere un’armonia che non desidera l’uguaglianza. Un legame in cui l’altro non è né la nostra anima gemella, né il nostro completamento, né una parte del nostro essere, ma semplicemente ed indispensabilmente se stesso.

Ad ogni modo, il risveglio quella mattina si era rivelato assai meno idilliaco rispetto alla nottata. Hanamichi aveva sperato di ottenere come prima cosa un bacio, sul cui calore e sul cui languido abbandono poter indugiare con pensieri e fantasie per tutta la durata della lunga giornata che gli si presentava davanti… ed invece? Presto detto: si era beccato un ‘affettuoso’ pugno di buongiorno sulla mascella sinistra!

Ma perché quella volpe doveva rovinare tutte le situazioni romantiche e promettenti?!

Aveva cercato di ripararsi dalla delusione delle sue aspettative e dalla rabbia crescente, inculcandosi in testa la convinzione che Rukawa, quando gli aveva sferrato quel preciso cazzotto, doveva ancora essere mezzo addormentato e che quindi non si era reso precisamente conto né della situazione, né della persona che gli stava accanto. Succedeva spesso, giusto? Più o meno ad ogni risveglio. Ma questa volta non gli era stata concessa nemmeno la misericordia di potersi illudere: Kaede era innegabilmente desto e lucido, ed aveva ribadito lui stesso di esserlo, quando gli aveva appioppato quel destro non eccessivamente delicato.

Ma perché?! Perché!! Un bacio sarebbe stato così… romantico!

Di fronte alla sua espressione sconsolata, Rukawa aveva ribattuto semplicemente: "Volevo farti scendere dalle nuvole. Avevi un’espressione persa e incredibilmente idiota! Inoltre, odio le cose troppo lineari. Non sopporto di essere considerato prevedibile: ricordati che in me vi è un innato spirito di contraddizione. I tuoi occhi mi stavano chiedendo di baciarti… ed allora, perché non un pugno?"

Ovviamente, Hanamichi cosa avrebbe potuto replicare se non: "MALEDETTA VOLPEEEE!!!"

Anche una bella rissa poteva andare, per iniziare stupendamente la giornata. Va bene, non c’erano confronti con la prospettiva di un tenero bacio… ma, in un modo o nell’altro, era comunque riuscito a stringerlo a sé. Certo, era meglio sorvolare sul dettaglio del gomito conficcato nello sterno…

Prima che il caotico ritmo della vita di un sovrano strappasse definitivamente Hanamichi dalla calma mattutina, erano anche riusciti a trovare un momento da trascorrere assieme, solo loro due, in un isolamento privo di solitudine, sulla tranquilla terrazza affacciata sul mare. Già, proprio quella terrazza dove avevano combattuto il loro duello ed Hanamichi aveva ‘concesso’ a Kaede di vincere.

Il paesaggio era stupendo: i gabbiani stridevano trascinati dalla brezza, il mare luccicante sfavillava in mille increspature davanti ai loro occhi socchiusi, investiti dalla brillantezza del sole appena sorto. Ma, soprattutto, le loro mani intrecciate, strette con la volontà della fiducia.

Erano rimasti in silenzio a lungo. Rukawa sembrava smarrito nei suoi pensieri: aveva assunto quella tipica espressione assorta e corrucciata che lo rendeva sfuggente ma al tempo stesso più desiderabile, misterioso, affascinante. Dove stava vagando la sua mente, a cosa stava pensando il suo cuore? Quel bagliore nei suoi occhi aveva la pericolosa seduzione del richiamo delle sirene.

Guardando con tristezza il suo profilo puro e luminoso, Sakuragi non aveva potuto evitare di provare una dolorosa stretta al cuore. Sembrava così lontano ed irraggiungibile… sarebbe mai riuscito a sfiorarlo, a toccarlo davvero, anche solo fuggevolmente? Lo amava… più di ogni altra cosa al mondo. Considerazione netta e necessaria, sfuggita come un’anguilla al suo controllo.

Sospirando con rassegnazione, aveva allora accentuato la stretta della mano e chiuso gli occhi, trattenendosi dall’interrompere quell’assenza di dialogo. Avrebbe voluto abbracciarlo… ma non era sicuro di poterlo fare. Era bello sentirsi così vicini, ma erano ancora… troppo lontani. Quello che adesso aveva non era abbastanza… voleva di più, voleva tutto! Ma no, non poteva pretendere… doveva aspettare. Aspettare…

Silenzio. Calmo, pieno, tranquillo, sospeso fra loro come un ponte e non come una barriera. Quel silenzio non lo innervosiva. Faceva parte del carattere di Kaede, e ormai sembrava che fra loro si fosse instaurata un’intimità sufficientemente profonda, capace di eliminare l’imbarazzo solitamente provocato dalle pause di una discussione. Rukawa con quel silenzio ora non lo stava escludendo. Questa consapevolezza era stupenda.

Stare accanto a lui, assaporare la sua vicinanza… se solo fosse stato certo di essere amato! Ma non poteva chiedere, non doveva essere importuno. Doveva aspettare…

In quell’atmosfera irreale si era improvvisamente elevato il suono distante e morbido di una cetra, proveniente da una lontana ala del palazzo.

"Che bella musica…" aveva osservato Sakuragi con tono sommesso.

"Nh"

Stupito, gli aveva chiesto: "Non ti piace?"

Rukawa si era voltato e, dopo averlo fissato negli occhi per un attimo, aveva risposto con calma: "Sì, mi piace… ma il citaredo che la suona è inesperto. Lo si comprende subito, ci sono tutti gli indizi: la melodia manca di limpidezza, il suo andamento è un po’ insicuro, qualche passaggio non è eccessivamente felice. Probabilmente si tratta di un musico alle prime armi…"

In quei commenti pacati Hanamichi aveva subito riconosciuto il tono critico di un esperto.

"Suoni?" aveva indagato, quasi con reverenza.

"Suonavo" lo aveva corretto Kaede "Mi piaceva molto farlo… mi permetteva di svincolarmi dalle catene della materialità. Ma da molto non tocco più una cetra. Devo essere diventato un incapace incredibile…"

"Ne dubito fortemente. Ormai non riesco più a credere che ci sia qualcosa che tu non sappia fare in modo meno che eccellente"

"Ti sbagli. C’è una cosa che sembra essere al di là delle mie capacità"

"Ovvero?" aveva domandato, curioso.

La risposta era stata data su tono leggero, quasi distratto, ma la testa rossa non si era affatto lasciata ingannare da quella noncuranza.

"Non sono capace di guadagnarmi l’affetto delle persone. Attiro rispetto, paura ed anche… anche desiderio. Ma non l’affetto. Non l’amore. Del resto, posso forse lamentarmene? So che è colpa mia…"

Non aveva potuto fare a meno di sorridere con dolorosa dolcezza, rispondendogli a voce bassa: "Ti sbagli… non sai nemmeno quanto ti sbagli! Perché dici questo? Ti senti… solo?"

Gli aveva scostato delicatamente una ciocca di capelli dalla fronte, morbida e corvina, attendendo la risposta. Ora sembrava fragile… smarrito in una malinconia da cui non riusciva a difendersi e che pareva fargli male. Cosa poteva fare per aiutarlo, per avvicinarlo a sé? Per essergli vicino?

"Io sono solo, lo sarò sempre…" aveva sospirato Kaede alla fine "Ma sono io a volerlo, sono io stesso a cercare la solitudine, a isolarmi. E’ più forte di me… non riesco a cambiare ciò che sono"

"Non puoi cambiarti. Nessuno può. Non devi tormentarti per questo, non permettere a te stesso di farti del male. Sei triste?"

Rukawa non aveva risposto. Gli aveva solo appoggiato il viso serio, dall’espressione indecifrabile e lontana, sulla spalla, chiedendogli senza parlare di venire abbracciato. Allora Hanamichi l’aveva stretto, sentendosi pungere dalla sua tristezza… che mordeva il cuore, si infiltrava sotto la pelle.

"Non riesco a sopportare di vederti infelice. Non è vero che sei solo… non è vero che non riesci a suscitare affetto. Io ti amo. Io sarò accanto a te… sempre, finché mi vorrai. Non voglio lasciarti… mai, mai, mai. E sai una cosa? Mi piacerebbe sentirti suonare. La tua musica non potrebbe che essere stupenda…"

Erano rimasti a lungo abbracciati, privi di parole, cercando di soffocare il dolore.

Ed ora, a sera ormai inoltrata e con il sole prossimo al tramonto, Hanamichi, liberatosi finalmente dai numerosi oneri e dalle scocciature causategli dal suo titolo, si trovava nuovamente e volontariamente avvinto dall’ammaliante richiamo di quegli occhi ombrosi. La sua mano destra era celata dietro la schiena.

Sapeva che quel demente non era curioso, ma voleva proprio vedere quanto avrebbe atteso prima di chiedergli spiegazioni!

"Cosa stai nascondendo lì dietro, idiota?"

Ecco! Beh… questa volta era stato sorprendentemente rapido! Con un sospiro, Hanamichi rivelò ciò che stava gelosamente sottraendo alla vista.

La sua mano abbronzata stringeva una cetra di forma armoniosamente allungata, dalle corde sottili, con l’impugnatura fregiata da decorazioni dorate e raffinate di foglie di vite e grappoli d’uva. Uno strumento di ottima fattura.

"Ti avevo detto che avrei voluto sentirti suonare!"

Sakuragi manteneva l’attenzione ansiosamente fissa su Rukawa, cercando di decifrare quello sguardo imperscrutabile e intensamente concentrato sulla lira. Come al solito, cercare di comprendere che cosa stesse pensando era una sfida aperta…

"E’ bella" commentò infine Kaede.

"E’ tua" rispose, tendendogliela.

Sulle labbra di Rukawa comparve il miraggio fuggevole di un sorriso, il quale però esprimeva tutto ma non remissività: quella voce morbida iniziò per l’ennesima volta a preparare il terreno per una zuffa: "Ti ho detto che non sono disposto ad accettare i doni di un nemico"

Di nuovo quella storia… non l’avrebbero mai superata?

"Mi consideri ancora tuo nemico?" sussurrò, sentendosi suo malgrado ferito.

Un lampo furioso avvampò nello sguardo fermo e deciso di Rukawa, costringendolo ad abbassare gli occhi.

"Ed io, allora? Io sono ancora tuo prigioniero?!"

No… per favore! Non voleva litigare. Non ora.

"Ti prego… suona qualcosa per me" implorò, cercando disperatamente di evitare lo scontro.

Sakuragi dovette sopportare un attimo di sospesa tensione, prima di vedere, come in un sospirato sogno, l’affusolata mano di Kaede protendersi e prendere con delicatezza lo strumento, posarlo poi contro il proprio braccio e far scorrere con delicatezza le dita lungo le corde. Seguì qualche attimo di silenzio, durante il quale Rukawa cercò di prendere familiarità con lo strumento, instaurando una sorta di collegamento fra sé e quella cetra che, tramite la musica, sarebbe stata il mezzo delle sue sensazioni. Poi qualche nota accennata, l’interrotto principio di una melodia, due corde pizzicate all’unisono.

In seguito, finalmente, Kaede iniziò a suonare.

La melodia… dolce, leggera e delicata. Ma anche ferma, perfettamente limpida e distinta. Indubbiamente sfuggente ed ipnotica… proprio come colui che la produceva. Quelle dita sottili scorrevano velocemente, indugiavano un istante, poi riprendevano il loro ignoto percorso. I capelli neri, mossi dalla brezza… gli occhi blu, assenti e lontani, la bocca serrata e perfetta…

Dopo un po’ Hanamichi non riuscì più a resistere. Con lentezza si sedette al suo fianco e, trattenendo il respiro, lo sguardo fisso su quel viso dai tratti fini e puri, posò una mano calda sul braccio che stava reggendo la cetra. Rukawa non si mosse, non mutò la sua espressione concentrata: sembrava non essersi avveduto di nulla.

Hanamichi rimase fermo ancora per qualche istante, attardandosi ad assaporare l’intimità di quel semplice contatto, poi con dolcezza iniziò a risalire lungo il braccio, accarezzando delicatamente quella pelle morbida e liscia con il suo palmo, reso ruvido dal maneggio delle armi. Ora Kaede doveva per forza essersene accorto… ma non ne stava comunque dando mostra. Quell’impassibilità era un monito o un incoraggiamento? Sakuragi decise di optare per la seconda probabilità. Insinuò la mano bruna sotto la bretella della veste bianca, staccandone il gancio che la fermava all’altezza della spalla. La stoffa chiara scese, languida, leggera, lasciando scoperto parte del petto. Hanamichi trattenne per un istante il respiro, come colpito da un pugno allo stomaco, poi spinse più in basso la mano ormai tremante, sfiorando il capezzolo rosato…

La musica tremò.

Lentamente ed inesorabilmente, senza allontanare la propria mano da quel torace che si alzava ed abbassava con inspiegabile affanno, Sakuragi iniziò ad avvicinare il volto a quella pelle candida. Si fermò, socchiuse smarrito gli occhi e posò infine le labbra sulla spalla nuda, liscia, tiepida, attardandosi in un bacio rovente e disperato. Sofferente. Frustrato.

Lo desiderava.

Lo voleva e lo amava più di quanto si sentisse in grado di tollerare.

Sfiorò di baci il suo collo candido e flessuoso, avvertendo quel cuore balzare furiosamente contro il palmo della sua mano. Risalì fino a quel viso stupendo, accarezzandolo con trasporto con un movimento lento della guancia. Poi, giunto finalmente accanto alle sue labbra, si fermò. Esitò, timoroso di proseguire. Sfiorò quella bocca con la pressione impercettibile del suo caldo e trattenuto respiro.

La musica si infranse improvvisamente, frantumandosi contro una nota violenta e brusca.

Si avvinghiarono l’uno all’altro, smarrendosi nella violenza di un’improvvisa passione che aveva sbranato ogni loro straccio di controllo. Si lasciarono trascinare in un bacio furibondo, intenso e straziante nella sua veemenza inconsulta. Parevano due disperati che, trovatisi sul punto di annegare, fossero finalmente riusciti ad aspirare la prima boccata d’aria. Ma non l’aria, bensì quel desiderio arcaico e stordente era divenuto la loro salvezza, il loro unico punto di sostegno.

Insieme, sarebbero stati completi. Insieme, nulla e nessuno avrebbe potuto far loro del male.

Lo sentivano. Lo sapevano. E lo volevano.

Febbrilmente, Hanamichi sganciò anche l’altro spillone del chitone e si avventò su quel petto bianco, mordendolo e baciandolo, ricoprendolo di ansimi imploranti e sfiorandolo con respiri affannosi. Non seppe spiegarsi il perché di quella lacrima che sfuggì al suo controllo: quasi non se ne accorse… ma la sentì invece Rukawa che, venendo scottato da quella calda goccia di dolore come da una pioggia di lava, affondò le dita in quei capelli rossi e posò smarrito le labbra sulla fronte madida del suo compagno. Poi si inarcò, offrendosi.

Parole e pensieri banditi. Solo desiderio, intenso bisogno, ricerca di qualcosa che confinava con il dolore.

Kaede emise un gemito, quindi un’implorazione. Si era accorto di una mano che scendeva, scendeva lungo il suo torace fino a giungere a…

Spalancò gli occhi ed emise un urlo strozzato. Un fuoco divampò nelle sue membra e lo privò di ogni forza. Chiuse gli occhi con un singhiozzo e, in un moto spontaneo di resa, lasciò scivolare la schiena contro la liscia parete, abbandonandosi totalmente sulle gelate piastrelle del pavimento.

Quel senso di freddo riuscì a riportargli un accenno di quella razionalità che lo aveva vigliaccamente abbandonato sin dal momento in cui aveva sentito quelle labbra posarsi sulle sue. Allungò a tentoni una mano e urtò con le dita contro la cetra, ormai abbandonata a terra. Ne afferrò il manico e lo strinse con forza nel palmo, sino a ferirsi leggermente con uno degli arabeschi appuntiti a forma di foglia che sporgevano leggermente dall’impugnatura.

Finalmente, si vide. E, smarrito, provò un primo senso di panico.

Che cosa… che cosa stava succedendo? Che cosa gli veniva fatto?! Anzi, no… che cosa gli stava permettendo di fargli!!

Abbassò lo sguardo e fissò quei lucidi capelli rossi che gli stavano accarezzando il bacino. Provò uno spontaneo moto di… di paura. Paura verso ciò che ora stava concedendo e che mai a nessuno prima aveva dato, paura di ciò che questo avrebbe comportato, paura che… che Sakuragi avesse mirato sempre e solo a questo. Ma quell’occulto timore non fu in grado di sovrastare il piacere che quella bocca, quelle labbra stavano facendo esplodere incontrollabilmente dentro di lui.

Sollevò le mani nel disperato tentativo di posarle su quelle braccia abbronzate per cercare di respingerlo… ma riuscì solamente, gemendo, a stringere forsennatamente le dita su quella pelle calda, a gettare indietro la testa con logorato abbandono e ad inarcare la schiena per chiedere di più… per supplicare di avere di più, mentre un nuovo gemito prolungato proruppe dalle sue labbra.

Dimenticare… dimenticare ciò che sentiva di dover fare… provare a seguire ciò che voleva fare… era pericoloso? Oh… ma non riusciva a pensare… non più…!

Venne nella bocca di Hanamichi con un singulto trattenuto… un misto di rammarico e di sollievo.

Chiuse infine gli occhi e rimase immobile, tentando di riprendere il fiato e di dominare il martellio che sentiva alle tempie. Trascorso l’annebbiamento del piacere, comprese cosa era successo. E inorridì.

Inorridì perché non si era opposto, perché gli aveva concesso il suo corpo. Inorridì perché si era spinto così oltre proprio con Sakuragi, dimenticando ciò che avrebbe invece dovuto ricordare: che erano nemici, che quell’uomo aveva ucciso i suoi sudditi e lo aveva fatto suo prigioniero!! Inorridì perché, nonostante tutto ciò, avrebbe voluto che continuasse dato che… era riuscito a farlo sentire bene, a fargli provare un senso di calore. E questo… questo lo colmava di terrore. Si era lasciato andare, aveva dimenticato se stesso. Nessun altro aveva mai avuto un tale potere su di lui!! No… non voleva debolezze… non voleva soffrire o venire ferito… ed ora provava così tanta repulsione verso se stesso…

Sentì delle labbra sfiorare con delicatezza le sue. Spalancò le palpebre e si specchiò in due occhi castani, colmi di gratitudine e di dolcezza. Di amore.

Non seppe trattenere un urlo di rabbioso dolore. Si divincolò forsennatamente da quell’abbraccio, sferrando pugni alla cieca su quel petto premuto contro il suo, tentando di allontanarsi quanto più possibile da quello sconosciuto che aveva saputo fargli dimenticare i suoi principi morali, la distanza che avrebbe dovuto esserci fra loro. Che lo aveva costretto, per la prima volta, a vergognarsi di se stesso. Aveva rinnegato il sangue versato che li malediva, l’umiliazione, l’orgoglio, la libertà!! Si era dimostrato spregevole.

Hanamichi subì passivamente, privo di parole, quello scatto, quel panico, quella paura. Si fermò, sperduto. Fu simile al risveglio da un sogno con una secchiata d’acqua gelida. Si sollevò e frappose della distanza fra loro, incapace di comprendere il motivo di quella reazione convulsa.

Che cosa… che cosa era successo?

Immobile e angustiato, vide Rukawa tentare affannosamente di coprirsi con la veste, avviluppata a terra a poca distanza da lui. Respirava con affanno e sfuggiva il suo sguardo, come avrebbe fatto un animale braccato. I suoi gesti erano scoordinati, le mani instabili, gli occhi spalancati e offesi.

Kaede si strinse la stoffa attorno al corpo e con un singhiozzo si raggomitolò a terra, voltando la testa dal lato opposto rispetto a lui. Ma non era dolore o debolezza… era collera. Rabbia verso di lui, ma più di tutto verso se stesso.

Hanamichi corrugò la fronte, sentendo l’amaro retrogusto della paura invadergli la bocca. Che cosa era giusto fare? Allungò con qualche esitazione una mano e la posò con delicatezza su quella spalla, scossa da impercettibili sobbalzi.

Rukawa trasalì e scattò, ringhiando con voce furiosa: "Vattene! Vattene via!!"

"Kaede…?" mormorò, incredulo per quell’improvviso ed inspiegabile voltafaccia.

"Ti ho detto di andartene!! Lasciami stare. Lasciami ‘stare’!!! Bastardo, maledetto!! Perché… perché!!"

Il tono era collerico, quasi isterico. Colmo di qualcosa che sembrava… sembrava… odio? No, non doveva essere. No… no!! Non poteva aver sbagliato tutto. Ma perché stava succedendo questo?!!

"Rukawa… che cosa succede? Che cosa ti ho fatto… io non…" sussurrò con voce debole.

"Lasciami stare, per favore… lasciami stare! Ti è piaciuto approfittarti di me… hai avuto quello che volevi? Desideravi questo, non è vero? Umiliarmi… prenderti tutto ciò che rimaneva della mia dignità, del mio onore, vedermi ai tuoi piedi! Mi volevi sottomesso ai tuoi voleri. Ed ora, sei contento? Dimmi, lo sei?! Cosa vuoi ancora? Cosa?!"

Sussultò e si affrettò a rispondere: "No!! Non hai… non hai capito niente! Io…"

"Stai zitto! Vai via!! Non ti voglio qui, non voglio più vederti! Perché… basta!! Io non la sopporto più… questa situazione, non la sopporto più! Questa non è la mia casa, questo… non è il mio posto!"

Hanamichi comprese di non aver mai saputo cosa effettivamente fosse il dolore di una coltellata al cuore… prima di quell’istante… prima di udire quei singhiozzi di rabbia a malapena soffocata. Prima di ascoltare quelle parole di dolore.

Strinse il pugno con forza e mormorò, con la voce soffocata ed il respiro a scatti: "Io… mi dispiace. Non era questo che avrei voluto. Perdonami, perché invece… è questo, questo solo che ho saputo darti. Sei molto infelice, vero? Lo… lo sono anche io. Sono stato un illuso nelle mie speranze, e queste illusioni le ho fatte scontare a te. La verità è che… tu non hai affatto bisogno di me. Ed io… io senza di te non riesco a vivere"

Kaede sentì i suoi passi perdersi negli echi del corridoio, sino a svanire nel nulla.

 

 

Rukawa si svegliò il mattino successivo, sentendosi incredibilmente confuso ed indolenzito. Si trovò ancora disteso a terra, seminudo, coperto solamente da una veste stropicciata che veniva scossa dalla leggera brezza proveniente dal balcone. Rimase per un attimo immobile, fissando senza vedere quel cielo azzurro e privo di nuvole. La sua testa… pesava in un modo incredibile, mentre le palpebre pesanti sembravano gonfie… gli riusciva difficile tenerle aperte. Ma… aveva forse pianto? Non se ne ricordava. Non rammentava più nulla di sé dal momento in cui l’aveva udito andarsene, perché da allora non aveva fatto altro che ripensare a quelle parole. Vorticavano nella sua mente, gemevano, urlavano e pretendevano.

‘La verità è che… tu non hai affatto bisogno di me. Ed io… io senza di te non riesco a vivere’

Rievocare quella frase… ammettere quanto parte di essa fosse falsa. Adesso capiva tutto.

Doveva trovare Sakuragi. Doveva parlargli… spiegargli perché si fosse comportato in quel modo, perché lo avesse rifiutato. Le parole non dette avevano già fatto loro abbastanza male. Ed era sempre stata sua la causa, non di Hanamichi.

Sapeva di averlo ferito. Lo aveva respinto ed insultato… perché? Per la propria paura. Per orgoglio.

Ora Hanamichi doveva sentirsi profondamente amareggiato, forse era anche adirato. Ma sicuramente, ed era ciò che più lo tormentava, sofferente.

Lo stava consapevolmente facendo patire con le proprie concessioni, immediatamente ritrattate da bruschi e taglienti rifiuti. Lo costringeva a portare tutto il peso della sua indecisione, del suo timore di rendersi debole… gli stava facendo credere il contrario di ciò che avrebbe dovuto confidargli! Tutto questo perché aveva… paura. Sì, aveva paura anche solo di ammettere di averne. Ma era ora di farla finita: doveva trovare Hanamichi.

Si rivestì e si slanciò all’esterno delle sue camere, percorrendo i corridoi e precipitandosi all’interno delle stanze del sovrano di Andro. Ma lì… non c’era nessuno. Salì sul terrazzo, (‘Non è vero che sei solo… non è vero che non riesci a suscitare affetto. Io ti amo. Io sarò accanto a te… sempre, finché mi vorrai’) ma anche esso era deserto. Dove poteva essersi cacciato, quel testone? Ridiscese e si decise a tuffarsi fra i dedali del tortuoso palazzo, pronto a cercarlo in ogni anfratto. Le guardie non si fecero problemi a lasciarlo passare: ormai Hanamichi gli aveva concesso la libertà di recarsi ovunque volesse, purché all’interno della reggia. Inoltre, circolavano voci che mormoravano insistentemente che lui e Sakuragi fossero amanti… indiscrezioni che avevano contribuito a diminuire di molto la sospettosa vigilanza nei suoi confronti, e che avevano anche spento la speranza di quanti (ed erano molti!) ammiravano con malcelato desiderio la bellezza di quel giovane dagli occhi blu.

Tempo fa, Rukawa avrebbe cercato di approfittare di questo allentato controllo per mettere a punto un piano di fuga… ma troppe cose lo avevano investito da allora.

Aveva detto ad Hanamichi, la sera precedente, che quel luogo non era il suo posto… ma, se le cose stavano così, allora esisteva davvero un posto per lui?

Alla svolta di un corridoio si scontrò letteralmente con Mito, che stava conducendo per mano una ragazza fragile e aggraziata, la quale non smetteva per un attimo di rimproverarlo vivacemente su qualche astrusa questione, usando una libertà che sorprendeva tanto era inusuale per la loro cultura. Kaede si fermò in silenzio, non riuscendo ad evitare di fissarla con curiosità: era molto bella, con occhi scuri sottolineati dal trucco verde e lunghi capelli neri acconciati sulla nuca… aveva lineamenti egizi, fini e puri.

Ecco spiegato il perché della sua spigliatezza! Era noto a tutti che in Egitto le donne godessero di una grande libertà… là nessuno si sarebbe azzardato a relegarle in un gineceo, come accadeva nei reami dell’Ellade.

Quella pelle abbronzata emanava un profumo sottile e discreto, ammaliante come il leggero tintinnio dei suoi bracciali d’oro. Era magra, ma… ma si notava in lei la pesantezza dovuta ad un dolce fardello. Doveva già essere il sesto mese di gravidanza.

Yohei colse subito l’occasione per sfuggire alla rampogna, esordendo frettolosamente: "Rukawa, sono felice in incontrarti! Permettimi di presentarti la mia futura moglie. Il suo nome è Nofret…"

Kaede non era mai stato un maestro di cortesia, soprattutto se si trattava di donne. Nei confronti di quelle che catalogava come svenevoli e stupide non riusciva né tentava di celare il suo disprezzo, mentre quelle che rispettava ed ammirava sapevano far affiorare in lui un’insospettabile vena di incertezza, che istintivamente celava dietro modi bruschi.

Questa volta si sforzò tuttavia di sorreggere lo sguardo dolce e profondo di quella giovane, cercando dentro di sé qualche parola da pronunciare per non dimostrarsi incivile. Quando gli sembrò di aver ottemperato ai suoi obblighi, si rivolse a Mito senza ulteriori tentennamenti: "Dov’è Sakuragi? Devo parlargli immediatamente! E’ importante"

Yohei spalancò gli occhi, sorpreso da quella richiesta veemente, ed iniziò a rispondere con qualche esitazione: "Hanamichi? In questo momento si trova nella sala del trono…"

Non gli servì un ulteriore incentivo. Cominciò subito a correre, ignorando la voce di Mito che gli stava urlando dietro: "Ehi!!! Aspetta, non puoi andare! Con lui c’è…"

Ci fosse stato chi voleva! Doveva parlargli ora, perché ora sapeva che cosa dirgli! No, non avrebbe più esitato. Gli avrebbe confidato ciò che provava. Basta con i paraventi, basta con gli sguardi fintamente impassibili. Era giunto il momento di smetterla con questo assurdo gioco di concessioni e di rifiuti che non faceva altro che ferire entrambi.

Giunto di fronte all’imponente porta di mogano che costituiva l’accesso al salone centrale, si vide sbarrare la strada da due guardie armate. Accidenti! Ma aveva forse offeso qualche divinità, per venire osteggiato così?

"Fatemi entrare" sibilò con voce gelida.

Le sentinelle sembrarono colpite nella loro sicurezza dal suo tono imperioso ed avvezzato al comando, ma non indietreggiarono dalle loro posizioni.

Una di esse gli spiegò: "Mi dispiace, ma abbiamo ricevuto ordini precisi. Il sovrano di Andro in questo momento è impegnato e non deve assolutamente venire disturbato"

Kaede socchiuse minacciosamente gli occhi. Non sopportava che qualcuno gli mettesse i bastoni fra le ruote! Lui arrivava sempre doveva voleva. Sempre! Ma stendere questi due guastafeste con un paio di pugni non sembrava esattamente la cosa più diplomatica da fare… ed allora, come? Nh… forse… sì, tanto valeva provarci, anche se era una mossa un po’ azzardata.

"Non credo che voi ignoriate il tipo di legame che vi è fra me e Sakuragi. Se io chiedessi la vostra destituzione, affermando che mi avete oltraggiato, credete che me la rifiuterebbe? Lasciatemi passare, subito. Se non siete stupidi, vi conviene ascoltarmi"

La gente può credere a qualunque storia, purché quello che la racconta sembri esserne convinto.

I due uomini si scambiarono uno sguardo un po’ incerto, poi uno gli fece un cenno leggero col capo: "Seguimi. Ti farò entrare da un ingresso laterale…"

Venne condotto davanti ad una porticina mimetizzata fra i bassorilievi marmorei della parete. Accennò alle due sentinelle di tornare ai loro posti, ripromettendosi fra sé e sé di non dimenticare il favore che gli avevano fatto, e con lentezza la spinse. Si introdusse all’interno, scoprendosi celato da una cortina di tende di porpora. Sentiva due voci discutere a poca distanza da lui. Una era inconfondibilmente quella di Hanamichi, ma l’altra… a chi diamine apparteneva? Gli era familiare… era convinto di averla già sentita…

Scostò parzialmente il velario, arrischiando uno sguardo nella sala. Vide Sakuragi, ritto in piedi in un atteggiamento fiero, con un’espressione che sembrava quasi estranea al suo vanaglorioso atteggiamento abituale: questo era orgoglio, decisione, serietà. Il volto di un sovrano. Incuteva rispetto, esprimeva dominio e volontà.

Davanti a lui c’era…

Come aveva fatto a non pensarci prima! Come aveva potuto non riconoscerlo dalla voce!? Eppure aveva anche avuto degli indizi… che stupido!

Yohei aveva detto che il sovrano di Lacedemone avrebbe fatto scala ad Andro per discutere delle trattative di matrimonio fra sua sorella ed Hanamichi. Il sovrano di Lacedemone… perché non aveva immediatamente associato questo nome ad un volto? Era rimasto talmente scioccato dall’annuncio dello sposalizio da non riflettere minimamente sulle altre notizie di contorno? Probabilmente sì.

Il re di Lacedemone. Un uomo che lui conosceva bene, un suo vecchio alleato… qualcosa di abbastanza simile ad un amico. Un guerriero valoroso, pronto ed abile con la spada, che nei loro scontri gli aveva sempre dato filo da torcere. Forse un po’ troppo ottimista e spensierato per i suoi gusti, a dir la verità…

Akira Sendoh.

Senza pensarci, Rukawa abbandonò il suo nascondiglio e si fece avanti, sussurrando uno stupito: "Akira?"

Quel lieve mormorio fece voltare di scatto i due sovrani, che fissarono due sguardi attoniti sul giovane che dal nulla era comparso accanto a loro.

Il primo a riaversi fu proprio Sendoh, che esclamò con una luce di dubbiosa felicità negli occhi: "Kaede!? Per Zeus… Kaede!!! Io… io non sapevo che tu fossi qui! Nessuno me lo aveva detto! Per tutti gli dei… ma allora… allora sei vivo! Io ti ho cercato dappertutto… ho pianto per te… e tu… tu sei qui!!"

Rukawa si sentì immediatamente stretto da un abbraccio possessivo e stupefatto. L’abbraccio di Akira. Rimase per un attimo immobile ed incredulo, ma non tardò a svincolarsi da quella stretta ed a porre un intervallo fra loro.

Era sorpreso, positivamente sorpreso. Non se lo aspettava.

Quella voce familiare suscitava in lui ricordi lontani… di lotte, sorrisi strappati, coste pietrose e spazzate dal vento… rimembranze che riuscivano a farlo sentire bene… che sembravano avere il potere di fargli riprendere il contatto con se stesso. Talora gli sembrava che Sakuragi fosse riuscito a nascondergli l’anima, e questo lo faceva sentire smarrito.

Sorrise lievemente ad Akira, affermando: "E’ da parecchio tempo che non ci rivediamo… quasi due anni!"

"Già, è vero!" lo udì rispondere "Troppo tempo… ed ora ti vedo qui! Ormai avevo già disperato. Come mai…"

Vennero bruscamente interrotti da una voce metallica e rabbiosa. La voce di Hanamichi, ma talmente tesa e dura da essere irriconoscibile.

"Posso spiegarti tutto io, Sendoh. Kaede Rukawa si trova qui in qualità di mio prigioniero di guerra. La sua custodia mi è stata affidata dalla Lega delle Isole. E’ un mio ostaggio e, proprio per questo, posso disporne come meglio credo. E non credo sia saggio che rimanga qui" si volse verso Rukawa ed ordinò: "Torna nelle tue stanze. Non ti è stato chiesto di allontanartene"

Quel comando perentorio fece su Kaede lo stesso effetto di un insulto sanguinoso. Impallidì mortalmente, ma prima di poter dire qualcosa la voce tesa di Akira lo precedette: "Sakuragi, non osare permetterti! Non hai il diritto di rivolgerti a lui con questo tono!"

Hanamichi lo fissò con uno sguardo fiammeggiante, sibilando: "Non credo di dover rendere conto a te di come mi comporto con lui! Pretendi di darmi ordini nel mio stesso regno? Dimentichi anche le più normali regole dell’ospitalità. Rukawa mi appartiene… che questo ti sia chiaro! Ciò che decido a suo riguardo è un affare esclusivamente mio… e tu non hai il diritto di intrometterti quando tratto con qualcosa di mio!"

Rukawa li vide sfidarsi con gli occhi, frementi per l’odio. Ancora un attimo e si sarebbero scagliati l’uno contro l’altro, pronti a sbranarsi con rabbioso furore. Questo discorso… colmo di frasi che erano state sottintese ma che entrambi i contendenti avevano recepito perfettamente: asserzioni di possesso, di gelosia. Di amore.

"Rukawa… ti ho detto di andartene! Devo forse ripetertelo? Vai via!" ripeté Hanamichi, senza nemmeno voltarsi a fissarlo.

Kaede comprese che non avrebbe guadagnato nulla a rimanere in quel luogo. Tutte le frasi per cui era giunto lì erano ormai totalmente svanite dalla sua mente, trascinate via dalla delusione, lasciando posto solo a ira e dolore.

Prima di allontanarsi, parlò con voce gelida e distaccata: "Me ne vado, Sakuragi. Se rimanessi qui, credo che verrei soffocato dal disprezzo…"

 

 

Qualcosa di suo. Una sua proprietà. Niente più di questo? Un possesso… un oggetto prezioso da ostentare, alla stregua di un anello d’oro o di un tessuto pregiato. Non era forse così?

E lui che aveva anche creduto… alle sue parole, ai suoi sguardi, al suo dolore… quando ciò che Sakuragi voleva in realtà era solo potersi vantare di questo possesso, ostentare la conquista!! E pensare che aveva rischiato di cedergli, di… abbandonarsi. Che umiliazione. Scottava come un marchio rovente! Rabbia, solo rabbia e disprezzo. Ma anche dolore. Dolore? Già, dolore. Soffriva, perché non era amato. Questo era palese, evidente nelle parole che Hanamichi aveva pronunciato a Sendoh: Sakuragi lo voleva, ma non lo amava. Voleva fare di lui una proprietà, non un amante.

Perché questo faceva male? Poteva davvero essere solamente orgoglio ferito? No, non lo credeva. La ferita era più profonda… e se ne sentiva infamare come da una stigmate di vergogna.

Quando Hanamichi gli aveva sussurrato di amarlo, e tutto ciò sembrava ormai già lontano, lui aveva sempre ostentato indifferenza, distacco, cercando di convincersi che quelle parole non fossero importanti, non avessero su di lui alcun effetto… eppure ora scopriva di sentirne il bisogno, ora che gli sembrava che fossero sempre state false!

Il tono che Sakuragi adesso aveva usato, le frasi autoritarie con cui aveva rivendicato la sua autorità su di lui, lo sguardo minaccioso… oh, per tutti gli dei, non riusciva a dominare la propria ira! Rumoreggiava in lui come un mare tempestoso. E Sendoh? Cosa poteva aver pensato? Forse… che lui e Sakuragi fossero amanti? L’atteggiamento possessivo con cui Hanamichi gli si era rivolto non poteva aver lasciato adito a molti dubbi.

Concedersi al proprio nemico. Chissà quanto doveva disprezzarlo Akira per questo, quanto furore doveva covare dentro di sé, credendo che fosse stato concesso a Sakuragi ciò che a lui invece era sempre stato negato!

Rukawa, mentre questi pensieri si accavallavano nella sua mente, stava attraversando in fretta i corridoi che conducevano alle sue stanze. Il suo sguardo era talmente cupo che tutte le persone che incrociava badavano a tirarsi accuratamente da parte in modo da lasciargli libero il passo. Nessuno osava fermarlo… tutti avevano la netta impressione che, toccandolo, ne sarebbero usciti ustionati. Ma, evidentemente, qualcuno abbastanza pazzo da osare c’era: Kaede si sentì afferrare bruscamente per un polso da una persona che lo aveva raggiunto e che ora si trovava alle sue spalle. Strinse con forza un pugno, si voltò e si preparò a colpire con gelida ferocia chiunque si rivelasse essere quello scocciatore suicida.

Era Sakuragi.

Bloccò il braccio e rimase immobile per un istante, poi liberò il polso con una brusca torsione e frappose fra loro alcuni passi di distanza, con un’espressione sul volto a mezzo fra il disgusto e l’ira.

"Che cosa vuoi!?" sibilò, trovando in sé senza sforzo il suo tono più gelido.

"Rukawa… no, non usare quella voce, non guardarmi così, per favore! Non combattermi. Io… non so cosa dire. Come farmi perdonare. Scusami. Non avrei dovuto rivolgermi a te in quella maniera. Ho sbagliato… ma non odiarmi! Non lo sopporterei. So che queste pretese mi fanno disprezzare ancora di più da te. Il fatto è che…"

"Il fatto è che sono tuo, giusto?! Quindi ti è riuscito spontaneo usare un tono simile, quello che si utilizza per far stare al proprio posto l’ultimo dei propri stallieri, per rivolgersi al più spregevole dei propri servi! Anzi, nemmeno… di solito con i servitori si adopera almeno un minimo di cortesia! Forse così si trattano… solo le prostitute…"

Hanamichi abbassò colpevolmente gli occhi e si morse il labbro, mormorando: "Ti ho seguito non appena ho risentito nella mente le frasi che io stesso ho pronunciato. Capisco che tu sia arrabbiato. Ho perso la testa… ma la colpa è di Sendoh"

"Akira?" proferì, incredulo "Ma cosa vai dicendo?! Tutte le scuse sono buone, vero? Sentiamo, che diamine può aver fatto lui per…"

Sakuragi lo interruppe, incrociando con sicurezza il suo sguardo: "Il modo in cui ti ha guardato, la voce con cui ti ha parlato. Ti ha abbracciato… ed avresti dovuto vedere il suo sorriso!! E’ evidente ciò che vuole da te… non è nemmeno una novità! Tutti sanno che il sovrano di Lacedemone è perdutamente invaghito di Kaede Rukawa sin da quando l’ha visto per la prima volta, a nove anni. Questa storiella è diventata ormai una di quelle leggende romantiche a cui i citaredi inventano un lieto fine, paragonata al leggendario idillio fra Patroclo ed Achille! Dovrei tollerarlo? Avrei voluto che non sapesse che tu sei qui… non posso sopportarlo, dannazione! Gelosia: tu sai cosa voglia dire? Quanto bruci questo fuoco, questa impotenza, questo dolore? Evidentemente no, visto che non vuoi permetterti di amare! Io lo odio. Non voglio che lui… che lui ti guardi come se tu fossi suo, come se gli appartenessi! E non mi piace che tu lo tratti con tanta familiarità. Non ti lascerò a lui!! Imparerà che tu non sei suo!"

"Taci! Io non sono suo… ma non sono nemmeno tuo, maledizione!! Lo capisci, questo? Io non ti appartengo!!"

Dopo un attimo di allibito stupore, Hanamichi gli fu addosso e lo afferrò per i polsi, addossandolo contro il muro e sibilando con tono trattenuto: "Dimmi la verità: è… è stato il tuo amante?"

"E se anche fosse così?" lo provocò Kaede.

"Lo ucciderei" rispose Sakuragi, senza esitazioni.

"Lasciami. Lasciami subito!"

Un lampo attraversò le iridi di Rukawa. Un lampo talmente sinistro da costringere Hanamichi ad abbandonare la presa.

Rimasero l’uno di fronte all’altro per qualche istante, ansimanti e frementi, prima che Rukawa riuscisse ad affermare con voce monocorde: "Tentare di imprigionarmi è il modo migliore per suscitare il mio odio, Sakuragi. Ricorda che l’hai voluto tu, non io"

Si voltò e si allontanò.

Era soddisfatto di ciò che aveva detto, ma… no, non si sentiva di certo sereno o placato. Il suo animo infuriava più che mai.

Sbagliato.

Era questa l’unica parola che gli veniva in mente: sbagliato.

Si stavano comportando in modo sbagliato. Ma perché?

Lui non poteva perdonare e lasciar correre. Non poteva accettare che qualcuno lo trattasse in quel modo. Soprattutto se… se quel ‘qualcuno’ gli aveva fatto scoprire delle vulnerabilità che ora doveva solo tentare di dimenticare.

Odiava… perché era molto più facile chiamare quel sentimento ‘odio’.

 

 

Sakuragi aveva cercato di parlargli quella sera stessa, ma si era rifiutato di ascoltarlo.

La rabbia che lo aveva dominato immediatamente dopo il loro alterco era passata presto: lui non era una persona disposta a lasciarsi dominare dall’ira troppo a lungo. La collera acceca, priva di lucidità, obnubila la ragione. Non ne aveva affatto bisogno, quando la sua freddezza era sempre stata l’arma più sicura che avesse.

Ma l’amarezza… quella non l’aveva abbandonato. Ciò che lo faceva stare peggio era la consapevolezza di essersi dimostrato ingiusto: si rendeva conto di non aver alcun diritto di prendersela con Hanamichi, di scaricare su di lui la sua delusione. L’unico responsabile dell’amarezza che stava provando era solamente lui, Kaede Rukawa. Già, proprio lui! Lui, che si era aspettato troppo, che aveva sperato in un sogno, che aveva cercato di inserire Sakuragi in un ritratto che non gli si confaceva veramente. Da una vita… era duro ammetterlo, ma era da una vita che stava attendendo di trovare qualcuno che potesse comprenderlo, apprezzarlo, amarlo per ciò che era, solo per ciò che era. Aveva tentato di inserire Hanamichi in questo stampo, di elevarlo all’altezza di quella speranza, ed ora si stava infantilmente arrabbiando proprio con Sakuragi, quando invece era stato lui a costringerlo ad assumere un ruolo, ad indossare una maschera. Non era stupido?

Osservò la sua nuova stanza. Aveva chiesto di venire trasferito nell’ala opposta del palazzo: non voleva vederlo. Stava fuggendo? Fuggendo… ma da cosa? Da Sakuragi o dalla propria paura di trovarsi costretto ad ammettere la ragione del dolore che provava? Perché questa era la verità: soffriva, e soffriva a causa di un sentimento a cui non voleva dare un nome, perché nominarlo avrebbe comportato la necessità di smettere di lottare contro di esso per ricacciarlo nel buio. Aveva paura di perdere contro quelle sensazioni. E non gli era mai successo di rifiutarsi di ingaggiare una battaglia per timore di una sconfitta.

Ma Sakuragi lo amava? Lo amava… o lo voleva soltanto?

Basta… basta con queste domande!! Erano solo un circolo vizioso e inutile.

Un leggero movimento alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Per un istante temette che potesse trattarsi proprio della persona a cui stava pensando… ma venne istantaneamente disingannato. No, non deluso. Solo disingannato.

"Akira…" mormorò semplicemente, mascherando senza difficoltà i suoi pensieri, la sua sorpresa, le sue domande.

"Ciao, Kaede" rispose Sendoh, il volto levigato privo di quel sorriso che lui ricordava essere una presenza perenne su quei lineamenti.

"Cosa ci fai qui? Come hai fatto ad entrare?"

"Ho chiesto a Sakuragi il permesso di farti visita e lui me lo ha concesso"

Rukawa, a queste parole, sentì un dolore al cuore… molto simile ad una trafittura. Questa concessione di Hanamichi aveva tutta l’aria di essere una richiesta di perdono, una dichiarazione di fiducia e rispetto nei suoi confronti. Ma non doveva lasciarsi commuovere…

Sendoh sembrava a disagio. Sfoggiava la classica espressione di chi avrebbe voluto sapere tante cose, ma al contempo era troppo intimidito per poter iniziare un discorso diretto.

Rukawa aggrottò la fronte e si mantenne in silenzio. Se una persona voleva domandargli qualcosa, lo facesse pure: lui non si sarebbe certo sognato di incoraggiarla a parlare! Inoltre, quell’atteggiamento insicuro lo stava facendo irritare. Detestava quelli che tergiversavano inutilmente. In quel momento, oltretutto, era particolarmente nervoso…

"Da quanto tempo ti trovi qui, Kaede?" riuscì finalmente a mormorare Sendoh, sfuggendo i suoi occhi.

"Dalla presa di Rodi" replicò asciuttamente.

Akira mosse nervosamente qualche passo, poi si bloccò ed iniziò a parlare: "Avevo già preparato una spedizione di soccorso per rispondere alla tua richiesta di aiuto. Ero in procinto di salpare, quando mi giunse la voce della tua resa. Non so esprimerti a parole la rabbia, il dolore che provai a quella notizia… l’odio che sentii verso me stesso! Troppo tardi. Non ero riuscito a venirti in aiuto. Troppo tardi!! Kaede, tu devi credermi! Io stavo venendo da te… non avrei mai potuto negarti il mio appoggio! E la sofferenza di ignorare ciò che ti fosse accaduto, di immaginarti morto o schiavo impotente… avrei trascinato il mio regno in una guerra contro l’intera Lega delle Isole se Koshino non mi avesse fermato! Fu lui a convincermi a non gettarmi in un’impresa tanto folle, ma a partire in cerca di tue notizie… ed ora, quando già iniziavo a disperare, ti trovo qui! Bene, mi dico, ora non mi resta che liberarlo dall’odiosa prigionia! Ed invece scopro… con dolore, con stupore… che il sovrano di Andro, il tuo tiranneggiatore, sembra non risultarti eccessivamente antipatico! E da quanto lo conosci? Pochi mesi?! E’ buffo che io da anni ti ripeta cosa provo per te, che debba sopportare le tue richieste di tempo, la tua volontà di riflettere prima di darmi una risposta, che debba rispettarti… solo per veder tutta la mia rocca di aspettative crollare in questo modo! Ma almeno… sei felice?"

"Ti sembra che io possa esserlo?" ribatté Rukawa freddamente.

Sendoh lo fissò per qualche istante, poi mormorò con lentezza: "Onestamente, non lo so. Non so che cosa provi, non l’ho mai saputo… non mi hai mai concesso di capirti, per quanto questo fosse ciò che io desideravo più di ogni altra cosa. Ti ho amato in silenzio a lungo, arrovellandomi sui tuoi mutismi, edificando palazzi di gioia su un tuo sorriso, rivoltando in ogni singolo significato una tua esclamazione… ed ora scopro che sarebbe stato sufficiente prenderti con la forza, umiliarti, fare di te il mio schiavo, calpestarti… per poter avere il tuo cuore!!" concluse con un sibilo di disprezzo e di velata sofferenza.

Kaede impallidì mortalmente e strinse i pugni con tutta la sia forza, riuscendo a dominarsi. Quando parlò, la voce era tangibilmente controllata: "Vattene. Non sono obbligato ad ascoltare i tuoi insulti"

"E’ la nuda verità a sembrarti insultante?"

"No, lo sono le tue menzogne!"

Akira gli si avvicinò e lo fissò con occhi brillanti di rabbia. Contenere l’ira e la delusione si stava rivelando sempre più difficile.

"Menzogne?! Oseresti perfino cercare di negare l’evidenza?!"

"E quale sarebbe l’evidenza che stai citando?!"

"Il tuo rapporto con Sakuragi!" urlò "L’abbandono con cui gli permetti di trattarti come vuole… come se tu gli appartenessi! Ed è proprio questo: tu gli appartieni. Ma perché ti sei concesso a lui? Come hai potuto! Lui… un tuo nemico, un maledetto usurpatore… ma che fine ha fatto il tuo orgoglio?! Io ti credevo diverso, e invece…"

"Taci! Tu non sai nulla di me, non mi conosci… non provare a giudicarmi! Cerca di stare zitto e di evitare di dirmi simili sanguinose villanie! Fra me e Sakuragi non c’è nulla!"

Sendoh spalancò gli occhi e tacque. Dopo qualche attimo, riuscì finalmente a balbettare: "Nulla? Ma… ma allora… non siete amanti? Fra voi… non c’è alcun tipo di legame?"

"Nessuno, se non le catene della prigionia che mi trattengono qui contro la mia volontà"

Rukawa non aveva esitato nel rispondere. No, non aveva esitato… ma la fitta al cuore si era ripresentata, acutizzata dalle sue stesse parole. Da quando aveva iniziato a non dire più la verità, se questa gli veniva richiesta? Era vero, le sue risposte non potevano definirsi menzogne, ma… ma le parole erano torbide come acqua stagnante. Frasi opache che nascondevano completamente intere pagine di domande e di rimorsi…

Kaede scosse con fastidio il capo, poi pretese stizzito: "Ed ora, lasciami solo. Mi hai insultato abbastanza, rivolgendoti a me con una libertà che nessun mio atteggiamento passato potrebbe giustificare… non ho intenzione di sopportarlo oltre!"

Udì un sospiro, poi un flebile: "Scusami"

Non rispose nulla, non spianò la fronte. Il suo viso rimase glaciale, le sue labbra serrate, le sopracciglia contratte.

Sendoh capì che quel vocabolo debole e striminzito non era bastato, così riprese: "Ti chiedo perdono, Kaede. E’ solo che… cercarti per ogni dove e poi ritrovarti fra le braccia di una persona come Sakuragi! Ho perso ogni controllo. Io ti amo, tu lo sai che è soltanto questo. Lo hai sempre saputo, credo: lo sapevi quando ci battevamo, quando parlavamo, quando ci guardavamo. Quando tentavo di prenderti la mano e tu ti ritraevi, ma non mi allontanavi… ed io non ti capivo, ma ti amavo, ti amavo! Era evidente in ogni mia azione. Ed ormai sono passati più di dieci anni dalla prima volta che ti vidi. Io non posso evitare di… per Poseidone, non voglio soffrire! Vorrei sapere se… se ti trovi bene qui"

Rukawa si passò con stizza una mano fra i capelli, esclamando: "Cosa pretendi che ti dica?! Io devo stare qui! Che senso avrebbe fantasticare inutilmente, lamentarmi, chiedermi se sto bene oppure no? Non posso di certo fuggire…"

"Io ti farò fuggire" affermò con lentezza e decisione Sendoh, ricercando il suo sguardo.

Kaede spalancò gli occhi, incredulo.

Scappare. Da quanto aveva cessato di considerarla una possibilità realizzabile?!

Andarsene. Svincolarsi, riprendere il dominio della sua vita, librarsi libero verso altri orizzonti. Lasciare Andro e quella prigione dorata…

Abbandonare Hanamichi.

Inconsapevolmente, rispose ad alta voce: "No…"

Se fosse fuggito, non lo avrebbe visto mai più? Mai più quegli occhi, quella voce, quel sorriso, quelle parole? Mai più gli abbracci, gli sguardi? Mai più… quelle labbra sulle sue? Mai più…

Ed in un attimo, dalla sua mente svanirono i risentimenti, i dubbi, i tormenti. Rimase solo la serenità profonda che Hanamichi era riuscito a fargli provare… le risate, i litigi, i silenzi e le parole.

Lo amava? Lo amava… davvero? Lui amava Hanamichi?! E lo aveva sempre saputo…?

La voce di Sendoh lo richiamò alla realtà: "No?! Ma… non vuoi… riavere la tua libertà? Preferisci queste mura, questa prigionia, la schiavitù, il possesso? Ma… ma cosa ti è successo?! Non ti riconosco più! Che cosa ti ha fatto Sakuragi?!"

Scattò immediatamente: "Che cosa intendi dire? Cosa mi ha fatto… o piuttosto, cosa io gli ho concesso!? E’ questo ciò a cui stai alludendo? Pensi che lui mi abbia sottomesso, che mi abbia domato o posseduto? Non osare insinuare una cosa del genere…"

"E cosa altro dovrei pensare? Il Kaede Rukawa che conoscevo non avrebbe mai ceduto la propria indipendenza per un futuro di servilismo!"

Era vero. Il vecchio Kaede Rukawa… non avrebbe mai detto ‘no’.

Fuggire… non era ciò che aveva sempre desiderato dal primo momento in cui aveva posto piede lì? Ed ora… ora che ne aveva l’occasione… rifiutava?! E perché? Per… per una stupida… che fosse davvero un’infatuazione? Non poteva essersi innamorato di Sakuragi. Non doveva amarlo! Non poteva permettere di rendersi schiavo dei suoi sentimenti. Del resto… cosa provava Hanamichi per lui? Amore? Forse. Ma forse no. E subito… subito si sarebbe sposato! Che ne sarebbe stato allora di lui? Un balocco messo in disparte, un cane costretto ad accontentarsi degli avanzi, ignorato, considerato distrattamente solo durante i ritagli di tempo? Sarebbe stato un suo amante, ma posto nell’ombra, illegittimo, disprezzato da tutti. Uno dei tanti prigionieri che diventano oggetti di piacere. Tutti lo avrebbero guardato dall’alto in basso! Quanto ci avrebbe messo Hanamichi a stancarsi di lui? E quanto avrebbe sofferto lui, quando questo sarebbe successo? Migliaia di volte più di quanto stesse soffrendo ora al pensiero di andarsene…

La libertà… non poteva barattare la libertà con un futuro incerto, oscuro, infelice… con un avvenire di schiavitù! Se Hanamichi lo avesse amato davvero, avrebbe dovuto rendergli la libertà, dato che sapeva quanto lui ci tenesse. Ma non lo aveva fatto… non glielo aveva nemmeno proposto!

Aveva sempre cercato di essere ciò che avrebbe voluto sembrare. Non poteva tradire i suoi ideali proprio ora!

"Va bene, Akira. Potrei accettare di fuggire con te. Ma non tentare di farmi credere che la tua sia una proposta disinteressata! Cosa vuoi in cambio?"

"Nulla. Mi basta vederti lontano da Sakuragi"

Kaede strinse i denti. Aveva scelto ed era sicuro di ciò che aveva scelto, ma ora provava la stessa sensazione che lo affliggeva quando doveva uccidere qualcuno: nessuna indecisione… solo una lama che nel frattempo lo dilaniava dentro.

Lontano da Sakuragi. Oh, ma avrebbe mai cessato di far male? Si era lasciato ferire e non se ne era nemmeno accorto. Aveva tentato di proteggersi e si era pugnalato da solo.

 

 

Hiroaki Koshino stava affilando la sua spada quando udì dei passi pesanti avvicinarsi alla stanza singola che il sovrano di Andro gli aveva assegnato, in quanto migliore amico e consigliere più fidato del sovrano di Lacedemone. Già, amico e consigliere. Niente di più.

"Ah… maledizione!!" imprecò furiosamente, portandosi il pollice alle labbra.

Si era tagliato… tutta colpa di quei stupidissimi pensieri idioti! Come se potessero servire a qualcosa, dato che non riusciva a trovare il coraggio di esprimerli ad alta voce. Se qualcun altro avesse osato dargli del vigliacco, lo avrebbe appeso al muro con una lancia senza nemmeno sbattere le palpebre… ma la cosa era alquanto diversa quando si trovava costretto ad appiopparsi quel termine da sé! Per Zeus… da anni si trovava in quella situazione maledetta! Gli faceva provare una rabbia… un’ira accecante, perché non vedeva vie d’uscita, non ce n’erano!!

Scagliò con impeto un coltello verso la porta. La lama si conficcò a pochi centimetri dal viso di Sendoh, che aveva fatto la sua comparsa sulla soglia proprio in quell’istante. Il sorriso stampato sul suo viso immediatamente si tramutò in una alquanto comica smorfia di spavento…

"EHI!!! RAZZA DI CRETINO!!!! Ti sembra divertente scagliare armi in giro per la stanza, anzi esattamente verso l’uscio d’ingresso, quando qualcuno potrebbe entrare e ritrovarsele piantate addosso?!"

Sbuffò e replicò acidamente: "Taci, Akira… è colpa tua! Avresti dovuto avvertire prima di entrare!!"

"E da quando io devo chiedere un permesso formale per fare ingresso nella tua stanza?! Del resto, dimentichi sempre che io sono il tuo sovrano… non ti passa proprio per la testa che tu dovresti portarmi un minimo rispetto?!"

Sollevò verso di lui uno sguardo vuoto, osservando atono: "Dunque, non sono più nemmeno il tuo migliore amico? E quando non potrò più chiamarti Akira, ma dovrò dire ‘sua maestà’? Fra quanto tempo non mi sarà più concesso di guardarti negli occhi? Quando inizierai a guardarmi dall’alto in basso, come si farebbe con un servo?!"

Sendoh sbuffò e ribatté: "Hiroaki, perché hai la mania di estremizzare tutto?! Per favore, adesso lasciamo perdere… non ho tempo per inutili litigi! Sbrigati, vai a preparare la nave. Partiamo questa notte stessa!"

Koshino si levò in piedi, non riuscendo a trattenere un’esclamazione di stupore: "Che cosa? Ma… perché stanotte?! Non hai nemmeno preso congedo da Sakuragi, non puoi andartene così! Akira… si può sapere che diamine hai combinato stavolta, per trovarti costretto a fuggire protetto dalle tenebre?!" concluse severamente, tentando di mascherare la preoccupazione.

"Non fare domande inutili, ti prego! Certe volte sei esasperante. Limitati a fare semplicemente quello che ti è stato detto"

Questo era il tono da sovrano. Akira non lo usava mai nei suoi confronti, se non in casi eccezionali… e, comunque, mai senza una spiegazione.

Non c’era mai stata tanta stringatezza nella sua voce, prima d’ora.

Koshino abbassò la fronte ed annuì in silenzio, stringendo i pugni con rabbia e dolore. Che altro avrebbe dovuto fare? Cosa avrebbe potuto dire? Era solo un consigliere, dopotutto. Ah… è vero, anche un amico! Ma questo a volte Sendoh sembrava dimenticarselo.

Si apprestò ad uscire dalla stanza, ma una voce contrita lo richiamò.

"Hiroaki, io… scusami. Sono nervoso…"

Fu fortemente tentato di voltarsi a fissarlo con quello sguardo di scettico disprezzo che Akira odiava con tutto se stesso, replicando con una delle frasi più acide che fossero disponibili nel suo vasto repertorio… eppure non lo fece. Qualcosa lo indusse a continuare ad ascoltare.

"… voglio far fuggire Kaede. Stanotte riuscirò a condurlo fuori da qui. Lo porterò al sicuro, a Lacedemone… lo porterò via con me"

Deglutì e riuscì a ribattere con voce neutra: "Ma lui… ti seguirà?"

"Sì, mi ha dato la sua approvazione"

"Sei veramente sicuro che sia quello che voglia?"

Udì la voce di Sendoh affilarsi per replicare con tono freddo: "Cosa intendi dire?"

Si voltò e piantò gli occhi nei suoi, spiegandosi tranquillamente: "Forse in realtà è solo il suo orgoglio a voler fuggire. Forse lui desidererebbe rimanere qui… ma questo desiderio lo fa sentire umiliato, e con questa fuga lui cerca solo di combattere dei sentimenti che ha paura di accettare. Sai, ho sentito circolare strane voci su di lui e Sakuragi…"

"TACI!! Tu non sai nulla! Come puoi pretendere di conoscere i sentimenti di Rukawa? Io… non ripetere più una cosa simile! Non c’è nulla di vero, assolutamente nulla!"

Gli occhi di Hiroaki si intristirono, quando sussurrò: "Akira… ti avevo chiesto di dimenticarlo. Ti avevo invitato a lasciarlo perdere… per il tuo bene, non per altro!"

Sendoh strinse con forza i pugni, ribattendo con tono dolorosamente soffocato: "Credi che sia una cosa che si può decidere a comando!? Pensi che sia semplice? Ma non sai proprio nulla dell’amore?!"

Un lampo dardeggiò nelle iridi scure di Koshino, ma si spense immediatamente, mentre il giovane mormorò con voce controllata: "Forse, invece, ne so addirittura più di te. Vorrei solo che tu non soffrissi a causa di qualcuno che non ti potrà mai ricambiare, perché ama già un altro… ma ha semplicemente paura di ammetterlo"

"Che ne sai tu di tutto questo? Rukawa potrebbe amarmi… so che potrebbe innamorarsi di me! Io… voglio lui. Voglio il suo amore, potrei amare solo lui…"

"Certo, Akira…" ribatté Koshino con durezza "Sono convinto che tu ci creda. Ma sei sicuro di volere il suo amore e non, semplicemente, dell’amore? So che spesso un’impuntatura, del desiderio e un capriccio possono assumere sfumature molto intense, e che…"

"Smettila, Koshino!!" lo bloccò Sendoh con un tono sferzante "Non ho intenzione di ascoltarti oltre! So che… non mi ama. So che… che… prova qualcosa per Sakuragi. Era questo che volevi farmi ammettere? Bene, lo ammetto, allora! Lui sente qualcosa per quell’idiota, l’ho capito… da come l’ha guardato, da come parla di lui, da come ha esitato nell’accettare il mio aiuto… ma questo sentimento non è ancora definito, e questa è una ragione in più per troncarlo prima che acquisti vigore! Per quanto riguarda ciò che invece provo io, non ho alcun dubbio: sono certo di amarlo. E voglio portarlo via con me. Sbrigati, vai ad ordinare ai miei uomini di issare le vele, di fare i preparativi per la partenza e di aspettami in porto. Fra un paio d’ore ti raggiungerò con Rukawa"

Fece un sorrisetto nervoso, sollevando un sopracciglio ed osservando: "Come pensi di riuscire a eludere la sorveglianza, mio caro signor ‘è già tutto a posto, fai solo quello che dico’?"

"L’oro è sempre un ottimo mezzo di persuasione. Pensi che sia possibile confrontare un futuro da soldato semplice, privo di alcuna prospettiva, con un avvenire sfavillante garantito da… che so, anche solo dall’anello che sto portando al dito!? Ora vai! Subito!"

Hiroaki abbassò lo sguardo e uscì in silenzio, per una volta senza cercare di avere l’ultima parola. Si sentiva troppo amareggiato perfino per poter litigare.

Doveva aiutare Akira a fare l’infelicità di ben quattro persone? Infelicità di Sakuragi, pazzamente innamorato di Rukawa… e di Rukawa stesso, che non avrebbe mai potuto ricambiare Sendoh, lui lo sapeva, e che poteva trovare ciò che cercava soltanto ammettendo quanto già provava. Infelicità di Akira, che non sarebbe riuscito a sopportare di non venire amato da Kaede, e che avrebbe finito col fare qualche pazzia. Ma, soprattutto, sofferenza ed infelicità per lui stesso. Per lui, Hiroaki Koshino… per i suoi sentimenti che mai nessuno faceva attenzione a non calpestare, convinti come tutti erano che lui addirittura non potesse provarne.

Già… ma se davvero non sapeva concepire sensazioni, perché stava così male?

Era tutta colpa… di quell’amore. Quell’amore così cocciuto, così assoluto e così… così egoistico, in fondo.

No, non poteva obbedire a Sendoh. Si sentiva in colpa per quello che stava per fare, ma… ma proprio non poteva condannarsi ad un futuro così tetro.

Aveva bisogno di conservare almeno la speranza che forse… un giorno… quegli occhi avrebbero visto qualcosa di più di un amico, in lui.

 

 

"Koshino ha obbedito scrupolosamente ai miei ordini, come sempre. E’ tutto pronto per partire…" sussurrò Sendoh, scrutando soddisfatto il profilo della sua nave, prontamente allestita, che si stagliava fra le tenebre.

Rukawa non rispose. Continuò a camminare in silenzio, stringendo le labbra e cercando di resistere alla tentazione di girarsi, di ricercare indietro ciò che stava definitivamente per lasciarsi alle spalle.

Era riuscito ad emergere da quel palazzo che per mesi era stato la sua gabbia dorata. Ora ne era al di fuori, a metà strada fra la sua antica prigione ed il porto, ovvero la sua libertà.

Ma si sarebbe davvero potuta chiamare ‘libertà’? Cos’era, poi, questa libertà? Perché, se l’aveva tanto desiderata, ora si sentiva così oppresso? Avrebbe dovuto essere soddisfatto di essere riuscito a sfuggire a Sakuragi… eppure continuava segretamente a sperare che accadesse qualche inconveniente, un imprevisto che potesse ritardare o bloccare quella fuga.

Forse non l’avrebbe più rivisto. Non aveva nemmeno potuto parlargli un’ultima volta, dirgli a suo modo addio. Era vero, Hanamichi l’aveva tenuto prigioniero, l’aveva sconfitto… ma gli aveva anche donato qualcosa che mai nessuno prima gli aveva dimostrato. Era difficile volerlo ammettere, ma… in quei mesi, si era sentito veramente bene. In pace. Completo, forse.

Ed ora, volontariamente, se ne stava andando. Perché? Per orgoglio. Per il vanto di poter ripetere a se stesso che era di nuovo solo, indipendente, libero, svincolato da qualsiasi condizionamento. Il buffo era che tutto questo non era minimamente vero…

All’esterno poteva davvero sembrare libero, adesso. Ma, dentro di lui… che cosa c’era? Una catena pesante, un vincolo che sempre lo avrebbe tenuto legato a ciò cui stava dando volontariamente le spalle. Degli anelli di ferro, che altro non erano se non i sottili fili di seta di un sentimento profondo.

Inutile mentirsi. Lui non avrebbe voluto fuggire.

Ma ormai era troppo tardi per poter tornare indietro. La nave era appena a dieci passi da loro.

Si era liberato ed incatenato per il resto della sua vita.

La sua mente formulò un addio, anche se Hanamichi non l’avrebbe mai sentito.

Sendoh gli tese una mano per aiutarlo a percorrere la passerella che collegava la banchina alla nave, preoccupato che lui potesse perdere l’equilibrio su quello stretto e barcollante asse di legno. Accettò quell’aiuto senza nemmeno accorgersene. In realtà, lui non si trovava lì. La sua mente era altrove… immersa in ricordi di baci, abbracci, risate, sguardi, parole.

Perché avrebbe voluto piangere? Perché la notte sembrava ancora più buia di quanto non fosse prima?

Si stava gettando alle spalle tutto ciò che aveva sempre cercato. Stava perdendo la sua unica possibilità di essere felice, lasciando l’unica persona che avrebbe potuto donargli ciò che voleva… e non stava nemmeno combattendo, non si stava ribellando! Per cosa? Per cosa?!

Si sarebbe odiato per sempre.

Ma ormai era davvero troppo tardi per cercare di tornare indietro…

La voce di Sendoh si elevò trionfante e sicura: "Mollate gli armeggi!! Partiamo per Lacedemone!"

Quest’ordine fece scendere una cappa di tenebra sui suoi pensieri. La frase che Akira aveva pronunciato era… il definitivo segnale di distacco, la fine assoluta. Ormai era finito tutto.

Amava Hanamichi.

Ridicolo che soltanto adesso, quando non aveva più nulla da conquistare né da perdere, quando tutte le sue speranze si erano inabissate, riuscisse a trovare il coraggio per ammettere finalmente una verità tanto limpida. Quanto era stupido… perché si faceva soffrire volontariamente?!

Stava male. Male, male, male…

"Voi non andate da nessuna parte!"

Rukawa agghiacciò, poi si sentì lambire da una vampata di fuoco. Barcollò sotto la durezza di quel colpo pesante ed inaspettato.

Quella voce. La sua voce! E lui… lui che era convinto che mai più l’avrebbe risentita! Ma cosa stava succedendo…?

La nave, precedentemente avvolta dall’oscurità, venne rischiarata dalla luce sanguigna di alcune torce. La tolda era affollata di soldati rivestiti di armi e di corazze… ma non erano gli uomini di Akira. Erano i guerrieri di Sakuragi. Ed in mezzo a loro, fiero, furente, colmo di collera e decisione, fremente di rabbia… c’era lui, il volto calmo, il busto eretto, la spada saldamente impugnata.

Kaede rimase immobile, stordito dallo stupore, ad osservare lo spettacolo irreale di tutti quei combattenti ostili che li stavano circondando. Senza proferire verbo, si voltò impercettibilmente e registrò il pallore soffuso del viso di Sendoh, la sua espressione tirata e il panico che aveva invaso i suoi occhi.

Akira riuscì a pronunciare una sola, flebile parola: "Tradimento…"

I soldati che li attorniavano fecero per restringere il loro cerchio ed avvicinarsi a loro, ma Sakuragi li fermò con un cenno imperioso della mano. Quegli occhi scuri e profondi fissarono prima lui, poi Sendoh. Un lungo, interminabile istante di silenziosa comunicazione fra i vertici di quel triangolo. Alla fine il sovrano di Andro, con estrema calma, strappò la spada a Yohei ed iniziò a camminare verso il sovrano di Lacedemone. Si fermò a pochi passi da lui, gli lanciò la spada con un gesto veloce e, sorridendo con aria ironica e sprezzante, affermò: "Combatti!"

Sendoh, meccanicamente, prese al volo l’arma e la fissò con sguardo vuoto. Poi risollevò il capo e chiese con tono metallico: "Dove sono i miei uomini? Chi ti ha avvertito dei miei piani di fuga? Come… come diamine hai saputo!!"

"I tuoi soldati sono rinchiusi nella stiva della nave, quanto al resto… ora non è importante. L’unica cosa che adesso devi sapere è che non ti permetterò di portarmelo via in questo modo"

Sakuragi si interruppe e conficcò il suo sguardo bruciante su Kaede. Rimasero immobili a fissarsi per un lungo, interminabile istante, incapaci di comunicarsi nulla delle passioni che stavano devastando il loro animo: ira, desolazione, dolore, speranza, paura… amore.

L’infastidita voce di Sendoh interruppe il loro isolamento: "Vuoi combattere con me? Un’idea allettante… soprattutto sapendo che, non appena ti avrò battuto, mi ritroverò addosso un’intera orda di uomini pronti a vendicarti! E’ questo il tuo concetto di ‘armi pari’? E poi… a che scopo dovrei battermi con te?"

Hanamichi lo fissò con astio, spiegando: "Io non sono un vigliacco. Non rinuncerei per nulla al mondo al mio onore, Akira Sendoh… quindi, sicuramente non per te. Ti propongo una sfida: se vincerai tu, potrai condurlo via con te, se vincerò io… te ne andrai, ma senza la persona per la quale sei venuto. In fondo, è giusto fare questo patto: entrambi amiamo, ed entrambi siamo convinti di poterlo rendere felice. Allora, accetti?"

"Non ho scelta" sussurrò Akira a denti stretti.

Il clangore delle spade cominciò impetuoso, davanti allo sguardo incredulo di Rukawa. In un altro momento si sarebbe ribellato ad una situazione simile… ma ora non riusciva proprio a muoversi. Si sentiva lontano, raggelato, spaventato. La rabbia cieca di Sendoh lo disgustava, l’odio di Hanamichi lo sgomentava… e lo faceva soffrire. Rimase a fissare quel combattimento spietato, con i nervi tesi ed i denti stretti, seguendo con sguardo vigile il guizzare delle lame, le prove di forza che tendevano i loro muscoli, le espressioni di pura ostilità che li spingevano a trafiggersi con gli sguardi.

Le lame scattavano agili, ma nonostante gli sforzi non incontravano altro che ferro o aria, aria e ferro. Continuò così per istanti lenti ed interminabili. A lungo. Ma poi… finalmente, una delle due lame riuscì ad affondare ed a bere gocce di quel sangue di cui era tanto avida.

Kaede barcollò, poi urlò: "Hanamichi!"

Una mano ferma e forte lo trattenne per un polso, poi lo bloccò per la vita. Furibondo, lui tentò con angoscia cieca di liberarsi e di gettarsi in avanti, ma si fermò privo di respiro quando vide quella fronte celata dalle ciocche rosse risollevarsi, fiera e testarda. Venne invaso da un incredibile sollievo alla vista del combattimento che riprendeva ad armi pari. Sembrava che Sakuragi non si fosse fatto nulla, tanto impetuosi erano i suoi movimenti, se non fosse stato per il braccio sinistro, abbandonato, inerte lungo il fianco, imbrattato di rivoli vermigli e lucenti quasi quanto quei capelli.

Svuotato dallo spavento, Rukawa per un attimo si appoggiò senza rendersene conto alla spalla di Mito, il quale rilasciò la presa su di lui e riprese a seguire assorto il combattimento.

Rabbia, dolore, odio, esasperazione… ogni colpo parato e sferrato urlava selvaggio simili sentimenti. Ed era stato lui a provocare tutto ciò? Come avrebbe potuto accettare di continuare a vivere, sopportando sulla coscienza l’insostenibile peso di una vita troncata per causa sua? Perché, nonostante il patto che quei due avevano fatto, tutti avevano chiaramente capito che uno dei duellanti sarebbe morto.

Per un attimo, i suoi occhi blu si incrociarono con quelli cupi di Hanamichi. Trattenne il fiato.

Una delle due spade volò e cadde in mare con un tonfo sordo, quasi sinistro. Chiuse gli occhi, poi li riaprì e li vide: Sendoh, inginocchiato ed inerme su quelle travi di legno, con la lama di Sakuragi puntata contro la sua gola. Sarebbe bastata una leggera pressione in più, se l’odio avesse preso il sopravvento, ed allora…

Prima di potersi slanciare, un’ombra lo precedette e si frappose fra Hanamichi ed Akira, prendendo il taglio della spada a mani nude, incurante delle gocce di sangue che a causa di questo gesto gli filtrarono dalle dita.

"Fermati, Sakuragi! Non erano questi i patti. Avevi promesso che lo avresti lasciato andare… avevi dato la tua parola! Ed io non sono disposto a permetterti di fargli del male. Dovrai massacrarmi, prima di poterlo toccare!" concluse con sfida.

Quel piccoletto… chi diamine era? Rukawa ricordava di averlo visto molte altre volte prima di allora, infallibilmente al fianco di Sendoh, ma il nome proprio non lo ricordava…

Fu la voce esitante di Akira a fornirgli delucidazioni, il quale non riuscì a trattenere un mormorio esitante: "Koshino…?"

Tutti rimasero immobili. Sospesi, in attesa.

Nel silenzio, si udì il sospiro di Hanamichi. La sua resa.

"E’ giusto. Ti avevo fatto una promessa e la rispetterò!"

Dopo aver fatto questa assicurazione, Sakuragi si volse verso Sendoh e sibilò: "Ringrazia questo ragazzo, se hai salva la vita! Puoi andartene, ora… ma bada di non farti più rivedere ad Andro!"

Si volse quindi ai suoi uomini e con un cenno ordinò loro di scendere dalla barca. Dopo, quasi avesse temuto di farlo, si girò verso Rukawa. Rimase a fissarlo per un attimo con uno sguardo severo, ma quasi malinconico, quindi si avvicinò a lui a grandi passi e lo prese con impeto irresistibile e disperato fra le braccia, posando la testa sulla sua spalla destra e mormorando frasi sconnesse e intelligibili.

Kaede, sorpreso da quella stretta forte e decisa, sulle prime rimase rigido e fermo. Ma poi… quel calore, quell’amore… si lasciò andare fra le braccia salde e robuste che lo avvolgevano. Una sensazione di sollievo dilagò nel suo petto… ma fu un attimo effimero. Immediatamente sussultò spaventato: Hanamichi gli scivolò addosso, inerte e sfinito, lasciandogli una calda macchia di sangue sulla veste bianca. Cadde a terra, immobile, pallido, con un gemito confuso.

Rukawa gli fu immediatamente sopra e lo sollevò con delicatezza, la gola chiusa da singhiozzi silenziosi e gli occhi impietosamente asciutti. Per un attimo, un ronzio gli assordò le orecchie. Si sentì disposto a farla finita. Poi si accorse che era semplicemente svenuto…

 

 

Hanamichi aprì con cautela gli occhi, riluttante. Prima uno, poi l’altro. Riconobbe immediatamente la sua stanza da letto… le statue, gli stucchi, il baldacchino. Tentò di muovere il braccio sinistro, che doveva essere stato fasciato da qualcuno mentre lui era incosciente, e non riuscì a trattenere un leggerissimo lamento. Sufficiente però a richiamare accanto a sé una persona che prima si trovava nella stanza accanto.

Sakuragi resse per un attimo lo sguardo profondo e cupo di Rukawa, poi cedette alla tentazione di richiudere gli occhi. Ciò che era accaduto poco prima si frapponeva come un pesante velo scuro fra di loro. Oppure era solo la sua sofferenza?

"Come stai?"

Il sussurro di quella voce morbida fu cauto, leggero… quasi guardingo.

"Sto bene" rispose asciutto, con voce quasi secca.

Ed ora, che dire? Come comunicargli ciò che doveva? Sarebbe stato tremendo, già lo sapeva, ma era anche certo che la decisione che aveva preso fosse quella giusta. Dolorosa, ma giusta. Del resto, ormai non aveva scelta… dopo quello che era accaduto, perseverare sarebbe stata semplice crudeltà.

Doveva limitarsi ad accettare l’evidenza: Rukawa non voleva stare accanto a lui. Rukawa… non era suo e mai avrebbe accettato di esserlo.

‘Io non ti appartengo!’

Aveva soltanto sognato. Era giunto il momento di svegliarsi e di affrontare ciò che doveva fare. Continuando a sperare, avrebbe esacerbato la sofferenza di entrambi e si sarebbe dimostrato… insensibile ed egoista.

"Rukawa…" lo richiamò con voce stanca, voltando il capo dall’altra parte per non essere costretto a guardarlo in viso.

"Nh?"

Sorrise, quasi divertito. Certe cose non sarebbero mai cambiate…

"Ascolta…" riprese, con tono pesante "Io… io non avrei mai potuto permetterti di andare via con Sendoh. Non potevo lasciarti scappare… non con lui! Ti prego… cerca di capirmi!"

"Sì, lo so" mormorò quella voce calma.

"Mi odi?" si azzardò a chiedere allora.

"No"

"Ma… ma ami lui, giusto?" proseguì, tenace nel voler scendere quella china tenebrosa fino in fondo.

"No, non lo amo"

Una risposta sicura, precisa, netta.

Hanamichi spalancò gli occhi e voltò il viso, indagando quasi supplichevole quell’espressione imperturbabile. Rimase in silenzio per un attimo, totalmente disorientato, poi sussurrò: "Ma allora… perché hai cercato di fuggire con lui?"

Rukawa sospirò, poi rispose francamente: "Perché rivolevo la mia libertà"

Dunque, era questo. Non c’era di che esserne sollevati: forse era addirittura più grave di quanto avesse congetturato lui. Ma, comunque, quella rimaneva l’unica cosa da fare.

"La tua libertà, eh?" ripeté, marcando le parole "Capisco. In tutti questi mesi, per te io non sono stato altro che un aguzzino… evidentemente. Ti ho fatto soffrire in modo atroce. Perdonami. Speravo, tenendoti al mio fianco, di alleviare il mio bisogno di te. Ma tu… tu non vuoi, ed io non posso continuare così. Finirai con l’odiarmi sul serio, ed io non posso sopportare di vederti triste ed addolorato. Te l’ho già detto, ricordi? Rukawa…"

Ecco, questo era il momento più difficile. Ma poteva, doveva farcela. Perché era giusto, e lo sapeva. E perché… perché lo avrebbe reso felice.

Respirò a fondo, poi continuò quasi con violenza: "Rukawa, sei libero. Ti dono la libertà"

Vide quegli splendidi occhi scintillanti spalancarsi a dismisura per lo stupore, mentre quelle labbra perfette si lasciarono sfuggire un’esclamazione disorientata: "Che… che cosa!?"

Riprese, ormai più deciso: "E’ ora di finirla. Io ti ho fatto solo del male… e non ce la faccio più. Non posso impormi sulla tua volontà. Io… ti amo. Ti amo… ti amo! Ma il modo in cui ho cercato di esprimerti il mio amore è stato ignobile. Spinto dalla smania di tenerti stretto a me, ti ho quasi soffocato. Ti prego, perdonami"

"Hanamichi…"

Continuò, interrompendolo: "Yohei sa già tutto della mia decisione. Rivolgiti a lui, ti metterà a disposizione tutto ciò che vorrai. Non preoccuparti, puoi portare via con te tutto ciò che vuoi. Conserva i miei doni… se lo desideri. Una nave ti condurrà ovunque tu chieda: a Rodi, a Micene… oppure, anche a Lacedemone, da… da lui…" concluse, soffocando un singhiozzo. Nonostante tutto, non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Sendoh che abbracciava Rukawa… perché sembrava così sincera, così ovvia!

"Hanamichi… io non…" iniziò quella voce, assai più incerta di quanto lo fosse prima.

"Non dire nulla, per favore. Adesso, vai via. Voglio solo rimanere da solo. Non mi piace che tu… mi veda in questo stato, non voglio. Vai…"

"Ma… ascolta, io non…"

"Vai!! Ti prego… lasciami, lasciami! Ti… prego…" supplicò con voce ormai rotta, definitivamente spossata.

Quando finalmente sentì quei passi allontanarsi in silenzio, affondò il viso nei cuscini ed iniziò a piangere disperatamente, sferrando con il braccio destro inutili e violenti pugni contro il freddo muro di pietra.

Aveva fatto la cosa giusta. Già, la cosa giusta. Ma si sentiva forse meglio di prima? Ed ora… ed ora!!?

 

 

Era chiuso nella stiva della nave. Nello sgabuzzino destinato ai prigionieri, più precisamente. Non si era ribellato quando Akira aveva comandato ai suoi uomini di confinarlo lì. Era stato un ordine perfettamente legittimo. In fondo, aveva disobbedito ai suoi ordini. Anzi, peggio: lo aveva tradito. E senza alcuna attenuante, per giunta.

Koshino sospirò, immerso in quell’oscurità soffocante, seduto sul tavolato di legno e cullato dal movimento ondulatorio dell’imbarcazione. Posò in silenzio il capo contro la fiancata e rimase in ascolto: poteva udire le urla dei suoi compagni, il ritmico infrangersi delle onde contro le anche della nave… e passi. Passi che si avvicinavano. Li riconobbe subito… come avrebbe potuto non essere così?

Vivere senza di lui… avrebbe spezzato la sua vita. Cosa le avrebbe dato significato?

Probabilmente la sua sorte era già stata decisa. Aveva paura? Forse, ma in realtà non troppo. Era soprattutto triste ed amareggiato. Non aveva ragioni di dover temere, perché Sendoh non lo avrebbe ucciso. Lo conosceva, sapeva che Akira non avrebbe mai potuto farlo. Ma sicuramente la loro lunga amicizia si sarebbe infranta, sullo scoglio della gelosia e della delusione. Che fine meschina…

La porta si aprì ed una sagoma inconfondibile si stagliò contro di essa, nera contro la grigia penombra della tenue luce dell’alba.

"Hiroaki?"

Rispose con tesa circospezione: "Sono qui, Sendoh"

Il pesante silenzio che seguì fu spezzato da un lamento straziato: "Hiro… tu… perché?! Io… io mi fidavo di te! Mi sono sempre fidato di te!!! Tu… tu sei più di un fratello, per me! Non avrei mai creduto che tu potessi consegnarmi fra le braccia di un nemico! Perché? Dimmi perché l’hai fatto!!! Mi odi… mi disprezzi a tal punto? Cosa ho fatto per meritarmi questo?"

Scosse con desolazione la testa, sussurrando: "Non riuscirai mai a perdonarmi, vero?"

"Non lo so… ma almeno, fammi capire il motivo!!"

Koshino trattenne il fiato, poi si decise a sputare quella parola che gli pesava sull’anima, quella colpa infangante che lo faceva vergognare di se stesso: "Egoismo"

"Che cosa?" chiese Sendoh, allibito da quella replica.

Sorrise tristemente, prima di continuare: "Io sono un egoista, Akira. Un incredibile egoista. Non trovi che sia tremendamente ed amaramente ridicolo il fatto che un sentimento puro e splendido come l’amore possa condurre con sé le passioni più abbiette di cui sia capace un animo umano? Egoismo, ma non solo… anche rabbia, gelosia, odio. E’ veramente strano, ed è così triste…"

Sentì il respiro di Akira farsi più veloce, quando questi gli chiese con voce roca: "Cosa intendi dire?"

"Vuoi saperlo veramente? E’ giusto. Ma è strano che tu non lo abbia capito. Comunque, per quello che ora può valere, sappi che io ti amo, Akira. Ti amo… da anni, credo. Non potevo… non potevo proprio permetterti di portare via con te il tuo Rukawa. L’amore è stato più forte di me… o forse, è meglio ammettere sinceramente che la gelosia è stata più forte di me. Non tento di discolparmi: sapevo ciò che facevo e volevo farlo. Ed ora, dato che tutto è stato chiarito, dimmi pure: che punizione mi infliggerai per il mio tradimento?"

Ciò che di più clemente poteva capitargli sarebbe stato un esilio a vita. Ma, davvero, non osava sperarci.

Dopo un lungo istante di pesante, freddo silenzio, udì la voce di Sendoh che rispondeva con tono pacato e vuoto: "Ho riflettuto a lungo sulla tua possibile condanna. Per chiunque tradisca il suo sovrano, sai bene che la pena è la morte. Ma io non potrei mai farti qualcosa di simile, Hiroaki. Ed allora, cosa? Un sovrano si guadagna il rispetto quando si dimostra imparziale, inflessibile sia verso i nemici, che verso gli amici. Avevo pensato di venderti come schiavo, oppure di rinchiuderti a vita nelle latomie della mia città… ma poi ho compreso cosa dovevo fare. Forse è stato qualche dio a suggerirmelo"

"Ovvero?" lo incitò con impazienza. Per Zeus, non poteva sbrigarsi a conficcare la lama?!

"Mi sono reso conto che queste non sarebbero delle punizioni adatte a una persona come te. Quindi, la pena a cui ti condanno è un’altra: ho deciso di mantenerti nella tua attuale carica di mio consigliere personale. Davvero, credo che per te sarebbe troppo comodo poterti liberare definitivamente di me… dico bene?" concluse, con un tono di divertimento maldestramente trattenuto.

Hiroaki rimase basito per un istante, poi trovò il fiato per balbettare: "Akira… cosa stai cercando di dirmi? Tu… tu non mi allontanerai da te?"

Vide quelle labbra piegarsi in un sorriso dolce, quasi quanto la risposta che gli venne rivolta: "Ehi! Credevi che sarebbe stato così semplice? Lo ripeto: non ti sarà tanto facile sbarazzarti di me, Hiroaki. Il mio regno cadrebbe in rovina, senza la tua guida ed i tuoi consigli… ed anche io… anche io mi distruggerei, senza di te. Io ho bisogno… di te, Hiro. Avanti, scemo, vieni via da qui sotto… io sto soffocando in questo buio, tu no? Saliamo sul ponte, il tempo oggi è veramente bello… ho bisogno di luce e di spazi aperti… e sono stanco, troppo stanco di dover stare male…"

Koshino fissò per un attimo quella mano protesa verso di lui, poi la afferrò quasi con timidezza e si rialzò. Si fissarono per un attimo, poi sorrisero in silenzio e decisero di abbandonare l’oscurità della stiva per andare alla ricerca di luminosità e di aria fresca, del mare azzurro e delle strida dei gabbiani. Salirono sul ponte, accolti dagli sguardi allegri dei compagni, dagli scherzi triviali di Fukuda, dal cipiglio di Uozumi. Risposero brevemente alle solite battute scherzose, intonarono in coro con gli altri canzoni allegre e risero per le quotidiane prese in giro. Notizie e novità venivano lanciate dalla poppa alla prua, come sempre ("Ma lo sapete che quel pirata di Mitsui ha finalmente trovato la sua dolce metà?" "Quel demente? No, non ci credo! Si può sapere chi cavolo se lo beccherebbe!?" "Ma ti dico che è vero! Quei due sono inseparabili, appiccicati come le due valve di una cozza! Sta con un tipo tranquillo, dagli occhi castani… è di Rodi, un prigioniero… ma come cavolo si chiama?" "Se non lo sai tu…").

Il viaggio verso Lacedemone proseguì senza intoppi, unitamente a quello verso il futuro.

Tutto era ritornato come sempre.

Però, mentre ammiravano l’uno accanto all’altro i giochi dei delfini fra gli spruzzi leggeri delle onde, il giovane sovrano ed il suo inseparabile (ed insopportabile) compagno, in una pausa del loro discorso, si scambiarono uno sguardo strano, insolito. Potremmo definirlo ‘consapevole’?

No, non era tornato tutto come sempre. Qualcosa era cambiato.

 

 

Era distrutto. Aveva sparso così tante lacrime che ora riusciva ad aprire gli occhi solo a fatica… e tutti quei piagnistei a cosa lo avevano condotto? Solo a vergognarsi di se stesso. Non era nemmeno stato in grado di presentargli un’immagine di sé che avrebbe potuto ricordare con ammirazione. Ma, in fondo, perché Rukawa avrebbe dovuto ricordarsi di lui?

Forse ormai se ne era andato. Per sempre? Sicuramente sì.

Perché diamine, in uno slancio di stupidissima generosità, gli aveva concesso la libertà?! Si sarebbe rimproverato per tutta la vita a causa di questo… per avergli dato il permesso di allontanarsi, per esserselo praticamente lasciato sfuggire fra le mani. Ma, del resto, non avrebbe potuto evitare di biasimarsi nemmeno se avesse continuato a trattenerlo con la forza.

Lo amava. Questo era la causa di tutto!

Perché si era innamorato di lui, come aveva fatto? Ma non c’era risposta… il suo cuore non aveva bisogno di averne. Lo sapeva.

Lo amava, non avrebbe mai potuto smettere di amarlo. La sua vita ora non sarebbe stata altro che una lunghissima, grigia e vuota sofferenza, un percorso da affrontare con un animo monco, una lunga sequela di ostacoli che non sarebbero mai stati compensati da un premio finale. Nulla da vincere. Aveva qualcosa da perdere? Non più.

Che significato aveva la sua esistenza? Ciò che stava provando era un dolore atroce. Se non avesse mai conosciuto la felicità di poterlo stringere, baciare, guardare… forse ora la realtà non sarebbe stata così difficile da sopportare. Era orribile: aveva la consapevolezza di aver trovato l’unica cosa che volesse dalla vita, l’unica persona che gli potesse dare un senso, porre termine alla sua incessante frustrazione… e sapeva di averla persa per sempre. Di sua spontanea volontà.

Come sopportarlo? Perché sopportarlo? Per chi!?

"Ti sei calmato, finalmente? Spero che quell’attacco isterico ti sia passato…"

Sentì il suo sangue tagliargli le vene come ghiaccio appuntito. Perché… perché quella voce…

Non era possibile!

Si sollevò a sedere sul letto e osservò quella sagoma longilinea e snella, languidamente appoggiata allo stipite di marmo della porta d’ingresso. Quegli occhi blu… quella pelle bianca… quella bocca, quei capelli… quella voce… lui!!

Tentò di parlare, ma non uscì suono dalle sue labbra. Si inumidì le labbra aride, ripeté il tentativo… ma riuscì ad emettere solo un suono disarticolato e spezzato. Il cuore… il cuore doveva smetterla di battere con tanta violenza! Le mani… perché tremavano? Una cosa simile non gli era mai accaduta, nemmeno prima di una battaglia. Tutto ciò era ridicolo! No… era solamente ovvio, in effetti.

Chiuse gli occhi, serrando fortemente le palpebre, e quando li riaprì poté finalmente articolare: "Cosa… cosa ci fai ancora qui, Rukawa? Io… ti ho dato la libertà. E’ meglio che tu te ne vada. Prima tutto questo avrà fine, più mi sarà facile cercare di accettare l’idea di dovermi rassegnare. Mi stai solo facendo… soffrire. E odio ammetterlo"

Kaede continuò a fissarlo impassibile, con uno sguardo indagatore che sembrava analizzare ed interpretare ogni suo più recondito segreto. Alla fine quella voce profonda fece, quasi soprappensiero, una domanda distratta e alquanto bislacca: "Libertà. Hanamichi, che cosa intendi per ‘libertà’?"

Sakuragi strabuzzò sorpreso gli occhi, esclamando: "Volpe, ma sei impazzito?! Che razza di dom…"

"Taci e rispondimi! Non sparare stupidaggini. Per una volta, cerca di riflettere prima di parlare"

Hanamichi imporporò violentemente per la collera, ma incredibilmente gli diede ascolto. Dopo aver riflettuto per qualche attimo in silenzio, si azzardò a rispondere: "Credo… credo che la libertà sia la possibilità di compiere autonomamente, senza alcun condizionamento, le proprie scelte di vita… poterle attuare senza che qualcuno te lo impedisca"

Il viso di Rukawa fu ingentilito da un leggero e fugace sorriso, mentre asseriva: "Complimenti, scimmia! Hai visto che ‘pensare’ è un’operazione possibile perfino per un caso disperato come te?"

Hanamichi immediatamente scattò in piedi, urlando: "La vuoi smettere di fare sarcasmo da quattro soldi, Rukawa! Maledizione, cosa ci guadagni a torturarmi così? Cosa?! Sei libero, lo capisci? Puoi andartene!"

Il giovane dai capelli corvini non reagì. Attese pazientemente la conclusione della sua sfuriata, poi incatenò il suo sguardo profondo a quello di Sakuragi ed iniziò a mormorare lentamente: "Sono libero. Dunque, per tua definizione, posso scegliere che cosa fare della mia vita. Bene. E se io scegliessi di restare con te?"

Un battito violentissimo al cuore. Un ondata di caldo al viso, poi gelo in tutto il corpo…

Sakuragi sussurrò con voce strozzata: "Non… non è affatto divertente"

"Infatti, non lo è. Non credo ci sia qualcosa da ridere" concordò con tranquillità Rukawa.

Hanamichi serrò i pugni fino quasi a torcersi le dita, prima di sibilare: "Non prendermi in giro!!"

"Ti sembra che io lo stia facendo? Ma hai capito quello che ho detto?"

"Spero di sì… ma ho paura di no…" balbettò confuso, rifiutandosi di guardarlo negli occhi.

Kaede scosse il capo con aria di sufficienza, constatando: "Sei veramente un idiota!" poi chiuse gli occhi e mormorò con voce totalmente diversa: "Hanamichi… non è… facile per me. Io… non ho mai saputo ‘parlare’ veramente… esprimere ciò che sento… non…"

Due braccia forti si avvolsero delicatamente attorno alla sua vita. Alzò lo sguardo e si imbatté in quegli occhi. Caldi, increduli, appassionati… felici. Permise allora alle sue labbra di accennare un sorriso lieve e luminoso, prima di accogliere quella bocca sulla sua. Fu un bacio lento, cauto, lieve. Una rassicurazione, una conferma.

"Kaede…" sospiro Hanamichi quando si staccò dolcemente dalle sue labbra calde "Kaede… io ti amo. Dimmi, ora accetti il mio amore?"

Quella voce profonda non ebbe esitazioni: "Non lo accetto. Lo voglio…"

Il nuovo bacio fu coinvolgente, affannato, ciecamente disperato.

La mano di Hanamichi salì a tentoni, quasi brancolando, serpeggiando su quella schiena muscolosa e perfetta… si aggrappò al bordo superiore dell’abito e strinse con forza, per un istante, la stoffa. Un attimo, poi un feroce strattone. L’abito si lacerò con un suono sordo e sinistro, in quel silenzio scandito da anonimi sospiri. Finalmente… quella pelle, quel sapore, quella perfezione! Con lentezza scese a percorrere quel petto, a posare baci, morsi e respiri sulla sua pelle candida ed accaldata… sentì quelle mani sottili scendere lungo le sue braccia, risalire graffiando la sua pelle, accarezzare il suo torace…

Si lasciarono trascinare a terra l’uno dall’altro, avvinghiandosi disperatamente. La tunica di Hanamichi seguì ben presto la fine di quella di Rukawa.

Pelle contro pelle, fuoco contro fuoco, cuore contro cuore. No… cuore unito a cuore.

Entrambi ormai erano consapevoli di ciò che provavano, ambedue sicuri di ciò che volevano. Sapevano che sarebbe durato per sempre. Volevano che durasse per sempre!

Kaede rovesciò le loro posizioni e si portò sul busto del suo amante, languidamente semisdraiato su quel petto abbronzato ed ansante. I capelli corvini e lucenti, inumiditi dal sudore della passione, spiovevano in ciocche d’inchiostro sul suo volto imporporato, sui suoi occhi cupi come baratri di tenebra. Bellissimo, sensuale… divino e pericolosamente umano.

"Sei meraviglioso…" sussurrò rapito Sakuragi, ammirando quei lineamenti perfetti.

Rukawa sorrise sensualmente e si chinò a baciare quel petto, scendendo in modo inesorabilmente lento lungo di esso. Alla fine, giunse alla sua meta. Hanamichi, sentendosi accarezzato così intimamente da quella bocca, da quella lingua, soffocò a malapena un urlo… ma non seppe trattenere il secondo grido, i successivi gemiti, le suppliche incoerenti… il vortice di doloroso piacere che seppe trascinarlo in un abisso di folle abbandono.

Dopo un tempo brevemente interminabile, riaprì gli occhi e si scontrò con quello sguardo soddisfatto e malizioso.

"Dannata volpe…" ringhiò.

"Dovevo prendermi la mia rivincita…" rispose l’altro "Ed ho anche dimostrato di essere più bravo di te. Alquanto scontato, direi…"

Hanamichi avvampò, ma decise di sorridere malignamente: "Ah, sì? Bene… questo è tutto da dimostrare! Preparati… è giusto che ti avverta: sappi che riuscirò a farti urlare più di quanto tu non abbia mai fatto in vita tua…"

"Ne dubito" replicò Rukawa "Non so quanti possano vantarsi di avermi sentito gridare… non l’ho fatto nemmeno se mi trovavo in stato di semicoscienza, ferito, preda delle più atroci sofferenze…"

"Oh… ma io non sto parlando di urla di dolore…"

Rimasero a fissarsi per un lungo istante, poi Hanamichi sussurrò con voce profonda ed appassionata: "Ti voglio. Voglio il tuo corpo… voglio la tua anima. Voglio te! Ma… non voglio prenderti, voglio accettarti. Voglio che sia tu a decidere di donarti… per favore, rispondimi!"

Kaede lo baciò lievemente, poi mormorò: "Prendimi, invece. Voglio essere tuo, lo voglio. Con te, solo con te. Tu sarai il primo e l’ultimo… lo giuro e lo sento"

"Hai paura?" interrogò Hanamichi.

"No"

"Io… io sì" confessò Sakuragi, abbassando lo sguardo.

"Allora… ne ho anche io. Ma non importa. Ti amo"

Un lampo attraversò quello sguardo castano, poi la commossa confessione: "Sono la persona più ricca del mondo, Kaede. Ed anche… la più felice"

Un nuovo, lento, umido bacio. Poi Rukawa prese fra le sue la mano destra dell’amante e se la portò alla bocca, mordicchiando con lentezza le dita e fissandolo nel frattempo negli occhi. Deciso, sicuro, forte come sempre. Ma c’era qualcosa di più… si chiamava fiducia. Hanamichi lo comprese.

Sarebbe morto per lui. Viveva per lui.

Iniziò a penetrare lentamente in lui con le dita, cercando di prepararlo. Soffrì della sua espressione tirata. Si tese, quando quei denti candidi affondarono nel labbro per bloccare uno spontaneo gemito di dolore.

"Scusami… scusami, ti prego…" bisbigliò, chiudendo vigliaccamente gli occhi per non vedere.

Ma sentì quelle mani incorniciargli dolcemente il viso. Ed un sussurro, una preghiera: "Vieni…"

Trovò il coraggio di fissarlo, allora. E lo vide: bello, invincibile anche in quell’istante, fiero e passionale. Suo. Stava per essere suo! E lo amava!! Quel giovane meraviglioso, risoluto e perfetto lo amava!

Si chinò a baciarlo con reverenza, iniziando a spingersi in lui. Il bacio si fece improvvisamente violento, brusco, ansante. Con una mano, Hanamichi scese alla virilità del suo amante e prese a dargli piacere, movendosi nel frattempo sempre più velocemente, aumentando le spinte, stringendolo al suo corpo con vigore cieco e quasi disperato… udì le urla, ma non riuscì a capire se fossero le sue o quelle di Kaede. Importava? Si spinse più a fondo, incrementò la forza, la passione… avvertì confusamente quelle mani affondare nei suoi capelli, scendere, percorrergli il petto con tocchi feroci, quasi smarriti. Cercarsi, perdersi, fondersi! E non bastava, non bastava mai… voleva ancora… ancora!!

Si liberarono. Insieme.

Dopo un lungo istante di profondo e stremato silenzio, inevitabilmente i loro occhi si ricercarono. Ma entrambi sapevano, e nessuno dei due provò il desiderio di pronunciare qualche frase scontata. Quel legame… ormai non si sarebbe più spezzato.

Si strinsero appassionatamente l’uno all’altro e scivolarono lentamente nel sonno. Insieme…

 

Rukawa venne svegliato dal tocco leggero di un dito che gli stava sfiorando le labbra, l’arco del sopracciglio, la curva di una palpebra. Ma quello non era il momento di portare la mano alla spada ed estrarla, cercando di trafiggere istintivamente il malcapitato di turno che aveva osato destarlo. Anche perché difficilmente avrebbe potuto recuperare una spada in quella situazione…

Esitò ancora un attimo, assaporando quel calore intenso e confortante, poi aprì gli occhi. Si guardarono, ed incredibilmente fu proprio Kaede il primo a sorridere. Hanamichi lo contemplò ancora per un istante, poi… non seppe resistere. Il bacio fu dolce e tenero. Nulla di selvaggiamente passionale, questa volta: ‘solo’ amore.

"Allora… hai deciso di restare con me?"

"Hai paura che abbia cambiato idea?" interrogò, sorpreso dall’angoscia che venava quella richiesta.

"Paura? Credo che ‘terrore’ sia un termine più appropriato, in questo caso…"

"Sai, io posso anche sforzarmi di cercare di non pensare a te come ad un idiota, ma sei tu che fai di tutto per riconfermarmi su questa opinione…"

"VOLPEEEE!!! Sei… sei… grrrr!!!! E poi… non hai nemmeno risposto!"

"Ma ci tieni proprio a farmi sprecare fiato inutilmente? Io voglio essere libero, Hanamichi… e credo che soltanto rimanendo qui ormai potrei sentirmi veramente tale. Libero di vivere, di… vedere un futuro che non mi faccia rabbrividire. Libero di essere ciò che voglio. Ma tu… non ti stancherai di dover perennemente sopportare la vista di una persona migliore di te in tutti gli aspetti?"

Hanamichi sorrise e scosse il capo, sarcastico, prima di commentare: "Avevo già pienamente compreso quanto tu fossi modesto…"

"Il termine esatto è ‘realista’…" corresse Kaede.

"Il problema è che, quando mi prendi in giro, sembri credere veramente a quello che dici… no, fermati! So cosa vuoi dire, quindi non osare o ti arriverà una craniata!"

Rukawa lo fissò per un attimo, poi ribatté candidamente: "Ma io volevo soltanto farti notare che hai eluso la mia domanda precedente…"

"Ma guarda tu che faccia innocente! E pretendi che ci caschi, volpastra? Ti prenderei a schiaffi, sai? No, a dir la verità credo che preferirei accarezzarti. E poi anche tu fai domande stupide! Come potrei stancarmi di te, quando tu sei tutto ciò che voglio?"

Rimasero in silenzio per un istante, poi Kaede osservò con tono volutamente negligente: "Temo che il tuo matrimonio con la sorella di Sendoh sia andato a monte…"

"Che intuito, Kaede! Mi congratulo…"

"Ed allora, che pensi di fare?"

Hanamichi si chiese se il leggero tremito che aveva smorzato per un attimo quella voce fosse stato davvero… indice di apprensione. Ma probabilmente no. Decise di rispondere: "Sai qual è stata la brillante proposta diversiva di Mito?"

"Nh?" si limitò ad emettere Rukawa, posando la testa su quel petto ampio. Quelle braccia si avvolsero subito attorno a lui…

"Un matrimonio con la sorella di Akagi, Haruko!! Hai presente? Quella che voleva sposare te…"

Ci volle tutta la padronanza di Kaede per riuscire ad evitare di proferire un’esclamazione a metà fra il sorpreso, l’indignato e il raccapricciato. Non poté però reprimere un sorriso, che venne immediatamente notato dal suo compagno…

"Perché stai ghignando, volpastra?"

"Nh. Stavo solo pensando a come potrebbero essere i vostri figli…"

"LA VUOI SMETTERE?! CREDI DI ESSERE SPIRITOSO?!"

"Non lo credo. Lo sono" rispose, perfettamente tranquillo.

"AAAARRRGGGHH!!!! VENDETTA, TREMENDA VENDETTA!!!" ruggì Hanamichi, capovolgendolo sotto di sé e premendo appassionatamente le labbra sulla curva di quella gola bianca.

Tutto sommato, questa ritorsione non fu sgradita a nessuno dei due.

Ci volle più tempo del previsto per riportare la situazione all’ordine. Comunque, alla fine, entrambi riuscirono ad emergere dalla lunga parentesi con il respiro ansante, il viso soddisfatto ed il corpo distrutto da un’appagante stanchezza.

"Ma… il discorso del tuo matrimonio è ancora aperto, scimmia…" sospirò Rukawa, sfiorando con le labbra la spalla su cui aveva posato il capo.

"Come mai tutta questa fretta di accasarmi?" replicò invece Hanamichi, infastidito.

Si sarebbe aspettato un’altra frase sarcastica. Ed invece…

"Voglio solo sapere quanto tempo ci vorrà, prima che io venga messo da parte"

Così. Tranquillo, secco, imperturbabile. Indifferente? No, era solo un’impressione: Sakuragi questo ormai l’aveva capito.

"Kaede… io ti amo! Ti amo. Come puoi dirmi una cosa simile? Non hai… nessuna fiducia in me, in noi?"

"Non ho fiducia nelle mie illusioni. Fino ad ora, hanno solo saputo prendermi in giro" ammise riluttante.

"Il mio amore non è né un’illusione né una presa in giro. Permettimi di provartelo, Kaede" sospirò lentamente Hanamichi, facendo scorrere una mano leggera sui muscoli innaturalmente tesi di quelle spalle candide.

Rukawa sembrava… spaventato. Come poteva allora sembrare ancora più forte? Ma da dove riusciva sempre a trarre quell’invincibile, combattuta grinta?

Dopo un attimo, Sakuragi riprese con voce più leggera: "Ed in fondo… Yohei sta per avere un figlio! Cosa mi impedisce di lasciare il trono al suo marmocchio? Per me… non farebbe alcuna differenza"

Nessun suono uscì da quelle splendide labbra… ma Hanamichi sentì distintamente il sussulto che aveva scosso quel corpo perfetto. Sì, Rukawa aveva compreso.

"Non è una brutta idea, idiota…" commentò poi quella volpe "Senza contare che il figlio di Mito sarebbe sicuramente più intelligente di un eventuale rampollo contaminato dal sangue tuo e da quello della Akagi…"

"Amore?"

"Nh?"

"Ma hai intenzione di continuare a lungo con questo tuo penoso sarcasmo?"

"Oh, certo… e pensa che dovrai sopportarmi ancora per tanto, tanto tempo!"

Pausa. E poi…

"Non sarà mai troppo, Kaede…"

 

 

Telos (fine^^)