Questa fic è la mia prima AU, quindi
non abbiate troppe pretese…
Avvertenze!! E’
ambientata nel periodo del Medioevo Ellenico, quindi più o meno attorno al
IX secolo avanti Cristo. Comunque, ho anche fatto dei voli di fantasia
inserendovi, ad esempio, una fantomatica ‘Lega delle isole’ di cui
storicamente non è comprovata l’esistenza… e non garantisco l’assenza di
eventuali cantonate pazzesche^^! Il titolo è greco antico scritto in
caratteri occidentali, e tradotto significa ‘Vittoria di Amore’.
La dedico a Calipso
e Nausicaa per la loro simpatia e bravura… e un saluto a Ise!
Erotos
nike
di
Dream
parte I
Il Consiglio si era
riunito. Vi prendevano parte i sovrani delle isole principali della Lega,
coloro che avevano carisma e potere sufficienti per esprimere delle opinioni
che avrebbero potuto influenzare le deliberazioni finali. I pezzi grossi,
insomma. Gli altri meschini regnanti delle altrettanto meschine isolette che
facevano a loro volta parte dell’Alleanza… perché scomodarli? Era ovvio che
avrebbero seguito come un gregge obbediente le disposizioni (o meglio, le
direttive) dettate dai rappresentanti più autorevoli, come del resto sempre
era avvenuto.
Il potere effettivo
della Lega delle Isole, una coalizione che comprendeva i sovrani dell’Ellade
insulare, si concentrava quasi esclusivamente in quei pochi, autorevoli
membri che adesso erano riuniti in Consiglio. Gli altri regnanti erano
soltanto strumenti la cui misera autorità si limitava al comando del proprio
regno: all’interno dei loro territori erano dei, all’esterno pedine che si
sottoponevano remissivamente al volere dei sovrani più autorevoli, coloro a
cui la Lega faceva capo e che decidevano paci, guerre, tributi, leggi e
giochi atletici. L’invidiato vertice della piramide sociale.
Questi esemplari si
trovavano ora in un’unica sala, immersi in un’atmosfera tesa che ad
Hanamichi Sakuragi, sovrano dell’isola di Andro ed elemento di quel gruppo
elitario, non piaceva per nulla: domande perplesse si rincorrevano nella sua
mente. Cosa c’era dietro questa improvvisa convocazione? Che decisioni si
profilavano? In effetti, forse era davvero il momento di iniziare a
chiedersi per tempo quali guai si stavano delineando all’orizzonte…
A quanto pareva, tutti
stavano condividendo le sue stesse inquietudini… almeno a giudicare dai
brutti musi! Il giovane re si osservò nervosamente intorno, analizzando i
visi concentrati di coloro che lo circondavano: innanzitutto Akagi, sovrano
dell’Eubea, capo ufficioso ed indiscusso dell’Alleanza delle isole,
comandante dell’esercito comune della Lega. Seguivano le brutte facce di
Mitsui, l’ex pirata che tiranneggiava Nasso, e di Miyagi, che esercitava il
proprio potere su Paro e che veniva appellato da tutti ‘sua altezza’ con una
cortesia tesa a nascondere la strafottenza. In effetti, con quel titolo si
alludeva alla sua statura nanesca o alla sua sovranità?
C’erano poi Hanagata e
Fujima, l’uno sovrano dell’isola di Chio e l’altro dell’isola di Samo.
Tipici rappresentanti di quei binomi di cui un altro esempio era costituito
da Oreste e Pilade o, più comunemente, da Achille e Patroclo. Non era un
segreto per nessuno il motivo della loro intesa, dato che loro non cercavano
certo di farne un mistero. Era addirittura snervante constatare come
quei due si trovassero sempre ed invariabilmente d’accordo sulle rispettive
decisioni! Ma avevano la facoltà di leggersi nella mente? Inoltre le loro
isole erano praticamente gemellate, dal momento che in periodi alterni
dell’anno una era priva di reggente, mentre l’altra ne possedeva due. Per
dirla con parole di Hanamichi: quei poveri dementi non potevano reggere
nemmeno una settimana lontani l’uno dall’altro. Eros con loro non si era
dovuto impegnare troppo…
Terminavano l’elenco
il falso-venerando Maki, tiranno della lontana Samotracia, e Fukuda
dell’isola di Delo.
La richiesta di
convocazione del Consiglio era partita da Akagi, che aveva oltretutto
offerto il proprio palazzo come sede per la riunione. Tutti i componenti si
trovavano ora radunati attorno alla tavola di marmo dell’imponente stanza
centrale, illuminata solennemente da bracieri, adornata da colonne ai
quattro angoli e riscaldata da un enorme focolare. Gli schiavi, le
danzatrici e gli aedi erano stati banditi da quell’assemblea per garantire
la ‘segretezza’. Questa parola non aveva mai portato nulla di buono con sé…
Hanamichi stava
cominciando a sentirsi impaziente. Esauriti i primi convenevoli era caduto
un silenzio pesante quanto inutile, sterile premessa di una spiegazione che
Akagi tardava a fornire.
Insomma! Lo avevano
scomodato, lo avevano praticamente costretto ad abbandonare Andro, la sua
reggia e il suo popolo… lo avevano obbligato a fare uno scomodissimo viaggio
per mare, sottoponendolo allo sgradevole onere di rivedere tutte quelle
brutte facce… e per cosa? Per aspettare chissà quale segno di Zeus?! Se
c’era qualcosa da dire, che almeno la sputasse fuori in fretta, quella
specie di titano di Akagi!
Nell’esatto istante in
cui la sua pazienza si esaurì definitivamente, ovvero quando ormai aveva
aperto la bocca per proferire qualche lamentela seccata (leggete ‘cacofonico
sbraito’) che avrebbe certamente condotto a screzi inopportuni, Akagi decise
finalmente di esporre le sue sospirate considerazioni.
“Compagni, ignoro se
il discorso che sto per farvi vi coglierà impreparati o meno. Si tratta di
una questione che troppo a lungo abbiamo trascurato e che ora è tempo di
affrontare: Rodi”
Che tono funebre e
solenne! Che pathos! Sakuragi riuscì a malapena a trattenere uno sbadiglio…
Rodi? Questo nome gli
diceva qualcosa. Ma non era quell’isoletta sparsa da qualche parte nel mare
Egeo? Forse si stava confondendo. Magari Akagi stava parlando di un fiume… o
era una regione sulla costa ionica? Boh…
La voce pacata ed
autorevole del re di Eubea interruppe le sue profonde considerazioni.
“Voi tutti sapete che
ormai la nostra Lega estende la sua influenza praticamente su tutte le isole
dell’arcipelago ellenico. La nostra potenza è cresciuta. Siamo diventati più
che temibili… siamo pericolosi. L’Egitto ci rispetta, le città del
Peloponneso ci sorvegliano, i Persiani ci tollerano. La nostra alleanza ha
reso i rispettivi regni, di per sé singolarmente insignificanti, una potenza
intimidente. L’unione ci ha reso influenti. Eppure… eppure non ci manca una
spina nel fianco: Rodi”
Sì, si trattava
proprio di quello scoglio disperso da qualche parte nell’Egeo! Ora ne era
convinto. Aveva avuto una delle sue classiche e celebrate folgorazioni! Ma…
un attimo! Lo avevano costretto a venire fino lì solo per questo motivo,
ossia essenzialmente per nulla?!
Non poté fare a meno
di intervenire con tono sarcastico e seccato: “Akagi… ti rendi conto di ciò
che stai dicendo? E’ un’innocua isoletta! Non mi sembra un pretesto
sufficiente per usare quel tono di voce tragico…”
Questa sua infelice
uscita causò numerosi mormorii e fece aggrottare le sopracciglia cespugliose
del comandante dell’esercito della Lega, che lo riprese bruscamente:
“Idiota! Il potere di un’alleanza si fonda sulle piccole cose! Se non
veniamo rispettati da un’isola meschina, come potremmo venire considerati
dalle grandi potenze? Se non incutiamo paura ad un minuscolo reame, che
speranza avremmo di ottenere rispetto dalle città del continente?!”
Hanamichi si imporporò
di stizza.
Detestava i
rimproveri, soprattutto se questi gli venivano rivolti nel Consiglio davanti
a tutti i sovrani suoi pari. Beh… suoi ‘pari’! Non proprio. Lui non ci
teneva a confondersi con quella marmaglia: la sua superiorità era
indiscussa! Se si abbassava a partecipare a quelle ridicole riunioni, questo
avveniva solo perché sicuramente senza di lui la Lega sarebbe finita a
catafascio! Stava facendo loro una concessione, degnandoli della sua
presenza… e veniva trattato così?!
Decise di non
indietreggiare nelle sue posizioni: non voleva venire considerato un
vigliacco che si ritirava con la coda fra le gambe non appena subiva un
biasimo. Che diritto aveva quella specie di monte Olimpo sotto forma
antropomorfa di ridicolizzarlo e sminuirlo davanti a tutti?!
Se c’era una cosa
importante per Hanamichi Sakuragi, questa era l’orgoglio. E la sua
superiorità. Nessuno doveva azzardarsi a insudiciare il suo onore!
“Dunque tu avresti
convocato il Consiglio per parlare di una questione tanto insulsa? Per
discutere di una stupidissima isola? Ma che fastidio può darti? Non vorrai
radunare tutto l’esercito della Lega per lanciarlo su quel nastro di terra?!
Akagi, è una ridicola perdita di tempo e di uomini! Se questo è ciò che
vuoi, io non ci sto!”
“Deficiente!!! Aspetta
che abbia finito di parlare prima di prendere le tue tipiche decisioni
avventate e, come al solito, innegabilmente cretine!!”
Hanamichi si voltò con
un ringhio verso la direzione da cui era provenuta quella voce, rimbeccando
immediatamente: “Taci, Mitsui!! Se qui c’è qualcuno che deve stare zitto,
questo sei tu! Devo forse ricordarti che non dovresti nemmeno far parte di
questo Consiglio, razza di pirata fintamente ravveduto? Avremmo dovuto
sbatterti fuori dal tuo palazzo e cacciarti dalla tua isola maledetta,
rifiutando la tua proposta di entrare nella Lega! Ricordo ancora il periodo
in cui le tue navi scorazzavano nel mio mare ed aggredivano i miei
vascelli!! Ti sentivi forte allora, vero? Quando però la situazione si è
rovesciata, quando noi abbiamo iniziato ad affondare i tuoi legni, tu
ti sei precipitato immediatamente a mendicare un posto nella nostra
alleanza… che coraggio! Se il sacerdote Anzai non ti avesse appoggiato…”
“Sakuragi, queste
parole te le farò ingoiare a colpi di giavellotto!! Belle parole, le tue…
devo forse ricordarti che una volta, quando eravamo ancora su fronti
opposti, tu preferivi depredare i miei vascelli, invece di affondarli come
la Lega ti ordinava? Sei sempre pronto ad accusare, ma non sei altro che un
pirata travestito da sovrano, un despota che si crede giudice, un vigliacco
sbruffone che pretende di essere un eroe!!”
“Maledetto schifoso!!”
sbraitò Hanamichi, sollevandosi impetuosamente in piedi e preparandosi a
lanciarsi contro il re di Nasso. Questa volta lo avrebbe trucidato…
Erano già sul punto di
avvinghiarsi l’uno all’altro, quando Akagi e Miyagi si frapposero fra loro
tentando di riportare la calma.
Possibile che tutte le
loro assemblee dovessero trasformarsi in incontri di lotta?!
Mentre Akagi afferrava
Mitsui per la vita, Ryota Miyagi si sforzò di trattenere Hanamichi per le
braccia e tentò di spingerlo nuovamente a sedere, cercando nel frattempo di
parlare a quelle due teste calde con una voce persuasiva e convincente. Ma,
soprattutto, educata.
“Razza di deficienti
rincretiniti, stupidi figli di un centauro e di una gorgone, la volete
smettere per una volta di comportarvi come due dementi?!”
Avrete capito che la
diplomazia non era appannaggio di ‘sua altezza’. Le sue urla ebbero comunque
successo, dato che riuscirono a richiamare su di sé l’attenzione dei due
deficienti in questione.
Sentendosi finalmente
ascoltato, il tappetto riprese il discorso con voce più pacata: “Siete due
idioti! Noi siamo alleati, lo avete forse dimenticato? Questi screzi sono
assurdità pericolose, non portano a nulla se non a guai! Possono solo creare
crepe, solo indebolirci. Ciò che entrambi avete detto può essere vero. E
allora? Anche io ho la mia parte di passato di cui vergognarmi! Ha qualche
importanza, adesso? Serve a qualcosa rinfacciarci in continuazione gli
errori commessi? Vediamo di finirla. Siamo qui per prendere una decisione
importante riguardo a tutti noi, non per assistere al vostro spettacolo di
lotta libera! Per quello, potreste benissimo aspettare i prossimi giochi
pitici di Delfi!!”
Seguì un breve attimo
di imbarazzato silenzio che servì a chiudere definitivamente la parentesi.
Hanamichi e Mitsui, dopo qualche esitazione, ostentata più che altro in
difesa della loro (presunta) reputazione da duri, si risedettero sui loro
scranni, ovviamente rifiutandosi di guardarsi in faccia e di chiedersi
scusa. Un classico che si ripeteva con qualche piccola variazione ad ogni
seduta dell’assemblea, quindi ormai nessuno ci faceva più caso. Quei due
erano un caso disperato: in pace non facevano altro che tentare di
provocarsi, in guerra non rinunciavano mai a salvarsi vicendevolmente la
vita.
Questo atteggiamento
era dovuto non tanto a Mitsui (il quale aveva pure a sua volta, bisogna
ammetterlo, la sua parte di torto) quanto piuttosto a Sakuragi, che
intratteneva un simile rapporto di cordiale disprezzo e di celato rispetto
con tutti i compagni della Lega. Riconosceva il valore altrui, è vero, ma
l’importante per lui era non ammetterlo. Era nel suo carattere tentare di
sminuire chiunque allo scopo di elevare con sbruffoneria se stesso. Derideva
Akagi per la sua stazza ‘macignosa’, Miyagi per la sua statura da nano,
Mitsui per… beh, perché era Mitsui!, Fukuda per il suo aspetto da ascaride,
Maki per le sue rughe precoci ed Hanagata e Fujima per il mancato parto
gemellare. Insulti scontati e formulari quanto le sue proclamazioni di
superiorità e le eterne tiritere con cui si definiva ‘figlio di Zeus’,
‘campione in battaglia’ e ‘re degli eroi’.
Un esaltato? Sì, ma
anche un compagno di cui potersi fidare. Perché se una persona aveva bisogno
di aiuto, sapeva che era sufficiente guardarlo in viso per averne.
Akagi si squadrò
attorno per un attimo intorno, poi decise di riprendere come niente fosse il
discorso interrotto: “Rodi è un’isola che si è sempre rifiutata di pagare i
nostri tributi e di entrare a far parte della Lega. Si ostina a mantenersi
al di fuori delle nostre decisioni. Non si conforma ai prezzi che
stabiliamo, non segue la nostra comune legislazione, non rispetta la nostra
autorità, non versa i contributi che le richiediamo. Tutti questi sono
affronti aperti. Le abbiamo offerto di unirsi alla nostra Lega: ha
rifiutato. E’ un oltraggio al nostro potere, che noi non possiamo lasciar
passare senza un intervento! E’ in gioco la nostra credibilità. Non possiamo
farci prendere in giro da un semplice scoglio! Inoltre quest’isola ha un
grande giro di commerci e di affari, sembra che si stia preparando a fondare
nuove città e gode dell’alleanza di importanti città dell’entroterra e del
Peloponneso… vi bastino i nomi di Lacedemone e di Micene!!”
La voce stentorea di
Maki si elevò nel salone per la prima volta: “Chi è il sovrano incosciente
di questo regno prossimo alla disfatta?”
Dato che Samotracia
era piuttosto lontana e non aveva interessi con Rodi, il vegliardo era
alquanto disinformato sulla situazione politica di quell’isola. Non era il
solo, ad ogni modo. Hanamichi non aveva proprio idea alcuna delle notizie
appena comunicate… non gli era mai sembrato importante informarsene, ecco
tutto. Decise prudentemente di tacere la sua ignoranza: ne aveva abbastanza
di sentirsi rivolgere domande del tipo ‘ma che razza di re sei, se non ti
interessi della situazione dei tuoi alleati e dei tuoi avversari?’uesQQQQqQ
vvv
Insomma… lui
affrontava i nemici a viso aperto, se veniva da essi provocato o se li
voleva provocare, ma non aveva alcuna necessità di spiarli e di usare
subdoli mezzucci per tenerli sotto controllo durante i periodi di pace!!
Tutto ciò sarebbe stato indegno della sua potenza e della sua fama! Un eroe
come lui, che si gettava a capofitto in tutte le guerre e le imprese
gloriose senza un minimo di preventiva valutazione dei pericoli, non aveva
certo bisogno di usare simili espedienti diplomatici, come se avesse paura
del nemico! Coraggio: questo era ciò che possedeva ed anche tutto ciò che
gli serviva! Ah… che orgoglio, che dignità! Era veramente un semidio, un
figlio di Zeus! Su questo non c’erano dubbi…
Dopo aver fatto questo
proclama nella sua mente, si dispose ad ascoltare le informazioni del
comandante Akagi. Povero monte Olimpo… lui, l’incommensurabile, potentissimo
Hanamichi Sakuragi, poteva anche abbassarsi a degnarlo della sua nobile
attenzione, in fondo! Del resto, dopo tutto questo parlare di Rodi… doveva
ammetterlo, si era anche un po’ incuriosito!!
Che tipo di sovrano
poteva essere il re di Rodi? Come poteva una persona essere tanto
indipendente, sprezzante e temeraria da rifiutare apertamente e senza
infiorettature di parole le proposte (o piuttosto le richieste) della Lega
delle Isole, pur trovandosi nella spiacevole situazione di essere circondato
dai propri nemici? Sorse in lui il primo spontaneo, seccato ed infastidito
moto di ammirazione verso quell’uomo di cui ancora ignorava tutto.
“Il venerando sovrano
di Rodi, vecchio coriaceo e testardo, è morto circa un anno fa. Ora su
quell’isola regna suo figlio, Kaede Rukawa, che ha addirittura estremizzato
la sua politica di indipendenza” informò Takenori Akagi con tono
impersonale.
“Kaede Rukawa?”
mormorò Mitsui “Io l’ho conosciuto! Dovetti approdare a Rodi alcuni mesi fa,
a causa di una tempesta che mi aveva danneggiato la nave. Richiesi
ospitalità presso di lui, e non me la negò. Sembra che non rifiuti nulla ai
supplici”
Hanagata osservò a sua
volta, soprappensiero: “Circolano molte leggende su di lui… dicono che il
vecchio re non fosse effettivamente suo padre, ma che lo avesse solamente
adottato. Se sia vero, non ne ho idea. Il suo popolo è convinto che lui sia
addirittura un dio, nato da Afrodite, da cui ha ricevuto la sua bellezza, e
da Ares, dal quale gli è derivata la sua ineguagliabile abilità nel
combattere…”
“Ne ho sentito parlare
anche io. Una figura affascinante e misteriosa, senza alcun dubbio!”
considerò Miyagi, stranamente senza usare un tono derisorio.
Quelle impressioni
vennero bloccate da una fragorosa risata. Non fu loro necessario girarsi per
capire che quel suono fastidioso proveniva da un certo soggetto irritante
dai capelli rossi…
“Ahahahah!!! Ma per
favore!!! Voi sareste dei guerrieri?! E credete a simili frottole!!??
Scommetto che quel tipo è orrido come una gorgone ed inetto in guerra forse
anche più di Mitsui, per quanto questo appaia improbabile!! Ma fatemi il
favore!!! Che enormi, titaniche, stupide idiozie!!”
“Taci, Sakuragi” lo
interruppe Hisashi Mitsui, infastidito “Sei tu che stai sparando delle
panzane, e non dico nemmeno di esserne stupito! Io ho visto Kaede Rukawa, mi
sono trovato faccia a faccia con lui, tu invece sembri non averne mai
sentito parlare prima di adesso!! Vuoi pretendere di saperne più di me?”
“Wow… la faccenda si
fa interessante! Dunque, tu hai affrontato il semidio!!? Dimmi… allora, è
vero ciò che si narra di lui?” si informò Hanamichi, sarcasticamente
interessato.
Hisashi mantenne il
silenzio per un attimo, come perso in una lontana rimembranza, poi mormorò:
“Rukawa.. definirlo bellissimo sarebbe più o meno come affermare che
Afrodite, dea della bellezza, è… mediocre. Lui è… indefinibile! E’ al di
sopra di ogni pietra di paragone. Effettivamente, descriverlo lo sminuirebbe
solamente”
Mitsui, conclusa questa
confessione quasi poetica, era già rassegnato all’arrivo dell’ennesimo
scherno da parte del compagno… ma inaspettatamente non giunse nulla di
simile. Che strano! Sollevò uno sguardo perplesso e si scontrò con l’anomala
luce che ora animava gli occhi castani di Hanamichi. Quello sguardo scuro
aveva un’espressione tormentata, combattuta… quasi intrigata ed affascinata
suo malgrado. La voce di Sakuragi si elevò stranamente calda e vibrante,
dopo quel breve, profondo attimo di silenzio.
“E… l’hai anche visto
combattere?”
Una domanda. Nulla di
inusitato, in effetti. Allora perché il tono che quello strafottente dai
capelli rossi aveva usato era stato così… appassionato?
Qualcosa (istinto di
autoconservazione?) suggerì a Mitsui di non impelagarsi in indagini, ma di
rispondere semplicemente a ciò che gli era stato chiesto.
“L’ho visto… impugnare
una spada. Sembrava quasi che fosse… un prolungamento, un’estensione
del suo braccio. Quei movimenti… così fluidi… così armonici e sicuri… come
se stesse corteggiando la morte. Una danza che ti ipnotizzava… e nei suoi
occhi una luce fredda in grado di ghiacciarti immobile, sgomento,
abbacinato… e affascinato”
Fujima si decise a
rivelare il motivo del sorrisetto che da un po’ di tempo gli stava
incurvando le labbra delicate: “Mitsui, non vorrei sbagliarmi, ma… da come
ne parli, sembra quasi che tu nutra un interesse esclusivo nei confronti di
quest’essere semidivino! Questo sarebbe estremamente deleterio per te, se
Rukawa dovesse diventare un nostro avversario. Non lo credi anche tu? Dimmi,
ti sei davvero innamorato di lui?”
L’ex pirata di Nasso
sorrise in risposta, scuotendo il capo e spiegando: “No, non mi piace il
sovrano di Rodi. Ho accuratamente fatto attenzione a respingere qualsiasi
idea che potesse spingermi verso una situazione così rovinosa. Non sono
masochista… evito accuratamente sfide simili, palesemente perse in partenza”
“Che intendi dire?”
sbottò Sakuragi.
“Intendo dire che
innamorarsi di lui può portare solo sventura. Conosco gente che ci è cascata
e che si è distrutta per questo. Rukawa… è una persona verso cui è
impossibile non provare ammirazione e di cui non si può negare il fatale
fascino, la bellezza innaturale… ma l’amore! Guardatevi dal provarne nei
suoi confronti. Quell’essere non sa cosa sia la passione. E’ freddo come il
ghiaccio, enigmatico come una sfinge, la sua anima è affilata più della sua
spada. Il suo cuore è una pietra. Dicono che in tutta la sua vita lui non
abbia mai sorriso…”
“Patetiche idiozie!”
commentò il prosaico Maki “Queste sono semplicemente le stupide leggende che
si costruiscono attorno ad una persona il cui comportamento apparentemente
oscuro stimola l’immaginazione della gente! Prendete una persona riservata,
subito diventerà un demonio con chissà quali segreti! Un uomo che sa
combattere come dite che lui sappia fare non può essere semplicemente
insensibile…”
“In effetti, durante
la lotta i suoi occhi sembravano incendiarsi…” ammise Mitsui, colpito da un
ricordo improvviso “In quei laghi neri… danzavano fiamme. Una persona
intricata, incomprensibile… forse irraggiungibile. Innegabilmente unica”
“Ma la smettete di
ciarlare?!” li interruppe con tono autoritario Akagi, che durante la loro
discussione si era rinchiuso in se stesso, cogitando chissà quali piani “Vi
sembra il caso di blaterare su simili chiacchiere durante un consiglio di
guerra? Perché questo è un consiglio di guerra, ormai! Infatti, la
guerra è la mia proposta. Voi sapete come la penso: nessuna falla è da
trascurare, per quanto piccola essa sia! Prima o poi la crepa si allargherà:
penetrerà sempre più acqua, con l’unico risultato di mandare a picco tutta
la nave. I provvedimenti vanno presi in tempo, non possiamo tollerare alcuna
ingerenza nei nostri interessi. Kaede Rukawa va tolto di mezzo, Rodi deve
entrare nella Lega. Volente o nolente”
Un pesante vuoto di
parole seguì questa dichiarazione decisa. Ciascun membro dell’assemblea
parve immergersi nelle proprie riflessioni, considerando i pro e i contro
della questione per poter deliberare la propria decisione. Il primo ad
esprimersi fu Hisashi Mitsui.
“Sono d’accordo con
Akagi. Che sia guerra!”
“Io, invece, non ci
sto” proclamò inaspettatamente Miyagi, sovrano di Paro.
Tutte le teste si
voltarono verso di lui, stupite da quel fermo diniego. Ryota non si era mai
ritratto di fronte ad una sfida! Che cavolo gli era preso questa volta?
Mitsui, seccato da
quell’opposizione, insinuò con voce tagliente: “Colpo di scena! Che cosa mai
succede a ‘sua altezza’? Per caso i raccontini sul valore del suo avversario
gli fanno tremare le gambine? Oppure… ma certo, è così ovvio! Da quanto
Ryota è riuscito ad ottenere la mano di Ayako, si è tramutato in un animale
domestico! Niente più sfide, lotte e pericoli, molto meglio il casalingo
focolare! Che delusione… non riconosco più il mio avversario di un tempo!
Sai… non credevo che ti saresti rammollito fino a questo punto!” concluse
sprezzantemente.
Miyagi gli rivolse un
semplice sguardo di sufficienza, poi si rivolse ad Akagi e si accinse a
spiegare i motivi della sua presa di posizione.
“Akagi, non sono
d’accordo con la tua proposta… ma non per vigliaccheria, come afferma quel
pirata non molto redento, bensì per ragionevolezza. Vale davvero la pena
rischiare le vite dei nostri uomini e sprecare il nostro tempo per una
stupida isoletta da nulla? E’ sciocco! Che problemi ci dà, in fondo? Noi
siamo leoni, lei è una formica! E’ quasi umiliante curarcene. Del resto…
permettimi di chiedertelo, Akagi, ma la tua richiesta di guerra non si basa
forse su questioni personali?”
“Questioni personali?”
si stupì Fukuda, aggrottando le sopracciglia.
“Già, proprio così!”
confermò Ryota tranquillamente “Al contrario di Hanamichi, io ho una rete di
informatori molto ben tessuta… non mi sfugge nulla! Così ho appreso dei
pettegolezzi molto interessanti, ed in fondo anche divertenti, sul nostro
caro comandante. Dovete sapere che la sorella minore di Akagi, la
principessa Haruko, alcuni mesi fa ha posto gli occhi su Rukawa! La sua
proposta di matrimonio è stata respinta dal sovrano Kaede senza nemmeno
essere presa in considerazione. La tua richiesta di guerra assomiglia così
tanto ad una ripicca o ad una vendetta per tua sorella, Akagi…”
Mitsui non poté
trattenere una risata divertita: “Oddio… quella racchia con Rukawa! No,
Akagi… per carità, non ho niente di personale contro tua sorella, ma… per
Poseidone, non ce la vedo proprio! E poi, non credo che Rukawa nutra qualche
interesse nei confronti del sesso femminile… va bene, so che sembra che non
nutra interesse per nessuno! Ma con quell’oca…”
Il delicato pugno di
un furibondo Akagi lo sbatté con la fronte contro il tavolo di marmo, ma non
servì tuttavia a bloccare l’accesso di ilarità. A questo ci pensò Ryota,
quando iniziò di nuovo a parlare…
“Mitsui, fossi in te
non riderei! Credi che non abbia scoperto anche i tuoi altarini?!”
“Mh? A cosa alludi,
Miyagi? Spiegati!” lo esortò Hanagata, curioso di scoprire anche le
indiscrezioni riguardanti Mitsui, quel membro del consiglio che si divertiva
ad atteggiarsi al ‘sono un duro tenebroso e misterioso’.
“E’ presto detto, Toru!”
informò Ryota, conciliante, seppur con una certa aria di superiorità “Io
conosco il motivo per cui il nostro Hisashi si è mostrato così ben disposto
nei confronti della proposta di Akagi… motivo che non coincide affatto con
l’eccesso di zelo, con il coraggio o il valore! Questo ‘motivo’ ha capelli
castani, occhi scuri, profondi e vellutati stando a quanto si dice, un
temperamento pacato ma deciso… e si incarna in un uomo: Kiminobu Kogure,
consigliere di fiducia ed ambasciatore di Rukawa nelle missioni esterne a
Rodi. Mi è giunta voce di un certo interesse del nostro sfregiato nei
confronti di questo giovane riflessivo, profondo e tutto sommato anche
apprezzabile d’aspetto…”
“Mitsui!! Dunque sono
‘queste’ le tue mire!!” esplose Fujima Kenji, ridendo apertamente “Ed
io che ormai pensavo che tu fossi un tipo tutto d’un pezzo, immune a certe
tentazioni! Insomma… non il mare in tempesta, ossia questo Rukawa, bensì è
stato il calmo ruscello ad abbattere le tue dighe! Non ti dico di essere
deluso, però… mi hai stupito, questo sì! Per tutti gli dei… questi si
chiamano colpi di scena!”
“Se non taci, giuro
che stanotte il tuo Hanagata, invece di accarezzarti, si troverà costretto a
curare le tue ferite!” ringhiò Mitsui, cercando di mascherare con l’ira quel
rossore diffuso e compromettente che gli aveva invaso il viso.
“Peccato che tu,
Mitsui, non abbia nessuno che stanotte possa curare quelle che ti infliggerò
io, se oserai fare qualcosa di simile…” sibilò Toru, riducendo gli
occhi a due sottili fessure minacciose.
Ad interrompere queste
diatribe ci pensò la voce autoritaria e severa di Maki: “Va bene, ora
vediamo di smetterla con le bambinate e di fare ritorno all’argomento
principale! Si stava parlando dell’eventualità o meno di attaccare Rodi.
Dunque, se non sbaglio fino ad ora in due si sono mostrati favorevoli alla
proposta, mentre Ryota è contrario. Quanto a me, io sono d’accordo! Non
sopporto gli insolenti, sbruffoni e soli-contro-tutti, e questo Rukawa mi
sembra un classico esponente di tale specie… inoltre, le vostre panzane su
di lui mi hanno incuriosito, devo ammetterlo! Ecco, tutto qui. A meno che,
ovviamente, Miyagi non debba fare qualche aggiunta anche su di me e sui miei
presunti secondi fini…”
Ryota sorrise e si
affrettò a rassicurare: “No, non ho nulla da dire sul carissimo vegliardo…
tutti sappiamo benissimo che non ha oche come sorelle e che Nobunaga Kyota è
inspodestabile tanto come condottiero del suo esercito quanto come occupante
del suo letto. Tutto ciò sta anche diventando noioso, ormai… lasciatelo
dire, Maki!”
“Che orridi gusti!!
Brrr… ribrezzo!” si trovò a commentare a bassa voce Fukuda, che riprese però
subito con tono più alto “Comunque, io sono d’accordo con l’idea di
attaccare Rodi. Voi due, Hanagata e Fujima, che ne dite?”
Dopo un’occhiata di
intesa, Kenji parlò per entrambi: “No, noi non approviamo e ci associamo a
Miyagi. Non possiamo fare a meno di ricordarvi che inizialmente questa Lega
era sorta come patto di difesa, non di offesa. Perché attaccare
inutilmente? Perché questi spargimenti di sangue? La nostra condizione è già
fiorente… che necessità c’è di provocare altre guerre?”
La situazione era
ormai delineata: quattro a favore e tre contrari. Ora mancava solo la
decisione di colui che sarebbe risultato essere l’ago della bilancia.
L’attenzione di tutti
si trasferì sulla persona che, stranamente, non aveva parlato a partire
dall’ultimo intervento fatto, ovvero domanda che aveva posto su Kaede Rukawa.
“Hanamichi?”
interrogarono tutti con il cuore teso.
Sakuragi aprì gli
occhi, precedentemente velati dalle palpebre in un atteggiamento pensoso, e
piantò uno sguardo fermo e deciso su Akagi: “Accetterò ad una sola
condizione”
“Quale?” interrogò il
sovrano dell’isola Eubea.
“Voglio Rukawa come
mio prigioniero una volta terminato il conflitto. Dovrà essere mio e nessuno
dovrà contendermelo”
“Accordato”
E guerra fu.
Il suono delicato
della cetra, che solitamente aveva sempre contribuito a rasserenarlo, quella
sera inspiegabilmente lo irritava. Non riusciva a sopportarlo. Si sentiva
incomprensibilmente nervoso… aveva voglia di muoversi, di parlare, di fare
qualcosa, qualsiasi cosa! Tutto, ma non l’inattività. Non riusciva a
sentirsi stanco nemmeno dopo una giornata pesante come quella trascorsa.
Si alzò con uno scatto
dal suo seggio di legno e si diresse con decisione verso l’uscita della
tenda.
“Dove stai andando,
Hanamichi?” gli chiese con voce sorpresa il
suo consigliere e migliore amico Yohei, che stava ascoltando in silenzio la
melodia accanto a lui.
Sakuragi strinse
nervosamente le labbra, imponendosi di rispondere con un tono contenuto. Non
era veramente il caso di esasperare Mito a causa del suo stato d’animo!
“Esco a rinfrescarmi
le idee!”
E poi fuori,
finalmente, all’aria aperta!
Emise un profondo
sospiro di sollievo, trovandosi confortevolmente immerso nella fresca e
balsamica brezza notturna, con null’altro sopra la sua testa se non un
scintillante tetto di stelle… soltanto il lontano rumore della risacca
infrangeva quel silenzio riposante. Ecco… si sentiva già meglio.
Si allontanò dai
fuochi del proprio accampamento, che anche a quell’ora tarda era sorvegliato
da alcune sentinelle scelte che al suo passaggio gli restituirono il saluto
con rispetto. Con ‘rispetto’, eh? Va bene, non era il caso di generalizzare!
A quanto pareva, non sarebbe mai riuscito ad inculcare nelle zucche di quei
due dementi di Okusu e Noma la concezione di ‘sovranità’, né tanto meno la
deferenza che avrebbe dovuto venire tributata a questo titolo. Era fuori da
ogni schema che due soldati semplici come loro continuassero ad appellare il
loro re con l’epiteto di ‘testa rossa’! Eppure, sapeva che avrebbe affidato
senza remore la sua vita alle loro mani. Erano cresciuti assieme, in fondo…
quindi, che importavano le formalità?
Sospirò rassegnato e
si diresse verso l’ampia pianura che divideva il campo degli assedianti
dalla cittadella degli assediati. La notte era ormai inoltrata, la spianata
si estendeva deserta, muta, impersonale, spazzata dal vento. Nessuno avrebbe
potuto dire che la terra che i suoi piedi ora stavano calcando quasi con
circospezione era stata intrisa dal sangue di centinaia di vittime, che
aveva assistito a tremende atrocità, a spasmi d’agonia, a preghiere ed
invocazioni.
Eppure… forse era
l’atmosfera di quella notte, forse quell’esasperato silenzio, ma… anche se i
corpi che vi avevano perduto la vita erano stati bruciati sulle pire funebri
poche ore prima, gli pareva ancora di sentire i loro sospiri. O forse era
solo la sua tristezza? I suoi sensi di colpa?
Ma doveva ricordarsi
di essere un re. In una vita come la sua non doveva esserci spazio per
quelle voci… per quei rimorsi.
Proseguì ancora per
qualche centinaio di passi, dirigendosi verso un masso che sporgeva dal
terreno e sedendovi sopra con un respiro stanco. Si massaggiò il braccio
indolenzito, tentennando con il capo. Quel giorno nella mischia aveva parato
con lo scudo un colpo di scure che gli aveva fatto tremare l’intero corpo ed
intorpidito il braccio: gli sembrava ancora di sentire l’arto informicolito.
Stupendo! Avere appena venticinque anni e provare i dolori di un vecchio…
I suoi occhi scuri
ricercarono immediatamente le mura della città assediata, che si stagliavano
grigie nella notte tenebrosa. Cercò vanamente di indovinare l’identità delle
ombre nemiche che si aggiravano sopra di esse, illuminate dai fuochi delle
torce. Una di loro… chissà, forse quella, o quell’altra… già, poteva
trattarsi di lui.
Quell’assedio si
trascinava avanti da un mese, ormai non poteva mancare molto alla disfatta
dei loro avversari. Per quanto avrebbe ancora potuto difendersi un manipolo
di uomini, per la maggior parte ormai decimati, contro l’intero esercito
della Lega delle Isole? Gli abitanti di Rodi erano allo stremo, anche se
avevano resistito valorosamente. Forse perché a guidarli c’era un degno
sovrano…
Kaede Rukawa. Per
quale arcana ragione la pronuncia di questo nome musicale gli faceva
scorrere caldi brividi lungo le vene? Forse lo sapeva. Probabilmente lo
sapeva. E sicuramente non voleva riconoscerlo… perché in effetti, tutto ciò
era assurdo!
Quel giovane re… lui
non lo conosceva! Non lo aveva nemmeno visto in viso. Ma questo non gli
impediva di provare ciò che provava. Già, ciò che provava… inconcepibile,
irrazionale!
La figura di quel
sovrano era stampata a fuoco nella sua mente. Ricordava ancora quando, il
primo giorno d’assedio, l’aveva visto ergersi fiero e terribile sulla cinta
delle mura della sua città: l’armatura sfolgorante, una mano portata
fieramente alla spada, il contegno sprezzante, un elmo a coprirgli il viso.
Non aveva nemmeno dovuto chiedere… una stretta al cuore gli aveva subito
fatto capire: è lui.
Il sovrano di Rodi. Un
uomo misterioso, incomprensibile. Si diceva che avesse una bellezza
sovrumana, quasi intimidente… eppure non aveva mai permesso ai suoi nemici
di scorgere il suo volto: portava sempre un copricapo a mo’ di maschera. Per
quale motivo? Solo lui lo sapeva. Possedeva un carisma incredibile, unito ad
una altrettanto incredibile abilità nel combattere. La sua semplice presenza
poteva determinare l’esito di una battaglia: i suoi uomini credevano in lui
più che nello stesso Zeus. Era freddo, deciso, determinato… altruista nei
confronti dei suoi soldati, spietato verso gli avversari. Poteva rischiare
la vita per salvare l’ultimo dei suoi servi, ma al contempo costringersi ad
uccidere un ragazzino quindicenne, se questi apparteneva alle file dei suoi
nemici.
Con i suoi stessi
occhi lo aveva visto gettarsi sul corpo ferito di un suo compagno, per
difenderlo disperatamente contro una torma di nemici. Sembrava che fosse
disposto a gettare la sua vita per quel soldato, per quel semplice soldato,
uno fra i molti… come se fosse più importante di lui, più importante del
re! Eppure, quanti uomini aveva ucciso senza nemmeno essersi fermato a
guardarli in viso!?
Insensibile? Lo
sembrava.
Ma era veramente così?
Ecco, di nuovo! Perché
diamine continuava a pensare a lui, ad interrogarsi ostinatamente su di lui?
Sembrava che considerasse il suo carattere come un enigma irresoluto da
svelare assolutamente. Perché tante domande, perché questa ansia di
comprenderlo? Nessuno aveva mai saputo destare fino a tal punto il suo
interesse. Trascorreva notti insonni a immaginare il suo volto, a chiedersi
se davvero Rukawa non provasse nulla affondando la sua spada nel petto di un
ragazzo che non aveva altra colpa che quella di appartenere ad un altro
schieramento… a domandarsi se quel giovane fosse capace di rimorsi, di
incertezze, di biasimi… se anche lui fosse in grado di tormentarsi, se anche
lui volesse qualcosa dalla sua vita…
Quante sciocchezze!
Perché… perché aveva bisogno di sapere tutto questo? Perché quel
Rukawa, che lui nemmeno conosceva, che aveva scorto solo da lontano in
battaglia… per quale motivo era diventato, sin dal primo istante, sin dalla
sola pronuncia del suo nome, un’ossessione della sua mente? Era come se lo
avesse sentito nominare e contemporaneamente una voce gli avesse mormorato
nella mente: ‘ecco, lo riconosco’. Era così, e questo era totalmente…
semplicemente… folle!
Nessuno gli aveva mai
fatto provare emozioni simili. Come poteva provare l’inspiegabile desiderio
di fissare quel giovane negli occhi, di afferrarlo, di comprenderlo, di…
averlo per sé? Era sciocco. Queste erano solo… debolezze. Pazzie che lui,
Hanamichi Sakuragi, non si poteva permettere. Kaede Rukawa era un nemico da
sconfiggere, da umiliare e da superare… di certo non un uomo da… da amare!
Amare? Ma chi amava, se non un’immagine della propria mente, creata da tutta
una serie di domande confuse ed inconcludenti? Pazzie, pazzie sul serio!
Avrebbe quasi detto che qualcuno gli aveva gettato addosso una malia…
Quel Kaede Rukawa lo
affascinava. Perché? Probabilmente solo per il mistero che sembrava
ammantarlo. Forse, se finalmente fosse riuscito ad interpretarlo, avrebbe
provato ribrezzo per lui… i segreti spesso perdono il loro fascino, una
volta svelati.
Un lievissimo suono di
passi lo fece trasalire. Chi poteva essere? Solo un amico o un nemico,
perché in una guerra non esistono categorie che non rientrino in queste due.
Istintivamente scivolò
giù dal masso su cui si era seduto e si appiattì a terra, scrutando i
dintorni e portando una mano all’elsa della spada, che aveva badato bene a
non abbandonare nemmeno per quella passeggiata notturna. Qualcuno si stava
avvicinando… qualcuno non proveniente dal suo esercito, ma dalla cittadella
degli assediati. Una spia? Forse. Un avversario da eliminare in ogni caso.
Si acquattò dietro la roccia e sporse lievemente la testa, notando un’ombra
che si profilava sul terreno, lievemente rischiarato dalla tenue luce
lunare. Quell’individuo ignoto si stava avvicinando gradualmente al luogo in
cui lui si trovava. Mancava poco ormai… solo qualche istante. Pochi respiri.
Una vita.
Lo avrebbe colto di
sorpresa.
Tese i muscoli,
strinse la mano sull’impugnatura della sua arma, prese un profondo sospiro…
si slanciò in avanti verso l’avversario, brandendo con impeto la lama, che
scintillò sinistramente alla luce lunare.
Il suo nemico doveva
avere dei riflessi molto pronti, dato che si era accorto immediatamente di
quell’assalto, anche se Hanamichi aveva badato a non compiere il più lieve
rumore.
Abile, non c’era altro
da dire. Ma non abbastanza.
Quello sconosciuto
sguainò a sua volta la spada, ma Sakuragi non gli diede tempo di sollevarla:
con un abile guizzo del suo polso di ferro fece volare il gladio
dell’avversario a qualche decina di metri da loro.
Da una parte la vita,
dall’altra la morte… solo che, anche per questa volta, la vita si trovava
ancora dal lato di Hanamichi.
Alzando la lama,
Sakuragi la puntò con sguardo freddo alla gola del nemico. Sarebbe bastato
un movimento quasi impercettibile… per maledire quella terra con altro
sangue.
Commise un errore che
di solito evitava: esitò. Scrutò il giovane che gli stava di fronte: doveva
avere più o meno la sua stessa età, era dotato di una corporatura longilinea
e scattante ed era vestito solamente di una di quelle corte e leggere
tuniche che si indossano sotto le corazze. I suoi muscoli asciutti e
sviluppati, anche se non esagerati, denotavano la familiarità con il
maneggio delle armi: un soldato, sicuramente. Del resto, chi altri avrebbe
potuto essere?
Sollevò il capo e
finalmente lo fissò in viso, combattendo contro le ombre per cercare di
distinguerne i lineamenti. Era notte, ma la luna lo spalleggiava.
Una sola parola:
meraviglioso. I tratti del volto… inconfondibilmente fini, puri,
aristocratici, incorniciati da corti capelli neri come la tenebra dell’Ade.
Due occhi, scuri anch’essi, brillavano vividi e limpidi di una luce di
orgoglio e di sfida. La purezza, la fierezza di quello sguardo era
incantevole: costringeva ad indietreggiare.
Abbassò titubante la
spada, poi con un movimento secco e deciso la rinfoderò e incrociò le
braccia. Aveva scelto.
A giudicare dal
trasalimento che aveva scosso quel corpo, doveva decisamente aver stupito
quel tipo…
“Perché non mi
uccidi?”
Un morbido sussurro
che fece esalare un sospiro alla sua anima. Quella voce… morbida, calma,
decisa. Ipnotica, sicuramente. Ma non l’aveva forse già udita, nei suoi
sogni?
“Perché so che non
sarebbe la cosa giusta da fare” si decise a mormorare in risposta, quasi
senza pensarci.
“Sei uno stupido”
Eh, chi accidenti era
quello? Lui gli aveva fatto dono della vita, e l’altro in risposta tentava
di provocarlo? Ma voleva proprio morire?
“Cosa stai dicendo?”
ringhiò Hanamichi, stupito.
“Hai risparmiato un
tuo avversario, condannando così a morte le decine di tuoi commilitoni che
domani periranno per mia mano. E forse hai condannato anche te stesso…
perché, se io dovessi incontrarti in battaglia, non bloccherei la mano
nemmeno riconoscendoti. Non aspettarti questo da me. Siamo nemici. Ma che
razza di uomo sei? Non hai imparato ancora che la guerra e la pietà sono due
termini che non hanno mai saputo convivere?”
“Sei convinto di
questo? Uccidimi tu, allora. Ti do la possibilità di farlo” dichiarò,
abbassando la braccia lungo i fianchi ed accennando col viso a quella spada
che pochi istanti prima aveva spedito a qualche passo da loro.
Decisamente doveva
essere un demente anche lui! Perché diamine lo stava provocando in quel
modo? Voleva solo tentare di fare l’eroe, correndo incontro ad una morte che
in realtà sarebbe stata adatta solamente ad uno stupido? Probabilmente ora
quel tipo avrebbe tentato davvero di trafiggerlo!
Ma quello sguardo
scuro… lo aveva soggiogato… e fatto impazzire, probabilmente.
Si fissarono a lungo
negli occhi, poi il giovane sconosciuto si accostò in silenzio al masso su
cui lui prima si era appollaiato e vi si sedette a sua volta, senza degnare
di un’occhiata l’arma che lui gli aveva indicato.
Coerente il tipo! Ma a
che gioco stava giocando?
“Ehi! Stai
contraddicendo le tue parole” gli fece notare puntigliosamente “Avresti
dovuto uccidermi!”
Non ricevette alcuna
risposta. Quel ragazzo misterioso stava osservando le stelle e non sembrava
nemmeno averlo udito. Ma faceva solo finta di ignorarlo o, ancora peggio, lo
stava sul serio ignorando?
“Ehi, tu! Sto parlando
con te, razza di maledetto bastardo!!” sbraitò Hanamichi, incapace di
capacitarsi della situazione.
Insomma… quell’elemento
strano seduto lì era un suo nemico, sapeva che avrebbe potuto venire
ucciso da lui, gli aveva parlato con quella sfilza di parole di rimprovero…
ed ora non lo degnava della minima attenzione?!! Argh… che dannato figlio di
una gorgone!!! Lui, Hanamichi Sakuragi, eroe degli eroi, figlio di Zeus,
sovrano imbattibile, vincitore di centauri, titani e centimani… non poteva
di certo sopportare un simile trattamento!!
“EHI, MA MI STAI
PRENDENDO…”
Il suo urlo venne
interrotto da un sibilo monocorde: “Taci, idiota”
Eh? Cioè… quel tipo, a
cui lui fra l’altro aveva anche fatto dono della vita, si era permesso di
ordinargli bellamente di… di TACERE?! Ah, bene! Ora era deciso: lo avrebbe
polverizzato!!
Si slanciò in avanti e
gli assestò un fortissimo pugno sulla mascella, mandandolo a ruzzolare giù
dal masso su cui si trovava installato (dove fra l’altro si era seduto per
primo lui, e che quindi gli spettava! Gli aveva pure rubato il posto, il
maledetto…).
Eh eh eh… ora quel
bastardo si sarebbe rotolato nella polvere! Guai a chi contrastava la
superiorità del divino, mitico, incommensurabile Hanamichi Sakuragi!
Non ebbe nemmeno il
tempo di concludere questo ennesimo pensiero megalomane, che un calcio alla
caviglia gli fece perdere l’equilibrio e lo costrinse a spalmarsi a terra a
sua volta.
Ehm… uhm… che cosa
diamine era successo?! Non poteva essere vero. Quel tipo aveva per caso
osato… AVEVA OSATO… colpirlo!? Ah… vendetta, tuoni e fulmini di
Zeus!!!
Con un ringhio si
gettò sul suo nemico ed iniziò ad accapigliarsi furiosamente con lui. Si
batterono per qualche minuto. Hanamichi alla fine imprecò, sentendo dei
denti aguzzi conficcarsi nel suo braccio destro.
“Bastardo!! Ma tu sei
una volpe con la rabbia!!” inveì, riuscendo finalmente (dopo molti sforzi) a
rovesciarlo sotto di sé ed a tenerlo fermo con il suo peso.
Che razza di
situazione! Tutto ciò aveva dell’incredibile… ma la cosa più assurda era in
realtà la sensazione inspiegabile che provava: come mai aveva la strana
impressione di conoscere quel giovane che non aveva mai visto prima? C’era
in lui qualcosa di vagamente familiare… di noto, di… ammaliante? Nah,
stupidaggini! Paranoie! Era un suo nemico: doveva odiarlo. Questo avrebbe
dovuto essere il suo unico ritornello, di certo non ci sarebbe dovuto essere
spazio per quelle domande cretine! Avrebbe dovuto ucciderlo, non giocare
alla lotta libera con lui!
Eppure… eppure non
riusciva a considerarlo con distacco e freddezza, a pensare a lui come ad un
avversario qualunque.
Una parte di sé stava
urlando che quel giovane era… diverso. Che era prezioso. Che era… e sarebbe
stato… fondamentale. Che non avrebbe saputo ucciderlo, che non poteva né
doveva fargli del male. Non riusciva a sentire una vera avversione per lui,
questa era la verità. Ma non solo: non provava nei suoi confronti
nemmeno quella semplice indifferenza che di solito gli permetteva di
uccidere i suoi nemici. C’era… qualcos’altro, qualcosa posto al di là di
tutti i sentimenti che aveva provato fino ad ora nella sua vita. Qualcosa
che gli sfuggiva.
Erano sensazioni
restie ma tangibili. Doveva fidarsi delle sue impressioni? Beh… lo aveva
sempre fatto!
No, quel ragazzo non
era un nemico comune. Quegli occhi che affondavano nella sua anima non
potevano essere detestati. Come era bianca quella pelle… lattea, eburnea,
marmorea. E quei capelli… quella colata di lava nera!
Ma quel giovane
stupendo era davvero un essere umano?
Con lentezza si tirò
indietro e si mise a sedere, scostando a fatica il viso da quella figura
distesa. Dopo un attimo di riflessione, sussurrò: “Chi sei tu? Come ti
chiami, volpe?”
Volpe… sì, gli si
addiceva!
“Non chiedere il mio
nome. Io sono un tuo avversario ed è questo che deve bastarti. Probabilmente
un giorno dovrai eliminarmi, non ci pensi? Se tu sapessi chi sono, forse
dopo avermi ucciso proveresti dei sensi di colpa che, nel caso di un
estraneo, sarebbero più tenui… o almeno, per me sarebbe così”
“Riuscirei a
sopportarli. Voglio sapere il tuo nome”
Lo vide scuotere la
testa, e poi mormorare riluttante: “Non posso dirtelo. Se io ti rivelassi
chi sono, saresti costretto ad uccidermi…”
“Sei un pezzo grosso,
allora?” azzardò Hanamichi.
“Nh”
Nh? Che cavolo poteva
voler dire ‘nh’? Era un’affermazione o una negazione?!
Sospirò e decise di
desistere. In fondo, anche se questa avrebbe potuto apparire strana come
frase, se detta da lui… quel silenzio notturno era estremamente piacevole.
Ed era ancor più piacevole condividerlo con quel ragazzo misterioso e
bellissimo, scontroso ed indisponente.
Non lo conosceva, non
sapeva chi fosse, ma persisteva quella strana sensazione che gli sussurrava
che quel giovane non era una di quelle comparse che si limitano ad apparire
e svanire lungo il corso della tua vita. Non possedeva nulla di più di
questa sfocata impressione, ma ciò non era importante: si sentiva bene
accanto a lui. Si sentiva ‘al suo posto’. E provava un’incredibile senso di
serenità… di felicità, quasi. Quel ragazzo ignoto, incognita di quella
notte, stava… dando un senso a tutto quanto.
Hanamichi stava
vivendo uno di quegli irripetibili, rarissimi istanti della tua vita in cui
senti di non desiderare nulla di più di ciò che hai già fra le tue mani.
Prolungare un tale attimo per sempre… solamente questo. E poter continuare a
fissarlo negli occhi, come stava facendo. No, niente di più…
Ore o minuti? Spesso
sono queste le situazioni che inspiegabilmente si rimpiangono, anche a
distanza di anni.
Ma dopo qualche
istante lo sconosciuto si alzò e, senza proferire parola o saluto, prese ad
avviarsi lentamente verso la città assediata.
“EHI, VOLPE!!” lo
richiamò, con voce suo malgrado ansiosa.
Ma come! Se ne andava
così?! Non… non aveva provato anche lui quel… quel qualcosa di
inconfondibile, di irripetibile?!
Quel giovane si fermò
immediatamente, ma non si girò. Rimase immobile a voltargli le spalle.
“Senti…” iniziò,
incerto. Ma che cavolo stava per dire? Cosa poteva dire?! Solo…
questo: “Io… domani notte tornerò qui. Disarmato. Ora… puoi andare”
Quel ragazzo strano
riprese a camminare, svanendo nelle tenebre notturne. Nessuna risposta,
nessun commento. Ma aveva almeno sentito?
La sciocchezza era che
lui, Hanamichi Sakuragi, desiderava davvero rivederlo.
Splendido! Si sentiva
veramente, seriamente, assolutamente idiota. Ma cosa stava aspettando?!
Quando lui era giunto
lì e si era appollaiato su quel sasso come uno stupido, preparandosi ad
attendere chi non sarebbe mai giunto, era trascorso da poco il tramonto.
Ormai adesso le stelle scintillavano, ma la sua solitudine rimaneva
immutata. Doveva decisamente essere impazzito per indugiare ancora!
Probabilmente quella
volpe rabbica non aveva ascoltato, oppure non aveva addirittura capito il
significato della frase che lui gli aveva urlato la sera precedente.
‘Io… domani notte
tornerò qui. Disarmato’
Già, un appuntamento.
Che razza di enorme stupidaggine! Si metteva a dare appuntamenti a completi
sconosciuti, adesso? Ridicolo! E per cosa, poi? Per un… nulla, in fondo!
Aveva solo sentito il bisogno di incontrarlo di nuovo. Ma perché!? Non
riusciva a capire quell’intensa necessità di riascoltare quella voce, di
rivedere quegli occhi… ed oltretutto si stava riferendo
a un nemico!
Ecco, questo era il
punto principale: quel ragazzo misterioso era un suo avversario. Non
avevano nulla da spartire. Anzi… quel giovane divino non gli aveva forse
detto (con voce incredibilmente ferma!) che, se lo avesse incontrato di
nuovo, non avrebbe esitato ad ucciderlo!? E lui adesso, con questa idiozia
dell’appuntamento, gli stava pure dando l’occasione per farlo! Magnifico,
davvero…
Forse non era venuto
perché aveva temuto una trappola. Oppure, più ovviamente, nulla lo aveva
spinto a farsi vedere. Sicuramente quel tipo non aveva affatto provato i
brividi che a lui erano serpeggiati lungo la spina dorsale, non appena aveva
incrociato quello sguardo: occhi scuri nella notte. Ma erano veramente neri?
Avrebbe voluto poterlo incontrare nella luce solare, per accertarsene.
Quella mattina, nella
mischia di una sortita, l’aveva cercato fra i suoi avversari… ma non aveva
scorto nessuno che potesse assomigliargli anche solo minimamente. L’avrebbe
sentito, se si fosse trattato di lui.
Non conosceva neanche
il suo nome. Come avrebbe potuto rivederlo? E perché ci teneva così tanto a
rivederlo? Perché aveva pensato a lui… fino a sentirsi spaccare la testa?!
Un semplice
sconosciuto. Un nessuno che aveva occupato tutta la sua mente, quel giorno.
Un incontro strano, insignificante, occasionale, durato solamente un’ora
sospesa nella notte, né più né meno. Un episodio da nulla!
Il difficile era
convincersene.
Non aveva potuto
resistere: quella stessa notte, alla medesima ora del giorno precedente, era
uscito dalla sua tenda senza dare spiegazioni e si era recato nel medesimo
luogo in cui l’aveva incontrato ventiquattro ore prima. Ma disarmato,
stavolta. Ed ora si trovava ancora seduto su quel masso, ‘cominciando’ a
sentirsi un incredibile ingenuo. Perché mai quel ragazzo avrebbe dovuto
presentarsi? Era meglio andarsene e smetterla di pensarci. Perché non ci
riusciva…?
Un rumore di passi lo
fece sobbalzare. Portò istantaneamente una mano alla cintura, solo per
ricordarsi troppo tardi che non aveva con sé nessuna arma. Se
malauguratamente si fosse trattato di un drappello di nemici, lui sarebbe
stato un uomo morto.
Tese l’orecchio,
rimase in ascolto. Poi, sospirò: quei passi leggeri… li conosceva. Non provò
il bisogno di girarsi. Rilassò nuovamente i muscoli e sollevò il viso a
fissare il cielo nuvoloso, sentendo un inspiegabile sorriso affiorargli
sulle labbra. Inspiegabile come quel senso di pace che gli allagò il petto.
Inspiegabile come quella presenza accanto a sé…
“Sei venuto” sussurrò
con voce stupita.
“Sei uno sciocco” lo
rimproverò quella voce profonda “Hai pensato a cosa sarebbe potuto succedere
se avessi avvisato qualcuno dei miei commilitoni? Avrei potuto formare un
drappello per catturarti e farti prigioniero…”
“Anche io avrei potuto
avere in mente il medesimo piano” controbatté Hanamichi, sentendosi
incredibilmente noncurante del rischio corso “Eppure, nessuno di noi due ha
fatto qualcosa del genere. Nemmeno tu. Ed ora sei qui, come non mi sarei mai
aspettato. Ma perché?”
Un attimo di silenzio,
poi la schietta risposta: “Non lo so”
Sakuragi girò
lentamente il viso e fissò l’oscurità al suo fianco. Quell’oscurità che
sentiva occupata da una presenza confortante. Sorrise di nuovo e mormorò:
“Sono… contento che tu sia venuto”
“Perché?”
La domanda del suo
interlocutore sembrava stupita.
Come rispondergli? Con
la verità, semplicemente.
“Non lo so”
Tese una mano, afferrò
un braccio di quel giovane che si manteneva ancora in piedi e lo tirò verso
sé, invitandolo a sedersi accanto a lui. Il ragazzo obbedì, ma non riuscì a
soffocare un gemito di dolore.
“Cosa succede? Ti
senti male?” interrogò Sakuragi, non spiegandosi la ragione di quel represso
lamento.
Non gli aveva stretto
troppo il polso… era sicuro di non avergli fatto male! Del resto, quell’ignoto
compagno possedeva una corporatura da soldato e non si sarebbe di certo
potuto dire di costituzione fragile!
Quel silenzio lo
indispettì. Insomma, si era preoccupato per lui! Quel tipo avrebbe dovuto
sentirsi onorato: essere oggetto dell’apprensione del grande, sublime,
mitico Hanamichi Sakuragi!! Cosa avrebbe potuto esserci di più lusinghiero?!
Ed allora, come si permetteva di ignorare continuamente le sue domande?
Afferrò di nuovo quel
braccio e glielo torse dispettosamente dietro la schiena, provocandogli
immediatamente un urlo di sofferenza neanche tanto soffocato. A questo punto
Hanamichi capì, anche se forse ‘leggermente’ più in ritardo rispetto a
quanto ci avrebbe impiegato un altro: quel ragazzo… era ferito.
Si ritrasse
immediatamente, come se si fosse sentito scottato dal dolore che aveva
provocato all’altro.
“Come è successo?”
chiese, oscuramente preoccupato.
La replica che gli
giunse fu piuttosto riluttante: “Stamattina… nella battaglia. Una freccia mi
ha trafitto il braccio sinistro. Posso ancora impugnare la spada con la
destra, comunque”
“Ti trovavi nella calca
stamattina? Ma io non ti ho notato!” si stupì, ripensando a quanto
attentamente aveva scrutato i suoi avversari nella speranza di scorgerlo.
Ma poi, se anche fosse
riuscito a vederlo, che avrebbe fatto? Si sarebbe solo reso ridicolo,
probabilmente. Quanto avrebbe riso, ad esempio, Hisashi Mitsui, quell’ex
pirata della malora, se avesse visto Hanamichi Sakuragi, sovrano di Andro,
slanciarsi verso un suo avversario, tentare di proteggerlo a costo della
vita dai fendenti dei propri soldati e cercare di catturarlo illeso
per farne un proprio prigioniero? Sì, prigioniero. Perché questo aveva
sperato: impossessarsene.
Solo alla fine della
battaglia, ritornato al suo accampamento, aveva trovato il tempo di
sorprendersi di un fatto: il sovrano Kaede Rukawa aveva partecipato a quella
battaglia, ma lui non se ne era nemmeno accorto. Questa volta non aveva
degnato del minimo sguardo quella splendente armatura. Quel giovane
misterioso, ora seduto al suo fianco, aveva saputo fargli dimenticare in
così breve tempo una fantasticheria che ormai da mesi, sin dalla giornata
del Consiglio della Lega, era stata la sua ossessione. Come aveva potuto
riuscirci? Che strano potere era racchiuso in quella pelle, in quella voce…
in quegli occhi?
“E come avresti potuto
riconoscermi, stamani?” ribatté quel ragazzo “Non mi hai visto alla luce del
sole. Mi hai guardato solo ieri notte, ed oltretutto di sfuggita… non credo
che i tuoi occhi sappiano fendere le tenebre!”
“Mi sottovaluti,
volpe! So con certezza che ti riconoscerei ovunque ed in qualsiasi
circostanza!”
“Non dire amenità,
idiota!!” lo rimbeccò il compagno, infastidito dalla palese assurdità del
suo proclama.
“Tsk! Non capisci
nulla! I brividi che sai farmi provare mi avvertirebbero della tua presenza”
si lasciò sfuggire.
Per Zeus… ma che aveva
detto?!
“Brividi?” si stupì
quella voce vellutata.
“Sì, brividi… beh… di
ribrezzo, naturalmente!”
“Nh. Sai, mi aspettavo
una risposta del genere…”
Brividi di ribrezzo,
eh? Non avrebbe potuto inventare una frottola più penosa, falsa e stupida di
questa! Nemmeno un demente come Nobunaga Kyota avrebbe potuto berla!! Si
scoprì a ringraziare la notte buia che celava il suo rossore. Forse era
meglio, decisamente meglio, al fine di evitare altre figure grame,
assecondare il bisogno di silenzio che l’altro sembrava manifestare. Quel
giovane sconosciuto pareva proprio essere una persona riservata…
Ma incredibilmente, fu
proprio il compagno ad iniziare a parlare nuovamente: “Io, invece, ti ho
visto stamattina…”
Sussultò, non
riuscendo a trattenere un allibito: “Davvero?”
“Sì. Ho notato che
anche tu sei un ‘pezzo grosso’… sovrano di Andro! Sarebbe stata una ragione
in più per tenderti un agguato, stanotte…”
“Ma non lo hai fatto”
ribadì Hanamichi
“Non dovresti sentirti
così sicuro di te stesso… sei un ingenuo! Non mi hai perquisito. E se, per
ipotesi, io avessi un pugnale celato sotto la veste? E se avessi lasciato
degli armati alle mie spalle, pronti a farsi avanti ed a gettartisi
addosso?”
Scrollò le spalle e
mormorò semplicemente: “Mi fido di te”
Questa risposta
inaspettata sembrò spiazzare lo sconosciuto, che riuscì a sussurrare solo un
alterato: “Perché?”
Hanamichi scosse il
capo, ripetendo: “Mi fido di te. Non posso non fidarmi” poi, cambiò
argomento: “Come hai potuto riconoscermi, stamattina? Anche tu mi ha visto
soltanto di notte!”
“Non sono in molti i
Greci che possiedono la tua statura e la tua corporatura… ed i tuoi capelli
rossi non possono di certo passare inosservati! Nemmeno la luce lunare di
ieri è riuscita a nascondermeli…”
“Hai tentato di
attaccarmi?” domandò ancora, ripassando mentalmente i volti di coloro che
aveva affrontato nella battaglia odierna. Era mai possibile? Averlo avuto
così vicino, ma non essersene accorto…
“No. Ho badato a
mantenermi a distanza da te”
“Dove ti trovavi?”
Il giovane gli diede
una replica esitante, tremendamente simile ad una mezza verità: “Ero… fra il
seguito del sovrano”
“Tu conosci Kaede
Rukawa?!” esclamò, stupito “Ma allora… se eri fra il suo seguito, sei un suo
parente?! Un consigliere? Vivi a palazzo?!”
“Non sono tenuto a
risponderti” lo bloccò l’altro, usando un’intonazione gelida.
Perché sembrava essere
così irritato dall’argomento?
Hanamichi sospirò,
perplesso, ma non seppe proprio frenare un’altra domanda: “Tu… allora tu hai
visto il sovrano in viso? Ed è davvero tanto bello come tutti dicono?”
Quella voce ribatté
con tono incerto e vago: “Non lo so… io non l’ho mai considerato sotto
questo aspetto” fece una pausa, poi riprese con più durezza “Credo che un re
debba essere giudicato per il suo valore in battaglia, il suo coraggio e la
sua saggezza… non per la sua avvenenza, valore secondario ed estremamente
instabile!”
Questa replica divertì
Hanamichi, che osservò: “Sembra che i complimenti fatti su di lui ti
secchino… ti dà fastidio che lo si consideri attraente? Non dirmi che sei
geloso di lui! Non dovresti, davvero. Anche tu sei… molto bello” sussurrò,
avvampando per quest’ennesima confessione importuna.
Il suo interlocutore
parve rimanere totalmente indifferente di fronte a questa rivelazione
inattesa. Si limitò a ribattere seccamente: “Idiozie!”
Hanamichi tuttavia non
si lasciò ingannare: si era accorto di averlo messo a disagio. Senza potersi
frenare, si trovò a confidargli: “Sai che io avevo approvato questa guerra
solo per poter vedere Rukawa?”
“Che cosa?!” sibilò
irosamente il giovane sconosciuto, voltandosi fulmineamente verso di lui.
Movimento inutile del
resto, dettato solo dall’istinto… il cielo era coperto e la notte stavolta
era talmente buia che, comunque si sistemassero, era impossibile vedere
oltre un palmo dal proprio naso!
Hanamichi non
comprendeva perché mai fosse scattato in quel modo, con quella foga. Aveva
saputo sorprenderlo? Evidentemente sì.
Quella voce riprese,
indignata: “Tu… tu hai accettato di partecipare a questo conflitto…
solamente per una sciocca curiosità?!!! Stai uccidendo ragazzi, privando
madri dei loro figli, spogliando mogli dei loro mariti, gettando nella
miseria un popolo… solo per il viso di un uomo? Solo per appagare un
desiderio tanto meschino, tanto inutile, tanto… spregevole!!? Tu sei…
sei un…”
Hanamichi rimase
allibito per quell’inattesa violenza. Spalancò gli occhi e si affrettò a
bloccare quella valanga di parole: “Ehi… calmati volpe! Si direbbe quasi
che, dalla tua veemenza, tu ti senta responsabile delle mie azioni e di ciò
che le mie azioni provocano! Sappi che avrei dovuto partecipare a questa
guerra comunque, anche se non avessi dato la mia adesione: a un ordine della
Lega non posso discutere. E comunque… perché tanta indignazione? E’ normale
uccidere in una battaglia. Lo so, si uccide senza ragione, o per ragioni che
non lo giustificherebbero comunque: è biasimevole, ma è inevitabile. Questa
è la guerra. Tu stesso hai detto che guerra e pietà non possono convivere.
Non bisogna interrogarsi sui perché della guerra… ma semplicemente su come
farla. Le crisi di coscienza… sono seccature per un guerriero”
Aveva detto tutto
questo. Erano le frasi che si ripeteva in continuazione, ogni giorno della
sua vita. Parlare in questo modo era semplice… sì, semplice. Però,
costringersi a pensare e ad agire in questo modo… era forse
altrettanto semplice?
E’ semplice condannare
a morte un uomo senza averlo davanti a sé. Provate a pronunciare la stessa
sentenza fissandolo negli occhi, invece! Hanamichi… non aveva mai saputo
farlo. No, per lui non era affatto semplice!
“Crisi di coscienza…
tu non ne hai mai provate?”
Sakuragi rimase a
lungo in silenzio, riflettendo sulla risposta da dare.
Decise per la
sincerità: “Sì, ne ho provate… ne provo tuttora. Ricordo ancora il tormento,
il terrore, gli incubi che provai la notte successiva alla prima volta che
uccisi un uomo. Mio padre mi insegnò ad uccidere, ma non mi disse come
imparare a mettere a tacere i sensi di colpa… questo dovetti impararlo da
solo. Mi credi, se ti dico che non ci sono ancora riuscito? Spesso, evitare
di riflettere sulle proprie azioni non è sufficiente. Talvolta, quando
uccido, mi sento come se meritassi a mia volta di morire… e sono costretto a
combattere con questo pensiero, oltre che con il mio avversario. Se nel
mezzo di un duello, pensi improvvisamente di meritare la morte, allora…
allora hai perso. Allora sei finito, demotivato, distrutto. Non credo di
essere un buon soldato, né un buon generale… sono costretto a vivere con
questi conflitti interni, senza poterne parlare con nessuno… perché so che
nessuno potrebbe capirmi. Nessuno prova ciò che provo io. Per tutti,
uccidere un nemico è… giusto”
Quando la sua voce si
spense, Hanamichi iniziò silenziosamente a darsi martellate in testa. Cosa
lo aveva indotto a confidarsi, a rivelare le sue debolezze proprio a quello
sconosciuto? Era pura follia! Aveva svelato il suo punto debole ad un
nemico, ad una persona che avrebbe potuto approfittarsene! Che… che cosa gli
era saltato in mente?! Rivelazioni che non aveva fatto a nessun altro,
timoroso di poter essere giudicato vile e codardo… ed ora!?
Un mormorio bloccò sul
nascere questi pensieri allarmati.
“Non è facile nemmeno
per me. Io amo combattere… adoro la sfida, la competizione, il duello… ma
odio uccidere. Detesto l’obbligo che le circostanze ti impongono, quello di
strappare la vita ad una persona che potresti essere tu!! E’… atroce.
La freddezza che all’esterno mi impongo… non è sufficiente per mettere a
tacere il tumulto che nasce dentro di me di fronte a tutto ciò. Talvolta
perfino mi stupisco… di me stesso, del mio inutile controllo. Tutti mi
credono insensibile perché mi mostro gelido, freddo e controllato nel viso e
negli atteggiamenti, nessuno scorge i conflitti che provo. Non si tratta di
incertezze: quando faccio una cosa, io la compio con risoluzione. Se devo
uccidere qualcuno, lo faccio senza indecisioni… solo che in quel preciso
istante mi sento dilaniare dentro. Ma questo… nessuno lo immagina. E
probabilmente è meglio così…”
Sakuragi sentì la
propria anima vibrare.
Quelle parole… quelle
parole si erano dimostrate lenitive per la sua anima, come un balsamo
profumato lo sarebbe stato per il suo corpo. E la voce… la voce! Calda,
viva, vicina. Si era sentito capito, ed aveva capito. Era stato stupendo…
Avrebbe voluto
ringraziarlo per quella confidenze, per la fiducia inaspettata che quel
giovane aveva dimostrato nei suoi confronti… ma intuiva che quello
sconosciuto era un classico rappresentante di quelle persone che odiano
ricevere dei ringraziamenti, dato che questi saprebbero solo farli
vergognare di rivelazioni che a posteriori loro giudicherebbero semplici
debolezze.
“Tu credi… che…”
incominciò, incerto “Insomma, secondo te… tu conosci, penso, Kaede Rukawa.
Ritieni che quell’uomo sia freddo ed insensibile come tutti dicono? E se
anche lui nascondesse dentro di sé un’indole diversa, in contrasto con ciò
che dimostra? Se…”
Queste parole e questo
nuovo riferimento a Kaede Rukawa parvero irritare l’ignoto giovane, che si
alzò ed iniziò ad allontanarsi. Dopo qualche passo però si bloccò e
dichiarò: “Ricordati di non giudicare mai dalle apparenze… ma anche di non
lasciarti trascinare dalle vele dell’immaginazione. Kaede Rukawa è
semplicemente ciò che è… e spero che tu non debba mai conoscerlo”
Hanamichi si sollevò
in piedi a sua volta.
L’occasione per
chiedere a quel ragazzo di che colore fossero i suoi occhi era, ormai,
totalmente svanita.
Per due notti
consecutive Hanamichi si recò nella spianata. Per due notti dovette
aspettare invano: non si presentò nessuno. La terza notte indugiò a lungo
sulla soglia della tenda, combattuto fra il desiderio di andare e
l’imposizione di restare. Era evidente che quel giovane sconosciuto non si
sarebbe più presentato! Ci teneva così tanto a fare la figura dell’allocco,
vagando per l’ennesima volta nella notte tetra per attendere qualcuno che
non si sarebbe fatto vedere!?
Chissà… quel tipo
poteva perfino essere morto! Forse era per questo che non si era più
mostrato. Morto, o anche ferito gravemente. Benissimo: un nemico in meno!
Già, un nemico in
meno… ma anche una speranza in meno. Ed un dolore in più.
Uscì dal tendone con un
sospiro di resa ed iniziò a camminare lentamente verso la pianura, il cuore
conteso da timore, aspettativa e disillusione.
Non doveva darsi false
speranze: molto probabilmente non ci sarebbe stato nessuno. Bene, e allora?
Lui si era allontanato solo per fare quattro passi, non certo per cercare
qualcuno! Che cosa cavolo gliene fregava a lui di quella volpe maledetta,
che cosa gli importava di…
Vide in lontananza una
figura seduta, la schiena appoggiata ad un masso, la sagoma che si stagliava
scura fra le già scure tenebre. L’ormai ben noto brivido gli fece capire
senza possibilità di errore di chi si trattasse. Era lui.
Il senso di sollievo e
di serenità che gli invase il petto a quella constatazione non gli permise
di ingannarsi ad oltranza sulla natura di ciò
che provava. Ma com’era possibile che fosse di quel
sentimento?
Era tradizione
comunemente diffusa quella che affermava che Eros fosse il dio più antico,
più potente e più degno di essere onorato. Evidentemente, certe cose non
puoi accettarle prima di averle testate su
te stesso.
Hanamichi si avvicinò
ulteriormente e posò una mano sulla spalla di quel ragazzo. Trasalì, quando
si rese conto di aver toccato la nuda pelle invece della stoffa della veste,
che era scivolata languidamente lungo un suo braccio. Com’era calda e
serica, quella pelle…
Lo scosse leggermente,
ma non ricevette risposta. Beh?! Che gli stava succedendo? Perché non si
moveva?!! Sembrava quasi morto, o svenuto… no, calma! Niente panico.
Si chinò ed accostò il
viso al suo… la violenta sensazione che provò quando si sentì accarezzare da
un lievissimo respiro lo fece sussultare e ritrarsi violentemente
all’indietro.
Dormiva.
Che demente!! Stava
dormendo in quella terra di nessuno, dove un nemico avrebbe potuto
sorprenderlo e strangolarlo nel sonno!! Ma si divertiva a farlo
preoccupare?!! Ora gli avrebbe dato un cazzotto che non avrebbe dimenticato
facilmente! Sollevò il braccio, lo abbassò con ferocia… ma bloccò la mano
non appena questa giunse a un soffio da quel viso. Rimase immobile per un
lungo istante, poi con un sospiro rilasciò le dita, sciolse il pugno e si
concesse una lieve, esitante carezza su quella guancia levigata e marmorea.
Avrebbe voluto… di più,
avrebbe voluto… quelle labbra e quel respiro sul suo corpo… la luce del sole
per illuminare quegli occhi e poter discernere finalmente quelle fattezze
che già nel buio intuiva essere stupende… avrebbe voluto… amore e desiderio.
Desiderio. Per uno
sconosciuto di cui non conosceva nemmeno il nome. Per un nemico.
Ma chi diamine aveva
stabilito che loro due dovessero essere nemici? Provò uno spontaneo moto
d’odio verso il loro comandante Akagi, verso se stesso che aveva approvato
quella missione… perfino verso Kaede Rukawa, dato che non si decideva ad
arrendersi, a farla finita con quell’assedio, con quella guerra persa in
partenza!
Ridicolo! Era proprio
per quel misterioso, tenace Kaede Rukawa che lui aveva accettato di prendere
parte a quel conflitto… ma ormai tutto l’interesse, tutta la curiosità, il
mistero e il fascino che trapelavano da quella figura misteriosa non
esercitavano più alcuna attrattiva su di lui.
Si era lasciato
abbacinare da leggende, fole e superstizioni… aveva fantasticato come uno
sciocco sulla bellezza di quell’uomo, sul suo valore, sul suo orgoglioso
coraggio, fino a costruire un sogno di cui si era quasi invaghito. Si era
trattato… di una semplice fantasia puerile.
Aveva attribuito a
quel misterioso Kaede Rukawa qualità che probabilmente quel tipo era ben
lungi dal possedere, ne aveva fatto la personificazione di tutto ciò che
aveva sempre, inutilmente cercato nelle tante ragazze di cui un tempo si era
incapricciato, negli uomini che lo avevano interessato… aveva creato
un’illusione, costruito un’immagine perfetta in cui rifugiarsi.
Ma la realtà non è mai
pari all’allucinazione.
Quel Rukawa non era un
semidio, era un uomo. Era freddo, era crudele, era deciso… non era una
persona da amare, come aveva detto anche Mitsui. Era inutile cercare delle
sensazioni, delle passioni sotto la scorza fredda di quel gelido sovrano,
sotto lo spessore impenetrabile della sua corazza scintillante. Kaede Rukawa
era una figura lontana da lui, ed ormai… lui non desiderava più cercare di
avvicinarglisi. Era stato un sogno, ma ormai si era svegliato. Si era deciso
a lasciarlo sullo sfondo, ad accettarlo per ciò che era: un sovrano, un loro
avversario da combattere e da sconfiggere. Inutile infiorettare questa
persona con le sue speranze infantili.
Kaede Rukawa era una
visione impalpabile. Quel giovane sconosciuto, addormentato di fronte a lui…
era invece una realtà delicata e tangibile. Poteva scorgere la sua veste
leggera, i lineamenti delicati, i capelli corvini… sentire, accarezzare
quella serica, candida pelle. Non sapeva chi fosse, ma ormai il suo cuore
caparbio lo conosceva. E lo voleva. Nei sentimenti non c’è razionalità… ad
Eros non ci si può opporre. Già, ormai aveva conosciuto e riconosciuto in sé
il potere del dio.
Esitò per un altro
istante, poi si convinse a dargli una nuova scossa più decisa della prima.
Ancora nulla.
Ma come faceva a
dormire così profondamente in quelle condizioni?! La notte era fredda, lui
era appoggiato con la schiena ad un masso scomodo e duro, sedeva sul terreno
pietroso… tutto ciò aveva dell’incredibile! Sospirando, sciolse il mantello
dalla sue spalle e lo allargò sul corpo di quel giovane, decidendo di
attendere il suo risveglio. Non dovette aspettare molto: poco dopo un pugno
scagliato alla cieca gli ammaccò una spalla e lo rovesciò all’indietro.
Dolorante e stupito,
non riuscì nemmeno a risollevarsi perché due mani premettero sulle sue
braccia ed un ginocchio gli venne piantato in mezzo al petto, costringendolo
saldamente a terra.
“EHI!! MA SEI
DEMENTE!! SI PUO’ SAPERE CHE HAI INTENZIONE DI FARE?!” sbraitò.
La stretta delle mani
immediatamente si allentò. Quel corpo, dopo una lieve esitazione, si tirò
indietro e lo lasciò libero.
“Non ti avevo
riconosciuto…” si giustificò quella voce tranquilla.
“Umpf…” sbuffò
Hanamichi, rimettendosi a sedere.
Era stupito di se
stesso, in fondo: avrebbe potuto facilmente colpirlo e liberarsi da solo,
senza attendere di venire rilasciato. Si era accorto di essere fisicamente
più forte di lui. Ma non aveva fatto nulla: aveva capito di non volergli
fare del male. Ed il perenne, martellante, ossessivo ricordo che si trattava
di un suo nemico rendeva tutto questo ancora più buffo!
Rimasero in silenzio
per qualche istante, poi la voce di quel giovane sconosciuto si elevò di
nuovo. Ma, questa volta, sembrava innaturalmente… stanca, spossata. Certo,
il tono era ancora permeato di quel timbro sicuro ed orgoglioso che sembrava
essergli innato, ma ora sembrava essere soffocato, sottotono…
“Come mai ci avete
attaccati? Perché non ci lasciate in pace… perché non ve ne andate?! Che vi
abbiamo fatto?!”
Rimase stupito da
questa domanda, tanto che all’iniziò non seppe come rispondere. La sua
confusione tuttavia durò poco.
“Siete stati voi ad
averci costretto a farlo. O meglio, è stato il vostro sovrano Kaede Rukawa
ad averci provocati!”
“Provocati?” ribatté
quel giovane, apparentemente indignato “No, assolutamente! Non vi ha fatto
proprio nulla! La nostra terra prosperava… non chiedeva nulla se non di
vivere in pace, senza dare fastidio a nessuno e senza che nessuno desse
fastidio a lei! L’unica cosa che non potevate sopportare era che fosse tanto
ricca ed allo stesso tempo completamente indipendente, non sottoposta alle
vostre pretese, ai vostri ordini, giuramenti, tributi, vessazioni… voi
volete avere tutto sotto il vostro controllo, volete schiacciare ciascun
regno libero per soggiogarlo al vostro potere! Voi… maledetti! Spero che
Zeus vi punisca per ciò che state facendo!! Controllavate tutto
l’arcipelago, che necessità avevate di possedere anche Rodi?!”
Il tono era quello di
un padrone oltraggiato ed indignato, che rimprovera all’avversario un
oltraggio arrecato alla propria figlia.
“Sei molto legato alla
tua terra…” sospirò Sakuragi “E sembra che questa situazione ti faccia molto
male”
“Come potrebbe non
farmene?! La mia gente sta morendo!” esclamò quella voce affannata e
dolente.
Hanamichi aggrottò le
sopracciglia e gli fece notare: “Eppure… ci sarebbe modo di porre fine a
tutto questo…”
“Quale?”
“Il vostro sovrano,
quel cocciuto Kaede Rukawa, dovrebbe arrendersi. In questo modo queste
battaglie sterili si concluderebbero! Questa terra ormai è già fin troppo
zuppa di sangue… fatela finita con questa resistenza inutile che può solo
prolungare un’agonia senza scopo, aggiungere altri morti alla somma già fin
troppo elevata di coloro che hanno raggiunto l’Ade, far accrescere la rabbia
che gli assalitori scaricheranno poi addosso a voi…”
La risposta scattò
violenta: “Mai!! Non ci arrenderemo mai! Rukawa… non potrebbe mai
accettarlo! Sopportare l’umiliazione della resa… per cosa? Per la
schiavitù?! Per diventare la preda di guerra di uno dei vostri insulsi
generali? Per venire esposto alla derisione, agli insulti… per fungere da
trofeo di conquista?! Per lui sarebbe meglio la morte”
“Ma il suo è solo
egoismo, lo capisci?! Ha provocato questa guerra con il suo ostentato
disprezzo alle proposte della Lega e la sua politica arrogante ed
indipendente… ha trascinato il suo popolo alla rovina. Avrebbe dovuto
immaginare quale sarebbe stata la conseguenza delle sua azioni autonome ed
avventate! E’ giunto a questo perché lo ha voluto. Perché non si è
dimostrato abbastanza abile per sfuggirlo… ed ora è suo dovere
evitare altra inutile sofferenza alla sua gente, ai suoi soldati. E’ un re,
ha sbagliato… ed ora deve rispondere dei suoi errori, ma lui solo”
Il giovane sconosciuto
scattò in piedi all’improvviso, sferzato da quei rimproveri contro il suo
sovrano come se fossero stati rivolti a lui in persona. Iniziò nervosamente
a camminare avanti e indietro, poi si bloccò e decretò: “No, non… non si può
arrendere! Arrendersi a chi, poi? Ad Akagi, che si è gettato in questa
guerra solo per assecondare i piagnistei della sorella respinta? Patetico,
veramente patetico! E’ disonorevole consegnarsi ad una persona simile! A chi
altri? A Mitsui, servendogli in tal modo su un piatto d’argento Kogure, il
nostro ambasciatore, assoggettato alle sue brame? Tutte le donne verrebbero
ridotte in schiavitù, destinate a ginecei stranieri, alla schiavitù… e le
rappresaglie? Decine e decine di soldati uccisi e torturati per vendetta!
No, meglio… mille volte meglio la morte in battaglia! Del resto, c’è ancora
speranza…”
Hanamichi sorrise
tristemente, preparandosi a disingannarlo crudelmente: “Ti auguri forse che
Sendoh, re di Lacedemone, oppure Minami, sovrano di Micene, possano
rispondere alle vostre richieste di aiuto? No, non lo faranno. Non saranno
così sciocchi! Mettere a repentaglio il loro esercito per un semplice
scoglio? Irritare la Lega delle Isole… per cosa? Per nulla, in fondo! E’
impossibile! Perché mai dovrebbero venirvi in aiuto? Mi è giunta voce del
loro interesse per il sovrano Rukawa… ma credi che questa possa essere una
ragione sufficiente?! Non essere ingenuo, volpe…”
Il giovane sconosciuto
si fermò, lasciandosi infine crollare seduto a fianco di Hanamichi. Il
sovrano di Andro lo vide portarsi le mani al viso in un gesto convulso di
nervosismo e di oppressione… sembrava spossato, esausto e schiacciato da
troppe responsabilità. Faceva parte del seguito del sovrano, quindi era un
‘pezzo grosso’… forse uno dei consiglieri di Rukawa? In questo caso, la sua
confusione e quella tensione apparivano giustificabili. Quanto stava
sopportando?
“Sono stanco… stanco
di vedere il mio popolo morire!” lo udì sussurrare, mentre quelle mani
sottili scorrevano con un gesto lento fra i capelli corvini. I pallidi raggi
di luna illuminavano i lineamenti stupendi e irreali, le palpebre socchiuse,
la bocca sottile e serrata…
“Parla con il tuo
sovrano” lo incitò Hanamichi “Esortalo ad arrendersi…”
Posò con delicatezza
una mano sul braccio dell’altro, cercando di infondergli calore. Gesto
quanto mai errato. Quel giovane si scostò immediatamente con uno strattone e
lo assalì con voce ironica e fiammeggiante: “Mi congratulo, sovrano di
Andro! Belle parole… credi forse, con questo falso altruismo gratuito, di
riuscire a farmi dimenticare l’esercito a cui appartieni!? Tu sei il mio
peggiore nemico ed io dovrei fidarmi di te? So perfettamente che stai
parlando nel tuo interesse, non nel mio… pregusti già la fine di questa
guerra, il saccheggio che ne seguirà, le vendette che potrai prenderti su
donne e bambini, i prigionieri che catturerai per soddisfare le tue voglie!!
Non ne vedi l’ora, giusto? Dovrei lasciarmi convincere da te!? Mi credi così
stupido?!”
“Smettila di dire
idiozie!” lo interruppe, irato “Io non sono ansioso di vendetta, ma
desideroso di pace! Voglio solo tornare ad Andro, smetterla di uccidere… di
provocare dolore. Ti prometto che non ci saranno stragi, se ci aprirete
spontaneamente le porte della città. Me ne faccio garante io, ne parlerò ad
Akagi. Il tuo popolo verrà rispettato e lasciato in pace, Rodi entrerà a far
parte della Lega e le sue istituzioni verranno conservate… semplicemente con
un nuovo reggente”
Lo sconosciuto
interlocutore pareva dubbioso. Hanamichi se ne accorse e, per dissipare le
sue preoccupazioni, si portò una mano al petto e con orgoglio declamò: “Non
temere, hai la parola di Hanamichi Sakuragi, sovrano di Andro, figlio di
Zeus, eroe degli eroi, mito dei miti, uccisore di ciclopi, cacciatore di…”
Lo interruppero uno
sbuffo esasperato ed un’esclamazione sconsolata: “Povero me! Ed io ho pure
prestato attenzione ad un simile idiota…”
“Volpastra!! Come ti
permetti di insultare un semidio come me?”
“Demente…” ribadì
quella voce monocorde.
“Argh!!! Maledetto,
prendi questo!”
Così, dopo aver tanto
trattato di pace, conclusero la loro discussione con una ‘pacifica’ zuffa. A
quanto pareva, la coerenza non sembrava essere il forte di quei due
dissociati mentali…
Fu lo sconosciuto
soldato di Rodi a fermarsi per primo. Tergendosi un rivolo di sangue che gli
stava scendendo dal labbro spaccato, si alzò barcollante in piedi ed iniziò
ad allontanarsi da Hanamichi, che vedendolo andare via si sentì stringere il
cuore in una morsa…
Lo richiamò indietro
con voce concitata: “Allora, che cosa farai!?”
Dopo un attimo di
esitazione, gli giunse la risposta netta: “Parlerò al mio signore Kaede
Rukawa. Ricordati della promessa che mi ha fatto: niente rappresaglie sul
mio popolo, al momento della resa!”
“E tu ricorda che hai
la parola del massacratore di giganti, gorgoni, centimani e titani, il
grande Hanamichi Sakuragi…”
“Già… il grande
mentecatto!” borbottò di rimando quella volpe.
Dalla voce sembrava
proprio che stesse sorridendo.
“Mentecatto a chi?!
Affrontiamoci con la spada e poi vedremo se oserai ancora ripetere una cosa
simile!”
“Attento a ciò che
chiedi… figlio di Zeus!”
Sì, stava decisamente
sorridendo. Maledetto bastardo indisponente…
La giornata successiva
fu caratterizzata da una calma innaturale. In tutto l’accampamento degli
assedianti si parlava di pace, di fine delle ostilità. Giravano voci strane
fra i soldati, domande ansiose… davvero il sovrano di Rodi era in procinto
di arrendersi? Fra poco la cittadella sarebbe stata loro? Avrebbero potuto
finalmente salpare e fare ritorno alle loro famiglie?
Hanamichi Sakuragi si
aggirava fra i suoi uomini, immerso nei propri pensieri.
Molti avrebbero voluto
accostarsi a lui per chiedergli se le notizie circolanti avessero qualche
fondamento, ma il suo volto assorto e preoccupato scoraggiava perfino i più
temerari. I soldati sapevano che il sovrano di Andro era un uomo generoso e
giusto, anche se un po’ (troppo) megalomane ed indisponente… ma chi l’aveva
visto arrabbiato anche solo una volta sapeva di dover sempre dosare tatto e
prudenza negli approcci effettuati in momenti critici! C’era qualche
malcapitato che giurava di possedere ancora il bozzo provocato da una delle
famose testate di Sakuragi…
Dopo un paio d’ore di
passeggiate a vuoto, Hanamichi si bloccò e parve prendere una decisione. Si
diresse risolutamente verso la propria tenda, cinse la spada ed il mantello
e si apprestò ad uscire di nuovo. Era già sulla soglia, quando una voce lo
richiamò: “Che cosa hai intenzione di combinare?”
Sorrise, ribattendo:
“Perché questa domanda sembra così simile ad un’accusa, Yohei?”
“Semplicemente perché
ti conosco” affermò con sicurezza il suo amico, venendogli incontro
sorridente “Avanti, dove stai andando?”
“Non vedo perché non
dovrei dirtelo. Ho semplicemente intenzione di recarmi da Akagi per sapere
se gli è giunta qualche ambasciata dalla città assediata e per discutere con
lui sulle condizioni dell’eventuale resa. Ho intenzione di chiedergli di
essere clemente e di non lasciare ai nostri soldati spazio libero per
preoccupanti iniziative che potrebbero mutarsi in rappresaglie. Non voglio
inutili crudeltà o spargimenti di sangue… Rodi ha già sofferto troppo in
questa guerra!”
“Come mai ti sta così
a cuore la sorte di questi nemici?”
Questa domanda lo
spiazzò. Per nascondere il disagio sollevò il tono di voce: “Scusami, ma che
cos’è questo, un interrogatorio? Da quando devo avere delle ragioni
particolari per risparmiare la vita a degli esseri umani?! Mi stai accusando
di crudeltà ed individualismo… proprio tu?! Mi fanno orrore i massacri
compiuti verso esseri indifesi, tutto qui! Credevo tu lo sapessi”
Mito subito si tirò
indietro, sollevando le mani: “Ehi, va bene! Mi dispiace, non volevo
ferirti. Conosco la tua indole… forse meglio di ogni altro, Hana. Non serve
essere così scontrosi, comunque! La mia era solo curiosità! Vai pure, se
vuoi…”
Perché diamine Yohei
gli dava sempre la fastidiosa impressione di sapere più di quanto dovesse e
di capire più di quanto potesse?! Era l’unica persona che riusciva a farlo
sentire indifeso… non fisicamente, questo era ovvio, ma psicologicamente.
Situazione assai più pericolosa, a dir la verità…
Una volta uscito dalla
sua tenda, la divertita voce dell’amico lo raggiunse di nuovo: “Ah, Hana… a
proposito! Sai… si dice che di notte, sulla spianata davanti alla
cittadella, si possano fare incontri notturni… ‘particolari’! Tu non ne sai
nulla? Chissà… con tutte queste tue passeggiate notturne, mi chiedevo se…”
Maledizione…
“Yohei… credo che
nemmeno all’Ade vorranno mai avere a che fare con un ficcanaso come te!”
La risata divertita
del compagno lo fece sentire miseramente scoperto.
Giunse in prossimità
della tenda del comandante Akagi, situata al centro dell’accampamento
dell’esercito della Lega. Aggrottò la fronte, stupendosi di trovarla così
affollata: un drappello di soldati sostava infatti all’esterno di essa,
circondato a sua volta da parecchi curiosi e da semplici sfaccendati.
Immediatamente comprese il motivo di tanta ressa: quel manipolo di uomini
armati… si trattava della scorta di un’ambasciata inviata dal sovrano di
Rodi! Probabilmente ora, all’interno della tenda, si stava parlamentando.
Per il tridente di
Poseidone, perché non era stato convocato o perlomeno avvertito di quella
riunione?
Si fece largo a
spintoni in quella folla di militi sfaccendati ed indiscreti e, senza
nemmeno farsi annunciare, sollevò un lembo del telone d’ingresso e si
intrufolò nella vasta tenda del comando. Nessuno osò fermarlo, dato il suo
rango e la sua risaputa irascibilità. Fatta irruzione all’interno, vide una
ventina di volti corrucciati fissarsi su di lui. Non si lasciò intimidire né
dai mormorii di disappunto causati dalla scortesia della sua entrata
violenta, né tanto meno dal cipiglio pericolosamente irato di quel monte
Olimpo di Akagi. Notò con la coda dell’occhio che erano presenti sia Mitsui
che Maki… e questo accrebbe la sua irritazione!
“Perché non sono stato
convocato?” sbottò immediatamente, con sguardo lucido d’ira.
“Perché è risaputo che
tu non sei un tipo adatto alla diplomazia, scimmia. Il modo in cui ti stai
comportando ne è la palese dimostrazione!” asserì subito quell’ex pirata
sfregiato, non preoccupandosi nemmeno di mascherare l’insolenza della voce.
“Nemmeno tu potresti
essere definito propriamente un tipo serio e posato…” rimbeccò, sfidandolo
con gli occhi.
La diatriba sarebbe
proseguita ancora per molto, inevitabilmente degenerando, se non fosse
intervenuta in modo tempestivo la voce autoritaria di Akagi: “Smettetela,
voi due! State offrendo uno spettacolo di cui farei volentieri a meno. Avevo
evitato di chiamarti proprio per questo… ed a quanto pare avevo ragionato in
maniera saggia, Sakuragi. Comunque, ora sei qui, quindi restaci e cerca di
assumere un atteggiamento corretto, almeno per rispetto verso il delegato di
sua maestà Kaede Rukawa, il nobile Kiminobu Kogure”
Hanamichi era stato
accecato a tal punto dalla consapevolezza dell’affronto subito, da non aver
notato subito quei sacerdoti in veste bianca che, posti esattamente di
fronte a lui, accompagnavano un giovane dall’aspetto serio e controllato. Lo
fissò. Poteva avere appena qualche anno in più di lui! Quei vigili ma
rispettosi occhi castani ricambiarono il suo sguardo con cortesia,
dimostrando anche una certa simpatia.
Mh… dunque era lui il
tipo di cui si era innamorato quel pirata sfregiato, e su cui tanto si
favoleggiava! Beh, sì… non era dotato di una bellezza sfolgorante, ma
Hanamichi dovette ammettere che il suo atteggiamento posato, il viso dolce e
gentile ed i morbidi occhi scuri sapevano esercitare una certa attrattiva.
Inoltre, Sakuragi intuì anche che quella cortesia celava un carattere
insospettabilmente forte e grintoso. Una persona degna di rispetto, insomma!
Lo salutò con un cenno
del capo e si spostò verso i lati della tenda, deciso a seguire il dialogo
che si stava sviluppando. Purtroppo, sembrava che fosse giunto decisamente
tardi: si stavano già tirando le somme del discorso.
Akagi riprese a
parlare, rivolto a Kogure: “Dunque, le vostre condizioni di resa sono
semplicemente queste: nessuna rappresaglia violenta, niente prigionieri fra
donne e bambini, nessuna vendetta sui soldati sconfitti, rispetto per i
sacerdoti e le sacerdotesse. Tutto qui? Non vi opponete alla requisizione
delle ricchezze, alla nomina di un nuovo sovrano, alla condizione di
sudditanza nei confronti della Lega?”
Kiminobu abbassò lo
sguardo e rispose: “No. Ci arrendiamo, quindi sappiamo di non poter
pretendere nulla di più. Kaede Rukawa non ha voluto abusare con le sue
richieste, sapendo che in tal caso non le avreste accettate. Egli si mette a
vostra disposizione ed è pronto ad aprirvi le porte della città domattina.
Accettate?”
Seguì un profondo
brusio. Si discusse a lungo sulla questione, ma alla fine il Consiglio si
dimostrò favorevole alle richieste. All’inizio, in realtà, molti si erano
dichiarati contrari a questa soluzione moderata, rimpiangendo la vendetta
che avrebbero potuto ottenere per i compagni morti o pensando alle numerose
schiave che avrebbero potuto catturare. Tuttavia, il desiderio di smetterla
con quello stupido conflitto fu più forte.
Era finita. L’isola
ormai era finalmente loro. Potevano tornarsene a casa…
Sakuragi non riuscì a
mascherare la propria soddisfazione, adombrata appena da un leggero
disappunto. Aveva oscuramente sperato che fra i soldati che avevano
accompagnato quell’ambasciata ci potesse essere anche lui… ma in
questo era stato deluso. Pazienza. Il giorno dopo… il giorno dopo, a costo
di rivoltare da cima a fondo la cittadella, l’avrebbe trovato.
Uscì dal tendone ed
iniziò ad allontanarsi. Si destreggiò fra le tende, dirigendosi lentamente
verso la parte dell’accampamento dove sembrava esserci meno trambusto per
poter trovare un po’ di silenzio.
Dopo l’ennesima
svolta, fu costretto ad appiattirsi ed a nascondersi dietro un telone.
Delle voci basse,
sussurranti… due figure stavano parlando con il tipico tono di chi per nulla
al mondo vorrebbe essere disturbato. Le aveva riconosciute subito.
Tese l’orecchio,
spinto dalla curiosità.
“… non parlare così,
ti prego! Lo sai che io non potrei mai…”
“Stai zitto! So
perfettamente cosa mi attende: diventerò tuo prigioniero. Il tuo schiavetto.
Avrai potere di vita e di morte su di me. E sai una cosa? Non lo accetto!”
“Ma… Kiminobu! Pensi
davvero che non mi importi nulla di te!?”
“Perché, non è forse
così… Mitsui? Cosa vuoi avere da me? Il mio corpo. Vuoi possedermi, vuoi
farmi tuo per semplice brama di possesso. E poi? Poi che ne sarà di me?!”
“Kiminobu, smettila!
Io ti amo, lo capisci? Ti ho amato sin dal primo istante… non voglio fare di
te uno schiavo, ma un compagno! Un amante. Voglio averti, è vero… ma non ai
miei piedi, bensì al mio fianco! Tu… una volta provavi qualcosa per me! Non
negarlo. Io ricordo ancora quel bacio… so che tu mi avevi corrisposto, prima
di respingermi!”
“Mitsui, io…”
“Non mi chiamavi in
questo modo, mesi fa!”
Un sospiro, seguito da
un mormorio rassegnato: “Hisashi, ascolta… non me la sento di…”
Hanamichi si
allontanò, badando a non fare rumore.
Quei due non avevano
affatto bisogno di una curiosità che era semplicemente un affronto ai loro
sentimenti.
Quando raggiunse la
postazione consueta dei loro incontri notturni, il ‘suo’ giovane sconosciuto
lo stava già attendendo lì. Era in piedi, con le braccia incrociate ed il
severo e perfetto profilo del viso svelato e nascosto da giochi di ombre fra
la luna e le nuvole. La sua bianca tunica si sollevava e si increspava sotto
la leggera spinta della lieve brezza notturna, aderendo a quel corpo
asciutto e muscoloso.
Era stupendo… avvolto
dai suoi misteri, dal suo silenzio, da una strana aurea di irrealtà. Era una
persona di cui tutto ignorava e di cui tutto voleva conoscere. Di cui tutto…
desiderava.
“Domani ci sarà la
capitolazione della cittadella” esordì asciuttamente quella voce profonda,
destandolo dalla sua contemplazione rapita.
“Già, è vero. Hai
mantenuto la promessa, dunque… ed è stato difficile convincere Kaede Rukawa
ad arrendersi?”
La risposta fu
piuttosto enigmatica: “Più di quanto immagini e meno di quanto credi. Dimmi,
cosa pensi che ne sarà di lui? Verrà mandato in esilio sotto la
‘sorveglianza’ di un membro della vostra Lega delle Isole? Una schiavitù
abilmente mascherata con belle parole…”
Hanamichi scosse il
capo, sentendosi stringere il cuore dalla replica che si sentiva costretto a
mormorare: “E tu? Che ne sarà di te? Se è vero che sei uno dei consiglieri
di Kaede Rukawa… allora non ti permetteranno di rimanere qui. Ti
allontaneranno per evitare il rischio che tu possa sobillare delle rivolte.
Anche tu verrai condotto via come prigioniero…”
Già, come prigioniero.
A chi sarebbe spettata la custodia di quel giovane sconosciuto? Sicuramente
il fortunato, ammirando quella bellezza eterea, non avrebbe resistito al
desiderio di appropriarsene, di approfittarsene, di… maledizione, questo no!
“Una preda di guerra…
ecco ciò che diventerò. E non lo posso accettare. Piuttosto, preferisco
togliermi la vita!”
Quelle parole secche e
decise lo gelarono.
Hanamichi coprì i
pochi passi che lo separavano da lui e gli serrò le mani sulle spalle,
stringendolo con violenza, quasi con disperazione… come se già vedesse
qualcuno pronto a prenderlo, a portarlo via. Non voleva perderlo… non voleva
lasciarlo andare!!
Quando parlò, il suo
tono era ricolmo d’angoscia: “Io non lo permetterò! Mi stai ascoltando? Non
lascerò che ti conducano chissà dove! Ti prego, dimmi il tuo nome… in tal
modo potrei chiedere ad Akagi che la tua custodia venga affidata a me! Io…
domani ti cercherò e ti troverò… non permetterò a nessuno di mettere le mani
su di te e di portarti lontano, a costo di dover ammazzare tutti quelli che
si frapporranno fra noi! Ti prenderò con me… tu con me non avrai mai nulla
da temere! Io… ti proteggerò…”
Quella voce gelida lo
interruppe: “Perché parli così? Mi stai offrendo la tua… ‘protezione’? Tutto
ciò è troppo ridicolo perché tu possa pretendere che io ti creda! Nessuno dà
nulla per nulla. Cosa vuoi ottenere da me? Cosa vuoi in cambio della tua
presunta ‘protezione’?”
“Cosa voglio ottenere
da te? Perché piuttosto non provi a domandarti cosa voglio darti?” mormorò
amareggiato Hanamichi, ammirando quegli occhi neri… stupendi, brucianti,
sfolgoranti di rabbia e di diffidenza.
“Non potresti offrirmi
nulla che mi interessi, se non la mia libertà. Non mi fido di te… non mi
fido di nessuno. Dimmi, perché ti stai interessando a me?”
“Perché ti amo”
Detto così,
semplicemente. Perché, in fondo, si trattava di una realtà estremamente
semplice.
Ed era estremamente
semplice il modo in cui quel sentimento potesse rendere tanto vulnerabili…
Vide quegli occhi
scuri spalancarsi a dismisura. Non poté impedire alle proprie labbra di
incresparsi in un lieve sorriso. Aveva rovinato tutto con questa
dichiarazione ad effetto? Ma che importanza aveva questa domanda, se il
‘tutto’ che in quel momento aveva nelle sue mani era per lui ‘niente’?
Voleva avere solo lui. Privo di lui, semplicemente non possedeva
nulla…
“Mi… ami?” mormorò
quella voce alterata “Non… non dire idiozie! Non sai nemmeno… chi sono! Non
mi conosci!”
“Ti conosco abbastanza
da sapere di poterti amare. Di doverti amare. Mi dispiace, ma non ho
la possibilità di evitarlo” controbatté tranquillo. Non si era mai sentito
più sicuro di sé prima.
Quel corpo immobile
accanto al suo venne scosso da un lieve fremito. Hanamichi approfittò di
quella passività, probabilmente causata dallo stupore, per avvolgerlo fra le
sue braccia e continuare: “Mi stai costringendo a mormorarti frasi d’amore
senza poter nemmeno pronunciare il tuo nome… ed è piuttosto ridicolo, non
trovi? Ma non ho bisogno del tuo nome per amarti. Ti amo! Non permetterò a
nessun’altro di toccarti o di guardarti. Ti troverò e… ti prenderò per me…”
Il suo misterioso
ascoltatore iniziò a divincolarsi con violenza nella sua stretta, sibilando
irosamente: “Lasciami andare, bastardo! Io non sono una tua proprietà, non
permetterti di pensarlo! Non so nemmeno perché ti stia permettendo di dirmi
queste assurdità…”
“Forse perché le vuoi
ascoltare…” sussurrò dolcemente, prima di sporgersi e di posare le proprie
labbra su quella bocca dischiusa.
Calda… era calda e
morbida…
Lo strinse contro il
suo petto, combattendo con la sua resistenza, catturandogli saldamente i
polsi, avvertendo il calore e la solidità di quei muscoli tesi contro i
suoi…
Improvvisamente,
inaspettatamente lo sentì rilasciarsi contro di sé. Era felicità… felicità e
passione… amore, amore rovente! Si sentiva ardere…
Subito dopo… avvertì
un furibondo dolore al labbro. Quel maledetto… glielo aveva morso con una
ferocia incredibile!
Lo lasciò, fece
qualche passo indietro e si portò una mano tremante alla bocca, sentendola
immediatamente bagnarsi di sangue caldo. Lo fissò incredulo, registrando
inconsciamente che entrambi (già, anche lui!) avevano il respiro
affannoso… ma per il medesimo motivo? Probabilmente no. Forse sì…
“Domani saprai il mio
nome, sovrano di Andro. Mi auguro anche che la giornata di domani si riveli
essere il nostro ultimo incontro”
Lo vide allontanarsi.
La voce con cui gli aveva gettato addosso queste frasi frementi ed indignate
era stata gelida… ma, verso la fine, aveva tremato.
Lo avrebbe trovato.
Sì, lo avrebbe trovato e rivendicato per sé. Perché era suo.
No… perché lui,
Hanamichi Sakuragi, lo amava.
Il sovrano Akagi,
condottiero dell’esercito della Lega, fece il suo ingresso nel palazzo del
re di Rodi, preceduto da Kiminobu Kogure e affiancato da una schiera di
sacerdoti. Lo seguivano i sovrani più importanti della Lega delle Isole. Fra
questi, spiccavano i capelli rossi di Hanamichi Sakuragi.
Stranamente, quel
giorno il giovane re non stava sfoggiando l’espressione orgogliosa e
strafottente tipica dei giorni di trionfo e di vittoria, quella con cui
voleva far intendere agli altri: ‘questo è tutto merito mio’. Il suo volto
era invece pensoso… rivelava un’ansia che sembrava quasi fuori posto sui
suoi lineamenti, abituati ad essere arroganti ed arditi. Inoltre continuava
a fissarsi freneticamente in giro, come se stesse cercando qualcuno in
particolare fra i dignitari di Kaede Rukawa.
La sua tensione
ingiustificata e la sua condotta irrispettosa verso la solennità della
situazione riuscirono a far innervosire Akagi, che voltandosi verso di lui
si trattenne a malapena dallo sferrargli un pugno su quel cervello atrofico.
“La vuoi piantare di
dimenarti in quel modo, Hanamichi? Si può sapere che diamine ti prende?!
Guarda che mi ricordo perfettamente della promessa che ti ho fatto, se è
questo che ti preoccupa: Kaede Rukawa è già tuo. Te l’ho accordato: i patti
erano chiari sin dall’inizio”
Kaede Rukawa?! Ma a
lui non importava più un accidente di Kaede Rukawa, che diamine! Era un
altro il viso che stava cercando e che non riusciva a trovare… ma dove
diamine poteva essere?
Doveva trovarlo…
doveva vederlo, stringerlo… il semplice ricordo di quel bacio lo faceva
infiammare! Il suo misterioso nemico… il suo amante desiderato. Lo voleva ad
ogni costo! Forse… forse si trovava nella sala del trono, dove li stava
aspettando il sovrano! Sì, doveva essere così…
Rassicurato, abbandonò
quel comportamento da perseguitato e riuscì a recuperare parte del proprio
contegno.
Il breve corteo, dopo
aver percorso un interminabile corridoio, si bloccò di fronte ad
un’imponente porta sprangata. Due sacerdoti si fecero avanti ed iniziarono
ad aprire le ante con lentezza e solennità.
La sala del trono. Di
fronte a loro si innalzava un imponente scranno dorato, sollevato rispetto
al pavimento da un piedistallo di cinque
scalini di marmo, sul quale si trovava eretto in una posizione fiera un uomo
che rivelava l’abitudine a comandare, a dare ed a ricevere rispetto. Una
decina di dignitari attorniavano il palco del trono, mantenendo un
atteggiamento rispettoso e la fronte bassa.
Gli occhi scuri di
Hanamichi percorsero in fretta la schiera dei funzionari, ignorando
completamente la persona assisa sul trono.
Nulla. Non c’era. Non
c’era!!
Allora, e solo allora,
concentrò lo sguardo velato di panico sulla figura centrale.
Il familiare brivido
lo colse del tutto impreparato.
Quel corpo forte e
slanciato… lui lo aveva stretto. Quegli occhi neri… no, non neri. Finalmente
poteva immergersi in essi, vederli illuminati dalla luce del sole… scoprire
le loro sfumature: le iridi erano blu… un mare in tempesta, agitato da
sentimenti di disprezzo, umiliazione rabbiosa e orgoglio ferito. Quei
zaffiri erano incastonati in un viso fine, nobile, puro. Quelle labbra…
calde e morbide, lui lo sapeva bene! Sottili, rosee, perfette. La chioma
corvina non era meno scura, anche se finalmente non attorniata dalle
tenebre.
Finalmente luce su
quel giovane che sconosciuto più non era.
Come aveva fatto a non
capirlo prima?!
Un sorriso di trionfo
gli incurvò le labbra. Ah, divorare quelle fattezze divine… ed era stupendo!
Era più di quanto potesse esistere, più di quanto il suo animo riuscisse a
sopportare.
Scostò con impazienza
quanti lo circondavano e si fece avanti, fino a portarsi ai piedi del trono.
Non sentì la voce irata di Akagi che lo richiamava indietro, non udì il
brusio dei suoi compagni né i mormorii dei dignitari…
C’erano solo quegli
occhi. C’erano solo loro due.
Esordì con una voce
vibrante per l’esaltazione e la fretta: “Kaede Rukawa, sovrano di Rodi, ti
dichiaro decaduto. D’ora in poi la tua persona sarà affidata alla mia
custodia. Io sono Hanamichi Sakuragi, sovrano di Andro…” esitò, poi abbassò
improvvisamente la voce, in modo da farsi udire solo da lui: “… tuo padrone
e tuo servitore, mia cara volpe…”
Fine prima parte
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