Questa fic è la mia prima AU, quindi non abbiate troppe pretese… Avvertenze!! E’ ambientata nel periodo del Medioevo Ellenico, quindi più o meno attorno al IX secolo avanti Cristo. Comunque, ho anche fatto dei voli di fantasia inserendovi, ad esempio, una fantomatica ‘Lega delle isole’ di cui storicamente non è comprovata l’esistenza… e non garantisco l’assenza di eventuali cantonate pazzesche^^! Il titolo è greco antico scritto in caratteri occidentali, e tradotto significa ‘Vittoria di Amore’. La dedico a Calipso e Nausicaa per la loro simpatia e bravura… e un saluto a Ise! Erotos nike
parte II
di Dream
Il palazzo di Hanamichi Sakuragi, sovrano di Andro, era incredibilmente vasto. Sorgeva su una collinetta e, assieme ai templi ed ai magazzini, costituiva un vasto complesso circondato da una possente cinta muraria, attorno alla quale si estendevano le abitazioni dei popolani. L’estesa ed elegante reggia ruotava attorno alla sala del trono: un’ampia stanza rettangolare, ornata di marmi e di statue, con quattro colonne che circondavano un focolare. Attorno a questo locale centrale si sviluppava un insieme di ambienti dalle diverse funzioni, disposti in modo libero ed irregolare in un succedersi di vestiboli, scale, corridoi e porticati che creavano una sorta di pittoresco labirinto ornato dai colori vivaci delle pitture parietali. Che splendida situazione! Non solo non avrebbe in alcun modo saputo ambientarsi in quell’inestricabile dedalo di corsie e di camere, ma gli erano anche state posizionate due guardie armate dinnanzi all’ingresso delle sue stanze. Risultato: fuggire? Impossibile! Rukawa si affacciò alla finestra della sua camera da letto, spaziando con un pensoso sguardo blu verso quell’orizzonte che sembrava simboleggiare la sua perduta libertà. Quel balcone… non appena aveva posto piede in quelle stanze l’aveva fissato con speranza ed ansia, ma era stato crudelmente disingannato: si affacciava su uno strapiombo, battuto dal mare costellato di scogli. Buttarsi da lì sarebbe equivalso ad un vero e proprio suicidio, e lui non era ancora così disperato: non aveva perso le proprie speranze di fuga. Sì, era deciso a scappare. Non aveva alcuna intenzione di prolungare ad oltranza la sua permanenza in quell’isola sconosciuta, sotto la tutela di quel sovrano che gli era nemico, circondato da gente a lui ostile. Si ritirò all’interno della stanza e si lasciò crollare sull’ampio letto di legno intagliato, fissando con sguardo vuoto il vassoio di frutta che una serva gli aveva portato quella mattina stessa. La ragazza gli aveva chiesto che cosa desiderasse, se si sentisse bene, se volesse qualcosa in particolare… era stata molto rispettosa e sollecita nei suoi confronti. Perché tanta deferenza? Lui non era più re. Non era… più nulla. Era un semplice prigioniero. Uno schiavo, niente di più. Una sferzata d’orgoglio fece lampeggiare i suoi occhi azzurro cupo, incendiandoli di umiliazione. Schiavo. Come poteva accettarlo? Aveva sempre considerato la propria libertà come l’unica, sola e vera ricchezza che possedesse. Ed ora? Era stato ridotto ad essere una proprietà. Né più né meno di un vaso di ceramica o di un ninnolo dorato. La sua volontà scomparsa, tutte le sue funzioni vitali avrebbero dovuto essere subordinate all’arbitrio del suo ‘padrone’. Autonomia e indipendenza… parole da dimenticare. Intollerabile. Non lo avrebbe mai accettato. Sottomesso ad un ‘padrone’. Perfetto! E chi era il ‘padrone’ in questione? Era questa la vera beffa: dover sottostare agli ordini di un idiota! Ma, per quanto questo potesse apparire un controsenso, quell’idiota era tutt’altro che sciocco. Era un tipo pericoloso, era imprevedibile… incomprensibile. Non riusciva ad interpretarlo. Cosa poteva volere Sakuragi da lui? Che intenzioni aveva nei suoi confronti? Quando, al momento della partenza da Rodi, era stato trasportato in qualità di prigioniero verso le navi in partenza, si era aspettato di trovarlo ad attenderlo. Aveva pensato che quell’uomo fosse uno di quei classici tipi, sbruffoni e scervellati, che si divertivano ad infliggere umiliazioni ai loro schiavi, a colmarli di pretese, a schernirli con sanguinosi insulti, a far loro pesare la nuova condizione… aveva immaginato che, come minimo, Sakuragi non avrebbe perso l’occasione di opprimerlo con la sua fastidiosa presenza. Non era accaduto nulla di tutto ciò. La nave su cui era stato condotto era salpata e il sovrano di Andro non si era fatto vedere nella cabina in cui lui era stato recluso. Oh, non gli aveva fatto mancare nessuna comodità! Abiti lussuosi, unguenti profumati, cibi ricercati… tutto ciò era stato posto a sua disposizione. Ma del suo ‘padrone’ nessuna traccia fino al termine di quella lunga, scomoda traversata. Aveva potuto intuire che lui sentiva il bisogno di una confortante solitudine, per poter curare gli strappi del suo orgoglio ferito e della sua tristezza? Non lo credeva. Dopo qualche giorno di navigazione erano approdati ad Andro, quella funesta isola in cui a quanto pare lui sarebbe stato costretto a trascorrere il suo esilio. Aveva pregato Poseidone di far colare a picco l’imbarcazione durante il viaggio, ma a quanto pare quel dio aveva preferito distogliere lo sguardo da lui. Un’altra conferma alla sua legge di vita: gli dei non soccorrono mai chi è in difficoltà, ognuno deve imparare ad aiutarsi da solo. Al momento dello sbarco, si era trovato per la prima volta faccia a faccia con il suo oppressore, che in quel momento stava sovrintendendo allo scarico degli uomini e delle merci dalla tolda della nave. Mentre veniva scortato sul ponte da due armati, che avevano l’ordine di condurlo a palazzo sotto scorta e di rinchiuderlo senza mai perderlo di vista, quella voce ben nota li aveva richiamati. “Fermatevi!” Già, la sua voce. Imperiosa, autoritaria ed inconfondibile. Si era sentito irrigidire immediatamente. Nessuno si era mai permesso di dargli ordini prima di quel momento. In quel preciso istante aveva realizzato finalmente la sua situazione con lucidità: non più uomo libero, non più re. Solo… bottino, null’altro. Inaccettabile ed umiliante. Questi pensieri tumultuosi avevano moltiplicato la sua gelida ira, forgiata ed affilata durante quei lunghi giorni di navigazione. Si era voltato in modo inesorabilmente lento verso il punto da cui quell’ingiunzione era provenuta, psicologicamente pronto alla lotta, ad un violento scontro verbale, ad una prova di volontà in cui le loro ostinazioni avrebbero sprizzato scintille, come lame di due spade impegnate fino all’elsa. Già, si era atteso dell’aggressività, un atteggiamento altezzoso, una sfida: ad essa avrebbe saputo rispondere a tono, sfoderando la sua voce più fredda ed il suo atteggiamento più irrispettoso. La sua bocca ardeva dalla smania di lanciare quelle sarcastiche provocazioni che aveva inciso nei suoi pensieri. L’atteggiamento del suo avversario l’aveva spiazzato completamente. “Spero che la traversata non si sia rivelata troppo stancante. Mi auguro che non ti sia mancata alcuna comodità, Rukawa. Se non sei stato soddisfatto in qualche tua richiesta, non hai che da dirmelo ed io punirò i responsabili. Di qualunque cosa tu abbia bisogno, non farti scrupolo di chiedere. Gli abiti di cui ti ho fatto dono sono di tuo gradimento?” Gentilezza! Di tutti gli atteggiamenti che quel tipo avrebbe potuto riservargli, questo non se lo era proprio atteso… Per un lunghissimo istante non aveva potuto far altro che fissare con incredulo stupore quel volto deciso, illuminato da un sorriso di distaccata e discreta cortesia, quel corpo atletico immobile di fronte a lui, quegli assurdi capelli rossi mossi dalla brezza… Perché quegli occhi castani lo stavano fissando come se avessero voluto traforargli l’anima? “Il viaggio è stato estremamente comodo, il servizio impeccabile” aveva infine risposto a denti stretti, infastidito da quella situazione. “Ne sono contento. Ho incaricato Yohei Mito, un mio uomo di fiducia, di scortarti a palazzo… se necessiti di qualcosa, rivolgiti pure a lui. Spero che la tua permanenza ad Andro si riveli piacevole” aveva concluso con un ultimo sorriso, più dolce che malizioso, prima di allontanarsi per dedicarsi ad altre faccende. Ecco, questo era quanto. Da tre giorni si trovava rinchiuso nelle vaste e lussuose stanze che gli erano state messe a disposizione, venendo trattato con ogni riguardo. E non aveva più rivisto Sakuragi. Quella calma non contribuiva a tranquillizzarlo… per Zeus, cosa poteva significare una tale situazione di stallo?! Il suo istinto lo avvertiva che eventi ignoti si stavano preparando, che quell’idilliaca stasi era precaria, fittizia: ben presto sarebbe successo qualcosa. Non poter definire quel ‘qualcosa’ lo tormentava, gettandolo fra le braccia di una sottile ansietà. Aveva la spiacevole sensazione che Sakuragi stesse semplicemente cercando di farlo sentire al sicuro, in modo da indurlo ad abbassare la guardia per poi colpire. Colpire… ma come, dove? A cosa mirava, cosa voleva?! L’apparente indifferenza di cui era stato oggetto in quei giorni lo aveva disorientato. Stonava, appariva minacciosa e falsa. Non era forse stato proprio Sakuragi a pronunciare… quelle parole? ‘Ti amo! Non permetterò a nessun altro di toccarti o di guardarti. Ti troverò e… ti prenderò per me…’ E non erano forse state le sue labbra… quelle calde ed esigenti labbra a forzare la sua bocca, quella notte? A fargli provare… quella sensazione di soffocamento… quell’assurdo, odioso e detestato desiderio di lasciarsi andare, che per un attimo aveva tramortito la sua resistenza… quel disprezzato brivido che doveva a tutti i costi dimenticare… Dannazione! Quei sentimenti… quei sentimenti esitanti erano così ridicoli… indubbiamente, erano dovuti soltanto alla situazione precaria che stava attraversando. Non doveva pensarci… non doveva pensare a questo… no, non doveva… Stava forse dimenticando che quell’Hanamichi Sakuragi era un suo avversario? No, lo ricordava: era un nemico, e questo doveva bastare. Non lo odiava. Non poteva permettersi di sprecare il suo tempo odiandolo. Doveva solo pensare ad un modo per fuggire. Quel Sakuragi… era solo un ostacolo per la sua libertà. Era un tipo vanaglorioso, irruento, impulsivo… non lo aveva forse visto combattere? La sua tecnica lasciava veramente a desiderare! Era quasi… rozzo, con una tecnica incredibilmente grezza. Ma anche… impetuoso, imprevedibile, svelto. Possedeva enormi potenzialità ed un intuito incredibile, che gli permetteva di anticipare le mosse dell’avversario. Il suo modo di muoversi… non aveva mai visto una cosa simile: sembrava un fiume in piena! Ecco, i suoi pensieri avevano deviato di nuovo! Che seccatura… Scosse il capo con fastidio, mordendosi il labbro ed accostandosi nuovamente alla finestra. Se solo fosse riuscito ad eludere la sorveglianza delle guardie… se gli fosse stata concessa una maggiore libertà di movimento, anche minima, allora avrebbe potuto tentare di scappare… ma al momento ciò era impossibile! Grande Zeus, quella forzata inattività e quella reclusione lo stavano facendo impazzire! Le limitazioni… lo facevano avvizzire. “Rukawa… sai che è davvero incredibile? Il colore del mare… è scialbo rispetto ai tuoi occhi” Sussultò violentemente, poi si voltò con calma per fronteggiare il proprietario di quella voce profonda. Era lì, a pochi passi da lui, e lo stava fissando… la luce di quegli occhi, incredibilmente calda. Perché lo guardava in quel modo? E perché… perché lui non riusciva a mantenersi insensibile? Non doveva abbassare le sue barriere. “Cosa vuoi da me?” sibilò, conservando i muscoli in tensione. Sakuragi emise una bassa risata, esclamando divertito: “Volpe, mi ero augurato di trovarti in migliori condizioni di spirito! Speravo che questi giorni di calma avessero saputo placare il tuo risentimento, il tuo spirito ribelle e quella smania di ferirmi che affiora ancora nei tuoi occhi… mi sono sbagliato, a quanto pare. Dimmi, perché ti ostini a farmi del male… e perché ci riesci così bene?” Rukawa strinse i pugni con forza, ma riuscì a mantenere un tono controllato: “Ascolta, ti chiedo solo di lasciami in pace. Vattene… non voglio vederti!” Vide quello sguardo castano incupirsi lievemente, intorbidarsi di dolore. “Sai colpire in profondità con la tua voce fredda, Rukawa. Sai dilaniare. Il tuo disprezzo mi fa soffrire, non lo nego… e no, non è il mio corpo che soffre” Hanamichi iniziò ad avvicinarsi a lui lentamente, ma con passo deciso. Cosa voleva fare? Kaede sentì il proprio cuore iniziare a martellare con forza. Non era paura, era solo apprensione. Tutto ciò non gli piaceva per nulla… “Stammi lontano!” intimò violentemente, sprizzando bagliori di avvertimento dalle sue iridi di cobalto. “Perché dovrei? Ti sono stato lontano fin troppo per i miei gusti…” fu la non rassicurante replica. Maledizione! Cosa aveva intenzione di fargli, quella testa rossa? Poteva intuirlo… poteva leggere dietro quelle frasi allusive. Beh, era veramente sciocco se pensava che gli avrebbe permesso di fare i suoi comodi! Avrebbe imparato che lui non era il classico stereotipo dello schiavetto tremante ed indifeso, abituato a venerare e temere il proprio proprietario. Oh, no… decisamente lui era quanto di più lontano possibile ci fosse da ciò! Con uno scatto, che prese Sakuragi di sprovvista, Kaede si slanciò verso il suo letto ed afferrò il coltello infisso in uno delle pomi della fruttiera. Serrò con forza le dita sottili su quel manico intagliato e si voltò, sibilando: “Non provare ad avvicinarti… non ti conviene…” “E’ una minaccia, Rukawa? Vuoi uccidermi? Va bene! Provaci. Sarà interessante…” In quella voce divertita non si poteva avvertire la minima inflessione di rabbia o di paura. Perfetto, perlomeno aveva i nervi saldi! Era il caso di mutare tattica, allora… Quello scanzonato sguardo castano si sbarrò immediatamente, inorridito e preoccupato, non appena vide con terrore la lama di quel coltello venire voltata e puntata alla gola di chi lo stava brandendo. Ecco. Ora era spaventato sul serio… “Rukawa… abbassa quell’arma, ti prego! Cosa hai intenzione di fare?” mormorò Sakuragi con voce tremante e quasi implorante, indietreggiando a tentoni di qualche passo. Un’espressione stupita illuminò i lineamenti puri e cesellati di Kaede, che non si era affatto atteso una reazione di quel tipo. “Non capisco… tu provi più timore vedendomi minacciare la mia vita, piuttosto che la tua?” Sakuragi riconquistò parte della sua determinazione, ribadendo con decisione: “Smettila, per favore! Getta via quel coltello. Stai tranquillo, non ti farò nulla di male. Non ti… toccherò contro la tua volontà. Lo giuro. Non volevo farti niente… non potrei mai farti del male!! Ti stavo venendo accanto solo per poterti guardare meglio… alla luce del sole. Tu sei… bellissimo. Volevo solo avvicinarmi a te, esserti vicino. Per favore… ora abbassa il pugnale” Rukawa esitò un attimo, senza distogliere per un solo istante il suo sguardo da quello di Hanamichi. Poi allentò con estrema lentezza la stretta delle sue dita sul manico dell’arma, che finalmente cadde a terra con un secco rumore metallico. Hanamichi non trattenne un sospiro di sollievo, che subito però si mutò in un urlo angosciato: “Non farlo mai più, volpe demente! Cosa speravi di ottenere? Mi hai… terrorizzato! Tu… tu sei un…” non concluse la frase, ma cercò di recuperare il respiro. Accorgendosi di avere le gambe tremanti, si sedette inerte su uno scranno di legno e si portò una mano alla fronte. Per tutti gli dei! Quando l’aveva visto puntarsi la lama alla gola, per un istante si era sentito agghiacciare… aveva veramente temuto il peggio. Aveva sentito un artiglio di gelo… fendergli il cuore. No, non avrebbe voluto vivere, se… “Non hai per nulla nervi saldi!” lo prese in giro una voce sarcastica. Hanamichi balzò in piedi come se fosse stato punto da una vespa e si trattenne a malapena dal lanciarsi contro quella stupidissima volpe… “Tu… maledetto! Non provare mai più a fare scherzetti del genere” sbraitò. Poi cercò di recuperare un’apparenza di dignità: “Del resto, avevo capito subito che mi stavi prendendo in giro…” “Niente affatto! Non stavo scherzando, facevo sul serio. Avrei davvero potuto uccidermi. Credi che io abbia paura della morte? L’unica cosa che temo veramente… è la prospettiva di una vita priva di libertà” Hanamichi scattò in avanti con un brusco movimento e, prima che Rukawa avesse potuto pensare a difendersi, gli afferrò i polsi nella ferrea stretta delle sue mani. “Giurami che non tenterai più di toglierti la vita! Giuralo” ordinò con tono minaccioso. “Non ti devo nessuna promessa. Per quale ragione dovrei darti delle rassicurazioni?” “Già, perché dovresti? In fondo, tu non provi alcun rispetto per me, vero? Ma credo di aver capito che tu sei una persona che onora i sentimenti altrui. Quindi, se non per me, giuramelo almeno per quello che ti ho confessato una notte di parecchi giorni fa…” mormorò, abbassando uno sguardo che si era repentinamente incupito. Rukawa rilasciò i muscoli, colpito da quella confessione inaspettata e sofferta. Senza riuscire a frenarla, una domanda gli salì spontaneamente alle labbra: “Era… era vero ciò che mi dicesti?” Hanamichi lo lasciò andare e, passandogli accanto, andò ad affacciarsi alla finestra, permettendosi di vagare con occhi distratti sul mare Egeo. “Certo che era vero. Perché te lo avrei detto, se non fosse stato vero? Io ti amo… anche se fa male, anche se tu non riesci a capirlo e non puoi ricambiarmi…” Il tono era tremendamente triste, ma non lasciava spazio ad alcuna incertezza. Il viso di Rukawa sembrava impassibile come sempre… eppure una strana ombra offuscò le sue iridi limpide, quando sussurrò lentamente: “Ma… ma come puoi dire una cosa simile? Tu non sai chi sono… e poi, perché?” “Allora è vero ciò che tutti dicono: tu non hai mai amato. Se tu avessi provato questo sentimento prima d’ora, allora avresti capito che non è certo ‘perché’ la prima domanda che spontaneamente ti poni. Non c’è una risposta razionale a questo ‘perché’… nell’amore non c’è nulla, nulla di razionale! Sai… ancor prima di partire per la guerra contro Rodi, io già provavo qualcosa per te. Si parlava così tanto, ed in modo così reverente, di Kaede Rukawa, sovrano di Rodi… che tutte queste dicerie, queste voci sulla tua leggendaria bellezza, sul tuo coraggio, sulla tua freddezza mi avevano avvinto, avevano saputo far nascere in me curiosità, ammirazione, incredulità… ed anche qualcosa di più. Poi… poi mi capitò di innamorarmi perdutamente di uno sconosciuto, di un nemico incontrato per caso in una notte rischiarata dalla luce lunare. Era un giovane misterioso… ed era tutto ciò che Rukawa non sarebbe mai stato: era vicino, era tangibile, era sensibile… era reale. E poi, cosa scoprii? Che queste due identità altro non erano se non due diverse facce della stessa moneta. Sei tu. Sei sempre stato tu, solo tu. Mi hai sconvolto come nessun altro ha mai saputo fare. No, non è il ‘perché’ che io mi chiedo… ma il ‘come’. Come… come posso fare per costringerti a provare qualcosa per me?” “Liberami, Sakuragi. Lasciami libero!” Hanamichi, che durante la sua appassionata confessione si era calmato e temperato, ridivenne di ghiaccio udendo questa pretesa. Già, pretesa… non era una preghiera, assomigliava piuttosto ad un ordine! “No, io non posso liberarti. Non posso perderti! Non chiedermi questo… è l’unica cosa che non posso darti!” Con passi fermi si diresse verso la porta, apprestandosi a varcarla, ma prima di uscire mormorò senza voltarsi: “Io ce la farò. Non mi arrenderò. Sarai tu… sarai tu ad accorgerti di avere bisogno di me, sarai tu a ricercare il mio abbraccio…” Venne schernito da uno sbuffo di sufficienza, sinonimo di assoluta indifferenza e di divertita compassione.
Non sopportava che gli venisse proibito di fare qualcosa! Era la sua stessa natura indipendente ed autonoma a renderlo così intollerante nei confronti dei vincoli, degli ordini, delle prescrizioni, della sorveglianza. Era insofferente verso qualsiasi decisione che gli venisse imposta, soprattutto se l’ingiunzione proveniva da qualcuno che non rispettava o di cui non riconosceva l’autorità. Non poteva farci nulla! Alla luce di tutto ciò, posizionare due guardie davanti alla sua porta con l’esplicito compito di sorvegliarlo era il mezzo migliore per fargli provare un desiderio insopprimibile di uscire da quelle stanze che non erano nulla di meno di una prigione. Confortevole, dorata, priva di visibili sbarre… ma pur sempre una prigione. Voleva la libertà. Voleva le spiagge pietrose della sua isola, la possibilità di correre a perdifiato senza sentirsi sorvegliato o oppresso, voleva sovrintendere da solo alla sua vita… voleva impugnare nuovamente la sua spada e maneggiarla come se fosse stata un’estensione del suo braccio, respirare l’aria balsamica del mare aperto. Voleva… uscire da lì, maledizione a tutti i titani dell’Ade! Quel palazzo enorme e sconosciuto non era il suo posto. Non voleva restare in quel luogo… non sarebbe riuscito a sopportare ancora a lungo quella situazione di discreta vigilanza! Era stufo di sentirsi tarpare le ali. Con passi decisi si diresse verso l’uscio e lo spalancò con violenza, disposto anche ad impelagarsi in una lotta contro i suoi sorveglianti pur di uscire da quelle mura che con la loro insopportabile familiarità sembravano volerlo comprimere, soffocare ed annullare. Rimase allibito per la sorpresa, quando si accorse che il corridoio che si apriva di fronte a lui era… deserto. Tutto ciò gli sembrò dapprima talmente sospetto che riluttò a muoversi, ipotizzando chissà quale trappola ordita contro di lui, ma la smania di mutare in qualche modo quella situazione intollerabile lo spinse ad avanzare. Del resto, lui non sapeva cosa fosse la paura, anche se conosceva molto bene la prudenza. Purtroppo non rammentava affatto la strada per la quale giorni prima era stato condotto sino al suo appartamento. Come sarebbe riuscito ad uscire, se non aveva la più pallida idea di quale cammino imboccare? E doveva compiere l’impresa senza farsi vedere, per giunta! La fuga iniziava a prospettarsi come una speranza palesemente impossibile: lo avrebbero bloccato prima di portarla a termine. Inoltre Sakuragi, dopo il suo scherzetto del coltello, aveva fatto attenzione a non lasciargli alcuna arma tagliente… come avrebbe potuto forzare un blocco? Ma tutto questo non era sufficiente a farlo desistere. Infilò un corridoio (che era, del resto, anche l’unico… senza possibilità si scelta), il quale era seguito a sua volta da un secondo corridoio altrettanto lungo ed altrettanto deserto. La cosa si faceva sempre più strana… perché non si vedeva nessuno in giro?! Lungo quelle pareti affrescate si susseguivano varie porte, tutte sprangate, che probabilmente davano adito a stanze simili alle sue: inutile cercare di entrarvi, dato che non lo avrebbero condotto in alcun luogo. Proseguì fino alla fine di quella stretta corsia, bloccandosi infine dinnanzi all’ampia soglia di legno scuro con cui essa terminava. Si sarebbe rivelata chiusa anche quella? Provò a spingerla: cedette. Scoprì allora di essere entrato in una vasta stanza, occupata al centro da un tavolo di marmo finemente cesellato dietro al quale sedeva… “Salve, volpe!! Che piacevole sorpresa. Ti sono dunque mancato, se hai provato il desiderio di venire a farmi una visita! Devo dire che mi hai fatto aspettare molto, però…” “Che ci fai qui?” mormorò a denti stretti, troppo stupito perfino per ricordarsi di insultarlo. “Che ci faccio qui? Che ci fai tu qui, piuttosto!” esclamò Hanamichi, fintamente sbalordito. Poi, con un sorrisetto, lo informò: “Queste sono le mie stanze personali!” “Le tue stanze?” Rukawa comprese tutto in un lampo: l’ala del palazzo in cui lui si trovava era stata collocata in una posizione tale da costringere, per uscirne, a passare necessariamente per l’area privata in cui viveva il sovrano di Andro. Adesso era tutto chiaro! Ecco perché i guardiani incaricati di sorvegliarlo erano stati appositamente allontanati, ecco perché la via era apparentemente libera… Sakuragi sapeva che lui avrebbe tentato di scappare e gli aveva permesso di illudersi di poterlo fare, sicuro che nel tentativo sarebbe inevitabilmente finito fra le sue braccia. Magnifico, non c’era che dire… si era rivelato essere davvero un idiota non stupido. Livido di stizza, rimase immobile ad osservare quella testa rossa alzarsi e posizionarsi esattamente di fronte a lui. Hanamichi rimase per un po’ in silenzio ad osservarlo, con uno sguardo leggermente perplesso. “Rukawa… ammetto di essere rimasto deluso! Insomma… speravo che questo mio bel tiro avrebbe saputo provocare in te qualche reazione un po’ più… pronunciata! Non potresti gentilmente acconsentire a sforzare le tue corde vocali per dirmi qualcosa?” “Idiota” “Un po’ di più?” “Stupido idiota” “Ancora di più?” “Irrimediabile idiota…” Finalmente Kaede ottenne ciò che si era prefissato: di lì a poco, quelle iridi castane si illuminarono per l’impazienza e per la collera. Era veramente semplice far arrabbiare quella scimmia microcefala… e non solo: doveva ammettere (suo malgrado) che irritarlo era anche insospettabilmente divertente! Inoltre, quell’espressione furibonda da bimbo offeso si attagliava perfettamente ai suoi lineamenti marcati… “Dannata volpastra!! Mi chiedo perché mai cerco di sforzarmi ad essere gentile con te! Chi me lo fa fare? E’ tutto inutile. Tu sei un… ehi! Ehi! Ehi!!!! Ma… NON PROVARE AD IGNORARMI!!!” Spassosissimo sul serio! “Maledetto, figlio di un centauro!! Ti credi tanto superiore con le tue arie altezzose? Sei… sei…” “Rumoroso” lo interruppe Kaede, flemmatico “Tu sei tremendamente rumoroso. Perché non la smetti di sbraitare in quel modo? E’ improduttivo… e riesce solamente a renderti, incredibilmente, ancora più ridicolo” Sakuragi sorrise in modo strano e convenne con lui: “Per una volta hai ragione. Decisamente, con te parlare non serve. Vediamo allora se possiamo ‘ragionare’ in un altro modo…” Un pugno alla mascella colse Rukawa di sorpresa, ma il suo stupore non durò a lungo, in quanto non si fece prendere alla sprovvista dal secondo colpo. Un calcio. Lo contraccambiò generosamente. Uno schiaffone. Ah, che idiota… lo aveva mancato! In compenso, si prese una ginocchiata che lo risarcì della mazzata evitata. Rispose con una pedata che fece barcollare l’avversario, congratulandosi frattanto con se stesso per il bel colpo. Nell’assestare questa percossa aveva però perso l’equilibrio, così un nuovo pugno di Sakuragi lo rovesciò all’indietro e lo fece sbattere con la tempia contro un tripode di bronzo. Non riuscì a trattenere un infastidito lamento di dolore. Si portò istintivamente una mano alla ferita e la ritirò imbrattata di sangue. Maledizione… Udì confusamente una voce concitata tentare di richiamare la sua attenzione: “Rukawa! Per Zeus… Rukawa, come ti senti?!” Si sentì sollevare da un braccio muscoloso e venne forzato ad appoggiarsi contro un petto che si stava sollevando e abbassando affannosamente per la preoccupazione. Sollevò gli occhi ed incontrò lo sguardo angosciato di Hanamichi che lo scrutava pallidissimo, ma fu costretto a richiudere le palpebre davanti alla visione che si faceva offuscata. Accidenti… il sangue gli stava colando perfino sugli occhi! Ma quanto era lungo il taglio? “Rukawa… per favore, rispondimi!! Riesci a sentirmi?” “Como posso non sentirti, se mi stai urlando nelle orecchie!? Sei decisamente troppo chiassoso, idiota… e sai solo portarmi disgrazie!” si decise a bofonchiare con voce seccata. Non riuscì a trattenere un lievissimo sorriso, udendo il respiro di sollievo che trapelò da quelle labbra… quelle labbra che una volta avevano osato toccare le sue. Quelle labbra, il cui ricordo gli provocava ancora brividi… brividi che rinnegava con vergogna… “Adesso sorridi, volpe?! Io non ti capisco… non ti capisco proprio!” Sentì il rumore di una stoffa che veniva stracciata, poi avvertì il leggerissimo tocco di una mano che con un panno tentava cautamente di detergergli la fronte, bloccando il flusso del sangue. Aprì nuovamente gli occhi e si accorse che Sakuragi si era strappato la sua preziosissima e ricamata tunica di lino e che stava tamponando la sua ferita con delicatezza (con dolcezza…?), ma al contempo con un’espressione concentrata sul volto. “Ce la fai a camminare, stupida volpe?” Quell’inflessione esitante… sembrava tenerezza. Lo era davvero? Perché una fitta gli aveva trapassato il cuore, udendo quella voce? Faceva male, ma era piacevole… “Idiota… certo che ce la faccio! E’ solo uno stupido taglietto. Ho affrontato ben altro nella mia vita… e peggiori ferite mi sono state inflitte. Potrei stenderti al terreno, se solo lo volessi…” Quella testa rossa gli sorrise e, aiutandolo ad alzarsi, mormorò: “Allora le voci sul tuo leggendario orgoglio erano vere…” Kaede rimase in silenzio per un istante, ma non seppe rispondere in altro modo se non ripetendo una frase già pronunciata: “Ti dissi una volta che Kaede Rukawa… è solamente ciò che è” Hanamichi lo osservò fissamente negli occhi, prima di sussurrare: “Sì, hai ragione. E sai una cosa? Credo di volerlo conoscere… perché mi sto convincendo che sia una persona meravigliosa” Rukawa ricambiò fermamente e freddamente il suo sguardo, senza accennare minimamente ad abbassare gli occhi: ne aveva udite molte altre di frasi simili, e da molte altre voci… ormai ne era quasi abituato, forse addirittura infastidito! La sua bellezza aveva richiamato spesso simili apprezzamenti, volti allo squallido scopo di poter ottenere l’accesso al suo letto per abusare della sua avvenenza o, ancor peggio, della sua posizione sociale. Eppure… questa voce sembrava sincera. E questa frase appassionata… aveva in realtà saputo scuoterlo… ma non poteva, non doveva dimostrarlo! Sakuragi sospirò rassegnato e proseguì: “Mi avevano anche parlato della tua freddezza e del tuo controllo… eppure speravo che avrei saputo vincerli! Impresa titanica, direi. Avanti, vieni… seguimi!” concluse. Lo afferrò per un braccio con una sorta di brusca gentilezza e cercò di sorreggerlo, mentre si dirigeva verso una scala a cielo aperto. Rukawa si liberò da quel sostegno con uno strattone e, continuando da sé a tenere la stoffa premuta sulla fronte, chiese bruscamente: “Dove vuoi portarmi?” “A lavarti il viso” Salirono una scala che conduceva all’aperto e raggiunsero un’ampia terrazza affacciata sul mare, pavimentata da mattonelle smaltate di azzurro e adorna di numerosi fiori e piante che sbucavano da aiole disposte in modo da delimitare degli stretti sentierini fra di esse. Ibischi fioriti, piante grasse, fichi, pistacchi… una profusione di odori e di colori. Al centro della loggia si apriva un vasto spiazzo, accanto al quale si stendeva un’ampia vasca colma d’acqua trasparente, con le pareti di mosaico turchese e dorato che rappresentavano animali marini. Rukawa rimase per un lungo attimo immobile a contemplare quell’angolo incantato, che si manifestava davanti ai suoi occhi in tutta la sua sfolgorante, azzurra, scintillante bellezza. “E’… stupendo!” mormorò infine, ricercando gli occhi di Sakuragi che, ridenti, lo stavano scrutando in attesa di reazioni. “Sono contento che ti piaccia. L’ho fatto costruire io… mi rifugio qui, quando voglio distrarmi da affari di governo e di politica. Coraggio, vieni!” Lo afferrò per un lembo della veste e lo condusse sull’orlo della vasca, costringendolo a sedersi su una panca di pietra. Rukawa decise di non ribellarsi e si limitò a seguire i suoi movimenti con i vigili occhi di zaffiro prezioso, osservandolo in silenzio mentre immergeva una pezza di stoffa nell’acqua del bacile, la ritraeva strizzandola con cura e alla fine si avvicinava a lui per scostargli con cautela la pezza insanguinata dalla fronte. Hanamichi esaminò con occhio critico il taglio, squadrandolo accigliato e decidendosi poi a tamponarlo con attenzione. Si morse nervosamente il labbro, quando inevitabilmente si accorse dell’irrigidimento del corpo seduto di fronte a lui. “Rukawa, mi dispiace. Io… non avrei mai voluto!” sussurrò con un tono colpevole ed angosciato. Kaede ricambiò il suo sguardo, avvertendo con fastidio una leggerissima fitta al cuore. Faceva male accorgersi della presenza di quell’ombra nei suoi occhi… “Smettila, scimmia idiota!” sbottò bruscamente “Ti ho già detto che non è nulla…” Era stato brusco, e senza un motivo. Ma per un attimo si era sentito… strano. Lo allontanò rudemente e gettò la testa all’indietro cercando di far sì che la pezzuola bagnata non cadesse. Seguì fra loro un attimo di denso silenzio, interrotto nuovamente dalla voce incerta di Sakuragi: “Non essere arrabbiato con me, per favore” “Non lo sono” rispose recisamente, ma con voce più distesa. Lo ripeté di nuovo, senza riuscire a trattenersi: “Non lo sono” “Sai… è qui che vengo ad allenarmi con la spada. Ascolta volpe!” strillò improvvisamente la testa rossa, come colto da un’improvvisa, inaspettata frenesia “Io, il grande Hanamichi Sakuragi, figlio di Zeus, eroe degli eroi, uccisore di gorgoni, titani e…” “Vieni al dunque, per favore…” Hanamichi arrossì miseramente, ma non si lasciò smontare e proseguì come se nulla fosse: “Io ti sfido a duello, Kaede Rukawa!!! La tua spada contro la mia. Ti sfido e ti batterò!” “Non accetto” rispose semplicemente il compagno, senza nemmeno aprire gli occhi socchiusi per guardarlo in viso. “Eh? Come sarebbe a dir… ahhhh!!! Ho capito! Sai già che verresti sconfitto, quindi vuoi risparmiarti un’inutile umiliazione!! Hai paura di perdere… ammettilo! Eh eh eh… nessuno può battermi. Ma ti assicuro che cercherò di non impiegare completamente la mia innegabile maestria, così gareggeremo ad armi pari…” “Stupido presuntuoso. Non hai ancora capito che io potrei sconfiggerti ad occhi chiusi?” lo disingannò, perfettamente tranquillo e sicuro di sé. “Sciocchezze. Dimostramelo, se ne sei così convinto!” “Non ne ho la minima intenzione” Deciso, secco e irremovibile. Un diniego irrevocabile. La voce di Sakuragi allora si abbassò, divenne meno fastidiosamente vanagloriosa: “Rukawa, perché non vuoi batterti con me? Qual è la vera ragione di questo sprezzo? Dimmi, vuoi rifiutarmi anche questo? E’ un nuovo modo per umiliarmi? Non sono nemmeno degno di affrontarti in una sfida?” “Io non ho la mia spada” si decise a constatare, sperando che l’altro avrebbe capito. “E allora?” sbottò Hanamichi, cadendo dalle nuvole del monte Olimpo “Non vedo che impedimento ci sia! Puoi usare una delle mie, come pensi…” Rukawa si decise ad aprire gli occhi ed a conficcarli in quelli di Sakuragi, replicando seriamente e lentamente: “Mi avete privato della mia spada, forse la più misera fra le innumerevoli cose di cui sono stato spogliato: il mio trono, la mia terra, la mia gente… il mio orgoglio. La mia libertà. Non accetterò mai una delle tue armi… spade che hanno bevuto sangue dai miei soldati? Pugnali sottratti dai cadaveri dei miei uomini? Credi che io possa dimenticare quanti guerrieri di Rodi hai ucciso con le tue stesse mani? No, non lo scorderò mai. Non potrai mai farmi dimenticare la fossa che hai scavato fra di noi, Sakuragi… essa non si può colmare, non voglio che sia superata. Armi di un nemico… non ne voglio. Mi fanno ribrezzo” Detto questo, Kaede si levò in piedi ed esordì: “Chiedo il permesso di congedarmi e di fare ritorno nelle mie stanze” Senza attendere la risposta, si allontanò lasciando un silenzio amareggiato e frustrato dietro di sé. Giunto nell’area di alloggiamento assegnatagli, si accorse di stringere ancora nervosamente fra le mani il panno bagnato del sangue della sua ferita. Il panno della veste di Sakuragi. Lo osservò freddamente, quasi clinicamente, poi si avvicinò al balcone facendo l’atto di scagliarlo in mare. Si bloccò. Esitò e lo gettò con rabbia contro la parete della stanza. Perché soffriva, se aveva detto solo ciò che era inequivocabilmente vero?
L’aurora dalle rosee dita lo risvegliò con la pallida carezza dei suoi raggi solari, che lentamente erano strisciati lungo il pavimento della stanza fino a raggiungere il suo letto a baldacchino. Per la lira di Apollo… si era dimenticato di tirare le tende! Questa era una delle tipiche cose che facevano iniziare una giornata di Kaede Rukawa nel modo sbagliato. Con uno sbuffo scocciato si girò dall’altra parte e cercò di riprendere sonno. Inutilmente. Il sole estivo delle isole greche era un deterrente assai forte! Va bene, nulla da fare. Sospirò e si levò a sedere, sbadigliando e stiracchiandosi con grazia. Nh… si sentiva tutto intorpidito!! Voltò leggermente la testa, per sciogliere con languida lentezza i muscoli del collo… e la vide. Per lo stupore, rimase a lungo immobile con le mani a mezz’aria. Non era possibile. Non poteva essere lì, non poteva essere lei, non poteva essere reale. Forse aveva le traveggole… che non sapesse più riconoscere la veglia dal sonno? Ricordava di averla abbandonata a Rodi, con la rassegnata sicurezza di non poterla rivedere mai più!! Si sollevò in piedi con cautela e si avvicinò quasi timorosamente al drappo di porpora. Sopra di esso giaceva una spada. Un’arma pesante, bilanciata, di magnifica fattura. La prese in mano, ne esaminò il taglio affilato, la soppesò, ammirò l’impugnatura dorata ed intagliata a forma di serpente. Sembrava lei… ma la certezza giunse quando scorse un inconfondibile graffio che ne rigava la lama. Inconfondibile: si trattava della sua spada. Rimase fermo ancora per un istante, bloccato dall’incredulità, poi si diresse quasi senza pensarci all’esterno della stanza. Attraversò il primo corridoio, poi il secondo. Spalancò la porta e fece irruzione nella sala, ricercandolo con lo sguardo. Voleva spiegazioni, le pretendeva! “Accidenti, Rukawa! Ti aspettavo, ma non credevo che avresti impiegato così poco a venire qui! E’ ancora molto presto… qualcuno ti ha svegliato?” Scorse Sakuragi appoggiato ad una colonna, con le braccia incrociate e lo sguardo beffardo, che lo scrutava con aria compiaciuta. Evidentemente era assai lieto di essere riuscito a causare il suo stupore. Non era il momento di arrabbiarsi… “Questa spada…” iniziò. “L’hai riconosciuta?” lo interruppe la testa rossa. “Come l’hai avuta?” chiese allora lui, avendo ricevuto la conferma che si trattava effettivamente di ciò che aveva supposto. Hanamichi si staccò dalla colonna e gli venne vicino, fissando accigliato l’arma che era al centro di tanto trambusto e iniziando frattanto a parlare: “Era in mezzo ai monili, agli oggetti preziosi ed alle armi del palazzo: il bottino che noi, sovrani e delegati della Lega delle Isole, dovevamo spartirci. Mitsui la riconobbe subito: era la tua. Quell’impugnatura… quel serpente intagliato… non era possibile confonderla con un’altra! Era davvero una splendida arma, tutti la volevano… senza contare che era appartenuta a te, a Kaede Rukawa, un essere divino, una sorta di leggenda vivente! Dovetti contendere con Maki per riuscire ad impossessarmene” Rukawa strinse le labbra con nervosismo, sibilando: “Cosa conti di farne, adesso? Hai intenzione di usarla tu?” La testa rossa scoppiò in una risata divertita, esclamando: “Volpe, non posso credere che tu manchi a tal punto di perspicacia! Se l’ho messa nella tua stanza, non credi che ci debba essere una ragione!? Pensi che Andro sia carente di armi al punto da doversi ridurre ad usare le tue?! Inoltre, per me sarebbe quasi un sacrilegio usarla. La mia idea iniziale, a dir la verità, era quella di renderla al suo legittimo proprietario… sempre che questi la voglia ancora!” “Vuoi donarla a me?” chiese, stupito. “Certo! Che c’è di strano? E’ tua. Appartiene al tuo passato, alle tue lotte, al tuo modo di combattere. Ormai essa riconosce la tua mano. Questa spada… per me è preziosa, ma non tanto per il suo valore materiale…” “Perché, allora?” “Chissà quante volte deve averti salvato la vita…” si limitò a sussurrare, scuotendo il capo. “Hanamichi…” A quel suono Sakuragi sollevò di scatto la testa, spalancando gli occhi per lo stupore. Rukawa aveva pronunciato il suo nome. Per la prima volta. Su quel viso pallido e stupendo, simile al volto di una marmorea statua di un etereo Apollo, si era dipinto un lievissimo sorriso. Ah… poterlo fissare così, mentre era illuminato dai raggi leggeri del sole e da una felicità celata con gelosia nella sua anima! Gli occhi, il cuore, la voce, il respiro… era reale, era accanto a lui. Era stupendo… lo amava. “Ti ringrazio” gli mormorò Kaede. Ricambiò il sorriso, poi gonfiò il petto ed esclamò: “Aspetta a ringraziarmi, volpastra della malora! L’ho fatto solo perché tu non possa più trovare scuse per evitare uno scontro con il grande, immenso, incommensurabile Hanamichi Sakuragi, il vittorioso rivale di Ares, fallito dio della guerra!!!” “Tu, invece, aspetta a gioire, idiota…” si limitò a ribattere Rukawa, il cui sorriso aveva assunto una piega beffarda. Preoccupante…
Il secco e deciso clangore delle spade sembrava voler scandire il ritmo di quella mattinata estiva. Il sole brillava alto sopra le loro teste, riflettendosi sui loro capelli lucidi, sui corpi vigorosi e coperti di sudore, sulla lama grigia e rifulgente dei loro gladi. Con tre colpi violenti e ben assestati, Hanamichi costrinse Rukawa ad indietreggiare di due passi… ma non riuscì a metterlo seriamente in difficoltà. L’altro sembrava giocare: non aveva ancora attaccato sul serio… si limitava a schivare con facilità i fendenti, a studiare il suo gioco. “Dannazione, volpaccia! Ti vuoi impegnare?! Smettila di sottovalutarmi!” urlò frustrato, sferrando un nuovo, potente colpo che costrinse le loro lame ad incrociarsi fino all’elsa. Entrambi si impegnarono in un confronto faccia a faccia con i muscoli contratti fino allo spasimo, poi si tirarono contemporaneamente indietro, disimpegnandosi e recuperando il respiro affannato. Rukawa si deterse il sudore dalla fronte, sfiorando leggermente il taglio che ormai si era cicatrizzato, prima di sorridere beffardamente e sussurrare: “Impegnarmi? Se è questo che vuoi… ma ricordati poi chi è stato a chiederlo!” Si slanciò in avanti, rapido e leggero come una folata di vento. Pericoloso, guizzante, agile. Letale, ma splendido. Un affondo, un altro ed un altro ancora… dannazione, ma quanto era veloce?! Hanamichi riuscì a pararli a malapena, indietreggiando di parecchi passi e trattenendo il respiro per lo stupore dovuto all’improvviso mutamento di ritmo. Sembrava che quel giovane bellissimo si fosse improvvisamente liberato della sua zavorra umana, per trasformarsi in una divinità guerriera, inflessibile e tremenda! Pericolosamente affascinante. Sakuragi si gettò di lato e provò ad attaccarlo di fianco, tentando una finta: di solito non ricorreva a questo, ma era anche vero che di solito non combatteva con Kaede Rukawa! Non funzionò, comunque. Riuscì per poco anzi a stornare l’attacco di quella lama che, come un serpente, era guizzata velocemente sotto la sua, insinuandosi insidiosa quasi sino al suo petto. Una stilla di sudore freddo gli scese lungo la schiena. Pericoloso, abile, deciso. Forse più di lui, per quanto fosse doloroso ammetterlo. Ma la cosa più snervante era che, mentre lui aveva il fiatone, Rukawa sembrava divertirsi o deriderlo!! Quegli splendidi occhi blu erano illuminati da una fiamma azzurra che, bruciando ardente, sembrava canzonarlo, sussurrandogli beffarda: ‘contento? Guarda che l’hai voluto tu!’ Digrignò i denti e si gettò in avanti con la lama sollevata, sbottando con irruenza: “Sei bravo, Rukawa, ma ti batterò!” La risposta non tardo a giungere, scontata e rassegnata: “Idiota!” Il suo affondo venne parato da Kaede con estrema facilità. Quelle labbra sottili e perfette si piegarono in un leggero sorriso, poi quella divinità guerriera fece volare la sua spada a circa dieci metri da loro con un abile movimento di polso. Hanamichi deglutì e rimase immobile, mentre quella volpe sollevava con sguardo freddo la lama sino a puntargliela sulla gola. Si fissarono. Era la stessa situazione del loro primo incontro… ma questa volta la bilancia pesava dall’altro lato: la vita non era più dalla parte di Sakuragi. Silenzio, attesa. Per qualche istante nessuno dei due si mosse… poi Rukawa rilassò i muscoli ed abbassò la spada, rilasciando un respiro profondo ed appoggiandosi alla balaustra di marmo pario che si affacciava sulla parete a strapiombo sul mare. “Avresti potuto approfittarne per uccidermi…” gli fece notare “Dopo ciò che ti è successo, un’azione simile sarebbe pienamente giustificabile” Quegli occhi di zaffiro si fissarono leggermente sorpresi su di lui, ma immediatamente si rasserenarono e la voce morbida che ormai sapeva farlo vibrare gli spiegò quasi con dolcezza: “Ti dissi già che a me piace combattere, non uccidere… del resto, te lo dovevo: una vita per una vita” Mantennero il silenzio per qualche istante. Hanamichi era intento a guardare di sottecchi il puro profilo di Kaede, che era invece concentrato a scrutare la lontana linea dell’orizzonte, dove il cielo si abbassava sino a baciare il mare. Là, la sua libertà… poter andare là, sentire nuovamente, con voluttà, il sangue scorrere selvaggio ed incontrollato nelle vene… indipendente… solo… Lo voleva veramente? Sì, lo voleva. Eppure c’era anche dell’amarezza in questo desiderio… perché, anche se si fosse avverato, sapeva che nulla sarebbe stato più lo stesso. Non poteva illudersi che tutto sarebbe tornato come ‘prima’. Prima… prima di incontrare quella testa rossa. Sakuragi aveva sfiorato qualcosa di impalpabile in lui. Ma cosa? Cosa!? “Mi avevano riferito che eri abile, ma non credevo fino a questo punto. Però non riposare sugli allori, volpe maledetta! Ho detto che ti batterò e quindi ci riuscirò! Semplicemente, oggi non ero in forma… inoltre, dato che sei mio ‘ospite’, mi sembrava consono alle regole dell’ospitalità permetterti di vincere… insomma, non volevo vederti depresso a causa di una miserrima sconfitta!” Rukawa concentrò la propria attenzione su di lui ed iniziò a parlare con lentezza: “I tuoi colpi sono potenti ed imprevedibili, ma difetti di tecnica, di strategia… contro dei soldati semplici non avresti problemi, ma se tu dovessi scontrarti con qualcun altro… con Mitsui, ad esempio, non so come potresti cavartela!” “CHECCOSA?! Stai insinuando che potrei perdere contro quel pirata rinnegato? Ma… ma… ma…” “Mi chiedo anzi” continuò Kaede “Come tu possa aver vinto contro Maki, nella vostra competizione per ottenere la mia spada!” “Ah ah ah!! Ma io l’ho affrontato in una disciplina in cui sono pressappoco imbattibile!!” si vantò Hanamichi, sicuro di sé. “Cioè? Sicuramente non una gara intellettuale…” insinuò Rukawa, non rinunciando alla spontanea frecciata. “Argh!! Volpe maledetta, come ti permetti?!” sbraitò quella scimmia, assumendo una tonalità scarlatta per la rabbia. Kaede sbuffò ed indagò: “Allora? Questa disciplina?” Un pugno in pieno stomaco gli anticipo una risposta che ora aveva già intuito. “La lotta, ovviamente!” Dopo qualche istante di colpi, spintoni, lamenti e calci bassi entrambi giacevano riversi a terra, doloranti ed ammaccati. “Sai una cosa, maledetta volpastra?” esalò il sovrano di Andro. “Nh?” “Tu sei il primo che riesca a tenermi testa nel fare a pugni…” “Nh…” “Ma non sai dire altro?” “Idiota” “Grazie…” sospirò, lasciandosi sfuggire una risatina esasperata. Rukawa si sentì afferrare per un braccio e tirare in piedi. Troppo stanco per opporre resistenza, seguì passivamente quella testa rossa che lo stava trascinando verso il bordo della vasca. Quando però si accorse che quelle dita stavano cercando di sciogliergli i nodi della tunica, si irrigidì e lo spintonò via, ringhiando: “Che cosa hai intenzione di fare?!” Hanamichi si allontanò immediatamente di qualche passo e si affrettò a spiegare: “Ehi, calma! Non intendo mancarti di rispetto. Dato che mi sembravi spossato, volevo aiutarti a spogliarti per invitarti a fare un bagno assieme a me. Siamo entrambi accaldati, impolverati ed ammaccati…” concluse, privandosi senza esitazioni della sua tunica ed immergendosi con un sospiro leggero nell’acqua fresca di quella piscina, con pareti tappezzate di splendidi tasselli di mosaico blu e dorato. Kaede rimase esitante a guardarlo, distogliendo poi gli occhi da lui con un leggero imbarazzo e rimanendo immobile, indeciso sul da farsi. Sakuragi finalmente parve accorgersi del motivo della sua titubanza, perché lo esortò ridendo: “Avanti! Se vuoi, eviterò di guardarti…” propose, chiudendo gli occhi. Dopo qualche istante di tensione udì un lieve fruscio di stoffa ed il rumore di un corpo che si calava con leggerezza nell’acqua. Riaprì con cautela le palpebre, ma continuò a mantenere lo sguardo stoicamente puntato verso il cielo azzurro. Saperlo nudo, a pochi metri da lui… quel corpo incantevole, abbandonato e così vicino… e essere consapevole che avrebbe potuto avvicinarsi e… Un lamento lo trasse da quei pensieri pericolosi, dolorosi e frustranti. “Ti senti male?” interrogò ansioso, voltandosi istintivamente nella sua direzione. Venne accecato dal biancore di quella pelle, dal gioco di quei muscoli stupendi, dalla perfezione dei lineamenti di quel volto disteso, dal taglio perfetto di quegli occhi di un colore così inusuale, così stupendo… così ammaliante. Quella voce sommessa intervenne a scuotere il suo sguardo fisso, abbagliato da uno splendore talmente perfetto da non sembrare quasi umano. “No… è che ci sei andato giù un po’ pesante… ho preso un’altra botta in testa” “Mi dispiace” bofonchiò allora, costringendosi ad abbassare colpevolmente gli occhi. Si sentiva sinceramente addolorato per avergli fatto male… “Non è nulla” lo tranquillizzò Kaede “L’importante è che tu ne abbia prese tante quante me ne hai date” Rukawa lo stava nel frattempo osservando con la tipica espressione corrucciata. Sakuragi aveva un bel fisico, forte, agile e proporzionato, probabilmente plasmato da anni di allenamento. Numerose cicatrici si stagliavano bianche su quella pelle abbronzata, ma non la deturpavano… parlavano piuttosto di coraggio e di dolore. Ce n’era una particolarmente grande, che attraversava quasi tutto il petto… quella doveva essere stata quasi mortale! Chissà quanto tempo fa se l’era procurata… “Sakuragi?” lo richiamò. “Cosa?” “Quella vecchia ferita che solca tutto il tuo torace… è molto lunga e profonda. Come…” Il suo quesito venne bruscamente interrotto da Hanamichi, che asserì con voce secca: “E’ una vecchia storia, stupida e patetica… credimi, è meglio lasciar perdere. Ora devo andare: il mio ruolo di sovrano è un peso, oltre che un privilegio. Puoi rimanere qui finché vuoi. Ah… fossi in te, non tenterei di fuggire! Ci sono dei picchetti di guardie che sorvegliano perennemente l’ingresso del mio appartamento ed ogni ala del palazzo” Si sollevò dalla vasca ed annodò la sua veste attorno alla vita, senza nemmeno premurarsi di asciugare i rivoli d’acqua che solcavano la sua schiena e le sue braccia. Dopo avergli gettato un lungo, indecifrabile, bruciante sguardo, se ne andò senza preoccuparsi di salutare. Rukawa lo guardò allontanarsi, mentre una strana sensazione, dolorosa ed opprimente, gli premeva il petto. Cosa… cosa aveva detto di male?
Quella reclusione forzata era sempre più difficile da sopportare. Il motivo, però, non era il più ovvio. Rukawa avrebbe voluto riuscire a convincersi che la sottile ansia che lo affliggeva, che l’incapacità di apportare sollievo alla sua anima tormentata fossero effettivamente ancora provocate da quella prigionia, irritantemente mascherata da una facciata di falsa ospitalità, e dalla perenne sorveglianza cui era sottoposto, infantilmente celata da tendine trasparenti e da sguardi indifferenti. In realtà, non era più così. C’era un’altra, più pressante e meno definita angoscia che spesso lo spingeva a fissare con nervosismo l’uscio d’ingresso della sua stanza, che lo costringeva a lasciarsi andare a pensieri inconcludenti e che lo manteneva immobile ad ascoltare il suono dei passi che durante il giorno si avvicinavano lungo il corridoio… quei passi che lui, dopotutto, aspettava. Passi: nella maggior parte delle volte si rivelavano essere quelli di sentinelle, di schiavi, di ancelle… e non erano quelli che lui attendeva: sapeva fin troppo bene quali avrebbe voluto sentire. Eppure era estremamente difficile, o piuttosto umiliante, ammettere di esserne consapevole. Ormai non contava più le volte in cui doveva lottare con se stesso per impedirsi di uscire da quella camera e coprire lo spazio che li separava. Aveva… aveva scoperto di volere la sua compagnia!! Di desiderarla come mai aveva voluto quella di un altro! Aveva sempre anelato la solitudine e la tranquillità, non aveva mai sentito il bisogno di ascoltare voci o risate, di tentare di comunicare con qualcuno per farsi capire… mai prima d’ora! Il silenzio era il suo fratello ed il suo compagno: non tradiva e non infastidiva mai. Perché adesso aveva iniziato ad esserne oppresso? Perché non gli bastava più? Le parole, le sbruffonate, le risate di Sakuragi in questo ultimo mese gli erano divenute… familiari. Non solo: gradevoli. Sembrava che fossero capaci di alleviare una ferita che da sempre gli aveva squarciato il petto ma che accettava di essere riconosciuta solo ora, ora che stava venendo curata. Era inconcepibile. Il desiderio di cercarlo talvolta era talmente forte da offuscare il suo raziocinio, da fargli dimenticare l’irreparabile, tremenda realtà che doveva separarli. Questa realtà: loro… erano nemici. Hanamichi aveva ucciso i suoi sudditi, il cui sangue non poteva essere cancellato ed ancora urlava il suo dolore dal suolo su cui era stato sparso. Sakuragi lo aveva privato del suo trono, lo aveva condotto in quel suntuoso palazzo contro la sua volontà. Anzi… senza nemmeno considerare la sua volontà!! Lui si trovava in quel luogo in qualità di preda di guerra: possesso senza diritti, costretto, chiuso, imprigionato, trattenuto. Non era libero. Non lo sarebbe più stato… per causa di quell’idiota!! Ma tutto questo non metteva più a tacere quelle nuove sensazioni sconosciute con cui non avrebbe mai voluto avere a che fare. Cominciava a dimenticare i suoi propositi di fuga. Iniziava a… trovarsi bene lì. Questo era estremamente deleterio: assecondare il suo carceriere. Ma ancora più dannoso era il fatto che, per la prima volta in vita sua, sentiva il bisogno fisico e spirituale della compagnia di qualcuno. Tutto ciò celava un’intricata serie di conseguenze a cui cercava di non pensare, ma che sentiva incombere su di sé con il colore cupo di una sconfitta: la disfatta della propria freddezza e razionalità, delle sue migliori protezioni. Una persona lo stava attirando a sé. Che cosa avrebbe potuto ricavarne se non dolore? Doveva resistergli. Doveva contrastare quei sentimenti che stava iniziando a provare. Doveva soffocarli ora, quando erano ancora tenui, delicati e lontani, ma al contempo rappresentavano già un pericolo tangibile, in fondo perfino troppo concreto. Inarrestabili, avanzavano con la pericolosa lentezza della marea crescente. Non doveva provarli, altrimenti quegli stessi impulsi sarebbero divenuti le sue catene. Legami da cui liberarsi sarebbe stato impossibile, perché non era stato un altro a imporglieli, ma lui stesso. Rukawa intuiva tutto ciò con un’angoscia dolorosa che lo riempiva di amarezza, amarezza che altro non era se non sofferenza per quella lotta interna che era costretto ad affrontare: la sua parte razionale, che finora sempre aveva prevalso, contro il suo essere irrazionale, costantemente strangolato nel buio. Ma lui… cosa voleva realmente? Aveva mai provato a chiederselo sul serio? Aveva solo paura della risposta…? Quei sentimenti tenui stavano crescendo tenacemente… ad ogni sorriso che Hanamichi riusciva a strappargli, ad ogni parola, ad ogni insulto… perfino ad ogni rissa! Forse era semplicemente stupido e vigliacco tentare di ingannarsi. Perché non trovare allora il coraggio di ammettere che lui, nei confronti di quell’idiota, stava iniziando a provare… Passi. Un suono di passi lo fece sussultare, ma fu un solo attimo: riacquistò immediatamente la sua imperturbabilità. Il suo smarrimento avrebbe potuto venire tradito solo dal battito accelerato di quel cuore maledetto, insidiato dall’infida dea Afrodite, aperto alleato delle sue inconsce e rinnegate speranze. Speranze che furono disingannate subito: quella camminata era troppo lenta e leggera per poter appartenere a quel casinista, titanico sbruffone di Sakuragi. Sollievo o delusione? Non voleva interpretarsi. “Rukawa? Posso entrare?” Non conosceva quel giovane, ma l’aveva spesso scorto al fianco di Hanamichi. Li aveva visti assieme in pace e in battaglia. Inoltre, quando aveva posto piede per la prima volta come prigioniero sul suolo di Andro, proprio quel tipo lo aveva accompagnato a palazzo, su espresso ordine di Sakuragi. Uno stretto amico del suo padrone, probabilmente. Che ne fosse parente, ciò era pressappoco impossibile, dato che la somiglianza era nulla: questo ragazzo era molto più basso, con un viso tranquillo e sorridente, corti capelli scuri e rilassati occhi neri. “Ti porgo i miei omaggi, Kaede Rukawa. Il mio nome è Yohei Mito. Sono… come posso definirmi? Credo che ‘compagno d’armi e consigliere del sovrano Sakuragi’ sia la denominazione che si avvicina di più alla realtà” Il decaduto sovrano di Rodi non si sbilanciò troppo, limitandosi ad un asciutto e neutro: “Kaede Rukawa” Quel giovane non parve affatto prendersela per quell’atteggiamento sostenuto. Anzi! Sorrise addirittura tra sé, come se quell’atteggiamento sostenuto lo divertisse o confermasse le sue aspettative. “Per Zeus, Hana aveva proprio ragione! Se non mi avesse avvertito che questa sarebbe stata l’accoglienza che mi avresti riservato, probabilmente mi sarei fatto scoraggiare!” Rukawa sostenne il suo sguardo e non replicò. Che strano… aveva la netta sensazione che quel giovane si dilettasse a prendersi sottilmente gioco di lui, eppure non riusciva a trovarlo antipatico. Era una necessità per un guerriero e per un re imparare a giudicare le persone dalla loro fisionomia: negli occhi di quel ragazzo non vi era alcuna traccia di falsità o malignità. Una persona da rispettare: ecco come il suo intuito lo aveva identificato. Tanto meglio! I tipi come quello erano gli unici con cui potesse sopportare di trattare. Yohei lo fissò tranquillamente per qualche attimo, poi constatò con tranquillità: “Aveva ragione, sei magnifico. Un po’ troppo freddo, forse? Oppure semplicemente timido, ma troppo orgoglioso per potertelo permettere. Sicuramente misterioso e complesso. Inizio a comprendere il perché di tutte le leggende che circolano sul tuo conto…” “Cosa vuoi da me?” lo interruppe, seccato. Mito rispose serenamente, senza false formalità: “Ehi… non metterti già sulla difensiva! Non era mia intenzione mancarti di rispetto. Se ti ho dato questa impressione, spero che tu sappia perdonarmi. Hanamichi mi ha chiesto di farti da guida nel palazzo… non credo che tu l’abbia già visitato, giusto?” Stupidamente, non poté trattenersi dal chiedere: “E Sakuragi dov’è?” Yohei non si lasciò abbacinare dal tono impersonale: il suo sorriso assunse una piega furbesca, mentre ribatteva: “Intendi dire, se non ho interpretato male la domanda, come mai non è lui stesso ad accompagnarti? Questioni di governo… aveva alcune divergenze da appianare. In questo momento non è a palazzo, quindi credo che tu debba accontentarti di me…” “Perché queste sciocchezze? Meno quell’idiota mi è fra le scatole, meglio è per me…” Accidenti! Aveva involontariamente inserito troppa enfasi in queste parole che avrebbero dovuto essere indifferenti. Il risultato era stato contrario a quello voluto: il sorriso di quel ragazzo si era accentuato ulteriormente, fin troppo consapevole. Se non altro aveva avuto il buon gusto di non replicare… Così iniziò la preannunciata visita guidata lungo i dedali di quell’immensa residenza, caratterizzata dai silenzi di Kaede e dai tentativi di conversazione di Yohei. Quest’ultimo si tuffava spesso in vaste descrizioni architettoniche, in reminiscenze e leggende di tempi lontani oppure in aneddoti storici… o anche, assai più spesso, scivolava istantaneamente a raccontare episodi della giovinezza di Hanamichi, legati a questa determinata stanza o a quel cortile. Rukawa, suo malgrado, doveva ammetterlo: era piacevole ascoltare Mito, sapeva metterlo a suo agio. Certe volte scopriva perfino in sé il desiderio di inserirsi in quei lunghi monologhi con qualche osservazione o con una domanda, ma questo avrebbe richiesto il compimento di uno sforzo su se stesso che preferiva evitare. Era più forte di sé: parlare con estranei… era sempre stato troppo difficile. Caratteristica controproducente per un sovrano! Non per nulla una volta delegava a Kogure le questioni diplomatiche ed amministrative. Comunque, in quel momento si manteneva in silenzio anche per un altro motivo: non voleva sembrare troppo interessato. Ma in realtà lo era, eccome… e ciò lo irritava incredibilmente! “… era veramente una peste! Faceva disperare suo padre con le sue continue fughe da palazzo reale, le sue urla di sfida agli altari di Ares, i mille guai in cui andava consapevolmente a ficcarsi! Poi, rendendo grazie a Zeus, crebbe… e trovò di meglio da fare che eludere i suoi precettori per sgattaiolare via dalla corte. Si interessò all’arte della guerra, alla navigazione… alle donne, ovviamente. Per Poseidone, che razza di sciocco imbranato…” Rukawa commise l’errore di lasciarsi sfuggire una parola: “Perché?” Mito, sorpreso di venire interrotto da quella voce profonda, sollevò istantaneamente il viso e riuscì a cogliere una scintilla d’interesse celata in quelle iridi simili a limpidi zaffiri. Rinvigorito dalla certezza di non parlare a vuoto, riprese con maggior foga: “Hanamichi… era un vero disastro con le donne! Innanzitutto era semplicissimo fargli perdere la testa e gettarlo nei meandri di stupide cotte prive di alcuna profondità di sentimento: era sufficiente il sorriso timido di un’ancella, l’occhiata suadente di una cortigiana e lui veleggiava sulle sommità del monte Olimpo! Avrai compreso che ovviamente queste erano solo sbandate giovanili, ma lui vi si lasciava catturare completamente… come da ogni altra cosa, del resto. Quando Hanamichi si lancia in un’impresa, vi si perde con tutto se stesso. Se combatte, non può non rischiare la vita. Se ama veramente… non può che amare in un annullamento e una dedizione totale. Oh, ma sto divagando!” esclamò Yohei, falsamente contrito, guardandolo in un modo che gli fece comprendere che quella parentesi invece era stata voluta e cercata. Riprese immediatamente a narrare: “Dicevo… ah, già! Hanamichi e le sue cotte. Numerosissime. Non mi stupirei di scoprire che il loro ammontare è cinquanta, o anche più. Tuttavia lui era talmente timido ed impacciato da non osare mai farsi avanti: era convinto di non poter piacere di per se stesso, aveva la certezza che, se avesse ricevuto una risposta affermativa, questa sarebbe dovuta solamente alla sua posizione di principe. C’è in lui un fondo di latente insicurezza. Inoltre, non ha mai saputo scendere a patti con il suo orgoglio…” Kaede scoprì questa affinità con una certa sorpresa: nemmeno lui aveva mai fatto compromessi con il suo orgoglio… quindi non poteva che apprezzare la fierezza altrui. Camminando, erano frattanto giunti in un vasto cortile interno da cui provenivano risate e schiamazzi infantili. Rukawa si stupì di trovarvi un gruppo di bambini intenti a giocare a palla, a rincorrersi, a gridare con allegria. Non poté evitare un moto spontaneo di malinconia: la sua infanzia… non era mai stata così lieta e spensierata. Ma a lui era davvero stato permesso di vivere un’infanzia? Comunque, inutile piangerci sopra. Piuttosto, chi erano tutti quei bimbi? Ce n’erano alcuni che avrebbero potuto avere tre anni, ed altri che sembravano aver quasi raggiunto l’adolescenza… Mito comprese la sua perplessità e spiegò quasi con dolcezza: “Sono orfani. Ragazzi privi di genitori, bimbi abbandonati, figli il cui padre è morto in guerra… in questo ultimo caso, Hana accoglie a palazzo sia la madre che il bambino. Tutti sanno di poter trovare asilo qui, se ne hanno bisogno…” “Hanamichi fa tutto questo?” sussurrò, stupito. “Sì, ma non solo… anche molto altro. Ad esempio, qui a palazzo c’è una scuola dove i bambini possono imparare il fenicio: è utile ad Andro, dove quasi tutti sono marinai o mercanti. Una scuola aperta a tutti… e gratuita, ovviamente. Il bottino che Hanamichi ricava dalle sue imprese spesso passa direttamente dalle sue mani a quelle dei suoi soldati. I suoi soldi, sono i soldi delle vedove. Alcuni lo criticano per tutto questo, dicendo che la bontà non è la giusta prerogativa di un sovrano, ma lui se ne infischia… ed il suo popolo non gli vorrebbe tanto bene, se così non fosse. Sai, si può dire che questo orfanotrofio sia nato con me…” Rukawa ne ricercò lo sguardo, prima di chiedere: “Che cosa intendi dire?” “Hai compreso benissimo” gli rispose Mito con voce limpida “Io sono orfano. Ignoro chi siano i miei genitori. Hanamichi mi trovò in una strada sassosa durante una delle sue frequenti fughe da palazzo: solo, affamato e disperato. Mi portò con sé nella sua stanza lussuosa e, da quel momento in poi, divise con me tutto ciò che aveva. Non permise a nessuno, con una cocciutaggine di cui mi stupisco ancora adesso, di allontanarmi da lui. Da allora non ci siamo mai divisi. Quando io compii il mio sedicesimo anno d’età, il suo regalo per me fu la fondazione di questo orfanotrofio. Fu il migliore dono che avrebbe mai potuto farmi…” Yohei si interruppe, prendendo in braccio una bimba che ridendo era corsa fino a lui e gli si era aggrappata alle ginocchia. Rukawa li osservò assorto mentre ridevano, guardando Mito che faceva volteggiare in aria quello scricciolo con le sue braccia robuste, ma insospettabilmente delicate. “Io devo moltissimo ad Hanamichi, Rukawa” riprese Yohei, bloccando i suoi volteggi e attirandosi la piccola al petto “Gli devo la mia posizione, la mia educazione, il mio nome, il mio passato ed il mio futuro… gli devo la vita. Molte delle cicatrici impresse sul suo corpo avrebbero dovuto essere mie. Alcune sue ferite sarebbero divenute la mia morte, se non fosse stato per la sua prontezza” “Anche il lungo sfregio che gli trapassa il petto?” Vide l’espressione di Mito offuscarsi immediatamente, mentre posava a terra la bambina che, avendolo visto adombrarsi, di riflesso aveva a sua volta assunto un’espressione imbronciata e impaurita. Il giovane si sforzò di sorriderle, dandole una leggera carezza sul capo e spingendola verso alcune sue amiche che la stavano chiamando. Solamente dopo averla vista unirsi a loro, si voltò a fissarlo con sguardo cupo. “No, quella deturpazione… non è dovuta a me. E’ una storia di parecchio tempo fa, come avrai notato dalla vecchia cicatrice. Quella ferita si è rimarginata, ormai… eppure essa ancora non cessa di mordergli il cuore. E’ il tangibile, visibile segno del suo rimorso, dei suoi rimpianti, di una colpa per cui mai cesserà di tormentarsi. Certe volte desidero quasi che lui possa essere meno sensibile… che possa amare di meno e soffrire di meno” Avevano ricominciato a passeggiare, senza badare troppo alla loro direzione. “Dove… cosa accadde… quando?” mormorò Rukawa, cercando di non disturbare con frasi inopportune quella confidenza che stava scivolando spontaneamente. “Non ti ha detto nulla, vero? Avrei dovuto immaginarlo. Del resto, come potrebbe sopportare di venire compatito o addirittura disprezzato da te? E’ convinto che chiunque venga a sapere questo episodio del suo passato non possa non condannarlo… perché è così che lui reagisce tuttora: incolpandosi. Non riesce ad accettare ciò che è successo, non riesce a comprendere che la colpa non è sua!! Stupido cocciuto con una coscienza… sciocco altruista…” “Ha ucciso qualcuno per sbaglio?” azzardò Kaede con tono basso e vibrante. “No, ma lui crede che sia così. Accadde durante una battaglia, qualche anno fa. Hanamichi stava duellando coraggiosamente, privo di esitazioni, deciso, isolato dalla sua coscienza, il volto spoglio di ogni sentimento, come sempre gli accade quando è costretto ad uccidere… quando deve smettere di pensare a ciò che fa, per poterlo fare. Nel mezzo della mischia, Hana venne avvertito che suo padre, il vecchio sovrano Sakuragi, mentre affrontava un giovane avversario che lo aveva attaccato slealmente, cercando di approfittare della loro differenza di età, era stato visto allontanarsi gradualmente dal campo di battaglia… ma che non era ancora stato visto ritornare. Hanamichi si slanciò alla sua ricerca e li trovò: l’avversario era morto accanto al padre riverso a terra, svenuto, ferito, sanguinante. Non indugiò un attimo. Si slanciò verso il nostro accampamento per avvertire i soccorsi, ma… lungo la strada, venne bloccato da un drappello di nemici. Tentò di difendersi, però loro… erano troppi. Non si arrese, anche se accerchiato: combatteva piangendo, pregando Zeus e Atena di salvare suo padre, implorando grazia non per sé, ma per il vecchio sovrano che attendeva il suo aiuto… fu tutto, tutto inutile. Dove’ero io? Continuo a ripetermelo sempre… dov’ero, dov’ero io mentre lui veniva ferito, una, due, più volte?” mormorò Yohei con voce strozzata, occhi furiosi e colpevoli. Riprese dopo qualche profondo respiro: “Hanamichi era morto e lo sapeva, tuttavia… non gli importava. Mi raccontò in seguito che lui voleva essere ucciso, dato che non poteva salvare suo padre. Loro però non gli diedero il colpo di grazia, perché erano convinti che quella lunga sciabolata sul petto lo avesse già ammazzato. Lo lasciarono lì, svenuto, agonizzante, già preda delle ombre dell’Ade. Fui io a trovarlo… ricordo ancora con assoluta lividezza il terrore, la colpa, il dolore: era immerso in una pozza di sangue e, in preda alla febbre, balbettava che doveva andare da suo padre, che doveva soccorrerlo, che il re era in pericolo di vita e che non bisognava perdere tempo. Riuscimmo a salvare lui, ma quando giungemmo dal vecchio sovrano… questi era già morto, ed il suo corpo ormai era freddo. E da allora non passa giorno in cui non si sfiori la ferita con la mano, impallidendo per la sofferenza…” “Ma è stupido pensare che sia causa sua!” obbiettò Rukawa. Non avrebbe mai pensato a questo… “No, non è stupido… è semplicemente umano, se ci pensi. Non è facile andare avanti quando sai che forse, se tu avessi preso un’altra strada… forse, se tu ti fossi fatto accompagnare da qualche altro soldato… forse, se fossi rimasto al fianco di tuo padre… forse, forse, forse. Forse. Credo che, quando non riesce ad addormentarsi, passi la notte a contare tutti questi ‘forse’. Deve averne trovati centinaia. Non è piacevole sapere che la morte di tuo padre avrebbe potuto venire da te evitata… e che tu, che sei suo figlio, non ce l’hai fatta! Tu, che lo hai sempre adorato…” “Ma non dipende da lui!” urlò letteralmente Kaede, furibondo per la sofferenza che Hanamichi si ostinava ad infliggersi. “Tutti lo sanno. Probabilmente anche lui lo sa. Del resto, credi che io non abbia cercato di farglielo capire? Pensi che non gli abbia detto che tutti gli altri soldati che erano in battaglia con lui erano egualmente responsabili? Che anche io ero colpevole, che anche io avrei dovuto fare qualcosa per salvare il re, che non avrei dovuto lasciarlo andare da solo a soccorrerlo!? Con chi credi che lui abbia litigato, gridato e sofferto per ciò che gli è accaduto? Con me. Pensi che io non abbia provato dolore per il suo dolore?” costatò amaramente Yohei “Eppure, Hana non è rimasto troppo a lungo a piangersi addosso… questo non sarebbe stato da lui. Ha scacciato l’abbattimento ed ha preso le redini del suo regno, guidandolo abilmente senza lasciarsi abbattere dal rimorso, senza concedersi smarrimento, senza perdere troppo tempo a crucciarsi sulla nuova realtà in cui lui, fino a quel momento principe spensierato e scavezzacollo, si era improvvisamente trovato catapultato. Ed ora ha ancora la forza di essere felice e di sperare, nonostante i suoi pensieri e le sue responsabilità. Nonostante i suoi rimorsi. Questo è Hanamichi Sakuragi, questa è la sua grinta. Questo è il mio migliore amico…” Rukawa si rabbuiava mano a mano che quelle parole venivano pronunciate. Evidentemente Yohei conosceva Hanamichi veramente bene… molto bene. In fondo, ciò era normale: quei due erano amici da tanto tempo! Amici. Ma amici e basta? Erano molto legati, erano inseparabili, erano affiatati… si volevano bene. Dovevano avere affrontato moltissimo l’uno al fianco dell’altro. Perché allora non pensare che avessero condiviso, che stessero condividendo anche un sentimento che perforasse le barriere di un semplice legame fraterno? Questa conclusione era quasi ovvia, date le premesse. Mito e Sakuragi… potevano davvero essere amanti? Era vero, Hanamichi aveva detto di amare lui… ma, d’altra parte, Yohei non gli aveva forse raccontato che quell’idiota aveva anche giurato di amare tutte le innumerevoli smorfiosette della sua adolescenza? Non si trattava di amore, era quello stupido idiota a chiamarlo così. Perché? Per ingannare crudelmente i sentimenti degli altri. Ma per quale motivo se la stava prendendo così a cuore? Poteva, anzi doveva fregarsene. Era così semplice alzare le spalle e far finta di nulla! Lo era, vero? Si stupiva piuttosto che a Mito l’atteggiamento volubile di Hanamichi non creasse fastidio. Se erano amanti, avrebbe almeno dovuto essere geloso di ciò che Sakuragi proclamava di sentire per lui, per Kaede Rukawa! Ma perché essere geloso, se era sicuro di sé? Sakuragi poteva avere tutti i passatempi che voleva… il suo amore, l’amore vero, quello non ne sarebbe stato intaccato. Forse era questo il ragionamento di Yohei… forse era convinto di essere semplicemente inattaccabile. Era stupendo venire considerato un ‘passatempo’. Kaede… soffriva. E soffriva crudelmente perché non si trattava solo di una ferita d’orgoglio, per quanto lui avrebbe voluto che fosse così. Hanamichi provava solo attrazione, per lui? E’ vero che fra attrazione e amore c’è un solo passo… ma esso è molto lungo. Ma perché fare vuote supposizioni, se poteva sapere? “Tu e Sakuragi siete amanti?” Scrutò il volto sereno di quel giovane, per poterne analizzare le reazioni: dapprima, occhi spalancati e sguardo smarrito. Smarrito… ma a causa di cosa? Per essere stato scoperto? Per essere stato oggetto di un abbaglio? Non riusciva a capire. Poi… finalmente, una risata aperta. “Ma… ma… scusami Rukawa, ma non riesco veramente a capire se sei stupido o se tenti con tutte le tue forze di essere ingenuo!!” esclamò a fatica Yohei, cercando di calmare i singulti di divertimento. Kaede aggrottò seccato le sopracciglia. Non gli piaceva essere deriso… e non aveva nemmeno ricevuto una risposta esauriente!! Mito sembrò accorgersi della sua espressione scura e cercò di riconquistare un’aria controllata e tranquilla, riprendendo con più rispetto: “Perdonami, Rukawa. Non intendevo prendermi gioco di te… ma mi hai stupito. Come puoi dire che io ed Hanamichi siamo amanti? Che incredibile assurdità! Come potrei sentirmi attratto da quella scimmia? Non intendo dire che non ci si possa innamorare di lui, ma… ma non io! Siamo troppo amici per poterci amare, capisci quello che intendo dire? E poi… io ho già una persona a cui essere fedele, ed è per giunta una tipa piuttosto gelosa, quindi ti consiglio di non spargere in giro voci su una presunta relazione fra me ed Hana oppure… prevedo per me tempi duri e notti fredde! Ci mancherebbe solo che, in un impeto di sospetto, lei mi lanciasse una maledizione in nome di Seth!!” Calò un breve attimo di silenzio, durante il quale uno cercò di dominare completamente il divertimento per l’insinuazione assurda e l’altro tentò nervosamente di rimproverarsi per quello che aveva tutta l’aria di essere… sollievo? O forse, addirittura… soddisfazione? Sicuramente, qualcosa di inutile e di potenzialmente pericoloso. “Rukawa, ascolta… è fin troppo chiaro ad entrambi cosa provi Hanamichi. Non cercare di non vedere dentro di lui, per favore… ma soprattutto, non tentare di ignorare ciò che c’è dentro di te. Non voglio farti prediche. Ti chiedo solo, se puoi… di non farlo soffrire per orgoglio, perché non lo merita affatto” Rimasero a lungo a fissarsi negli occhi, prima che Mito sorridesse allegramente ed esclamasse: “Credo che sia meglio riportarti alle tue stanze, Kaede Rukawa!”
Rukawa attese che fosse calata la notte, prima di avventurarsi fuori dalle sue stanze e di percorrere con silenziosi passi felini i due lunghi corridoi che si frapponevano fra le loro camere. Non sapeva perché avesse atteso che la luna facesse capolino da dietro le nuvole e gli accarezzasse il viso con la sua pallida luce, prima di decidersi a muoversi. O forse sì… forse lo sapeva fin troppo bene. Ricordava ancora perfettamente la prima volta in cui aveva incontrato quella scimmia rossa: una nottata di parecchio tempo prima, nella quale, sentendosi soffocare a palazzo da oneri, obblighi, rimorsi e responsabilità, nonché dal ruolo di sovrano deciso ed inflessibile che era costretto ad impersonare, si era rinchiuso nel suo salottino privato con l’ordine di non venire disturbato… ed era sgattaiolato via dalla porticina segreta, indossando una semplice veste leggera da soldato e brandendo una spada. Aveva voluto cercare di fuggire da quell’atmosfera asfissiante, per illudersi di essere ridiventato semplicemente Kaede Rukawa e non più il sovrano Kaede Rukawa. Non aveva trovato quell’illusione… ma aveva trovato ben altro. Mentre cercava di sgomberare la mente dalle preoccupazioni, camminando con passo felpato nella tranquillità di quelle tenebre avvolgenti, quel ciclone umano era prepotentemente entrato in collisione con lui. E da allora qualcosa era cambiato. Troppe cose erano cambiate… Già allora sapeva che l’uomo che quella notte gli era saltato addosso doveva per forza essere un avversario… ma nonostante questo il suo animo non lo aveva percepito come suo nemico. Con lui aveva parlato. Con lui aveva potuto esternare ciò che non si era mai permesso di mostrare: i suoi dubbi, la sua rabbia, i suoi conflitti… senza sapere chi lui fosse e senza che l’altro sapesse chi fosse lui. Discorsi fra anime. Aveva ricercato la sua presenza in quelle lontane e calde notti… aveva ricercato lui. Perché accanto a lui non si era sentito a disagio, non aveva provato alcun fastidio. Perché, forse… aveva capito che quella persona cercava di comprenderlo, non di interpretarlo. E si era sentito compreso. Quando Sakuragi lo aveva stretto e baciato, mormorandogli di amarlo… ogni vuoto era stato riempito, non era forse stato così? Ma allo stesso tempo ogni paura era stata aperta. Aveva cercato di fuggirlo… eppure ora era lì, a ricercarlo volontariamente. Che ci fosse qualche trama divina in quel loro inseguirsi e fuggirsi? O che ci fosse semplicemente qualcosa di ancora più forte del volere di una divinità? Sospinse la pesante porta ed entrò nella sala occupata dalla vasta tavola di marmo, che lui ormai conosceva. Era oscura, vuota e silenziosa. Non vedeva brillare alcun lume. Che Hanamichi non si trovasse lì? Un sospiro lo convinse del contrario. Si voltò e lo vide. Era seduto a terra, il capo reclino posato contro la parete e lo sguardo pensosamente rivolto al mare, che si estendeva cupo oltre il balcone. Fece un passo avanti…
Hanamichi sussultò profondamente, voltando la testa di scatto e scattando istantaneamente a ricercare l’elsa della spada. Bloccò quel movimento a metà, stizzito con se stesso: che stupido riflesso incondizionato! Chi poteva essere, se non Mito?! Prima o poi lo avrebbe sul serio infilzato senza nemmeno pensarci. Povero Yohei, ora avrebbe davvero dovuto scusarsi … Ma Mito non era mai stato così alto. E non gli aveva mai fatto provare quei brividi e quelle sensazioni. Ma che ci faceva lui lì? “Rukawa?” mormorò, incredulo. Kaede non rispose a quella semplice domanda retorica, dettata dallo stupore. Rimase per un attimo immobile con lo sguardo perso verso il cielo, poi si sedette di fronte a lui. Ancora in silenzio. Che strana atmosfera! Così… romantica! Hanamichi si scoprì quasi triste: guardare quelle stelle, rifulgenti come gioielli incastonati nella notte, quel mare sussurrante, quella luna così bianca e splendida… ammirare di sottecchi quel volto candido e perfetto, quei zaffiri brillanti e pensosi, quella bocca sottile e morbida… sì, morbida. Lui sapeva che quelle labbra erano estremamente vellutate. Aveva tutto questo. Era innamorato. Sarebbe stato tutto fin troppo perfetto… se non fosse stato tutto fin troppo triste. E questo perché? Perché Eros aveva deciso di colpire solo lui con le sue frecce! Maledetto Dio pennuto, ma gli aveva fatto qualcosa di male?! Forse si era preso gioco troppo spesso di lui, ed ora quel gallinaceo si stava vendicando… Si impose di impedirsi di sospirare: non voleva sembrare ancora più patetico. Inoltre, che diritto aveva di sentirsi malinconico? Rukawa era accanto a lui, di fronte a lui. Vicino a lui. Non era abbastanza? Doveva smettere di sperare in qualcosa di più! Doveva rassegnarsi. Oh… ma quanto faceva male!! Era meglio cercare di scovare fuori la forza di fare qualche battuta demente. Anche se l’altro poi lo avesse insultato, perlomeno questo sarebbe servito a tenere a bada quei pensieri insopportabili e penetranti. “Hai mai visto mio padre?” Quella voce cupa e morbida lo riscosse dalle sue considerazioni. Voltò il capo ed incatenò gli occhi con i suoi. Per tutti gli dei dell’Olimpo! Quella volpe proprio non capiva che, se lo guardava in quel modo, lui non riusciva a pensare coerentemente… anzi, a pensare e basta!? Distolse lo sguardo con dolore. Sofferenza e amore… queste due sensazioni erano davvero indissolubilmente legate? Dunque… che domanda gli era stata fatta?! L’aveva ascoltata, ma non ne aveva compreso il senso: era stata più o meno come una sequenza incoerente di suoni. Si era concentrato soltanto su quella voce… fantasticando sulle altre parole che avrebbe voluto udire da essa. Ripeté mentalmente la domanda: hai – mai – visto – mio – padre ? Ah, tutto qui? Bene, ora poteva rispondere. “No, non mi è mai capitato…” affermò negligentemente, in fondo profondamente stupito che l’altro avesse iniziato a parlare di sua spontanea volontà. Perché quell’argomento? No, non gli portava di certo alla mente ricordi felici… “Il sovrano Rukawa… fisicamente, io non sono per nulla simile a lui. Per questa totale differenza fra noi lui uccise mia madre” “Cosa?” sbottò, spalancando gli occhi. “Sì, hai capito bene. Mio padre mi vedeva crescere, diventare alto, forte, bello… ed ogni giorno più diverso da lui. Più il tempo passava, più la sua convinzione si rafforzava: germogliava la sua certezza che io non fossi suo figlio, che mia madre lo avesse tradito… che io fossi un bastardo, figlio di un amante. Lui la amava. Non capisco come un amore così assoluto fosse riuscito a mutarsi in un odio altrettanto forte. Lei era la donna più fedele di tutta l’Ellade… io lo so e ciascuno avrebbe potuto dirglielo: dalle sue ancelle che vivevano sempre al suo fianco, agli uomini che avevano tentato invano di insidiare la sua virtù. Nessuna prova, neanche il benché minimo sospetto ad offuscare la fama della sua fedeltà… ma c’ero io. C’era il mio volto, ed a mio padre era bastato. Credo che avesse usato del veleno. Non si preoccupò nemmeno di fingere un’eccessiva disperazione. Del resto, qualcuno avrebbe forse potuto giudicarlo e condannarlo? Era il re. Io avevo solo nove anni… le volevo bene. Mio padre la rimpiazzò molto presto con una delle sue sgualdrine, ma non ebbe altri figli. Spesso penso il contrario, ma certe volte mi rendo conto che forse gli dei sono realmente giusti…” Un silenzio pacato e profondo riempì quella breve pausa. Hanamichi aveva chiuso gli occhi, teso ad obliare il mondo intero per concentrarsi solo su quella voce pura e pensosa. Triste, ma sicura. Bellissima. “Non so come mai non uccise anche me, la prova più tangibile del supposto tradimento” riprese Kaede “Io ero il principe che lui non considerava suo figlio. Ma forse in lui permaneva ancora il dubbio sulla mia paternità… non posso dirlo, posso solo ipotizzare. Però so che, in fondo, indipendentemente dai legami di sangue, io gli piacevo. Stimava la mia apparente freddezza, la mia presunta insensibilità, la mia decisione e l’incapacità di provare dolore. Che strana situazione: mi odiava, ma mi apprezzava. E forse… probabilmente temeva il mio disprezzo. Approvava anche il mio comportamento schivo ed ombroso. Non rischiavo di adombrarlo, questo era sicuro. Ed in fondo… non aveva altri discendenti. Meglio quindi che il suo regno passasse a me, piuttosto che al suo fratello minore: loro due si erano sempre detestati. Così io vissi, e crebbi… convivendo con questo mio aspetto, con questo volto stupendo e puro… che aveva ucciso mia madre” Un’altra pausa di silenzio, teso e rilassato al contempo. “Rukawa, io…” sussurrò. “Eppure, Sakuragi” continuò lui, senza dargli il tempo di interromperlo “Io non mi sento in colpa. Perché dovrei? Sarebbe stupido tormentarmi. Ciò che successe non dipese dalla mia volontà. Soffrii immensamente, ed accettai il mio dolore… perché soltanto così sarei potuto riuscire a superarlo. A sovrastarlo, combattendolo. Ho detestato mio padre, ma continuare a concentrarmi sul passato sarebbe stato come dargli più di quanto avesse meritato. Sai, Hanamichi… ciò che è stato non si può cambiare. E’ un dato di fatto anche piuttosto banale. Perché dibattersi contro l’immutabile, allora? Pensa a ciò che accadde come alla volontà degli dei, come a qualcosa di inevitabile. Ormai non puoi più fare nulla riguardo a ciò che è finito, ma nelle tue mani si trova quanto deve ancora accadere: concentrati a plasmare quello. Il tuo popolo ama ciò che sei diventato, e tutto il tuo passato ha contribuito a renderti ciò che sei… perché ostinarsi a rifiutarlo?” Sakuragi non lo aveva mai sentito parlare così a lungo. Quella voce… era un lenimento per tutte le sue sofferenze, era una forza che gli incendiava le vene e faceva avvampare di dolcezza, di gratitudine il suo amore… che gli faceva provare il desiderio di piangere, di stringerlo fra le sue braccia. Possibile che ogni cosa che facesse era in grado di aumentare la sua passione? Come in un sogno, Hanamichi vide una delle mani affusolate e sottili di Rukawa sollevarsi e sporgersi verso di lui, mirando al suo petto. Trattenne il respiro. Dopo una lenta esitazione, sentì quel lungo, delicato dito indice posarsi sul suo torace e prendere a scorrere lungo di esso, seguendo esattamente… il tracciato della cicatrice celata dalla sua veste. In quel momento capì il motivo di quel discorso. Comprese che Rukawa sapeva. “Sakuragi… non fu né colpa, né causa tua. La ferita esteriore si è ormai rimarginata da tempo. Anche per quella interiore avrebbe dovuto essere così, se tu non avessi continuato a riaprirla impietosamente ogni giorno. Il dolore che continui a portarti addosso è inutile, perché non può mutare ciò che è stato. Combatti la sofferenza… i sensi di colpa verso qualcosa che non fu una colpa” “Morì perché io non riuscii a soccorrerlo…” si decise a confidare, abbassando il capo. “Ti fu impedito di soccorrerlo. E comunque… non è una buona ragione per ripetere dentro di te che tu avresti meritato di morire al posto suo…” Hanamichi strinse i pugni, conficcando le unghie nella carne. Come aveva fatto Rukawa a leggere in lui così bene? “Non lo dimenticherò mai…” mormorò. “Nessuno ti chiede di dimenticare lui. Dimentica solo la tua convinzione di essere responsabile di ciò che accadde” Il modo in cui parlava… sicuro, deciso, risoluto. Sembrava volergli tracciare una strada nel buio. Le sue parole erano colme di una tenacia indistruttibile. Era forte. Era la persona più tenace che avesse mai incontrato… ma talvolta sembrava quasi che desiderasse oscuramente che qualcuno gli impedisse di dover essere sempre risoluto. Che fosse quella la sua fragilità? Il suo voler a tutti costi essere indipendente, che soffocava quel rinnegato bisogno di calore umano? “Rukawa… tu sai tutto, di me e di mio padre” Non era una domanda, ma il ragazzo moro rispose comunque. “Sì” Sakuragi non volle impelagarsi in indagini su come avesse fatto ad ottenere quelle informazioni (anche se lo sospettava… dannati i migliori amici che si rivelano serpi in seno!!). Non volle nemmeno chiedergli come mai fosse venuto lì, come mai gli avesse detto tutto quello. Lo aveva fatto. Il sentimento che lo aveva spinto a farlo… no, non voleva saperlo. Non voleva correre il rischio di apprendere che l’unica ragione era stata la pietà. Era meglio credere che a spingerlo fosse stato… altro. “Ti ringrazio… per quello che…” mormorò lentamente, con difficoltà. “Non dovresti. L’ho detto solo perché… provavo il desiderio di dirlo” “Per questo ti ringrazio. Per questo, e per avermi parlato di te. Per esserti… scoperto, per avermi fatto conoscere un altro frammento della tua anima. Per avermi fatto sapere a mia volta. Non immagini quanto questo significhi per me. Sei… una persona stupenda, Kaede. Non credo di poter più vivere senza di te. Io ti amo…” Rukawa tacque, ma non abbassò lo sguardo. Rimasero a lungo immobili, l’uno a fissare l’altro, avvolti in quell’atmosfera impalpabile e delicata. Finalmente Hanamichi trovò il coraggio di sporgere con lentezza il volto verso quello del compagno. Con esitazione, con dolcezza. Fu un semplice sfioramento di labbra, leggero ed impercettibile. Quasi subito Kaede spostò di scatto la testa e fissò con ostinazione i suoi occhi sbarrati, persi e vuoti sul firmamento costellato di stelle. Sakuragi non si allontanò da lui. Mantenne il viso accanto al suo e rimase ad osservare quegli stupendi lineamenti che ora rivelavano panico, quasi incredulità… quelle labbra morbide che stavano tremando incontrollatamente. Forse, se avesse insistito, l’altro gli si sarebbe abbandonato… sentiva che sarebbe stato così. Ma non voleva premere, non poteva imporsi. Scorgeva la confusione su quel volto, ora non più imperturbabile… e quella confusione era già di per sé un segno che poteva indurlo a sperare. Non poteva approfittarsene. Doveva rispettarlo… doveva aspettare che accettasse da solo ciò che lui aveva compreso da tempo. Era felice anche così, in fondo. Una felicità acerba… il sapore delle lacrime di speranza. Emise un profondo, triste sospiro prima di posare con un gesto appassionato la fronte sulla curva di quella gola bianca. Lo sentì sussultare, ma non si scostò per questo. Finalmente quei muscoli si rilassarono… allora osò avvolgere le braccia attorno a quella vita sottile e gioì silenziosamente nel sentirlo immediatamente abbandonarsi contro il suo petto. Lo strinse con dolcezza e passione, posando un bacio leggero su quel collo di cigno. Poter restare così, per sempre…
Nh… dannati volatili, mai che facessero la fine di Icaro! Possibile che dovessero esibire tutta l’energia delle loro ugole appollaiati sul davanzale del balcone? Ma… era già mattina?! Rukawa si sollevò a sedere di soprassalto, scoprendo che il sole era effettivamente ormai alto nel cielo, che lui si trovava nel proprio letto… e che di Hanamichi non c’era nessuna traccia. Non poté evitare ad un accenno di delusione di mordergli il cuore, ma lo scacciò con fastidio. Non ricordava di essere ritornato nella propria stanza, la sera precedente. L’ultima cosa che rammentava era quel manto stellato davanti ai suoi occhi… quelle braccia che lo avvinghiavano con delicato ardore, quelle labbra posate sulla sua gola… la sicurezza di quel petto sul quale si era lasciato andare completamente, senza tensione o ribellione. Una sensazione di pace, di protezione. Un’impressione di calore che non aveva mai provato in tutta la sua vita. Era come se si fosse sentito… protetto, avvolto e riparato dal manto di un sentimento familiare. Ed era Sakuragi… Sakuragi, che aveva provocato tutto questo! Proprio lui e solo lui. Quel… quell’idiota! Quel… quello stupido… quel megalomane, quel… quella persona, che aveva saputo farlo sentire amato ed accettato come nessun altro prima era mai riuscito a fare. Come nessun altro avrebbe mai più potuto fare! Aveva conosciuto la pace della felicità. Fra le sue braccia, solo fra le sue braccia l’aveva provata!! Doveva vederlo! Ora, subito. Scese immediatamente dal letto a baldacchino e, con gli abiti ancora sgualciti ed i piedi nudi, attraversò quei due corridoi che li separavano e che mai prima di allora gli erano sembrati così lunghi. Stava per aprire la pesante porta di scuro legno intagliato, quando delle voci concitate lo bloccarono… “… no, Yohei. Te l’ho detto, non riuscirai a convincermi!” “Hanamichi, non essere così cocciuto! Hai superato i vent’anni. Ormai gli aristocratici stanno iniziando a far leva su questo fatto per le loro malelingue! Gli stai dando la possibilità di aspirare al tuo titolo! E’ ora di finirla” “Ti ho detto che non lo farò! Pensavo che tu avessi a cuore la mia felicità, Yohei” “Infatti, Hana. La tua, ma anche quella del tuo popolo. Non consideri i suoi sudditi? Non pensi che con questi tuoi rifiuti li condanni ad un futuro di dispotismo, all’arrogante regime di un meschino tiranno che sta già posando gli occhi bramosi sul tuo trono? E’ a rischio anche la tua vita! Cercheranno di farti fuori, finché c’è tempo, finché sei ancora privo di una discendenza che potrà far valere i suoi diritti e che il popolo potrà sostenere in un’eventuale lotta. Non sono uno stupido, ho i miei informatori. Devi sposarti, Hanamichi. Devi dare ad Andro un erede. Perché questa tua assurda pretesa di non voler prendere moglie?” “Lo sai il perché. Non potrei renderla felice, non sarebbe giusto. Io non posso… non riuscirei mai ad amarla!! E non posso tradire la persona che realmente amo” “Il tuo ruolo pubblico precede i tuoi sentimenti. E’ il dovere di un re: pensare prima al suo regno che a se stesso” “Ma… Yohei!!” “Devi, Hanamichi. Del resto… stai effettivamente tradendo qualcuno? Non vorrei mai doverti chiedere questo, ma… Rukawa ti ha forse detto qualcosa che possa averti indotto a credere che fra voi si sia instaurato un effettivo legame?” “Non è questo il punto!! Io non volto le spalle al mio cuore” “Lo so. Ti conosco. Spero che non mi odierai per ciò che adesso sono costretto a dirti… riesci a capire che lo faccio per te, vero? Questa situazione non piace nemmeno a me! Sai come reagirei se qualcuno mi chiedesse di tradire Nofret. Eppure… Hanamichi, è un tuo dovere. Bisogna sempre fare ciò che è necessario. Se Kaede ti ama davvero, capirà… del resto, è stato un re anche lui” “Già. Ma… ma lui non mi ama! Non ancora… ed in questo modo sto distruggendo anche le poche possibilità che ho di conquistare il suo cuore, il suo rispetto e la sua fiducia!! Non voglio tradirlo ancora prima di averlo potuto avere! Io… non voglio!! Ho paura che possa odiarmi. O forse… ho ancora più paura di scoprire che non gli importi nulla di ciò che mi suggerisci di fare. Forse temo soltanto che, quando gli dirò che sto per sposarmi, il suo volto rimarrà impassibile proprio come quando gli sussurro di amarlo. Mi disprezzerebbe soltanto, considerandomi una persona incostante, che non sa essere coerente con le proprie scelte? Per Zeus… non capisco più niente! So che lo amo e questa è l’unica certezza che ho! Yohei…” “Hanamichi, non lasciarti andare. Tu devi fare ciò che è giusto, è una certezza anche questa. Il sovrano di Lacedemone sta facendo vela verso la sua patria dopo il suo viaggio a Cnosso e sappiamo che probabilmente farà sosta qui ad Andro per onorare la sua alleanza con la Lega delle Isole, di cui tu sei membro… quale migliore occasione per parlare di un matrimonio con sua sorella?” Rukawa si allontanò a passi lenti e silenziosi, preoccupandosi di non fare alcun rumore.
Per tutta la giornata aveva cercato di evitare di incontrarlo. Quando Hanamichi era venuto nella sua stanza, gli aveva dato le spalle ed aveva dichiarato che non si sentiva bene e che desiderava rimanere solo. Non era la verità, ma non era nemmeno una bugia. Rukawa si rigirò nuovamente fra le fini lenzuola immacolate, innervosito dalla strana insonnia che lo aveva colto quella notte. Come mai il suo animo non riusciva a trovare pace? Hanamichi. Già… per quanto cercasse di non pensarci, tutto era racchiuso in quel nome. Si sentiva arrabbiato per ciò che aveva inavvertitamente udito quella mattina? No, per nulla. Non era adirato. La sua parte razionale comprendeva benissimo la necessità di un sovrano di sposarsi per dare degli eredi al proprio regno: era quasi un dovere. Anche a lui a Rodi erano state fatte pressanti esortazioni riguardo a questa questione… ingiunzioni che aveva sempre cercato di ignorare, pur sapendo che prima o poi il momento fatidico sarebbe giunto. Cerimonia nuziale… per Zeus saettatore, che brividi! Unirsi ad una di quelle oche che non sapevano far altro che fissarlo con palese adorazione dimostrando, con il loro sguardo vacuo, la loro scarsa intelligenza? Avrebbe preferito un viaggio all’Ade… Ed ora, Hanamichi avrebbe dovuto legarsi proprio con una di loro… e donarle il suo corpo, farne la madre dei suoi figli, trascorrere con lei la sua vita. Avrebbe voluto poter pensare a tutto questo con freddezza e distacco, ma non ci riusciva. L’amarezza che provava… era troppa. Sakuragi non aveva intenzione di prendere moglie… ma avrebbe dovuto farlo. Non poteva attribuirgliene una colpa. Non ne aveva il diritto. E se quell’idiota si sarebbe poi innamorato della sua sposa? I discorsi di Mito sui precedenti sentimentali di quella scimmia rossa non contribuivano a rassicurarlo. Oltretutto, sarebbe stato sicuramente per chiunque molto più semplice amare e riversare la propria dolcezza su una ragazzina tenera e semplice, piuttosto che su… un giovane chiuso e taciturno, perennemente silenzioso, imbronciato ed introverso. Bello, certamente… ma questo particolare era sufficiente a compensare tutto il resto? No, sicuramente no. L’avvenenza attira finché rimane una novità, ma dopo un po’ sbiadisce permettendo di scorgere che cosa essa nasconde. Fra quanto Sakuragi si sarebbe stancato di lui? In fondo, cosa gli stava dando se non sofferenza? Oltretutto, Hanamichi era sicuro di non essere amato… perché, perché non riusciva a permettergli di avere di più? Perché non gli dava di più?! Era tutto così… difficile. Avrebbe voluto non vederlo mai più per poter dimenticare quella tristezza sottile e incomprensibile, per cercare di riconquistare il suo vecchio controllo su se stesso… ma il pensiero di non essere più stretto da quelle braccia gli rendeva pesante il respiro!! Ed ancora, nonostante tutto ciò, non voleva rassegnarsi a dare un nome ai propri sentimenti… perché questo avrebbe comportato il loro riconoscimento, e riconoscerli… avrebbe significato doverli accettare. Accettare… cosa? Di aver scoperto una fragilità, un punto debole? Di aver capito che c’era qualcos’altro, oltre a se stesso, di necessario per la sua vita? No, era molto meglio non pensarci… non pensarci?! Divertente! Quante volte se lo era ripetuto, sin da quella mattina?! Dei passi leggeri gli impedirono di voltarsi per l’ennesima volta sull’altro lato del letto. Rimase immobile e silenzioso, cercando di identificare la fonte di quei movimenti cauti e silenziosi… ma era inutile ingannarsi o tergiversare: aveva già capito di chi si trattava. Rallentò il respiro e finse di dormire. Udì un profondo sospiro, poi avvertì una mano scendere a sfiorargli la fronte, lo zigomo destro, l’angolo delle labbra. Una lenta, esitante carezza. Non riuscì a trattenere un convulso movimento delle sopracciglia, ma per fortuna il suo notturno visitatore sembrò interpretarlo come un gesto dovuto al sonno. Però, a causa di questo, quelle dita calde si ritrassero spaventate dal suo viso. Perché quell’improvviso senso di freddo? Non capiva. Avrebbe voluto sollevare le palpebre ed arrischiare una fugace occhiata fra le ciglia. Hanamichi se ne stava forse andando? Perché… perché quell’incontenibile istinto che gli urlava di trattenerlo?! Non voleva che essere lasciato solo… Ma, inaspettatamente, il lenzuolo venne sollevato ed un corpo si distese accanto al suo. Trattenne il fiato, mentre un abbraccio caldo lo strinse con delicatezza ed una mano iniziò a scorrere dolcemente fra i suoi capelli neri, districandoli con delicatezza. Il suo cuore batteva troppo velocemente. Hanamichi si sarebbe accorto che era sveglio… Decise di giocare d’anticipo. “Idiota… che diamine pensi di fare?” Lo sentì sobbalzare e non riuscì ad evitare un leggero sorriso. Senza dover aprire gli occhi, poteva benissimo immaginare la sua espressione di spavento e il suo timore di venire scacciato… “Ru… Rukawa!! Non credevo che tu fossi sveglio!” “Non lo ero, infatti” mentì. Perché non divertirsi ad acuire ulteriormente il suo senso di panico e la sua costernazione? “Scusami… non volevo svegliarti…” lo udì mormorare con rammarico. “Mi hai anche dato un calcio” rimarcò, cercando di mantenere un tono di voce freddo. “Io… scusa” Decise che era meglio smettere di farlo restare sulle spine con quel giochetto crudele. “Ti perdono solo se ti decidi a startene immobile, senza combinare ulteriori danni!” “Posso… posso davvero rimanere?!” A quel tono ingenuamente felice ed incredulo si sentì riscaldare l’animo, ed un altro spontaneo sorriso gli increspò le labbra. Perché solo quell’idiota aveva un tale effetto rasserenante su di lui? “Certo che puoi… ma a patto tu mi dica che cosa ti preoccupa” L’angoscia di quella testa rossa era quasi tangibile. Gli faceva male… Hanamichi esitò prima di rispondere: “Non è nulla. Kaede, io… io ho solo bisogno di te” confessò con voce strozzata, accentuando impercettibilmente l’abbraccio. “Sono qui” mormorò lentamente. Irrazionalmente. Voleva aiutarlo… voleva cancellare il suo dolore. “Non sopporto il pensiero che… che tu possa pensare che io non ti ami. Io… forse sarò costretto a fare qualcosa che non vorrei e che potrebbe… farti dubitare dei miei sentimenti nei tuoi confronti. Ti prego, non…” Decise di scoprire il gioco: “Quello che ti ha detto Mito è giusto. E’ necessario che tu inizi a pensare a colui che ti seguirà sul trono. Un sovrano deve dare un erede al proprio regno” Il silenzio allibito che ne seguì fu interrotto da un interiezione confusa, accompagnata dall’esclamazione: “Volpe!! Ma dimmi la verità… sei un oracolo di Apollo? Come diamine fai a sapere sempre tutto?!” “Sarei stupido a dirtelo…” borbottò, soffocando uno sbadiglio. La voce di Sakuragi divenne molto più greve e sofferta: “Rukawa, visto che sai… dimmi: per te va bene che io mi sposi? Non… non ti importa affatto? Non ti dà alcun fastidio?” Ecco. Gli stava chiedendo di scoprirsi… eppure, avrebbe potuto concedergli qualcosa. Perché costringerlo a brancolare nelle tenebre del dubbio e dell’incertezza? Perché non fargli capire che… che anche lui era ormai riuscito ad avvertire la sottile consistenza del filo che ormai li univa? “Hanamichi, se tu sarai felice… cercherò di esserlo anche io per te” Probabilmente il suo tono tormentato ed esitante espresse molto di più di ciò che palesavano le sue parole. Due labbra si cercarono nel buio. Un bacio casto, dolce e puro. Breve, ma eterno. “Ti amo, Kaede…” “Non dirlo… stringimi, ma non dirlo… non serve parlarne”
Fine seconda parte
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