Nota dell'autrice: Finalmente mi
sono decisa a rendervi partecipi di questa piccola original di un solo
capitolo che ho scritto qualche tempo fa (qualche mese...).
L'ambientazione è un po' particolare: nonostante sia ambientata nella Parigi
dei giorni nostri, la storia è piena di riferimenti al 1800, il secolo del
Romanticismo, una corrente a cui sono particolarmente affezionata e che
spesso mi ha ispirato...
L'andamento è un po' lento, si concentra soprattutto sulle descrizioni e
sugli stati d'animo del protagonista...
Eroe romantico
di
Enys
Étienne aveva sempre odiato la pioggia.
Il suo martellare ostile, la sua cadenza ipnotica, l’oscurità che si
trascinava dietro; l’odore del terriccio bagnato, i pneumatici delle
automobili che stridevano sulle pozze d’acqua in mezzo alla strada, il
grigio plumbeo del cielo nuvoloso. Come potevano gli uomini condurre le
proprie vite immersi in un’atmosfera tanto pesante?
Non lo sentivano? Non sentivano il cuore oppresso e la mente annebbiata? Non
cresceva in loro la voglia di mescolare le proprie lacrime con le gocce
della sporca pioggia di città?
Appoggiò sul davanzale la lettera che stava scrivendo, lasciandola
incompiuta. Guardò per l’ennesima volta fuori dalla finestra della sua
camera, distogliendo subito lo sguardo per riportarlo su quel maledetto
foglio di carta. Era inutile… ogni volta che tentava, riusciva a scrivere
solo poche, insignificanti righe, per poi stracciare l’ennesimo foglio e
ricominciare da capo, ancora e ancora e ancora. Non dormiva più, ormai,
cercando nella sola musica l’ispirazione per quella lettera, quella
dannatissima lettera che gli stava tanto a cuore.
“Non riuscirei comunque a dormire, con questo tempo…”
Era pieno marzo, il mese degli acquazzoni primaverili, in cui il cielo dava
libero sfogo al suo dolore e alle sue lacrime. Perché piangesse, Étienne se
lo chiedeva da sempre. Sua madre gli aveva detto un giorno, quando lui era
bambino, che il cielo non era triste, che quelle erano lacrime di gioia per
l’estate che si avvicinava, per il sole che sarebbe tornato a scaldare le
fredde membra degli uomini, ma a lui non era mai piaciuta come risposta.
Quelle nottate immerse nell’oscurità, col silenzio rotto solo dal ticchettio
della pioggia sui vetri, gli avevano sempre ispirato angoscia, solitudine,
malinconia… ma non gioia. Non avvertiva l’energia che riempiva i bambini in
quel periodo, spingendoli a correre per le strade con la bocca aperta verso
il cielo per assaporare l’acido sapore di quell’acqua inquinata.
Si sentiva un uomo incompreso, immerso in una sofferenza così profonda che
solo lui poteva sopportare. Non negava di sentirsi superiore, in un certo
senso… più sensibile alla bellezza e al fascino della natura, conscio della
sua infinitezza e della sua eternità più di chiunque altro.
Si rendeva perfettamente conto di essere nato nell’epoca sbagliata… Il 1800
era il suo ideale, il secolo del Romanticismo, di quel
vague des passions che permeava le
opere di Chateaubriand, Lamartine, Alfred de Musset, Victor Hugo,
dell’italiano Foscolo, del tedesco Goethe, e di tutti gli altri autori
romantici che facevano parte della sua personale collezione letteraria e che
erano il fondamento del suo stile di vita. Ogni tanto si sedeva sulla
poltrona più comoda del piccolo appartamento, vicino allo stereo, con le
casse che mormoravano il vivace ritmo delle opere di Vivaldi, o quello più
epico di Wagner, o ancora l’opera che più lo commuoveva e metteva in
soggezione, il Requiem di Mozart.
Sedeva lì, ad occhi chiusi, con un
Chatterton o un I dolori del giovane
Werther aperto sulle ginocchia, e sognava. Sognava di partire, di
andare in un'altra città, in un altro stato, in un altro continente, in un
altro mondo. Sognava di attraversare il confine tra vita e morte e di
scrutare l’inscrutabile, quell’al di là che sembrava spaventare molti uomini
e affascinarne molti altri. Sognava di perdersi in una violenta tempesta nel
mezzo dell’oceano, e di essere sballottato senza pietà dalle raffiche di un
vento gelido e tagliente che gli feriva il corpo e gli ghiacciava la mente.
Sognava di lui.
E solo quando lui invadeva i suoi
sogni, Étienne riusciva ad addormentarsi con il sorriso sulle labbra,
accompagnato dolcemente in un sonno profondo e ristoratore da due grandi
occhi verdi come le foglie d’estate. Solo quando il suo viso delicato ed
etereo invadeva il suo spazio visivo, si sentiva felice di essere nato nel
Ventunesimo secolo, di vivere alla periferia di una metropoli come Parigi e
di aver deciso di uscire quella sera di due mesi prima. Se i suoi sogni si
fossero avverati, se Dio lo avesse fatto risvegliare una mattina nel letto
di un nobiluomo del Diciannovesimo secolo, non
lo avrebbe mai incontrato.
Non ci avrebbe parlato, né avrebbe mai sentito il suono della sua voce e la
delicatezza della sua pelle. Non avrebbero discusso per ore di letteratura,
musica e filosofia; non avrebbero affrontato il mondo intero per difendere
la loro amicizia.
Non avrebbe mai sentito il calore del suo corpo, né il sapore delle sue
labbra.
Non avrebbe giocato con i suoi morbidi capelli o con le sue mani affusolate.
Non avrebbe fatto l’amore con lui in una gelida notte di febbraio, barricati
in quello stesso appartamento alla luce di poche, strategiche candele.
Il suo sguardo volò sul letto che giaceva sfatto contro il muro opposto alla
finestra. Inafferrabili immagini dei loro due corpi intrecciati nel momento
del piacere culminante gli strapparono un sorriso amaro e gli fecero salire
le lacrime agli occhi.
“Julien…” soffiò come se fosse un respiro.
Un mese. Era trascorso un intero mese dall’ultima volta che si erano visti,
in quella fatidica notte d’amore. Per qualche giorno, avevano continuato a
scriversi e-mail, a telefonarsi alle ore più impensate, a strappare qualche
minuto alle rispettive pause lavorative per incontrarsi e salutarsi anche
solo di sfuggita, e poi… più niente. Niente messaggi, sms, chiamate. Niente
di niente.
Julien si era semplicemente volatilizzato nel nulla, senza lasciare
recapiti.
La sua famiglia sembrava non saperne nulla, e sicuramente non si sarebbe
confidata con quello che ritenevano il colpevole della… “diversità” del
ragazzo. Inutilmente i due uomini avevano cercato di mantenere rapporti
sereni con i rispettivi parenti; erano stati giudicati, criticati,
disapprovati da tutti. Lui, Étienne, era stato sbattuto fuori di casa senza
troppe cerimonie, con un assegno al mese che bastava appena per pagare
l’affitto di quel misero appartamento; aveva trovato lavoro presso una
grande biblioteca non lontano da casa sua, riuscendo in questo modo a
mantenere un dignitoso livello di vita. Julien era stato più fortunato: dopo
che la situazione in famiglia era diventata insostenibile, si era trasferito
nella casa della sorella e di suo marito, due persone eccezionali, felici di
poter aiutare il giovane con ogni mezzo possibile. Lo avevano sostenuto in
ogni decisione da lui presa, giusta o sbagliata che fosse, interessandosi ma
non immischiandosi nella sua vita privata. Paul, il marito della sorella, lo
aveva assunto come cameriere nell’albergo che gestiva, permettendogli di
pagare l’affitto della sua camera e una piccola quota delle bollette e della
spesa settimanale.
Erano stati felici, avevano sfiorato il cielo con un dito.
Avevano ricostruito tra quattro mura un paradiso che la tradizione diceva
perduto.
“Julien… dove sei…”
Qualche lacrima rigò il viso dell’uomo, scivolando lungo le sue guance
arrossate dal freddo, fino al mento, per poi lasciarsi cadere sul davanzale
della finestra, su quel foglio di carta, al posto di tutte le parole che il
cuore di Étienne conosceva bene, ma che la sua mente non riusciva ad
esprimere. Aveva così tante cose da dire, così tanti pesi che gli
opprimevano il cuore, e tutto ciò che era riuscito a scrivere era stato:
Mio amato Julien,
è da un mese che non riesco a raggiungerti. Non so dove sei, non so se hai
bisogno di aiuto, non so se è mia la causa della tua improvvisa scomparsa.
Non so nemmeno se sei ancora vivo.
Rilesse lentamente quelle poche parole.
No…
Non riuscivano ad esprimere tutto il dolore e la rabbia che lo pervadevano,
non si percepivano l’angoscia e la disperazione.
Cosa poteva fare?
E se anche fosse riuscito a trovare le parole giuste per portare alla luce i
suoi veri sentimenti, che cosa ne sarebbe stato di quel frammento di
cellulosa? A chi lo avrebbe consegnato?
Al vento, affidandosi al volere di Dio e alla Provvidenza, perché lo
facessero atterrare davanti agli occhi del suo amore?
Al fiume, sigillato dentro una bottiglia, confidando che si arenasse ai
piedi del suo Julien?
Al fuoco, perché quelle parole volassero fino a lui e lo investissero con il
loro bruciante appello?
Alla terra, perché i ricordi non lo sopraffacessero, seppellendo una volta
per tutte quella storia che ormai apparteneva al passato?
Si afferrò la testa con le mani, in preda ad un violento attacco di
tristezza. Come poteva vivere senza di lui? Da quando l’aveva conosciuto,
non era più riuscito a concepire una vita in sua assenza. Quegli occhi verdi
lo avevano soggiogato, il suono della sua voce lo aveva schiavizzato, e il
sapore della sua pelle lo aveva reso dipendente. Aveva avuto così poche
occasioni di assaggiare le sue labbra… di strappare piccoli attimi di
eternità ad un tempo implacabile.
Riprese in mano la penna e la lettera, asciugandosi le lacrime con il dorso
della mano. Doveva riuscire a finirla… non importava se Julien non l’avrebbe
mai letta, doveva farlo per se stesso, doveva liberarsi di tutto il dolore
che lo straziava.
Si ricordò all’improvviso di un passo del
René di Chateaubriand, probabilmente la sua opera più famosa, la
perfetta immagine dell’eroe romantico di quel secolo. Sfogliò la sua mente
alla ricerca di quella frase che da sempre lo aveva colpito per la sua
tremenda veridicità. Le sue labbra si mossero appena nel recitare quel
frammento come se fosse un mantra: “Notre
cœur est un instrument incomplet, une lyre où il manque des cordes, et où
nous sommes forcés de rendre les accents de la joie sur le ton consacré aux
soupirs.” [1]
Oh, quant’era vera quell’affermazione ! Non era riuscito a vivere fino in
fondo la sua felicità nel momento che gli era stato concesso. Aveva goduto
nel trovare un’anima affine alla sua, una mente capace di comprenderlo e di
assecondarlo. Aveva visto Julien come la sua àncora di salvezza, si era
aggrappato a lui con tutte le sue forze per resistere alla dolce tentazione
di farla finita una volta per sempre. Aveva vissuto la felicità di quegli
istanti sulla base della sua passata disperazione. Aveva “reso gli accenti
della gioia sul tono consacrato ai sospiri”.
Strappò il foglio in mille pezzi, gettandoli a far compagnia ai numerosi
altri che riempivano il cesto dell’immondizia. Prese altra carta da lettere,
la posizionò sul tavolo davanti a lui, e ricominciò.
Mio amato Julien,
il tuo ricordo mi tormenta da quella notte in cui ho sentito che tu mi
appartenevi, e che io appartenevo a te. Senza possibilità di sbaglio, senza
possibilità di fare un passo indietro. Quella notte ha segnato per sempre la
mia vita, e mai mi pentirò di quello che abbiamo fatto. Abbiamo raggiunto le
porte del paradiso, che Dio mi perdoni la bestemmia, e siamo stati
scaraventati di nuovo sulla terra nell’attimo in cui pensavamo di poterle
attraversare. Tu mi hai insegnato che cos’è la vera felicità. Non quella che
conoscevo io, uno stato d’animo che sostituiva quello di disperazione nei
giorni in cui il sole splendeva, gli uccellini cantavano e i bambini
ridevano sotto la finestra della mia casa, per poi ritrasformarsi in
malinconia non appena sentivo il fitto ticchettio della prima pioggia
primaverile. La felicità è qualcosa di più elevato, che gli uomini cercano
per tutta una vita e che spesso non trovano. Io sono stato fortunato, ho
incontrato te. A venticinque anni dal giorno della mia nascita ho scoperto
che esiste un mondo di cui non avevo idea, in cui si può raggiungere l’apice
del piacere. In una notte, una sola notte, tu mi hai mostrato l’ingresso a
questo mondo.
Non so dove sei, non so come raggiungerti. Sento che il tuo cuore mi chiama,
ma non riesco a seguirne la voce. Sei così lontano, amore mio…
Amore mio. Non credo di avertelo mai detto mentre eravamo ancora insieme.
Non credo di averti mai detto le famose due parole che ogni innamorato sogna
di sentirsi dire. Ma non ce ne è mai stato bisogno, o sbaglio? Tra noi ci
sono sempre state molte parole, così tante da farmi girare la testa… ma
nella sostanza erano i nostri sguardi a parlare. I tuoi occhi persi nei
miei, e i miei nei tuoi. Altre parole mi sarebbero sembrate solo superflue.
Ma forse non ti ho mai compreso. Forse era proprio quello che desideravi di
più, sentirtelo dire… ebbene, lascia che te lo dica adesso, perché ho
finalmente capito quello che è realmente importante nella mia vita.
Ti amo.
Non era difficile. Comincio a pensare che avrei dovuto dirtelo più spesso.
Ora vorrei solo gridarlo al mondo intero. Chi se ne importa dei nostri
genitori, degli amici che ci hanno voltato le spalle, dei pregiudizi della
gente!
Io ti amo, e tanto basta.
Perché sei andato via, amore mio? Perché te ne sei andato via da me? Sei
scappato, sei stato obbligato, c’era qualcosa che ti aspettava in un altro
luogo lontano da qui? Qualcuno che ora ti stringe come vorrei fare io?
Non lo credo.
Ora sono solo, non vedo la luce in fondo alla galleria.
Tutto ciò che spero, è solo di poterti rivedere, un’ultima volta…
Con tutto l’amore di cui dispongo.
Tuo, per sempre,
Étienne
Rilesse la lettera con calma, soppesando ogni parola, cercando errori o
punti da approfondire, ma non ce n’era bisogno. Era perfetta. Scritta di
getto in una decina di minuti, senza pensare troppo ad un filo logico.
Questo era quello che cercava: frasi che gli sgorgassero direttamente
dall’anima, senza passare attraverso il controllo razionale della mente.
Parole che esprimessero tutta la sua malinconia, il suo dolore, il suo senso
di… solitudine.
Chiuse gli occhi, facendosi cullare dalle note del
Lacrimosa di Mozart, e si perse in
un sonno senza sogni.
*******
È stato trovato questa notte, lungo le rive
della Senna, il corpo del giovane Julien-François Morillac, la cui scomparsa
era stata denunciata dalla famiglia più di un mese fa. Sul corpo della
vittima sono state trovate tracce di violenze carnali e torture.
Dell’assassino, e degli assassini, ancora non si conosce il numero esatto
dei rapitori, si sono perse le tracce. Le indagini della polizia…
Spense il televisore con mano tremante, lasciandosi cadere a peso morto
sulla solita poltrona. Non riusciva nemmeno a piangere. La notizia era così
sconvolgente che non poteva essere vera. Sicuramente uno scherzo della sua
mente impazzita.
Sì… doveva essere così…
Quando il telefono squillò, lasciò che partisse la segreteria telefonica,
continuando a guardare il televisore spento come se dovesse trasformarsi da
un momento all’altro in un mostro che lo avrebbe divorato.
Dopo il segnale acustico, la voce di un ragazzo si diffuse nella stanza.
Sembrava agitata, e pervasa di disperazione, quasi roca: sicuramente il
proprietario doveva aver pianto parecchio.
“Étienne. Étienne sono David [2], lo
so che ci sei.” singhiozzo “Ti prego, alza la cornetta. Étienne, hai sentito
la televisione? L’hanno trovato. Questa notte. Lungo…” un altro singhiozzo,
questa volta più forte “…lungo le rive della Senna. Étienne ti prego,
rispondi… Étienne, non fare cose avventate… Étienne…”
David andò avanti ancora a lungo, invocando il suo nome, ma Étienne non lo
sentiva. Non poteva rispondere… Rispondere avrebbe significato ammettere che
quello che aveva visto al telegiornale era la verità. Rispondere avrebbe
significato sapere che Julien era davvero stato torturato, seviziato e
ammazzato lungo le rive della Senna, le stesse che poteva vedere quasi ogni
giorno quando passeggiava per le vie della città. Rispondere avrebbe
significato che era davvero tutto finito…
“Étienne rispondi! Étienne !”
*******
“Guarda Julien, anche oggi piove. L’ho sempre detto che la pioggia porta
solo tristezza e desolazione…”
Era inginocchiato davanti a quella lapide di marmo da più di un’ora, ormai.
Il funerale si era svolto tre giorni prima, ma ovviamente non gli era stato
permesso di partecipare. David aveva assistito con lui alla celebrazione da
lontano, nascosti alla vista di quegli ipocriti dei parenti del ragazzo che
versavano lacrime inutili e fittizie. Lo aveva sostenuto nel momento in cui
le sue gambe non lo avevano retto, e lo aveva accompagnato a farsi consolare
dalle braccia di Paul e Amélie, le uniche due persone della famiglia che
avessero davvero amato Julien. David non lo aveva mai abbandonato per quel
giorno, timoroso che se lo avesse lasciato solo avrebbe commesso qualche
sciocchezza. Ma poi si era rassicurato, e gli aveva semplicemente
raccomandato di chiamarlo in caso di bisogno.
Étienne gli era immensamente grato. David aveva sempre avuto la capacità di
restargli vicino senza invadere il suo spazio, senza rendersi invadente.
Guardò ancora una volta la foto incorniciata: Julien sorrideva, il che non
era raro, ed era un sorriso vero, non tirato come quello di chi si mette in
posa per una fotografia. Erano riusciti a catturare un istante della sua
vita, un momento di pura serenità, in cui i suoi occhi non riflettevano
altro che gioia di vivere e amore. Era così che voleva ricordarlo, con gli
occhi brillanti e il sorriso disegnato sul viso; un’opera d’arte degna del
miglior artista.
Sistemò i candidi fiori che aveva portato in un vaso davanti alla tomba, e
fece per alzarsi, quando si ricordò all’improvviso di una cosa. Infilò la
mano in tasca, tremando leggermente, e ne trasse un foglio di carta scritto
su un lato. Lo rilesse con attenzione: era la lettera che aveva scritto a
Julien solo pochi giorni prima. Quale modo migliore di fargliela avere?
“Ora so dove ti trovi, Julien… posso darti questa lettera di persona…”
La infilò per metà sotto il vaso perché il vento non la portasse via. Alcune
lacrime cominciarono a sgorgare dai suoi occhi arrossati.
“Perché ti è successo questo.. perché a te…”
Si raggomitolò su se stesso, tra il fango e la pioggia, appoggiando le
labbra sulla fredda superficie di vetro che proteggeva quella meravigliosa
fotografia di un ventenne morto per la pazzia di qualcuno. Le lacrime
scorrevano ora copiose sulle sue guance, andando a mescolarsi con la pioggia
e l’acqua dei fiori. I singhiozzi lo scuotevano, nonostante facesse il
possibile per tenerli a bada.
La gente che passava lo guardava con compassione, facendosi il segno della
croce e invocando Dio perché sostenesse quel ragazzo distrutto dal dolore.
“Julien! Oddio… mio dio, Julien! Perché mi hai lasciato? Sei solo un
egoista! Un bastardo egoista!”
Non si rendeva conto delle sue parole, voleva solo che la stretta attorno al
suo cuore si attenuasse leggermente e lo facesse respirare.
Passarono due ore prima che Étienne si decidesse a prendere congedo da
Julien. Per sempre. Guardò quella fotografia per l’ultima volta, rispondendo
alla gioia del ragazzo con un sorriso sincero e aperto. Voleva salutarlo con
il sorriso sulle labbra, non con le lacrime che gli rigavano il viso.
“Addio, amore mio…”
Si allontanò senza voltarsi indietro, diretto verso la Senna e il centro
vero e proprio della capitale francese. Il suo animo era più leggero, ora
che non aveva più niente in sospeso. Tutto quello che aveva da dire a Julien,
era scritto su quella lettera. Per quanto riguardava gli altri… i suoi
genitori lo avevano abbandonato, non ne avrebbero risentito più di tanto.
David… gli dispiaceva per lui, ma avrebbe capito. Lo tormentava solo il
fatto che per colpa sua avrebbe pianto altre lacrime, avrebbe sofferto
ancora una volta.
Imboccò il primo ponte che gli capitò a tiro, portandosi al centro. Non era
molto alto, ma per quello che aveva intenzione di fare sarebbe stato più che
sufficiente.
Sorrise tristemente, pensando al suo amato Diciannovesimo secolo. Molto
spesso le opere degli autori romantici erano impregnate del tema della
morte, e quante volte il protagonista terminava le sue vicende suicidandosi!
Lo faceva Chatterton di Vigny, e Dauphine di M.me de Staël, forse anche René
di Chateaubriand, ma non era importante… com’era patetico che in un momento
del genere avesse ancora voglia di parlare di letteratura!
Eppure, fino all’ultimo, avrebbe vissuto come un eroe romantico a tutti gli
effetti. Chissà cosa avrebbero detto la gente e i giornali di lui. Un
anonimo ragazzo di vent’anni stanco della vita, che aveva deciso di non
avere più motivo e voglia di lottare in questo mondo di assassini.
Avrebbero capito? David sì, gli altri probabilmente no.
Sinceramente non gli importava.
Guardò in basso, verso la Senna che scorreva tranquilla nel suo letto. Ah,
se avesse potuto parlare! Quante nefandezze erano state compiute sulle sue
rive, quanti efferati crimini! Quanti cadaveri erano scivolati lungo le sue
sponde, trascinati dalla corrente.
“Per una volta non dovrò sentirmi superiore… sarò solo uno dei tanti…”
Prese un profondo respiro per calmare i battiti del suo cuore, e si lanciò
nel vuoto. Negli occhi, le immagini di quell’unica, indimenticabile notte, e
il sorriso di quella fotografia, che lo accoglieva in un mondo in cui il
dolore sarebbe stato finalmente solo un ricordo.
Chiuse gli occhi Étienne mentre precipitava, con il cuore leggero e il
sorriso sul volto.
FINE
Note:
[1] trad. mia personale: “Il nostro cuore è uno strumento incompleto, una
lira cui mancano delle corde, e con cui siamo forzati a rendere gli accenti
della gioia sul tono consacrato ai sospiri.” (François-René de Chateaubriand,
René)
[2] da leggersi alla francese, con l’accento sulla I : Davìd.
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