Questa fic è la mia prima AU, quindi non abbiate troppe pretese…

Avvertenze!! E’ ambientata nel periodo del Medioevo Ellenico, quindi più o meno attorno al IX secolo avanti Cristo. Comunque, ho anche fatto dei voli di fantasia inserendovi, ad esempio, una fantomatica ‘Lega delle isole’ di cui storicamente non è comprovata l’esistenza… e non garantisco l’assenza di eventuali cantonate pazzesche^^! Il titolo è greco antico scritto in caratteri occidentali, e tradotto significa ‘Vittoria di Amore’.

La dedico a Calipso e Nausicaa per la loro simpatia e bravura… e un saluto a Ise!


 Erotos nike

 

di Dream

 

parte I 

 

Il Consiglio si era riunito. Vi prendevano parte i sovrani delle isole principali della Lega, coloro che avevano carisma e potere sufficienti per esprimere delle opinioni che avrebbero potuto influenzare le deliberazioni finali. I pezzi grossi, insomma. Gli altri meschini regnanti delle altrettanto meschine isolette che facevano a loro volta parte dell’Alleanza… perché scomodarli? Era ovvio che avrebbero seguito come un gregge obbediente le disposizioni (o meglio, le direttive) dettate dai rappresentanti più autorevoli, come del resto sempre era avvenuto.

Il potere effettivo della Lega delle Isole, una coalizione che comprendeva i sovrani dell’Ellade insulare, si concentrava quasi esclusivamente in quei pochi, autorevoli membri che adesso erano riuniti in Consiglio. Gli altri regnanti erano soltanto strumenti la cui misera autorità si limitava al comando del proprio regno: all’interno dei loro territori erano dei, all’esterno pedine che si sottoponevano remissivamente al volere dei sovrani più autorevoli, coloro a cui la Lega faceva capo e che decidevano paci, guerre, tributi, leggi e giochi atletici. L’invidiato vertice della piramide sociale.

Questi esemplari si trovavano ora in un’unica sala, immersi in un’atmosfera tesa che ad Hanamichi Sakuragi, sovrano dell’isola di Andro ed elemento di quel gruppo elitario, non piaceva per nulla: domande perplesse si rincorrevano nella sua mente. Cosa c’era dietro questa improvvisa convocazione? Che decisioni si profilavano? In effetti, forse era davvero il momento di iniziare a chiedersi per tempo quali guai si stavano delineando all’orizzonte…

A quanto pareva, tutti stavano condividendo le sue stesse inquietudini… almeno a giudicare dai brutti musi! Il giovane re si osservò nervosamente intorno, analizzando i visi concentrati di coloro che lo circondavano: innanzitutto Akagi, sovrano dell’Eubea, capo ufficioso ed indiscusso dell’Alleanza delle isole, comandante dell’esercito comune della Lega. Seguivano le brutte facce di Mitsui, l’ex pirata che tiranneggiava Nasso, e di Miyagi, che esercitava il proprio potere su Paro e che veniva appellato da tutti ‘sua altezza’ con una cortesia tesa a nascondere la strafottenza. In effetti, con quel titolo si alludeva alla sua statura nanesca o alla sua sovranità?

C’erano poi Hanagata e Fujima, l’uno sovrano dell’isola di Chio e l’altro dell’isola di Samo. Tipici rappresentanti di quei binomi di cui un altro esempio era costituito da Oreste e Pilade o, più comunemente, da Achille e Patroclo. Non era un segreto per nessuno il motivo della loro intesa, dato che loro non cercavano certo di farne un mistero. Era addirittura snervante constatare come quei due si trovassero sempre ed invariabilmente d’accordo sulle rispettive decisioni! Ma avevano la facoltà di leggersi nella mente? Inoltre le loro isole erano praticamente gemellate, dal momento che in periodi alterni dell’anno una era priva di reggente, mentre l’altra ne possedeva due. Per dirla con parole di Hanamichi: quei poveri dementi non potevano reggere nemmeno una settimana lontani l’uno dall’altro. Eros con loro non si era dovuto impegnare troppo…

Terminavano l’elenco il falso-venerando Maki, tiranno della lontana Samotracia, e Fukuda dell’isola di Delo.

La richiesta di convocazione del Consiglio era partita da Akagi, che aveva oltretutto offerto il proprio palazzo come sede per la riunione. Tutti i componenti si trovavano ora radunati attorno alla tavola di marmo dell’imponente stanza centrale, illuminata solennemente da bracieri, adornata da colonne ai quattro angoli e riscaldata da un enorme focolare. Gli schiavi, le danzatrici e gli aedi erano stati banditi da quell’assemblea per garantire la ‘segretezza’. Questa parola non aveva mai portato nulla di buono con sé…

Hanamichi stava cominciando a sentirsi impaziente. Esauriti i primi convenevoli era caduto un silenzio pesante quanto inutile, sterile premessa di una spiegazione che Akagi tardava a fornire.

Insomma! Lo avevano scomodato, lo avevano praticamente costretto ad abbandonare Andro, la sua reggia e il suo popolo… lo avevano obbligato a fare uno scomodissimo viaggio per mare, sottoponendolo allo sgradevole onere di rivedere tutte quelle brutte facce… e per cosa? Per aspettare chissà quale segno di Zeus?! Se c’era qualcosa da dire, che almeno la sputasse fuori in fretta, quella specie di titano di Akagi!

Nell’esatto istante in cui la sua pazienza si esaurì definitivamente, ovvero quando ormai aveva aperto la bocca per proferire qualche lamentela seccata (leggete ‘cacofonico sbraito’) che avrebbe certamente condotto a screzi inopportuni, Akagi decise finalmente di esporre le sue sospirate considerazioni.

“Compagni, ignoro se il discorso che sto per farvi vi coglierà impreparati o meno. Si tratta di una questione che troppo a lungo abbiamo trascurato e che ora è tempo di affrontare: Rodi”

Che tono funebre e solenne! Che pathos! Sakuragi riuscì a malapena a trattenere uno sbadiglio…

Rodi? Questo nome gli diceva qualcosa. Ma non era quell’isoletta sparsa da qualche parte nel mare Egeo? Forse si stava confondendo. Magari Akagi stava parlando di un fiume… o era una regione sulla costa ionica? Boh…

La voce pacata ed autorevole del re di Eubea interruppe le sue profonde considerazioni.

“Voi tutti sapete che ormai la nostra Lega estende la sua influenza praticamente su tutte le isole dell’arcipelago ellenico. La nostra potenza è cresciuta. Siamo diventati più che temibili… siamo pericolosi. L’Egitto ci rispetta, le città del Peloponneso ci sorvegliano, i Persiani ci tollerano. La nostra alleanza ha reso i rispettivi regni, di per sé singolarmente insignificanti, una potenza intimidente. L’unione ci ha reso influenti. Eppure… eppure non ci manca una spina nel fianco: Rodi”

Sì, si trattava proprio di quello scoglio disperso da qualche parte nell’Egeo! Ora ne era convinto. Aveva avuto una delle sue classiche e celebrate folgorazioni! Ma… un attimo! Lo avevano costretto a venire fino lì solo per questo motivo, ossia essenzialmente per nulla?!

Non poté fare a meno di intervenire con tono sarcastico e seccato: “Akagi… ti rendi conto di ciò che stai dicendo? E’ un’innocua isoletta! Non mi sembra un pretesto sufficiente per usare quel tono di voce tragico…”

Questa sua infelice uscita causò numerosi mormorii e fece aggrottare le sopracciglia cespugliose del comandante dell’esercito della Lega, che lo riprese bruscamente: “Idiota! Il potere di un’alleanza si fonda sulle piccole cose! Se non veniamo rispettati da un’isola meschina, come potremmo venire considerati dalle grandi potenze? Se non incutiamo paura ad un minuscolo reame, che speranza avremmo di ottenere rispetto dalle città del continente?!”

Hanamichi si imporporò di stizza.

Detestava i rimproveri, soprattutto se questi gli venivano rivolti nel Consiglio davanti a tutti i sovrani suoi pari. Beh… suoi ‘pari’! Non proprio. Lui non ci teneva a confondersi con quella marmaglia: la sua superiorità era indiscussa! Se si abbassava a partecipare a quelle ridicole riunioni, questo avveniva solo perché sicuramente senza di lui la Lega sarebbe finita a catafascio! Stava facendo loro una concessione, degnandoli della sua presenza… e veniva trattato così?!

Decise di non indietreggiare nelle sue posizioni: non voleva venire considerato un vigliacco che si ritirava con la coda fra le gambe non appena subiva un biasimo. Che diritto aveva quella specie di monte Olimpo sotto forma antropomorfa di ridicolizzarlo e sminuirlo davanti a tutti?!

Se c’era una cosa importante per Hanamichi Sakuragi, questa era l’orgoglio. E la sua superiorità. Nessuno doveva azzardarsi a insudiciare il suo onore!

“Dunque tu avresti convocato il Consiglio per parlare di una questione tanto insulsa? Per discutere di una stupidissima isola? Ma che fastidio può darti? Non vorrai radunare tutto l’esercito della Lega per lanciarlo su quel nastro di terra?! Akagi, è una ridicola perdita di tempo e di uomini! Se questo è ciò che vuoi, io non ci sto!”

“Deficiente!!! Aspetta che abbia finito di parlare prima di prendere le tue tipiche decisioni avventate e, come al solito, innegabilmente cretine!!”

Hanamichi si voltò con un ringhio verso la direzione da cui era provenuta quella voce, rimbeccando immediatamente: “Taci, Mitsui!! Se qui c’è qualcuno che deve stare zitto, questo sei tu! Devo forse ricordarti che non dovresti nemmeno far parte di questo Consiglio, razza di pirata fintamente ravveduto? Avremmo dovuto sbatterti fuori dal tuo palazzo e cacciarti dalla tua isola maledetta, rifiutando la tua proposta di entrare nella Lega! Ricordo ancora il periodo in cui le tue navi scorazzavano nel mio mare ed aggredivano i miei vascelli!! Ti sentivi forte allora, vero? Quando però la situazione si è rovesciata, quando noi abbiamo iniziato ad affondare i tuoi legni, tu ti sei precipitato immediatamente a mendicare un posto nella nostra alleanza… che coraggio! Se il sacerdote Anzai non ti avesse appoggiato…”

“Sakuragi, queste parole te le farò ingoiare a colpi di giavellotto!! Belle parole, le tue… devo forse ricordarti che una volta, quando eravamo ancora su fronti opposti, tu preferivi depredare i miei vascelli, invece di affondarli come la Lega ti ordinava? Sei sempre pronto ad accusare, ma non sei altro che un pirata travestito da sovrano, un despota che si crede giudice, un vigliacco sbruffone che pretende di essere un eroe!!”

“Maledetto schifoso!!” sbraitò Hanamichi, sollevandosi impetuosamente in piedi e preparandosi a lanciarsi contro il re di Nasso. Questa volta lo avrebbe trucidato…

Erano già sul punto di avvinghiarsi l’uno all’altro, quando Akagi e Miyagi si frapposero fra loro tentando di riportare la calma.

Possibile che tutte le loro assemblee dovessero trasformarsi in incontri di lotta?!

Mentre Akagi afferrava Mitsui per la vita, Ryota Miyagi si sforzò di trattenere Hanamichi per le braccia e tentò di spingerlo nuovamente a sedere, cercando nel frattempo di parlare a quelle due teste calde con una voce persuasiva e convincente. Ma, soprattutto, educata.

“Razza di deficienti rincretiniti, stupidi figli di un centauro e di una gorgone, la volete smettere per una volta di comportarvi come due dementi?!”

Avrete capito che la diplomazia non era appannaggio di ‘sua altezza’. Le sue urla ebbero comunque successo, dato che riuscirono a richiamare su di sé l’attenzione dei due deficienti in questione.

Sentendosi finalmente ascoltato, il tappetto riprese il discorso con voce più pacata: “Siete due idioti! Noi siamo alleati, lo avete forse dimenticato? Questi screzi sono assurdità pericolose, non portano a nulla se non a guai! Possono solo creare crepe, solo indebolirci. Ciò che entrambi avete detto può essere vero. E allora? Anche io ho la mia parte di passato di cui vergognarmi! Ha qualche importanza, adesso? Serve a qualcosa rinfacciarci in continuazione gli errori commessi? Vediamo di finirla. Siamo qui per prendere una decisione importante riguardo a tutti noi, non per assistere al vostro spettacolo di lotta libera! Per quello, potreste benissimo aspettare i prossimi giochi pitici di Delfi!!”

Seguì un breve attimo di imbarazzato silenzio che servì a chiudere definitivamente la parentesi. Hanamichi e Mitsui, dopo qualche esitazione, ostentata più che altro in difesa della loro (presunta) reputazione da duri, si risedettero sui loro scranni, ovviamente rifiutandosi di guardarsi in faccia e di chiedersi scusa. Un classico che si ripeteva con qualche piccola variazione ad ogni seduta dell’assemblea, quindi ormai nessuno ci faceva più caso. Quei due erano un caso disperato: in pace non facevano altro che tentare di provocarsi, in guerra non rinunciavano mai a salvarsi vicendevolmente la vita.

Questo atteggiamento era dovuto non tanto a Mitsui (il quale aveva pure a sua volta, bisogna ammetterlo, la sua parte di torto) quanto piuttosto a Sakuragi, che intratteneva un simile rapporto di cordiale disprezzo e di celato rispetto con tutti i compagni della Lega. Riconosceva il valore altrui, è vero, ma l’importante per lui era non ammetterlo. Era nel suo carattere tentare di sminuire chiunque allo scopo di elevare con sbruffoneria se stesso. Derideva Akagi per la sua stazza ‘macignosa’, Miyagi per la sua statura da nano, Mitsui per… beh, perché era Mitsui!, Fukuda per il suo aspetto da ascaride, Maki per le sue rughe precoci ed Hanagata e Fujima per il mancato parto gemellare. Insulti scontati e formulari quanto le sue proclamazioni di superiorità e le eterne tiritere con cui si definiva ‘figlio di Zeus’, ‘campione in battaglia’ e ‘re degli eroi’.

Un esaltato? Sì, ma anche un compagno di cui potersi fidare. Perché se una persona aveva bisogno di aiuto, sapeva che era sufficiente guardarlo in viso per averne.

Akagi si squadrò attorno per un attimo intorno, poi decise di riprendere come niente fosse il discorso interrotto: “Rodi è un’isola che si è sempre rifiutata di pagare i nostri tributi e di entrare a far parte della Lega. Si ostina a mantenersi al di fuori delle nostre decisioni. Non si conforma ai prezzi che stabiliamo, non segue la nostra comune legislazione, non rispetta la nostra autorità, non versa i contributi che le richiediamo. Tutti questi sono affronti aperti. Le abbiamo offerto di unirsi alla nostra Lega: ha rifiutato. E’ un oltraggio al nostro potere, che noi non possiamo lasciar passare senza un intervento! E’ in gioco la nostra credibilità. Non possiamo farci prendere in giro da un semplice scoglio! Inoltre quest’isola ha un grande giro di commerci e di affari, sembra che si stia preparando a fondare nuove città e gode dell’alleanza di importanti città dell’entroterra e del Peloponneso… vi bastino i nomi di Lacedemone e di Micene!!”

La voce stentorea di Maki si elevò nel salone per la prima volta: “Chi è il sovrano incosciente di questo regno prossimo alla disfatta?”

Dato che Samotracia era piuttosto lontana e non aveva interessi con Rodi, il vegliardo era alquanto disinformato sulla situazione politica di quell’isola. Non era il solo, ad ogni modo. Hanamichi non aveva proprio idea alcuna delle notizie appena comunicate… non gli era mai sembrato importante informarsene, ecco tutto. Decise prudentemente di tacere la sua ignoranza: ne aveva abbastanza di sentirsi rivolgere domande del tipo ‘ma che razza di re sei, se non ti interessi della situazione dei tuoi alleati e dei tuoi avversari?’uesQQQQqQ    vvv

 

Insomma… lui affrontava i nemici a viso aperto, se veniva da essi provocato o se li voleva provocare, ma non aveva alcuna necessità di spiarli e di usare subdoli mezzucci per tenerli sotto controllo durante i periodi di pace!! Tutto ciò sarebbe stato indegno della sua potenza e della sua fama! Un eroe come lui, che si gettava a capofitto in tutte le guerre e le imprese gloriose senza un minimo di preventiva valutazione dei pericoli, non aveva certo bisogno di usare simili espedienti diplomatici, come se avesse paura del nemico! Coraggio: questo era ciò che possedeva ed anche tutto ciò che gli serviva! Ah… che orgoglio, che dignità! Era veramente un semidio, un figlio di Zeus! Su questo non c’erano dubbi…

Dopo aver fatto questo proclama nella sua mente, si dispose ad ascoltare le informazioni del comandante Akagi. Povero monte Olimpo… lui, l’incommensurabile, potentissimo Hanamichi Sakuragi, poteva anche abbassarsi a degnarlo della sua nobile attenzione, in fondo! Del resto, dopo tutto questo parlare di Rodi… doveva ammetterlo, si era anche un po’ incuriosito!!

Che tipo di sovrano poteva essere il re di Rodi? Come poteva una persona essere tanto indipendente, sprezzante e temeraria da rifiutare apertamente e senza infiorettature di parole le proposte (o piuttosto le richieste) della Lega delle Isole, pur trovandosi nella spiacevole situazione di essere circondato dai propri nemici? Sorse in lui il primo spontaneo, seccato ed infastidito moto di ammirazione verso quell’uomo di cui ancora ignorava tutto.

“Il venerando sovrano di Rodi, vecchio coriaceo e testardo, è morto circa un anno fa. Ora su quell’isola regna suo figlio, Kaede Rukawa, che ha addirittura estremizzato la sua politica di indipendenza” informò Takenori Akagi con tono impersonale.

“Kaede Rukawa?” mormorò Mitsui “Io l’ho conosciuto! Dovetti approdare a Rodi alcuni mesi fa, a causa di una tempesta che mi aveva danneggiato la nave. Richiesi ospitalità presso di lui, e non me la negò. Sembra che non rifiuti nulla ai supplici”

Hanagata osservò a sua volta, soprappensiero: “Circolano molte leggende su di lui… dicono che il vecchio re non fosse effettivamente suo padre, ma che lo avesse solamente adottato. Se sia vero, non ne ho idea. Il suo popolo è convinto che lui sia addirittura un dio, nato da Afrodite, da cui ha ricevuto la sua bellezza, e da Ares, dal quale gli è derivata la sua ineguagliabile abilità nel combattere…”

“Ne ho sentito parlare anche io. Una figura affascinante e misteriosa, senza alcun dubbio!” considerò Miyagi, stranamente senza usare un tono derisorio.

Quelle impressioni vennero bloccate da una fragorosa risata. Non fu loro necessario girarsi per capire che quel suono fastidioso proveniva da un certo soggetto irritante dai capelli rossi…

“Ahahahah!!! Ma per favore!!! Voi sareste dei guerrieri?! E credete a simili frottole!!?? Scommetto che quel tipo è orrido come una gorgone ed inetto in guerra forse anche più di Mitsui, per quanto questo appaia improbabile!! Ma fatemi il favore!!! Che enormi, titaniche, stupide idiozie!!”

“Taci, Sakuragi” lo interruppe Hisashi Mitsui, infastidito “Sei tu che stai sparando delle panzane, e non dico nemmeno di esserne stupito! Io ho visto Kaede Rukawa, mi sono trovato faccia a faccia con lui, tu invece sembri non averne mai sentito parlare prima di adesso!! Vuoi pretendere di saperne più di me?”

“Wow… la faccenda si fa interessante! Dunque, tu hai affrontato il semidio!!? Dimmi… allora, è vero ciò che si narra di lui?” si informò Hanamichi, sarcasticamente interessato.

Hisashi mantenne il silenzio per un attimo, come perso in una lontana rimembranza, poi mormorò: “Rukawa.. definirlo bellissimo sarebbe più o meno come affermare che Afrodite, dea della bellezza, è… mediocre. Lui è… indefinibile! E’ al di sopra di ogni pietra di paragone. Effettivamente, descriverlo lo sminuirebbe solamente”

Mitsui, conclusa questa confessione quasi poetica, era già rassegnato all’arrivo dell’ennesimo scherno da parte del compagno… ma inaspettatamente non giunse nulla di simile. Che strano! Sollevò uno sguardo perplesso e si scontrò con l’anomala luce che ora animava gli occhi castani di Hanamichi. Quello sguardo scuro aveva un’espressione tormentata, combattuta… quasi intrigata ed affascinata suo malgrado. La voce di Sakuragi si elevò stranamente calda e vibrante, dopo quel breve, profondo attimo di silenzio.

“E… l’hai anche visto combattere?”

Una domanda. Nulla di inusitato, in effetti. Allora perché il tono che quello strafottente dai capelli rossi aveva usato era stato così… appassionato?

Qualcosa (istinto di autoconservazione?) suggerì a Mitsui di non impelagarsi in indagini, ma di rispondere semplicemente a ciò che gli era stato chiesto.

“L’ho visto… impugnare una spada. Sembrava quasi che fosse… un prolungamento, un’estensione del suo braccio. Quei movimenti… così fluidi… così armonici e sicuri… come se stesse corteggiando la morte. Una danza che ti ipnotizzava… e nei suoi occhi una luce fredda in grado di ghiacciarti immobile, sgomento, abbacinato… e affascinato”

Fujima si decise a rivelare il motivo del sorrisetto che da un po’ di tempo gli stava incurvando le labbra delicate: “Mitsui, non vorrei sbagliarmi, ma… da come ne parli, sembra quasi che tu nutra un interesse esclusivo nei confronti di quest’essere semidivino! Questo sarebbe estremamente deleterio per te, se Rukawa dovesse diventare un nostro avversario. Non lo credi anche tu? Dimmi, ti sei davvero innamorato di lui?”

L’ex pirata di Nasso sorrise in risposta, scuotendo il capo e spiegando: “No, non mi piace il sovrano di Rodi. Ho accuratamente fatto attenzione a respingere qualsiasi idea che potesse spingermi verso una situazione così rovinosa. Non sono masochista… evito accuratamente sfide simili, palesemente perse in partenza”

“Che intendi dire?” sbottò Sakuragi.

“Intendo dire che innamorarsi di lui può portare solo sventura. Conosco gente che ci è cascata e che si è distrutta per questo. Rukawa… è una persona verso cui è impossibile non provare ammirazione e di cui non si può negare il fatale fascino, la bellezza innaturale… ma l’amore! Guardatevi dal provarne nei suoi confronti. Quell’essere non sa cosa sia la passione. E’ freddo come il ghiaccio, enigmatico come una sfinge, la sua anima è affilata più della sua spada. Il suo cuore è una pietra. Dicono che in tutta la sua vita lui non abbia mai sorriso…”

“Patetiche idiozie!” commentò il prosaico Maki “Queste sono semplicemente le stupide leggende che si costruiscono attorno ad una persona il cui comportamento apparentemente oscuro stimola l’immaginazione della gente! Prendete una persona riservata, subito diventerà un demonio con chissà quali segreti! Un uomo che sa combattere come dite che lui sappia fare non può essere semplicemente insensibile…”

“In effetti, durante la lotta i suoi occhi sembravano incendiarsi…” ammise Mitsui, colpito da un ricordo improvviso “In quei laghi neri… danzavano fiamme. Una persona intricata, incomprensibile… forse irraggiungibile. Innegabilmente unica”

“Ma la smettete di ciarlare?!” li interruppe con tono autoritario Akagi, che durante la loro discussione si era rinchiuso in se stesso, cogitando chissà quali piani “Vi sembra il caso di blaterare su simili chiacchiere durante un consiglio di guerra? Perché questo è un consiglio di guerra, ormai! Infatti, la guerra è la mia proposta. Voi sapete come la penso: nessuna falla è da trascurare, per quanto piccola essa sia! Prima o poi la crepa si allargherà: penetrerà sempre più acqua, con l’unico risultato di mandare a picco tutta la nave. I provvedimenti vanno presi in tempo, non possiamo tollerare alcuna ingerenza nei nostri interessi. Kaede Rukawa va tolto di mezzo, Rodi deve entrare nella Lega. Volente o nolente”

Un pesante vuoto di parole seguì questa dichiarazione decisa. Ciascun membro dell’assemblea parve immergersi nelle proprie riflessioni, considerando i pro e i contro della questione per poter deliberare la propria decisione. Il primo ad esprimersi fu Hisashi Mitsui.

“Sono d’accordo con Akagi. Che sia guerra!”

“Io, invece, non ci sto” proclamò inaspettatamente Miyagi, sovrano di Paro.

Tutte le teste si voltarono verso di lui, stupite da quel fermo diniego. Ryota non si era mai ritratto di fronte ad una sfida! Che cavolo gli era preso questa volta?

Mitsui, seccato da quell’opposizione, insinuò con voce tagliente: “Colpo di scena! Che cosa mai succede a ‘sua altezza’? Per caso i raccontini sul valore del suo avversario gli fanno tremare le gambine? Oppure… ma certo, è così ovvio! Da quanto Ryota è riuscito ad ottenere la mano di Ayako, si è tramutato in un animale domestico! Niente più sfide, lotte e pericoli, molto meglio il casalingo focolare! Che delusione… non riconosco più il mio avversario di un tempo! Sai… non credevo che ti saresti rammollito fino a questo punto!” concluse sprezzantemente.

Miyagi gli rivolse un semplice sguardo di sufficienza, poi si rivolse ad Akagi e si accinse a spiegare i motivi della sua presa di posizione.

“Akagi, non sono d’accordo con la tua proposta… ma non per vigliaccheria, come afferma quel pirata non molto redento, bensì per ragionevolezza. Vale davvero la pena rischiare le vite dei nostri uomini e sprecare il nostro tempo per una stupida isoletta da nulla? E’ sciocco! Che problemi ci dà, in fondo? Noi siamo leoni, lei è una formica! E’ quasi umiliante curarcene. Del resto… permettimi di chiedertelo, Akagi, ma la tua richiesta di guerra non si basa forse su questioni personali?”

“Questioni personali?” si stupì Fukuda, aggrottando le sopracciglia.

“Già, proprio così!” confermò Ryota tranquillamente “Al contrario di Hanamichi, io ho una rete di informatori molto ben tessuta… non mi sfugge nulla! Così ho appreso dei pettegolezzi molto interessanti, ed in fondo anche divertenti, sul nostro caro comandante. Dovete sapere che la sorella minore di Akagi, la principessa Haruko, alcuni mesi fa ha posto gli occhi su Rukawa! La sua proposta di matrimonio è stata respinta dal sovrano Kaede senza nemmeno essere presa in considerazione. La tua richiesta di guerra assomiglia così tanto ad una ripicca o ad una vendetta per tua sorella, Akagi…”

Mitsui non poté trattenere una risata divertita: “Oddio… quella racchia con Rukawa! No, Akagi… per carità, non ho niente di personale contro tua sorella, ma… per Poseidone, non ce la vedo proprio! E poi, non credo che Rukawa nutra qualche interesse nei confronti del sesso femminile… va bene, so che sembra che non nutra interesse per nessuno! Ma con quell’oca…”

Il delicato pugno di un furibondo Akagi lo sbatté con la fronte contro il tavolo di marmo, ma non servì tuttavia a bloccare l’accesso di ilarità. A questo ci pensò Ryota, quando iniziò di nuovo a parlare…

“Mitsui, fossi in te non riderei! Credi che non abbia scoperto anche i tuoi altarini?!”

“Mh? A cosa alludi, Miyagi? Spiegati!” lo esortò Hanagata, curioso di scoprire anche le indiscrezioni riguardanti Mitsui, quel membro del consiglio che si divertiva ad atteggiarsi al ‘sono un duro tenebroso e misterioso’.

“E’ presto detto, Toru!” informò Ryota, conciliante, seppur con una certa aria di superiorità “Io conosco il motivo per cui il nostro Hisashi si è mostrato così ben disposto nei confronti della proposta di Akagi… motivo che non coincide affatto con l’eccesso di zelo, con il coraggio o il valore! Questo ‘motivo’ ha capelli castani, occhi scuri, profondi e vellutati stando a quanto si dice, un temperamento pacato ma deciso… e si incarna in un uomo: Kiminobu Kogure, consigliere di fiducia ed ambasciatore di Rukawa nelle missioni esterne a Rodi. Mi è giunta voce di un certo interesse del nostro sfregiato nei confronti di questo giovane riflessivo, profondo e tutto sommato anche apprezzabile d’aspetto…”

“Mitsui!! Dunque sono ‘queste’ le tue mire!!” esplose Fujima Kenji, ridendo apertamente “Ed io che ormai pensavo che tu fossi un tipo tutto d’un pezzo, immune a certe tentazioni! Insomma… non il mare in tempesta, ossia questo Rukawa, bensì è stato il calmo ruscello ad abbattere le tue dighe! Non ti dico di essere deluso, però… mi hai stupito, questo sì! Per tutti gli dei… questi si chiamano colpi di scena!”

“Se non taci, giuro che stanotte il tuo Hanagata, invece di accarezzarti, si troverà costretto a curare le tue ferite!” ringhiò Mitsui, cercando di mascherare con l’ira quel rossore diffuso e compromettente che gli aveva invaso il viso.

“Peccato che tu, Mitsui, non abbia nessuno che stanotte possa curare quelle che ti infliggerò io, se oserai fare qualcosa di simile…” sibilò Toru, riducendo gli occhi a due sottili fessure minacciose.

Ad interrompere queste diatribe ci pensò la voce autoritaria e severa di Maki: “Va bene, ora vediamo di smetterla con le bambinate e di fare ritorno all’argomento principale! Si stava parlando dell’eventualità o meno di attaccare Rodi. Dunque, se non sbaglio fino ad ora in due si sono mostrati favorevoli alla proposta, mentre Ryota è contrario. Quanto a me, io sono d’accordo! Non sopporto gli insolenti, sbruffoni e soli-contro-tutti, e questo Rukawa mi sembra un classico esponente di tale specie… inoltre, le vostre panzane su di lui mi hanno incuriosito, devo ammetterlo! Ecco, tutto qui. A meno che, ovviamente, Miyagi non debba fare qualche aggiunta anche su di me e sui miei presunti secondi fini…”

Ryota sorrise e si affrettò a rassicurare: “No, non ho nulla da dire sul carissimo vegliardo… tutti sappiamo benissimo che non ha oche come sorelle e che Nobunaga Kyota è inspodestabile tanto come condottiero del suo esercito quanto come occupante del suo letto. Tutto ciò sta anche diventando noioso, ormai… lasciatelo dire, Maki!”

“Che orridi gusti!! Brrr… ribrezzo!” si trovò a commentare a bassa voce Fukuda, che riprese però subito con tono più alto “Comunque, io sono d’accordo con l’idea di attaccare Rodi. Voi due, Hanagata e Fujima, che ne dite?”

Dopo un’occhiata di intesa, Kenji parlò per entrambi: “No, noi non approviamo e ci associamo a Miyagi. Non possiamo fare a meno di ricordarvi che inizialmente questa Lega era sorta come patto di difesa, non di offesa. Perché attaccare inutilmente? Perché questi spargimenti di sangue? La nostra condizione è già fiorente… che necessità c’è di provocare altre guerre?”

La situazione era ormai delineata: quattro a favore e tre contrari. Ora mancava solo la decisione di colui che sarebbe risultato essere l’ago della bilancia.

L’attenzione di tutti si trasferì sulla persona che, stranamente, non aveva parlato a partire dall’ultimo intervento fatto, ovvero domanda che aveva posto su Kaede Rukawa.

“Hanamichi?” interrogarono tutti con il cuore teso.

Sakuragi aprì gli occhi, precedentemente velati dalle palpebre in un atteggiamento pensoso, e piantò uno sguardo fermo e deciso su Akagi: “Accetterò ad una sola condizione”

“Quale?” interrogò il sovrano dell’isola Eubea.

“Voglio Rukawa come mio prigioniero una volta terminato il conflitto. Dovrà essere mio e nessuno dovrà contendermelo”

“Accordato”

E guerra fu.

 

 

Il suono delicato della cetra, che solitamente aveva sempre contribuito a rasserenarlo, quella sera inspiegabilmente lo irritava. Non riusciva a sopportarlo. Si sentiva incomprensibilmente nervoso… aveva voglia di muoversi, di parlare, di fare qualcosa, qualsiasi cosa! Tutto, ma non l’inattività. Non riusciva a sentirsi stanco nemmeno dopo una giornata pesante come quella trascorsa.

Si alzò con uno scatto dal suo seggio di legno e si diresse con decisione verso l’uscita della tenda.

“Dove stai andando, Hanamichi?” gli chiese con voce sorpresa il suo consigliere e migliore amico Yohei, che stava ascoltando in silenzio la melodia accanto a lui.

Sakuragi strinse nervosamente le labbra, imponendosi di rispondere con un tono contenuto. Non era veramente il caso di esasperare Mito a causa del suo stato d’animo!

“Esco a rinfrescarmi le idee!”

E poi fuori, finalmente, all’aria aperta!

Emise un profondo sospiro di sollievo, trovandosi confortevolmente immerso nella fresca e balsamica brezza notturna, con null’altro sopra la sua testa se non un scintillante tetto di stelle… soltanto il lontano rumore della risacca infrangeva quel silenzio riposante. Ecco… si sentiva già meglio.

Si allontanò dai fuochi del proprio accampamento, che anche a quell’ora tarda era sorvegliato da alcune sentinelle scelte che al suo passaggio gli restituirono il saluto con rispetto. Con ‘rispetto’, eh? Va bene, non era il caso di generalizzare! A quanto pareva, non sarebbe mai riuscito ad inculcare nelle zucche di quei due dementi di Okusu e Noma la concezione di ‘sovranità’, né tanto meno la deferenza che avrebbe dovuto venire tributata a questo titolo. Era fuori da ogni schema che due soldati semplici come loro continuassero ad appellare il loro re con l’epiteto di ‘testa rossa’! Eppure, sapeva che avrebbe affidato senza remore la sua vita alle loro mani. Erano cresciuti assieme, in fondo… quindi, che importavano le formalità?

Sospirò rassegnato e si diresse verso l’ampia pianura che divideva il campo degli assedianti dalla cittadella degli assediati. La notte era ormai inoltrata, la spianata si estendeva deserta, muta, impersonale, spazzata dal vento. Nessuno avrebbe potuto dire che la terra che i suoi piedi ora stavano calcando quasi con circospezione era stata intrisa dal sangue di centinaia di vittime, che aveva assistito a tremende atrocità, a spasmi d’agonia, a preghiere ed invocazioni.

Eppure… forse era l’atmosfera di quella notte, forse quell’esasperato silenzio, ma… anche se i corpi che vi avevano perduto la vita erano stati bruciati sulle pire funebri poche ore prima, gli pareva ancora di sentire i loro sospiri. O forse era solo la sua tristezza? I suoi sensi di colpa?

Ma doveva ricordarsi di essere un re. In una vita come la sua non doveva esserci spazio per quelle voci… per quei rimorsi.

Proseguì ancora per qualche centinaio di passi, dirigendosi verso un masso che sporgeva dal terreno e sedendovi sopra con un respiro stanco. Si massaggiò il braccio indolenzito, tentennando con il capo. Quel giorno nella mischia aveva parato con lo scudo un colpo di scure che gli aveva fatto tremare l’intero corpo ed intorpidito il braccio: gli sembrava ancora di sentire l’arto informicolito. Stupendo! Avere appena venticinque anni e provare i dolori di un vecchio…

I suoi occhi scuri ricercarono immediatamente le mura della città assediata, che si stagliavano grigie nella notte tenebrosa. Cercò vanamente di indovinare l’identità delle ombre nemiche che si aggiravano sopra di esse, illuminate dai fuochi delle torce. Una di loro… chissà, forse quella, o quell’altra… già, poteva trattarsi di lui.

Quell’assedio si trascinava avanti da un mese, ormai non poteva mancare molto alla disfatta dei loro avversari. Per quanto avrebbe ancora potuto difendersi un manipolo di uomini, per la maggior parte ormai decimati, contro l’intero esercito della Lega delle Isole? Gli abitanti di Rodi erano allo stremo, anche se avevano resistito valorosamente. Forse perché a guidarli c’era un degno sovrano…

Kaede Rukawa. Per quale arcana ragione la pronuncia di questo nome musicale gli faceva scorrere caldi brividi lungo le vene? Forse lo sapeva. Probabilmente lo sapeva. E sicuramente non voleva riconoscerlo… perché in effetti, tutto ciò era assurdo!

Quel giovane re… lui non lo conosceva! Non lo aveva nemmeno visto in viso. Ma questo non gli impediva di provare ciò che provava. Già, ciò che provava… inconcepibile, irrazionale!

La figura di quel sovrano era stampata a fuoco nella sua mente. Ricordava ancora quando, il primo giorno d’assedio, l’aveva visto ergersi fiero e terribile sulla cinta delle mura della sua città: l’armatura sfolgorante, una mano portata fieramente alla spada, il contegno sprezzante, un elmo a coprirgli il viso. Non aveva nemmeno dovuto chiedere… una stretta al cuore gli aveva subito fatto capire: è lui.

Il sovrano di Rodi. Un uomo misterioso, incomprensibile. Si diceva che avesse una bellezza sovrumana, quasi intimidente… eppure non aveva mai permesso ai suoi nemici di scorgere il suo volto: portava sempre un copricapo a mo’ di maschera. Per quale motivo? Solo lui lo sapeva. Possedeva un carisma incredibile, unito ad una altrettanto incredibile abilità nel combattere. La sua semplice presenza poteva determinare l’esito di una battaglia: i suoi uomini credevano in lui più che nello stesso Zeus. Era freddo, deciso, determinato… altruista nei confronti dei suoi soldati, spietato verso gli avversari. Poteva rischiare la vita per salvare l’ultimo dei suoi servi, ma al contempo costringersi ad uccidere un ragazzino quindicenne, se questi apparteneva alle file dei suoi nemici.

Con i suoi stessi occhi lo aveva visto gettarsi sul corpo ferito di un suo compagno, per difenderlo disperatamente contro una torma di nemici. Sembrava che fosse disposto a gettare la sua vita per quel soldato, per quel semplice soldato, uno fra i molti… come se fosse più importante di lui, più importante del re! Eppure, quanti uomini aveva ucciso senza nemmeno essersi fermato a guardarli in viso!?

Insensibile? Lo sembrava.

Ma era veramente così?

Ecco, di nuovo! Perché diamine continuava a pensare a lui, ad interrogarsi ostinatamente su di lui? Sembrava che considerasse il suo carattere come un enigma irresoluto da svelare assolutamente. Perché tante domande, perché questa ansia di comprenderlo? Nessuno aveva mai saputo destare fino a tal punto il suo interesse. Trascorreva notti insonni a immaginare il suo volto, a chiedersi se davvero Rukawa non provasse nulla affondando la sua spada nel petto di un ragazzo che non aveva altra colpa che quella di appartenere ad un altro schieramento… a domandarsi se quel giovane fosse capace di rimorsi, di incertezze, di biasimi… se anche lui fosse in grado di tormentarsi, se anche lui volesse qualcosa dalla sua vita…

Quante sciocchezze! Perché… perché aveva bisogno di sapere tutto questo? Perché quel Rukawa, che lui nemmeno conosceva, che aveva scorto solo da lontano in battaglia… per quale motivo era diventato, sin dal primo istante, sin dalla sola pronuncia del suo nome, un’ossessione della sua mente? Era come se lo avesse sentito nominare e contemporaneamente una voce gli avesse mormorato nella mente: ‘ecco, lo riconosco’. Era così, e questo era totalmente… semplicemente… folle!

Nessuno gli aveva mai fatto provare emozioni simili. Come poteva provare l’inspiegabile desiderio di fissare quel giovane negli occhi, di afferrarlo, di comprenderlo, di… averlo per sé? Era sciocco. Queste erano solo… debolezze. Pazzie che lui, Hanamichi Sakuragi, non si poteva permettere. Kaede Rukawa era un nemico da sconfiggere, da umiliare e da superare… di certo non un uomo da… da amare! Amare? Ma chi amava, se non un’immagine della propria mente, creata da tutta una serie di domande confuse ed inconcludenti? Pazzie, pazzie sul serio! Avrebbe quasi detto che qualcuno gli aveva gettato addosso una malia…

Quel Kaede Rukawa lo affascinava. Perché? Probabilmente solo per il mistero che sembrava ammantarlo. Forse, se finalmente fosse riuscito ad interpretarlo, avrebbe provato ribrezzo per lui… i segreti spesso perdono il loro fascino, una volta svelati.

Un lievissimo suono di passi lo fece trasalire. Chi poteva essere? Solo un amico o un nemico, perché in una guerra non esistono categorie che non rientrino in queste due.

Istintivamente scivolò giù dal masso su cui si era seduto e si appiattì a terra, scrutando i dintorni e portando una mano all’elsa della spada, che aveva badato bene a non abbandonare nemmeno per quella passeggiata notturna. Qualcuno si stava avvicinando… qualcuno non proveniente dal suo esercito, ma dalla cittadella degli assediati. Una spia? Forse. Un avversario da eliminare in ogni caso. Si acquattò dietro la roccia e sporse lievemente la testa, notando un’ombra che si profilava sul terreno, lievemente rischiarato dalla tenue luce lunare. Quell’individuo ignoto si stava avvicinando gradualmente al luogo in cui lui si trovava. Mancava poco ormai… solo qualche istante. Pochi respiri. Una vita.

Lo avrebbe colto di sorpresa.

Tese i muscoli, strinse la mano sull’impugnatura della sua arma, prese un profondo sospiro… si slanciò in avanti verso l’avversario, brandendo con impeto la lama, che scintillò sinistramente alla luce lunare.

Il suo nemico doveva avere dei riflessi molto pronti, dato che si era accorto immediatamente di quell’assalto, anche se Hanamichi aveva badato a non compiere il più lieve rumore.

Abile, non c’era altro da dire. Ma non abbastanza.

Quello sconosciuto sguainò a sua volta la spada, ma Sakuragi non gli diede tempo di sollevarla: con un abile guizzo del suo polso di ferro fece volare il gladio dell’avversario a qualche decina di metri da loro.

Da una parte la vita, dall’altra la morte… solo che, anche per questa volta, la vita si trovava ancora dal lato di Hanamichi.

Alzando la lama, Sakuragi la puntò con sguardo freddo alla gola del nemico. Sarebbe bastato un movimento quasi impercettibile… per maledire quella terra con altro sangue.

Commise un errore che di solito evitava: esitò. Scrutò il giovane che gli stava di fronte: doveva avere più o meno la sua stessa età, era dotato di una corporatura longilinea e scattante ed era vestito solamente di una di quelle corte e leggere tuniche che si indossano sotto le corazze. I suoi muscoli asciutti e sviluppati, anche se non esagerati, denotavano la familiarità con il maneggio delle armi: un soldato, sicuramente. Del resto, chi altri avrebbe potuto essere?

Sollevò il capo e finalmente lo fissò in viso, combattendo contro le ombre per cercare di distinguerne i lineamenti. Era notte, ma la luna lo spalleggiava.

Una sola parola: meraviglioso. I tratti del volto… inconfondibilmente fini, puri, aristocratici, incorniciati da corti capelli neri come la tenebra dell’Ade. Due occhi, scuri anch’essi, brillavano vividi e limpidi di una luce di orgoglio e di sfida. La purezza, la fierezza di quello sguardo era incantevole: costringeva ad indietreggiare.

Abbassò titubante la spada, poi con un movimento secco e deciso la rinfoderò e incrociò le braccia. Aveva scelto.

A giudicare dal trasalimento che aveva scosso quel corpo, doveva decisamente aver stupito quel tipo…

“Perché non mi uccidi?”

Un morbido sussurro che fece esalare un sospiro alla sua anima. Quella voce… morbida, calma, decisa. Ipnotica, sicuramente. Ma non l’aveva forse già udita, nei suoi sogni?

“Perché so che non sarebbe la cosa giusta da fare” si decise a mormorare in risposta, quasi senza pensarci.

“Sei uno stupido”

Eh, chi accidenti era quello? Lui gli aveva fatto dono della vita, e l’altro in risposta tentava di provocarlo? Ma voleva proprio morire?

“Cosa stai dicendo?” ringhiò Hanamichi, stupito.

“Hai risparmiato un tuo avversario, condannando così a morte le decine di tuoi commilitoni che domani periranno per mia mano. E forse hai condannato anche te stesso… perché, se io dovessi incontrarti in battaglia, non bloccherei la mano nemmeno riconoscendoti. Non aspettarti questo da me. Siamo nemici. Ma che razza di uomo sei? Non hai imparato ancora che la guerra e la pietà sono due termini che non hanno mai saputo convivere?”

“Sei convinto di questo? Uccidimi tu, allora. Ti do la possibilità di farlo” dichiarò, abbassando la braccia lungo i fianchi ed accennando col viso a quella spada che pochi istanti prima aveva spedito a qualche passo da loro.

Decisamente doveva essere un demente anche lui! Perché diamine lo stava provocando in quel modo? Voleva solo tentare di fare l’eroe, correndo incontro ad una morte che in realtà sarebbe stata adatta solamente ad uno stupido? Probabilmente ora quel tipo avrebbe tentato davvero di trafiggerlo!

Ma quello sguardo scuro… lo aveva soggiogato… e fatto impazzire, probabilmente.

Si fissarono a lungo negli occhi, poi il giovane sconosciuto si accostò in silenzio al masso su cui lui prima si era appollaiato e vi si sedette a sua volta, senza degnare di un’occhiata l’arma che lui gli aveva indicato.

Coerente il tipo! Ma a che gioco stava giocando?

“Ehi! Stai contraddicendo le tue parole” gli fece notare puntigliosamente “Avresti dovuto uccidermi!”

Non ricevette alcuna risposta. Quel ragazzo misterioso stava osservando le stelle e non sembrava nemmeno averlo udito. Ma faceva solo finta di ignorarlo o, ancora peggio, lo stava sul serio ignorando?

“Ehi, tu! Sto parlando con te, razza di maledetto bastardo!!” sbraitò Hanamichi, incapace di capacitarsi della situazione.

Insomma… quell’elemento strano seduto lì era un suo nemico, sapeva che avrebbe potuto venire ucciso da lui, gli aveva parlato con quella sfilza di parole di rimprovero… ed ora non lo degnava della minima attenzione?!! Argh… che dannato figlio di una gorgone!!! Lui, Hanamichi Sakuragi, eroe degli eroi, figlio di Zeus, sovrano imbattibile, vincitore di centauri, titani e centimani… non poteva di certo sopportare un simile trattamento!!

“EHI, MA MI STAI PRENDENDO…”

Il suo urlo venne interrotto da un sibilo monocorde: “Taci, idiota”

Eh? Cioè… quel tipo, a cui lui fra l’altro aveva anche fatto dono della vita, si era permesso di ordinargli bellamente di… di TACERE?! Ah, bene! Ora era deciso: lo avrebbe polverizzato!!

Si slanciò in avanti e gli assestò un fortissimo pugno sulla mascella, mandandolo a ruzzolare giù dal masso su cui si trovava installato (dove fra l’altro si era seduto per primo lui, e che quindi gli spettava! Gli aveva pure rubato il posto, il maledetto…).

Eh eh eh… ora quel bastardo si sarebbe rotolato nella polvere! Guai a chi contrastava la superiorità del divino, mitico, incommensurabile Hanamichi Sakuragi!

Non ebbe nemmeno il tempo di concludere questo ennesimo pensiero megalomane, che un calcio alla caviglia gli fece perdere l’equilibrio e lo costrinse a spalmarsi a terra a sua volta.

Ehm… uhm… che cosa diamine era successo?! Non poteva essere vero. Quel tipo aveva per caso osato… AVEVA OSATO… colpirlo!? Ah… vendetta, tuoni e fulmini di Zeus!!!

Con un ringhio si gettò sul suo nemico ed iniziò ad accapigliarsi furiosamente con lui. Si batterono per qualche minuto. Hanamichi alla fine imprecò,  sentendo dei denti aguzzi conficcarsi nel suo braccio destro.

“Bastardo!! Ma tu sei una volpe con la rabbia!!” inveì, riuscendo finalmente (dopo molti sforzi) a rovesciarlo sotto di sé ed a tenerlo fermo con il suo peso.

Che razza di situazione! Tutto ciò aveva dell’incredibile… ma la cosa più assurda era in realtà la sensazione inspiegabile che provava: come mai aveva la strana impressione di conoscere quel giovane che non aveva mai visto prima? C’era in lui qualcosa di vagamente familiare… di noto, di… ammaliante? Nah, stupidaggini! Paranoie! Era un suo nemico: doveva odiarlo. Questo avrebbe dovuto essere il suo unico ritornello, di certo non ci sarebbe dovuto essere spazio per quelle domande cretine! Avrebbe dovuto ucciderlo, non giocare alla lotta libera con lui!

Eppure… eppure non riusciva a considerarlo con distacco e freddezza, a pensare a lui come ad un avversario qualunque.

Una parte di sé stava urlando che quel giovane era… diverso. Che era prezioso. Che era… e sarebbe stato… fondamentale. Che non avrebbe saputo ucciderlo, che non poteva né doveva fargli del male. Non riusciva a sentire una vera avversione per lui, questa era la verità. Ma non solo: non provava nei suoi confronti nemmeno quella semplice indifferenza che di solito gli permetteva di uccidere i suoi nemici. C’era… qualcos’altro, qualcosa posto al di là di tutti i sentimenti che aveva provato fino ad ora nella sua vita. Qualcosa che gli sfuggiva.

Erano sensazioni restie ma tangibili. Doveva fidarsi delle sue impressioni? Beh… lo aveva sempre fatto!

No, quel ragazzo non era un nemico comune. Quegli occhi che affondavano nella sua anima non potevano essere detestati. Come era bianca quella pelle… lattea, eburnea, marmorea. E quei capelli… quella colata di lava nera!

Ma quel giovane stupendo era davvero un essere umano?

Con lentezza si tirò indietro e si mise a sedere, scostando a fatica il viso da quella figura distesa. Dopo un attimo di riflessione, sussurrò: “Chi sei tu? Come ti chiami, volpe?”

Volpe… sì, gli si addiceva!

“Non chiedere il mio nome. Io sono un tuo avversario ed è questo che deve bastarti. Probabilmente un giorno dovrai eliminarmi, non ci pensi? Se tu sapessi chi sono, forse dopo avermi ucciso proveresti dei sensi di colpa che, nel caso di un estraneo, sarebbero più tenui… o almeno, per me sarebbe così”

“Riuscirei a sopportarli. Voglio sapere il tuo nome”

Lo vide scuotere la testa, e poi mormorare riluttante: “Non posso dirtelo. Se io ti rivelassi chi sono, saresti costretto ad uccidermi…”

“Sei un pezzo grosso, allora?” azzardò Hanamichi.

“Nh”

Nh? Che cavolo poteva voler dire ‘nh’? Era un’affermazione o una negazione?!

Sospirò e decise di desistere. In fondo, anche se questa avrebbe potuto apparire strana come frase, se detta da lui… quel silenzio notturno era estremamente piacevole. Ed era ancor più piacevole condividerlo con quel ragazzo misterioso e bellissimo, scontroso ed indisponente.

Non lo conosceva, non sapeva chi fosse, ma persisteva quella strana sensazione che gli sussurrava che quel giovane non era una di quelle comparse che si limitano ad apparire e svanire lungo il corso della tua vita. Non possedeva nulla di più di questa sfocata impressione, ma ciò non era importante: si sentiva bene accanto a lui. Si sentiva ‘al suo posto’. E provava un’incredibile senso di serenità… di felicità, quasi. Quel ragazzo ignoto, incognita di quella notte, stava… dando un senso a tutto quanto.

Hanamichi stava vivendo uno di quegli irripetibili, rarissimi istanti della tua vita in cui senti di non desiderare nulla di più di ciò che hai già fra le tue mani. Prolungare un tale attimo per sempre… solamente questo. E poter continuare a fissarlo negli occhi, come stava facendo. No, niente di più…

Ore o minuti? Spesso sono queste le situazioni che inspiegabilmente si rimpiangono, anche a distanza di anni.

Ma dopo qualche istante lo sconosciuto si alzò e, senza proferire parola o saluto, prese ad avviarsi lentamente verso la città assediata.

“EHI, VOLPE!!” lo richiamò, con voce suo malgrado ansiosa.

Ma come! Se ne andava così?! Non… non aveva provato anche lui quel… quel qualcosa di inconfondibile, di irripetibile?!

Quel giovane si fermò immediatamente, ma non si girò. Rimase immobile a voltargli le spalle.

“Senti…” iniziò, incerto. Ma che cavolo stava per dire? Cosa poteva dire?! Solo… questo: “Io… domani notte tornerò qui. Disarmato. Ora… puoi andare”

Quel ragazzo strano riprese a camminare, svanendo nelle tenebre notturne. Nessuna risposta, nessun commento. Ma aveva almeno sentito?

La sciocchezza era che lui, Hanamichi Sakuragi, desiderava davvero rivederlo.

 

 

Splendido! Si sentiva veramente, seriamente, assolutamente idiota. Ma cosa stava aspettando?!

Quando lui era giunto lì e si era appollaiato su quel sasso come uno stupido, preparandosi ad attendere chi non sarebbe mai giunto, era trascorso da poco il tramonto. Ormai adesso le stelle scintillavano, ma la sua solitudine rimaneva immutata. Doveva decisamente essere impazzito per indugiare ancora!

Probabilmente quella volpe rabbica non aveva ascoltato, oppure non aveva addirittura capito il significato della frase che lui gli aveva urlato la sera precedente.

‘Io… domani notte tornerò qui. Disarmato’

Già, un appuntamento. Che razza di enorme stupidaggine! Si metteva a dare appuntamenti a completi sconosciuti, adesso? Ridicolo! E per cosa, poi? Per un… nulla, in fondo! Aveva solo sentito il bisogno di incontrarlo di nuovo. Ma perché!? Non riusciva a capire quell’intensa necessità di riascoltare quella voce, di rivedere quegli occhi… ed oltretutto si stava riferendo a un nemico!

Ecco, questo era il punto principale: quel ragazzo misterioso era un suo avversario. Non avevano nulla da spartire. Anzi… quel giovane divino non gli aveva forse detto (con voce incredibilmente ferma!) che, se lo avesse incontrato di nuovo, non avrebbe esitato ad ucciderlo!? E lui adesso, con questa idiozia dell’appuntamento, gli stava pure dando l’occasione per farlo! Magnifico, davvero…

Forse non era venuto perché aveva temuto una trappola. Oppure, più ovviamente, nulla lo aveva spinto a farsi vedere. Sicuramente quel tipo non aveva affatto provato i brividi che a lui erano serpeggiati lungo la spina dorsale, non appena aveva incrociato quello sguardo: occhi scuri nella notte. Ma erano veramente neri? Avrebbe voluto poterlo incontrare nella luce solare, per accertarsene.

Quella mattina, nella mischia di una sortita, l’aveva cercato fra i suoi avversari… ma non aveva scorto nessuno che potesse assomigliargli anche solo minimamente. L’avrebbe sentito, se si fosse trattato di lui.

Non conosceva neanche il suo nome. Come avrebbe potuto rivederlo? E perché ci teneva così tanto a rivederlo? Perché aveva pensato a lui… fino a sentirsi spaccare la testa?!

Un semplice sconosciuto. Un nessuno che aveva occupato tutta la sua mente, quel giorno. Un incontro strano, insignificante, occasionale, durato solamente un’ora sospesa nella notte, né più né meno. Un episodio da nulla!

Il difficile era convincersene.

Non aveva potuto resistere: quella stessa notte, alla medesima ora del giorno precedente, era uscito dalla sua tenda senza dare spiegazioni e si era recato nel medesimo luogo in cui l’aveva incontrato ventiquattro ore prima. Ma disarmato, stavolta. Ed ora si trovava ancora seduto su quel masso, ‘cominciando’ a sentirsi un incredibile ingenuo. Perché mai quel ragazzo avrebbe dovuto presentarsi? Era meglio andarsene e smetterla di pensarci. Perché non ci riusciva…?

Un rumore di passi lo fece sobbalzare. Portò istantaneamente una mano alla cintura, solo per ricordarsi troppo tardi che non aveva con sé nessuna arma. Se malauguratamente si fosse trattato di un drappello di nemici, lui sarebbe stato un uomo morto.

Tese l’orecchio, rimase in ascolto. Poi, sospirò: quei passi leggeri… li conosceva. Non provò il bisogno di girarsi. Rilassò nuovamente i muscoli e sollevò il viso a fissare il cielo nuvoloso, sentendo un inspiegabile sorriso affiorargli sulle labbra. Inspiegabile come quel senso di pace che gli allagò il petto. Inspiegabile come quella presenza accanto a sé…

“Sei venuto” sussurrò con voce stupita.

“Sei uno sciocco” lo rimproverò quella voce profonda “Hai pensato a cosa sarebbe potuto succedere se avessi avvisato qualcuno dei miei commilitoni? Avrei potuto formare un drappello per catturarti e farti prigioniero…”

“Anche io avrei potuto avere in mente il medesimo piano” controbatté Hanamichi, sentendosi incredibilmente noncurante del rischio corso “Eppure, nessuno di noi due ha fatto qualcosa del genere. Nemmeno tu. Ed ora sei qui, come non mi sarei mai aspettato. Ma perché?”

Un attimo di silenzio, poi la schietta risposta: “Non lo so”

Sakuragi girò lentamente il viso e fissò l’oscurità al suo fianco. Quell’oscurità che sentiva occupata da una presenza confortante. Sorrise di nuovo e mormorò: “Sono… contento che tu sia venuto”

“Perché?”

La domanda del suo interlocutore sembrava stupita.

Come rispondergli? Con la verità, semplicemente.

“Non lo so”

Tese una mano, afferrò un braccio di quel giovane che si manteneva ancora in piedi e lo tirò verso sé, invitandolo a sedersi accanto a lui. Il ragazzo obbedì, ma non riuscì a soffocare un gemito di dolore.

“Cosa succede? Ti senti male?” interrogò Sakuragi, non spiegandosi la ragione di quel represso lamento.

Non gli aveva stretto troppo il polso… era sicuro di non avergli fatto male! Del resto, quell’ignoto compagno possedeva una corporatura da soldato e non si sarebbe di certo potuto dire di costituzione fragile!

Quel silenzio lo indispettì. Insomma, si era preoccupato per lui! Quel tipo avrebbe dovuto sentirsi onorato: essere oggetto dell’apprensione del grande, sublime, mitico Hanamichi Sakuragi!! Cosa avrebbe potuto esserci di più lusinghiero?! Ed allora, come si permetteva di ignorare continuamente le sue domande?

Afferrò di nuovo quel braccio e glielo torse dispettosamente dietro la schiena, provocandogli immediatamente un urlo di sofferenza neanche tanto soffocato. A questo punto Hanamichi capì, anche se forse ‘leggermente’ più in ritardo rispetto a quanto ci avrebbe impiegato un altro: quel ragazzo… era ferito.

Si ritrasse immediatamente, come se si fosse sentito scottato dal dolore che aveva provocato all’altro.

“Come è successo?” chiese, oscuramente preoccupato.

La replica che gli giunse fu piuttosto riluttante: “Stamattina… nella battaglia. Una freccia mi ha trafitto il braccio sinistro. Posso ancora impugnare la spada con la destra, comunque”

“Ti trovavi nella calca stamattina? Ma io non ti ho notato!” si stupì, ripensando a quanto attentamente aveva scrutato i suoi avversari nella speranza di scorgerlo.

Ma poi, se anche fosse riuscito a vederlo, che avrebbe fatto? Si sarebbe solo reso ridicolo, probabilmente. Quanto avrebbe riso, ad esempio, Hisashi Mitsui, quell’ex pirata della malora, se avesse visto Hanamichi Sakuragi, sovrano di Andro, slanciarsi verso un suo avversario, tentare di proteggerlo a costo della vita dai fendenti dei propri soldati e cercare di catturarlo illeso per farne un proprio prigioniero? Sì, prigioniero. Perché questo aveva sperato: impossessarsene.

Solo alla fine della battaglia, ritornato al suo accampamento, aveva trovato il tempo di sorprendersi di un fatto: il sovrano Kaede Rukawa aveva partecipato a quella battaglia, ma lui non se ne era nemmeno accorto. Questa volta non aveva degnato del minimo sguardo quella splendente armatura. Quel giovane misterioso, ora seduto al suo fianco, aveva saputo fargli dimenticare in così breve tempo una fantasticheria che ormai da mesi, sin dalla giornata del Consiglio della Lega, era stata la sua ossessione. Come aveva potuto riuscirci? Che strano potere era racchiuso in quella pelle, in quella voce… in quegli occhi?

“E come avresti potuto riconoscermi, stamani?” ribatté quel ragazzo “Non mi hai visto alla luce del sole. Mi hai guardato solo ieri notte, ed oltretutto di sfuggita… non credo che i tuoi occhi sappiano fendere le tenebre!”

“Mi sottovaluti, volpe! So con certezza che ti riconoscerei ovunque ed in qualsiasi circostanza!”

“Non dire amenità, idiota!!” lo rimbeccò il compagno, infastidito dalla palese assurdità del suo proclama.

“Tsk! Non capisci nulla! I brividi che sai farmi provare mi avvertirebbero della tua presenza” si lasciò sfuggire.

Per Zeus… ma che aveva detto?!

“Brividi?” si stupì quella voce vellutata.

“Sì, brividi… beh… di ribrezzo, naturalmente!”

“Nh. Sai, mi aspettavo una risposta del genere…”

Brividi di ribrezzo, eh? Non avrebbe potuto inventare una frottola più penosa, falsa e stupida di questa! Nemmeno un demente come Nobunaga Kyota avrebbe potuto berla!! Si scoprì a ringraziare la notte buia che celava il suo rossore. Forse era meglio, decisamente meglio, al fine di evitare altre figure grame, assecondare il bisogno di silenzio che l’altro sembrava manifestare. Quel giovane sconosciuto pareva proprio essere una persona riservata…

Ma incredibilmente, fu proprio il compagno ad iniziare a parlare nuovamente: “Io, invece, ti ho visto stamattina…”

Sussultò, non riuscendo a trattenere un allibito: “Davvero?”

“Sì. Ho notato che anche tu sei un ‘pezzo grosso’… sovrano di Andro! Sarebbe stata una ragione in più per tenderti un agguato, stanotte…”

“Ma non lo hai fatto” ribadì Hanamichi

“Non dovresti sentirti così sicuro di te stesso… sei un ingenuo! Non mi hai perquisito. E se, per ipotesi, io avessi un pugnale celato sotto la veste? E se avessi lasciato degli armati alle mie spalle, pronti a farsi avanti ed a gettartisi addosso?”

Scrollò le spalle e mormorò semplicemente: “Mi fido di te”

Questa risposta inaspettata sembrò spiazzare lo sconosciuto, che riuscì a sussurrare solo un alterato: “Perché?”

Hanamichi scosse il capo, ripetendo: “Mi fido di te. Non posso non fidarmi” poi, cambiò argomento: “Come hai potuto riconoscermi, stamattina? Anche tu mi ha visto soltanto di notte!”

“Non sono in molti i Greci che possiedono la tua statura e la tua corporatura… ed i tuoi capelli rossi non possono di certo passare inosservati! Nemmeno la luce lunare di ieri è riuscita a nascondermeli…”

“Hai tentato di attaccarmi?” domandò ancora, ripassando mentalmente i volti di coloro che aveva affrontato nella battaglia odierna. Era mai possibile? Averlo avuto così vicino, ma non essersene accorto…

“No. Ho badato a mantenermi a distanza da te”

“Dove ti trovavi?”

Il giovane gli diede una replica esitante, tremendamente simile ad una mezza verità: “Ero… fra il seguito del sovrano”

“Tu conosci Kaede Rukawa?!” esclamò, stupito “Ma allora… se eri fra il suo seguito, sei un suo parente?! Un consigliere? Vivi a palazzo?!”

“Non sono tenuto a risponderti” lo bloccò l’altro, usando un’intonazione gelida.

Perché sembrava essere così irritato dall’argomento?

Hanamichi sospirò, perplesso, ma non seppe proprio frenare un’altra domanda: “Tu… allora tu hai visto il sovrano in viso? Ed è davvero tanto bello come tutti dicono?”

Quella voce ribatté con tono incerto e vago: “Non lo so… io non l’ho mai considerato sotto questo aspetto” fece una pausa, poi riprese con più durezza “Credo che un re debba essere giudicato per il suo valore in battaglia, il suo coraggio e la sua saggezza… non per la sua avvenenza, valore secondario ed estremamente instabile!”

Questa replica divertì Hanamichi, che osservò: “Sembra che i complimenti fatti su di lui ti secchino… ti dà fastidio che lo si consideri attraente? Non dirmi che sei geloso di lui! Non dovresti, davvero. Anche tu sei… molto bello” sussurrò, avvampando per quest’ennesima confessione importuna.

Il suo interlocutore parve rimanere totalmente indifferente di fronte a questa rivelazione inattesa. Si limitò a ribattere seccamente: “Idiozie!”

Hanamichi tuttavia non si lasciò ingannare: si era accorto di averlo messo a disagio. Senza potersi frenare, si trovò a confidargli: “Sai che io avevo approvato questa guerra solo per poter vedere Rukawa?”

“Che cosa?!” sibilò irosamente il giovane sconosciuto, voltandosi fulmineamente verso di lui.

Movimento inutile del resto, dettato solo dall’istinto… il cielo era coperto e la notte stavolta era talmente buia che, comunque si sistemassero, era impossibile vedere oltre un palmo dal proprio naso!

Hanamichi non comprendeva perché mai fosse scattato in quel modo, con quella foga. Aveva saputo sorprenderlo? Evidentemente sì.

Quella voce riprese, indignata: “Tu… tu hai accettato di partecipare a questo conflitto… solamente per una sciocca curiosità?!!! Stai uccidendo ragazzi, privando madri dei loro figli, spogliando mogli dei loro mariti, gettando nella miseria un popolo… solo per il viso di un uomo? Solo per appagare un desiderio tanto meschino, tanto inutile, tanto… spregevole!!? Tu sei… sei un…”

Hanamichi rimase allibito per quell’inattesa violenza. Spalancò gli occhi e si affrettò a bloccare quella valanga di parole: “Ehi… calmati volpe! Si direbbe quasi che, dalla tua veemenza, tu ti senta responsabile delle mie azioni e di ciò che le mie azioni provocano! Sappi che avrei dovuto partecipare a questa guerra comunque, anche se non avessi dato la mia adesione: a un ordine della Lega non posso discutere. E comunque… perché tanta indignazione? E’ normale uccidere in una battaglia. Lo so, si uccide senza ragione, o per ragioni che non lo giustificherebbero comunque: è biasimevole, ma è inevitabile. Questa è la guerra. Tu stesso hai detto che guerra e pietà non possono convivere. Non bisogna interrogarsi sui perché della guerra… ma semplicemente su come farla. Le crisi di coscienza… sono seccature per un guerriero”

Aveva detto tutto questo. Erano le frasi che si ripeteva in continuazione, ogni giorno della sua vita. Parlare in questo modo era semplice… sì, semplice. Però, costringersi a pensare e ad agire in questo modo… era forse altrettanto semplice?

E’ semplice condannare a morte un uomo senza averlo davanti a sé. Provate a pronunciare la stessa sentenza fissandolo negli occhi, invece! Hanamichi… non aveva mai saputo farlo. No, per lui non era affatto semplice!

“Crisi di coscienza… tu non ne hai mai provate?”

Sakuragi rimase a lungo in silenzio, riflettendo sulla risposta da dare.

Decise per la sincerità: “Sì, ne ho provate… ne provo tuttora. Ricordo ancora il tormento, il terrore, gli incubi che provai la notte successiva alla prima volta che uccisi un uomo. Mio padre mi insegnò ad uccidere, ma non mi disse come imparare a mettere a tacere i sensi di colpa… questo dovetti impararlo da solo. Mi credi, se ti dico che non ci sono ancora riuscito? Spesso, evitare di riflettere sulle proprie azioni non è sufficiente. Talvolta, quando uccido, mi sento come se meritassi a mia volta di morire… e sono costretto a combattere con questo pensiero, oltre che con il mio avversario. Se nel mezzo di un duello, pensi improvvisamente di meritare la morte, allora… allora hai perso. Allora sei finito, demotivato, distrutto. Non credo di essere un buon soldato, né un buon generale… sono costretto a vivere con questi conflitti interni, senza poterne parlare con nessuno… perché so che nessuno potrebbe capirmi. Nessuno prova ciò che provo io. Per tutti, uccidere un nemico è… giusto”

Quando la sua voce si spense, Hanamichi iniziò silenziosamente a darsi martellate in testa. Cosa lo aveva indotto a confidarsi, a rivelare le sue debolezze proprio a quello sconosciuto? Era pura follia! Aveva svelato il suo punto debole ad un nemico, ad una persona che avrebbe potuto approfittarsene! Che… che cosa gli era saltato in mente?! Rivelazioni che non aveva fatto a nessun altro, timoroso di poter essere giudicato vile e codardo… ed ora!?

Un mormorio bloccò sul nascere questi pensieri allarmati.

“Non è facile nemmeno per me. Io amo combattere… adoro la sfida, la competizione, il duello… ma odio uccidere. Detesto l’obbligo che le circostanze ti impongono, quello di strappare la vita ad una persona che potresti essere tu!! E’… atroce. La freddezza che all’esterno mi impongo… non è sufficiente per mettere a tacere il tumulto che nasce dentro di me di fronte a tutto ciò. Talvolta perfino mi stupisco… di me stesso, del mio inutile controllo. Tutti mi credono insensibile perché mi mostro gelido, freddo e controllato nel viso e negli atteggiamenti, nessuno scorge i conflitti che provo. Non si tratta di incertezze: quando faccio una cosa, io la compio con risoluzione. Se devo uccidere qualcuno, lo faccio senza indecisioni… solo che in quel preciso istante mi sento dilaniare dentro. Ma questo… nessuno lo immagina. E probabilmente è meglio così…”

Sakuragi sentì la propria anima vibrare.

Quelle parole… quelle parole si erano dimostrate lenitive per la sua anima, come un balsamo profumato lo sarebbe stato per il suo corpo. E la voce… la voce! Calda, viva, vicina. Si era sentito capito, ed aveva capito. Era stato stupendo…

Avrebbe voluto ringraziarlo per quella confidenze, per la fiducia inaspettata che quel giovane aveva dimostrato nei suoi confronti… ma intuiva che quello sconosciuto era un classico rappresentante di quelle persone che odiano ricevere dei ringraziamenti, dato che questi saprebbero solo farli vergognare di rivelazioni che a posteriori loro giudicherebbero semplici debolezze.

“Tu credi… che…” incominciò, incerto “Insomma, secondo te… tu conosci, penso, Kaede Rukawa. Ritieni che quell’uomo sia freddo ed insensibile come tutti dicono? E se anche lui nascondesse dentro di sé un’indole diversa, in contrasto con ciò che dimostra? Se…”

Queste parole e questo nuovo riferimento a Kaede Rukawa parvero irritare l’ignoto giovane, che si alzò ed iniziò ad allontanarsi. Dopo qualche passo però si bloccò e dichiarò: “Ricordati di non giudicare mai dalle apparenze… ma anche di non lasciarti trascinare dalle vele dell’immaginazione. Kaede Rukawa è semplicemente ciò che è… e spero che tu non debba mai conoscerlo”

Hanamichi si sollevò in piedi a sua volta.

L’occasione per chiedere a quel ragazzo di che colore fossero i suoi occhi era, ormai, totalmente svanita.

 

 

Per due notti consecutive Hanamichi si recò nella spianata. Per due notti dovette aspettare invano: non si presentò nessuno. La terza notte indugiò a lungo sulla soglia della tenda, combattuto fra il desiderio di andare e l’imposizione di restare. Era evidente che quel giovane sconosciuto non si sarebbe più presentato! Ci teneva così tanto a fare la figura dell’allocco, vagando per l’ennesima volta nella notte tetra per attendere qualcuno che non si sarebbe fatto vedere!?

Chissà… quel tipo poteva perfino essere morto! Forse era per questo che non si era più mostrato. Morto, o anche ferito gravemente. Benissimo: un nemico in meno!

Già, un nemico in meno… ma anche una speranza in meno. Ed un dolore in più.

Uscì dal tendone con un sospiro di resa ed iniziò a camminare lentamente verso la pianura, il cuore conteso da timore, aspettativa e disillusione.

Non doveva darsi false speranze: molto probabilmente non ci sarebbe stato nessuno. Bene, e allora? Lui si era allontanato solo per fare quattro passi, non certo per cercare qualcuno! Che cosa cavolo gliene fregava a lui di quella volpe maledetta, che cosa gli importava di…

Vide in lontananza una figura seduta, la schiena appoggiata ad un masso, la sagoma che si stagliava scura fra le già scure tenebre. L’ormai ben noto brivido gli fece capire senza possibilità di errore di chi si trattasse. Era lui.

Il senso di sollievo e di serenità che gli invase il petto a quella constatazione non gli permise di ingannarsi ad oltranza sulla natura di ciò che provava. Ma com’era possibile che fosse di quel sentimento?

Era tradizione comunemente diffusa quella che affermava che Eros fosse il dio più antico, più potente e più degno di essere onorato. Evidentemente, certe cose non puoi accettarle prima di averle testate su te stesso.

Hanamichi si avvicinò ulteriormente e posò una mano sulla spalla di quel ragazzo. Trasalì, quando si rese conto di aver toccato la nuda pelle invece della stoffa della veste, che era scivolata languidamente lungo un suo braccio. Com’era calda e serica, quella pelle…

Lo scosse leggermente, ma non ricevette risposta. Beh?! Che gli stava succedendo? Perché non si moveva?!! Sembrava quasi morto, o svenuto… no, calma! Niente panico.

Si chinò ed accostò il viso al suo… la violenta sensazione che provò quando si sentì accarezzare da un lievissimo respiro lo fece sussultare e ritrarsi violentemente all’indietro.

Dormiva.

Che demente!! Stava dormendo in quella terra di nessuno, dove un nemico avrebbe potuto sorprenderlo e strangolarlo nel sonno!! Ma si divertiva a farlo preoccupare?!! Ora gli avrebbe dato un cazzotto che non avrebbe dimenticato facilmente! Sollevò il braccio, lo abbassò con ferocia… ma bloccò la mano non appena questa giunse a un soffio da quel viso. Rimase immobile per un lungo istante, poi con un sospiro rilasciò le dita, sciolse il pugno e si concesse una lieve, esitante carezza su quella guancia levigata e marmorea.

Avrebbe voluto… di più, avrebbe voluto… quelle labbra e quel respiro sul suo corpo… la luce del sole per illuminare quegli occhi e poter discernere finalmente quelle fattezze che già nel buio intuiva essere stupende… avrebbe voluto… amore e desiderio.

Desiderio. Per uno sconosciuto di cui non conosceva nemmeno il nome. Per un nemico.

Ma chi diamine aveva stabilito che loro due dovessero essere nemici? Provò uno spontaneo moto d’odio verso il loro comandante Akagi, verso se stesso che aveva approvato quella missione… perfino verso Kaede Rukawa, dato che non si decideva ad arrendersi, a farla finita con quell’assedio, con quella guerra persa in partenza!

Ridicolo! Era proprio per quel misterioso, tenace Kaede Rukawa che lui aveva accettato di prendere parte a quel conflitto… ma ormai tutto l’interesse, tutta la curiosità, il mistero e il fascino che trapelavano da quella figura misteriosa non esercitavano più alcuna attrattiva su di lui.

Si era lasciato abbacinare da leggende, fole e superstizioni… aveva fantasticato come uno sciocco sulla bellezza di quell’uomo, sul suo valore, sul suo orgoglioso coraggio, fino a costruire un sogno di cui si era quasi invaghito. Si era trattato… di una semplice fantasia puerile.

Aveva attribuito a quel misterioso Kaede Rukawa qualità che probabilmente quel tipo era ben lungi dal possedere, ne aveva fatto la personificazione di tutto ciò che aveva sempre, inutilmente cercato nelle tante ragazze di cui un tempo si era incapricciato, negli uomini che lo avevano interessato… aveva creato un’illusione, costruito un’immagine perfetta in cui rifugiarsi.

Ma la realtà non è mai pari all’allucinazione.

Quel Rukawa non era un semidio, era un uomo. Era freddo, era crudele, era deciso… non era una persona da amare, come aveva detto anche Mitsui. Era inutile cercare delle sensazioni, delle passioni sotto la scorza fredda di quel gelido sovrano, sotto lo spessore impenetrabile della sua corazza scintillante. Kaede Rukawa era una figura lontana da lui, ed ormai… lui non desiderava più cercare di avvicinarglisi. Era stato un sogno, ma ormai si era svegliato. Si era deciso a lasciarlo sullo sfondo, ad accettarlo per ciò che era: un sovrano, un loro avversario da combattere e da sconfiggere. Inutile infiorettare questa persona con le sue speranze infantili.

Kaede Rukawa era una visione impalpabile. Quel giovane sconosciuto, addormentato di fronte a lui… era invece una realtà delicata e tangibile. Poteva scorgere la sua veste leggera, i lineamenti delicati, i capelli corvini… sentire, accarezzare quella serica, candida pelle. Non sapeva chi fosse, ma ormai il suo cuore caparbio lo conosceva. E lo voleva. Nei sentimenti non c’è razionalità… ad Eros non ci si può opporre. Già, ormai aveva conosciuto e riconosciuto in sé il potere del dio.

Esitò per un altro istante, poi si convinse a dargli una nuova scossa più decisa della prima.

Ancora nulla.

Ma come faceva a dormire così profondamente in quelle condizioni?! La notte era fredda, lui era appoggiato con la schiena ad un masso scomodo e duro, sedeva sul terreno pietroso… tutto ciò aveva dell’incredibile! Sospirando, sciolse il mantello dalla sue spalle e lo allargò sul corpo di quel giovane, decidendo di attendere il suo risveglio. Non dovette aspettare molto: poco dopo un pugno scagliato alla cieca gli ammaccò una spalla e lo rovesciò all’indietro.

Dolorante e stupito, non riuscì nemmeno a risollevarsi perché due mani premettero sulle sue braccia ed un ginocchio gli venne piantato in mezzo al petto, costringendolo saldamente a terra.

“EHI!! MA SEI DEMENTE!! SI PUO’ SAPERE CHE HAI INTENZIONE DI FARE?!” sbraitò.

La stretta delle mani immediatamente si allentò. Quel corpo, dopo una lieve esitazione, si tirò indietro e lo lasciò libero.

“Non ti avevo riconosciuto…” si giustificò quella voce tranquilla.

“Umpf…” sbuffò Hanamichi, rimettendosi a sedere.

Era stupito di se stesso, in fondo: avrebbe potuto facilmente colpirlo e liberarsi da solo, senza attendere di venire rilasciato. Si era accorto di essere fisicamente più forte di lui. Ma non aveva fatto nulla: aveva capito di non volergli fare del male. Ed il perenne, martellante, ossessivo ricordo che si trattava di un suo nemico rendeva tutto questo ancora più buffo!

Rimasero in silenzio per qualche istante, poi la voce di quel giovane sconosciuto si elevò di nuovo. Ma, questa volta, sembrava innaturalmente… stanca, spossata. Certo, il tono era ancora permeato di quel timbro sicuro ed orgoglioso che sembrava essergli innato, ma ora sembrava essere soffocato, sottotono…

“Come mai ci avete attaccati? Perché non ci lasciate in pace… perché non ve ne andate?! Che vi abbiamo fatto?!”

Rimase stupito da questa domanda, tanto che all’iniziò non seppe come rispondere. La sua confusione tuttavia durò poco.

“Siete stati voi ad averci costretto a farlo. O meglio, è stato il vostro sovrano Kaede Rukawa ad averci provocati!”

“Provocati?” ribatté quel giovane, apparentemente indignato “No, assolutamente! Non vi ha fatto proprio nulla! La nostra terra prosperava… non chiedeva nulla se non di vivere in pace, senza dare fastidio a nessuno e senza che nessuno desse fastidio a lei! L’unica cosa che non potevate sopportare era che fosse tanto ricca ed allo stesso tempo completamente indipendente, non sottoposta alle vostre pretese, ai vostri ordini, giuramenti, tributi, vessazioni… voi volete avere tutto sotto il vostro controllo, volete schiacciare ciascun regno libero per soggiogarlo al vostro potere! Voi… maledetti! Spero che Zeus vi punisca per ciò che state facendo!! Controllavate tutto l’arcipelago, che necessità avevate di possedere anche Rodi?!”

Il tono era quello di un padrone oltraggiato ed indignato, che rimprovera all’avversario un oltraggio arrecato alla propria figlia.

“Sei molto legato alla tua terra…” sospirò Sakuragi “E sembra che questa situazione ti faccia molto male”

“Come potrebbe non farmene?! La mia gente sta morendo!” esclamò quella voce affannata e dolente.

Hanamichi aggrottò le sopracciglia e gli fece notare: “Eppure… ci sarebbe modo di porre fine a tutto questo…”

“Quale?”

“Il vostro sovrano, quel cocciuto Kaede Rukawa, dovrebbe arrendersi. In questo modo queste battaglie sterili si concluderebbero! Questa terra ormai è già fin troppo zuppa di sangue… fatela finita con questa resistenza inutile che può solo prolungare un’agonia senza scopo, aggiungere altri morti alla somma già fin troppo elevata di coloro che hanno raggiunto l’Ade, far accrescere la rabbia che gli assalitori scaricheranno poi addosso a voi…”

La risposta scattò violenta: “Mai!! Non ci arrenderemo mai! Rukawa… non potrebbe mai accettarlo! Sopportare l’umiliazione della resa… per cosa? Per la schiavitù?! Per diventare la preda di guerra di uno dei vostri insulsi generali? Per venire esposto alla derisione, agli insulti… per fungere da trofeo di conquista?! Per lui sarebbe meglio la morte”

“Ma il suo è solo egoismo, lo capisci?! Ha provocato questa guerra con il suo ostentato disprezzo alle proposte della Lega e la sua politica arrogante ed indipendente… ha trascinato il suo popolo alla rovina. Avrebbe dovuto immaginare quale sarebbe stata la conseguenza delle sua azioni autonome ed avventate! E’ giunto a questo perché lo ha voluto. Perché non si è dimostrato abbastanza abile per sfuggirlo… ed ora è suo dovere evitare altra inutile sofferenza alla sua gente, ai suoi soldati. E’ un re, ha sbagliato… ed ora deve rispondere dei suoi errori, ma lui solo”

Il giovane sconosciuto scattò in piedi all’improvviso, sferzato da quei rimproveri contro il suo sovrano come se fossero stati rivolti a lui in persona. Iniziò nervosamente a camminare avanti e indietro, poi si bloccò e decretò: “No, non… non si può arrendere! Arrendersi a chi, poi? Ad Akagi, che si è gettato in questa guerra solo per assecondare i piagnistei della sorella respinta? Patetico, veramente patetico! E’ disonorevole consegnarsi ad una persona simile! A chi altri? A Mitsui, servendogli in tal modo su un piatto d’argento Kogure, il nostro ambasciatore, assoggettato alle sue brame? Tutte le donne verrebbero ridotte in schiavitù, destinate a ginecei stranieri, alla schiavitù… e le rappresaglie? Decine e decine di soldati uccisi e torturati per vendetta! No, meglio… mille volte meglio la morte in battaglia! Del resto, c’è ancora speranza…”

Hanamichi sorrise tristemente, preparandosi a disingannarlo crudelmente: “Ti auguri forse che Sendoh, re di Lacedemone, oppure Minami, sovrano di Micene, possano rispondere alle vostre richieste di aiuto? No, non lo faranno. Non saranno così sciocchi! Mettere a repentaglio il loro esercito per un semplice scoglio? Irritare la Lega delle Isole… per cosa? Per nulla, in fondo! E’ impossibile! Perché mai dovrebbero venirvi in aiuto? Mi è giunta voce del loro interesse per il sovrano Rukawa… ma credi che questa possa essere una ragione sufficiente?! Non essere ingenuo, volpe…”

Il giovane sconosciuto si fermò, lasciandosi infine crollare seduto a fianco di Hanamichi. Il sovrano di Andro lo vide portarsi le mani al viso in un gesto convulso di nervosismo e di oppressione… sembrava spossato, esausto e schiacciato da troppe responsabilità. Faceva parte del seguito del sovrano, quindi era un ‘pezzo grosso’… forse uno dei consiglieri di Rukawa? In questo caso, la sua confusione e quella tensione apparivano giustificabili. Quanto stava sopportando?

“Sono stanco… stanco di vedere il mio popolo morire!” lo udì sussurrare, mentre quelle mani sottili scorrevano con un gesto lento fra i capelli corvini. I pallidi raggi di luna illuminavano i lineamenti stupendi e irreali, le palpebre socchiuse, la bocca sottile e serrata…

“Parla con il tuo sovrano” lo incitò Hanamichi “Esortalo ad arrendersi…”

Posò con delicatezza una mano sul braccio dell’altro, cercando di infondergli calore. Gesto quanto mai errato. Quel giovane si scostò immediatamente con uno strattone e lo assalì con voce ironica e fiammeggiante: “Mi congratulo, sovrano di Andro! Belle parole… credi forse, con questo falso altruismo gratuito, di riuscire a farmi dimenticare l’esercito a cui appartieni!? Tu sei il mio peggiore nemico ed io dovrei fidarmi di te? So perfettamente che stai parlando nel tuo interesse, non nel mio… pregusti già la fine di questa guerra, il saccheggio che ne seguirà, le vendette che potrai prenderti su donne e bambini, i prigionieri che catturerai per soddisfare le tue voglie!! Non ne vedi l’ora, giusto? Dovrei lasciarmi convincere da te!? Mi credi così stupido?!”

“Smettila di dire idiozie!” lo interruppe, irato “Io non sono ansioso di vendetta, ma desideroso di pace! Voglio solo tornare ad Andro, smetterla di uccidere… di provocare dolore. Ti prometto che non ci saranno stragi, se ci aprirete spontaneamente le porte della città. Me ne faccio garante io, ne parlerò ad Akagi. Il tuo popolo verrà rispettato e lasciato in pace, Rodi entrerà a far parte della Lega e le sue istituzioni verranno conservate… semplicemente con un nuovo reggente”

Lo sconosciuto interlocutore pareva dubbioso. Hanamichi se ne accorse e, per dissipare le sue preoccupazioni, si portò una mano al petto e con orgoglio declamò: “Non temere, hai la parola di Hanamichi Sakuragi, sovrano di Andro, figlio di Zeus, eroe degli eroi, mito dei miti, uccisore di ciclopi, cacciatore di…”

Lo interruppero uno sbuffo esasperato ed un’esclamazione sconsolata: “Povero me! Ed io ho pure prestato attenzione ad un simile idiota…”

“Volpastra!! Come ti permetti di insultare un semidio come me?”

“Demente…” ribadì quella voce monocorde.

“Argh!!! Maledetto, prendi questo!”

Così, dopo aver tanto trattato di pace, conclusero la loro discussione con una ‘pacifica’ zuffa. A quanto pareva, la coerenza non sembrava essere il forte di quei due dissociati mentali…

Fu lo sconosciuto soldato di Rodi a fermarsi per primo. Tergendosi un rivolo di sangue che gli stava scendendo dal labbro spaccato, si alzò barcollante in piedi ed iniziò ad allontanarsi da Hanamichi, che vedendolo andare via si sentì stringere il cuore in una morsa…

Lo richiamò indietro con voce concitata: “Allora, che cosa farai!?”

Dopo un attimo di esitazione, gli giunse la risposta netta: “Parlerò al mio signore Kaede Rukawa. Ricordati della promessa che mi ha fatto: niente rappresaglie sul mio popolo, al momento della resa!”

“E tu ricorda che hai la parola del massacratore di giganti, gorgoni, centimani e titani, il grande Hanamichi Sakuragi…”

“Già… il grande mentecatto!” borbottò di rimando quella volpe.

Dalla voce sembrava proprio che stesse sorridendo.

“Mentecatto a chi?! Affrontiamoci con la spada e poi vedremo se oserai ancora ripetere una cosa simile!”

“Attento a ciò che chiedi… figlio di Zeus!”

Sì, stava decisamente sorridendo. Maledetto bastardo indisponente…

 

 

La giornata successiva fu caratterizzata da una calma innaturale. In tutto l’accampamento degli assedianti si parlava di pace, di fine delle ostilità. Giravano voci strane fra i soldati, domande ansiose… davvero il sovrano di Rodi era in procinto di arrendersi? Fra poco la cittadella sarebbe stata loro? Avrebbero potuto finalmente salpare e fare ritorno alle loro famiglie?

Hanamichi Sakuragi si aggirava fra i suoi uomini, immerso nei propri pensieri.

Molti avrebbero voluto accostarsi a lui per chiedergli se le notizie circolanti avessero qualche fondamento, ma il suo volto assorto e preoccupato scoraggiava perfino i più temerari. I soldati sapevano che il sovrano di Andro era un uomo generoso e giusto, anche se un po’ (troppo) megalomane ed indisponente… ma chi l’aveva visto arrabbiato anche solo una volta sapeva di dover sempre dosare tatto e prudenza negli approcci effettuati in momenti critici! C’era qualche malcapitato che giurava di possedere ancora il bozzo provocato da una delle famose testate di Sakuragi…

Dopo un paio d’ore di passeggiate a vuoto, Hanamichi si bloccò e parve prendere una decisione. Si diresse risolutamente verso la propria tenda, cinse la spada ed il mantello e si apprestò ad uscire di nuovo. Era già sulla soglia, quando una voce lo richiamò: “Che cosa hai intenzione di combinare?”

Sorrise, ribattendo: “Perché questa domanda sembra così simile ad un’accusa, Yohei?”

“Semplicemente perché ti conosco” affermò con sicurezza il suo amico, venendogli incontro sorridente “Avanti, dove stai andando?”

“Non vedo perché non dovrei dirtelo. Ho semplicemente intenzione di recarmi da Akagi per sapere se gli è giunta qualche ambasciata dalla città assediata e per discutere con lui sulle condizioni dell’eventuale resa. Ho intenzione di chiedergli di essere clemente e di non lasciare ai nostri soldati spazio libero per preoccupanti iniziative che potrebbero mutarsi in rappresaglie. Non voglio inutili crudeltà o spargimenti di sangue… Rodi ha già sofferto troppo in questa guerra!”

“Come mai ti sta così a cuore la sorte di questi nemici?”

Questa domanda lo spiazzò. Per nascondere il disagio sollevò il tono di voce: “Scusami, ma che cos’è questo, un interrogatorio? Da quando devo avere delle ragioni particolari per risparmiare la vita a degli esseri umani?! Mi stai accusando di crudeltà ed individualismo… proprio tu?! Mi fanno orrore i massacri compiuti verso esseri indifesi, tutto qui! Credevo tu lo sapessi”

Mito subito si tirò indietro, sollevando le mani: “Ehi, va bene! Mi dispiace, non volevo ferirti. Conosco la tua indole… forse meglio di ogni altro, Hana. Non serve essere così scontrosi, comunque! La mia era solo curiosità! Vai pure, se vuoi…”

Perché diamine Yohei gli dava sempre la fastidiosa impressione di sapere più di quanto dovesse e di capire più di quanto potesse?! Era l’unica persona che riusciva a farlo sentire indifeso… non fisicamente, questo era ovvio, ma psicologicamente. Situazione assai più pericolosa, a dir la verità…

Una volta uscito dalla sua tenda, la divertita voce dell’amico lo raggiunse di nuovo: “Ah, Hana… a proposito! Sai… si dice che di notte, sulla spianata davanti alla cittadella, si possano fare incontri notturni… ‘particolari’! Tu non ne sai nulla? Chissà… con tutte queste tue passeggiate notturne, mi chiedevo se…”

Maledizione…

“Yohei… credo che nemmeno all’Ade vorranno mai avere a che fare con un ficcanaso come te!”

La risata divertita del compagno lo fece sentire miseramente scoperto.

Giunse in prossimità della tenda del comandante Akagi, situata al centro dell’accampamento dell’esercito della Lega. Aggrottò la fronte, stupendosi di trovarla così affollata: un drappello di soldati sostava infatti all’esterno di essa, circondato a sua volta da parecchi curiosi e da semplici sfaccendati. Immediatamente comprese il motivo di tanta ressa: quel manipolo di uomini armati… si trattava della scorta di un’ambasciata inviata dal sovrano di Rodi! Probabilmente ora, all’interno della tenda, si stava parlamentando.

Per il tridente di Poseidone, perché non era stato convocato o perlomeno avvertito di quella riunione?

Si fece largo a spintoni in quella folla di militi sfaccendati ed indiscreti e, senza nemmeno farsi annunciare, sollevò un lembo del telone d’ingresso e si intrufolò nella vasta tenda del comando. Nessuno osò fermarlo, dato il suo rango e la sua risaputa irascibilità. Fatta irruzione all’interno, vide una ventina di volti corrucciati fissarsi su di lui. Non si lasciò intimidire né dai mormorii di disappunto causati dalla scortesia della sua entrata violenta, né tanto meno dal cipiglio pericolosamente irato di quel monte Olimpo di Akagi. Notò con la coda dell’occhio che erano presenti sia Mitsui che Maki… e questo accrebbe la sua irritazione!

“Perché non sono stato convocato?” sbottò immediatamente, con sguardo lucido d’ira.

“Perché è risaputo che tu non sei un tipo adatto alla diplomazia, scimmia. Il modo in cui ti stai comportando ne è la palese dimostrazione!” asserì subito quell’ex pirata sfregiato, non preoccupandosi nemmeno di mascherare l’insolenza della voce.

“Nemmeno tu potresti essere definito propriamente un tipo serio e posato…” rimbeccò, sfidandolo con gli occhi.

La diatriba sarebbe proseguita ancora per molto, inevitabilmente degenerando, se non fosse intervenuta in modo tempestivo la voce autoritaria di Akagi: “Smettetela, voi due! State offrendo uno spettacolo di cui farei volentieri a meno. Avevo evitato di chiamarti proprio per questo… ed a quanto pare avevo ragionato in maniera saggia, Sakuragi. Comunque, ora sei qui, quindi restaci e cerca di assumere un atteggiamento corretto, almeno per rispetto verso il delegato di sua maestà Kaede Rukawa, il nobile Kiminobu Kogure”

Hanamichi era stato accecato a tal punto dalla consapevolezza dell’affronto subito, da non aver notato subito quei sacerdoti in veste bianca che, posti esattamente di fronte a lui, accompagnavano un giovane dall’aspetto serio e controllato. Lo fissò. Poteva avere appena qualche anno in più di lui! Quei vigili ma rispettosi occhi castani ricambiarono il suo sguardo con cortesia, dimostrando anche una certa simpatia.

Mh… dunque era lui il tipo di cui si era innamorato quel pirata sfregiato, e su cui tanto si favoleggiava! Beh, sì… non era dotato di una bellezza sfolgorante, ma Hanamichi dovette ammettere che il suo atteggiamento posato, il viso dolce e gentile ed i morbidi occhi scuri sapevano esercitare una certa attrattiva. Inoltre, Sakuragi intuì anche che quella cortesia celava un carattere insospettabilmente forte e grintoso. Una persona degna di rispetto, insomma!

Lo salutò con un cenno del capo e si spostò verso i lati della tenda, deciso a seguire il dialogo che si stava sviluppando. Purtroppo, sembrava che fosse giunto decisamente tardi: si stavano già tirando le somme del discorso.

Akagi riprese a parlare, rivolto a Kogure: “Dunque, le vostre condizioni di resa sono semplicemente queste: nessuna rappresaglia violenta, niente prigionieri fra donne e bambini, nessuna vendetta sui soldati sconfitti, rispetto per i sacerdoti e le sacerdotesse. Tutto qui? Non vi opponete alla requisizione delle ricchezze, alla nomina di un nuovo sovrano, alla condizione di sudditanza nei confronti della Lega?”

Kiminobu abbassò lo sguardo e rispose: “No. Ci arrendiamo, quindi sappiamo di non poter pretendere nulla di più. Kaede Rukawa non ha voluto abusare con le sue richieste, sapendo che in tal caso non le avreste accettate. Egli si mette a vostra disposizione ed è pronto ad aprirvi le porte della città domattina. Accettate?”

Seguì un profondo brusio. Si discusse a lungo sulla questione, ma alla fine il Consiglio si dimostrò favorevole alle richieste. All’inizio, in realtà, molti si erano dichiarati contrari a questa soluzione moderata, rimpiangendo la vendetta che avrebbero potuto ottenere per i compagni morti o pensando alle numerose schiave che avrebbero potuto catturare. Tuttavia, il desiderio di smetterla con quello stupido conflitto fu più forte.

Era finita. L’isola ormai era finalmente loro. Potevano tornarsene a casa…

Sakuragi non riuscì a mascherare la propria soddisfazione, adombrata appena da un leggero disappunto. Aveva oscuramente sperato che fra i soldati che avevano accompagnato quell’ambasciata ci potesse essere anche lui… ma in questo era stato deluso. Pazienza. Il giorno dopo… il giorno dopo, a costo di rivoltare da cima a fondo la cittadella, l’avrebbe trovato.

Uscì dal tendone ed iniziò ad allontanarsi. Si destreggiò fra le tende, dirigendosi lentamente verso la parte dell’accampamento dove sembrava esserci meno trambusto per poter trovare un po’ di silenzio.

Dopo l’ennesima svolta, fu costretto ad appiattirsi ed a nascondersi dietro un telone.

Delle voci basse, sussurranti… due figure stavano parlando con il tipico tono di chi per nulla al mondo vorrebbe essere disturbato. Le aveva riconosciute subito.

Tese l’orecchio, spinto dalla curiosità.

“… non parlare così, ti prego! Lo sai che io non potrei mai…”

“Stai zitto! So perfettamente cosa mi attende: diventerò tuo prigioniero. Il tuo schiavetto. Avrai potere di vita e di morte su di me. E sai una cosa? Non lo accetto!”

“Ma… Kiminobu! Pensi davvero che non mi importi nulla di te!?”

“Perché, non è forse così… Mitsui? Cosa vuoi avere da me? Il mio corpo. Vuoi possedermi, vuoi farmi tuo per semplice brama di possesso. E poi? Poi che ne sarà di me?!”

“Kiminobu, smettila! Io ti amo, lo capisci? Ti ho amato sin dal primo istante… non voglio fare di te uno schiavo, ma un compagno! Un amante. Voglio averti, è vero… ma non ai miei piedi, bensì al mio fianco! Tu… una volta provavi qualcosa per me! Non negarlo. Io ricordo ancora quel bacio… so che tu mi avevi corrisposto, prima di respingermi!”

“Mitsui, io…”

“Non mi chiamavi in questo modo, mesi fa!”

Un sospiro, seguito da un mormorio rassegnato: “Hisashi, ascolta… non me la sento di…”

Hanamichi si allontanò, badando a non fare rumore.

Quei due non avevano affatto bisogno di una curiosità che era semplicemente un affronto ai loro sentimenti.

 

 

Quando raggiunse la postazione consueta dei loro incontri notturni, il ‘suo’ giovane sconosciuto lo stava già attendendo lì. Era in piedi, con le braccia incrociate ed il severo e perfetto profilo del viso svelato e nascosto da giochi di ombre fra la luna e le nuvole. La sua bianca tunica si sollevava e si increspava sotto la leggera spinta della lieve brezza notturna, aderendo a quel corpo asciutto e muscoloso.

Era stupendo… avvolto dai suoi misteri, dal suo silenzio, da una strana aurea di irrealtà. Era una persona di cui tutto ignorava e di cui tutto voleva conoscere. Di cui tutto… desiderava.

“Domani ci sarà la capitolazione della cittadella” esordì asciuttamente quella voce profonda, destandolo dalla sua contemplazione rapita.

“Già, è vero. Hai mantenuto la promessa, dunque… ed è stato difficile convincere Kaede Rukawa ad arrendersi?”

La risposta fu piuttosto enigmatica: “Più di quanto immagini e meno di quanto credi. Dimmi, cosa pensi che ne sarà di lui? Verrà mandato in esilio sotto la ‘sorveglianza’ di un membro della vostra Lega delle Isole? Una schiavitù abilmente mascherata con belle parole…”

Hanamichi scosse il capo, sentendosi stringere il cuore dalla replica che si sentiva costretto a mormorare: “E tu? Che ne sarà di te? Se è vero che sei uno dei consiglieri di Kaede Rukawa… allora non ti permetteranno di rimanere qui. Ti allontaneranno per evitare il rischio che tu possa sobillare delle rivolte. Anche tu verrai condotto via come prigioniero…”

Già, come prigioniero. A chi sarebbe spettata la custodia di quel giovane sconosciuto? Sicuramente il fortunato, ammirando quella bellezza eterea, non avrebbe resistito al desiderio di appropriarsene, di approfittarsene, di… maledizione, questo no!

“Una preda di guerra… ecco ciò che diventerò. E non lo posso accettare. Piuttosto, preferisco togliermi la vita!”

Quelle parole secche e decise lo gelarono.

Hanamichi coprì i pochi passi che lo separavano da lui e gli serrò le mani sulle spalle, stringendolo con violenza, quasi con disperazione… come se già vedesse qualcuno pronto a prenderlo, a portarlo via. Non voleva perderlo… non voleva lasciarlo andare!!

Quando parlò, il suo tono era ricolmo d’angoscia: “Io non lo permetterò! Mi stai ascoltando? Non lascerò che ti conducano chissà dove! Ti prego, dimmi il tuo nome… in tal modo potrei chiedere ad Akagi che la tua custodia venga affidata a me! Io… domani ti cercherò e ti troverò… non permetterò a nessuno di mettere le mani su di te e di portarti lontano, a costo di dover ammazzare tutti quelli che si frapporranno fra noi! Ti prenderò con me… tu con me non avrai mai nulla da temere! Io… ti proteggerò…”

Quella voce gelida lo interruppe: “Perché parli così? Mi stai offrendo la tua… ‘protezione’? Tutto ciò è troppo ridicolo perché tu possa pretendere che io ti creda! Nessuno dà nulla per nulla. Cosa vuoi ottenere da me? Cosa vuoi in cambio della tua presunta ‘protezione’?”

“Cosa voglio ottenere da te? Perché piuttosto non provi a domandarti cosa voglio darti?” mormorò amareggiato Hanamichi, ammirando quegli occhi neri… stupendi, brucianti, sfolgoranti di rabbia e di diffidenza.

“Non potresti offrirmi nulla che mi interessi, se non la mia libertà. Non mi fido di te… non mi fido di nessuno. Dimmi, perché ti stai interessando a me?”

“Perché ti amo”

Detto così, semplicemente. Perché, in fondo, si trattava di una realtà estremamente semplice.

Ed era estremamente semplice il modo in cui quel sentimento potesse rendere tanto vulnerabili…

Vide quegli occhi scuri spalancarsi a dismisura. Non poté impedire alle proprie labbra di incresparsi in un lieve sorriso. Aveva rovinato tutto con questa dichiarazione ad effetto? Ma che importanza aveva questa domanda, se il ‘tutto’ che in quel momento aveva nelle sue mani era per lui ‘niente’? Voleva avere solo lui. Privo di lui, semplicemente non possedeva nulla…

“Mi… ami?” mormorò quella voce alterata “Non… non dire idiozie! Non sai nemmeno… chi sono! Non mi conosci!”

“Ti conosco abbastanza da sapere di poterti amare. Di doverti amare. Mi dispiace, ma non ho la possibilità di evitarlo” controbatté tranquillo. Non si era mai sentito più sicuro di sé prima.

Quel corpo immobile accanto al suo venne scosso da un lieve fremito. Hanamichi approfittò di quella passività, probabilmente causata dallo stupore, per avvolgerlo fra le sue braccia e continuare: “Mi stai costringendo a mormorarti frasi d’amore senza poter nemmeno pronunciare il tuo nome… ed è piuttosto ridicolo, non trovi? Ma non ho bisogno del tuo nome per amarti. Ti amo! Non permetterò a nessun’altro di toccarti o di guardarti. Ti troverò e… ti prenderò per me…”

Il suo misterioso ascoltatore iniziò a divincolarsi con violenza nella sua stretta, sibilando irosamente: “Lasciami andare, bastardo! Io non sono una tua proprietà, non permetterti di pensarlo! Non so nemmeno perché ti stia permettendo di dirmi queste assurdità…”

“Forse perché le vuoi ascoltare…” sussurrò dolcemente, prima di sporgersi e di posare le proprie labbra su quella bocca dischiusa.

Calda… era calda e morbida…

Lo strinse contro il suo petto, combattendo con la sua resistenza, catturandogli saldamente i polsi, avvertendo il calore e la solidità di quei muscoli tesi contro i suoi…

Improvvisamente, inaspettatamente lo sentì rilasciarsi contro di sé. Era felicità… felicità e passione… amore, amore rovente! Si sentiva ardere…

Subito dopo… avvertì un furibondo dolore al labbro. Quel maledetto… glielo aveva morso con una ferocia incredibile!

Lo lasciò, fece qualche passo indietro e si portò una mano tremante alla bocca, sentendola immediatamente bagnarsi di sangue caldo. Lo fissò incredulo, registrando inconsciamente che entrambi (già, anche lui!) avevano il respiro affannoso… ma per il medesimo motivo? Probabilmente no. Forse sì…

“Domani saprai il mio nome, sovrano di Andro. Mi auguro anche che la giornata di domani si riveli essere il nostro ultimo incontro”

Lo vide allontanarsi. La voce con cui gli aveva gettato addosso queste frasi frementi ed indignate era stata gelida… ma, verso la fine, aveva tremato.

Lo avrebbe trovato. Sì, lo avrebbe trovato e rivendicato per sé. Perché era suo.

No… perché lui, Hanamichi Sakuragi, lo amava.

 

 

Il sovrano Akagi, condottiero dell’esercito della Lega, fece il suo ingresso nel palazzo del re di Rodi, preceduto da Kiminobu Kogure e affiancato da una schiera di sacerdoti. Lo seguivano i sovrani più importanti della Lega delle Isole. Fra questi, spiccavano i capelli rossi di Hanamichi Sakuragi.

Stranamente, quel giorno il giovane re non stava sfoggiando l’espressione orgogliosa e strafottente tipica dei giorni di trionfo e di vittoria, quella con cui voleva far intendere agli altri: ‘questo è tutto merito mio’. Il suo volto era invece pensoso… rivelava un’ansia che sembrava quasi fuori posto sui suoi lineamenti, abituati ad essere arroganti ed arditi. Inoltre continuava a fissarsi freneticamente in giro, come se stesse cercando qualcuno in particolare fra i dignitari di Kaede Rukawa.

La sua tensione ingiustificata e la sua condotta irrispettosa verso la solennità della situazione riuscirono a far innervosire Akagi, che voltandosi verso di lui si trattenne a malapena dallo sferrargli un pugno su quel cervello atrofico.

“La vuoi piantare di dimenarti in quel modo, Hanamichi? Si può sapere che diamine ti prende?! Guarda che mi ricordo perfettamente della promessa che ti ho fatto, se è questo che ti preoccupa: Kaede Rukawa è già tuo. Te l’ho accordato: i patti erano chiari sin dall’inizio”

Kaede Rukawa?! Ma a lui non importava più un accidente di Kaede Rukawa, che diamine! Era un altro il viso che stava cercando e che non riusciva a trovare… ma dove diamine poteva essere?

Doveva trovarlo… doveva vederlo, stringerlo… il semplice ricordo di quel bacio lo faceva infiammare! Il suo misterioso nemico… il suo amante desiderato. Lo voleva ad ogni costo! Forse… forse si trovava nella sala del trono, dove li stava aspettando il sovrano! Sì, doveva essere così…

Rassicurato, abbandonò quel comportamento da perseguitato e riuscì a recuperare parte del proprio contegno.

Il breve corteo, dopo aver percorso un interminabile corridoio, si bloccò di fronte ad un’imponente porta sprangata. Due sacerdoti si fecero avanti ed iniziarono ad aprire le ante con lentezza e solennità.

La sala del trono. Di fronte a loro si innalzava un imponente scranno dorato, sollevato rispetto al pavimento da un piedistallo di cinque scalini di marmo, sul quale si trovava eretto in una posizione fiera un uomo che rivelava l’abitudine a comandare, a dare ed a ricevere rispetto. Una decina di dignitari attorniavano il palco del trono, mantenendo un atteggiamento rispettoso e la fronte bassa.

Gli occhi scuri di Hanamichi percorsero in fretta la schiera dei funzionari, ignorando completamente la persona assisa sul trono.

Nulla. Non c’era. Non c’era!!

Allora, e solo allora, concentrò lo sguardo velato di panico sulla figura centrale.

Il familiare brivido lo colse del tutto impreparato.

Quel corpo forte e slanciato… lui lo aveva stretto. Quegli occhi neri… no, non neri. Finalmente poteva immergersi in essi, vederli illuminati dalla luce del sole… scoprire le loro sfumature: le iridi erano blu… un mare in tempesta, agitato da sentimenti di disprezzo, umiliazione rabbiosa e orgoglio ferito. Quei zaffiri erano incastonati in un viso fine, nobile, puro. Quelle labbra… calde e morbide, lui lo sapeva bene! Sottili, rosee, perfette. La chioma corvina non era meno scura, anche se finalmente non attorniata dalle tenebre.

Finalmente luce su quel giovane che sconosciuto più non era.

Come aveva fatto a non capirlo prima?!

Un sorriso di trionfo gli incurvò le labbra. Ah, divorare quelle fattezze divine… ed era stupendo! Era più di quanto potesse esistere, più di quanto il suo animo riuscisse a sopportare.

Scostò con impazienza quanti lo circondavano e si fece avanti, fino a portarsi ai piedi del trono. Non sentì la voce irata di Akagi che lo richiamava indietro, non udì il brusio dei suoi compagni né i mormorii dei dignitari…

C’erano solo quegli occhi. C’erano solo loro due.

Esordì con una voce vibrante per l’esaltazione e la fretta: “Kaede Rukawa, sovrano di Rodi, ti dichiaro decaduto. D’ora in poi la tua persona sarà affidata alla mia custodia. Io sono Hanamichi Sakuragi, sovrano di Andro…” esitò, poi abbassò improvvisamente la voce, in modo da farsi udire solo da lui: “… tuo padrone e tuo servitore, mia cara volpe…”

 

Fine prima parte 

      

  

 


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