DEDICHE: questa fic è tutta per soffio! Auguri di buon compleanno! Stavolta la sys Silene, la sys Lucy, Lal e la kitsune si fanno rispettosamente da parte… RINGRAZIAMENTI: beh, a Soffio per essere quel che è, a Najka che legge commenta quello che scrivo e a tutte le anime pie della ML che fanno lo stesso! DISCLAIMERS: i psg sono quasi tutti di Takehiko Inoue. La canzone invece è di Mina (ovviamente con le dovute licenze poetiche…) NOTE: tra gli asterischi i flash back, in corsivo il testo delle canzoni/poesie, i cambi di POV sono segnalati…tutto come sempre insomma! NOTE 02: allora, come avevo già detto, non c’è un finale. Questa è la terza E ULTIMA parte della trilogia formata con Giardino Proibito e Volersi Male, ma si tratta di una side story conclusiva, in cui Hana e Ru neanche si vedono. Purtroppo niente lieto fine stavolta, sorry! Infatti chiedo scusa in anticipo a Soffio de le prometto qualcosa di più allegro appena mi torna l’umore ^_^ NOTE 03: in realtà di yaoi c’è molto poco… Ma la posto comunque perché fa parte della trilogia ^^ NOTE O4: voi mi volete bene vero? ^^’’’
E poi... di Marty
***********************FLASHBACK*************************
“Amore, sono tornato!” Ma non ci fu risposta. Il giovane uomo si ravviò i capelli scuri sorpreso. Eppure la sua fidanzata a quell’ora avrebbe dovuto già essere a casa… In quel momento si udirono dei passettini veloci all’ingresso e Haruko entrò trafelata, con la spallina del vestito a fiori che le aveva regalato per il suo compleanno di traverso e ciocche scomposte che gli incorniciavano il volto in modo inusuale. Le guance arrossate erano un evidente segno della corsa che aveva fatto. “Dove sei stata?” chiese lui, mantenendo la calma. Un sussurro in risposta. Un sussurro che gli gelò il sangue. “Cosa?” chiese. No, aveva sicuramente capito male. “Ricominciare, poi…che senso ha?” La ragazza scosse il capo, mentre una lacrima le rigava il viso. “Fare l’amore…e poi…” un singhiozzo le bloccò la frase in gola. Poi sedette sul divano, imitata dal compagno a cui mancava improvvisamente il suolo sotto i piedi. Nessuno dei due parlava, ma entrambi sapevano che stava a lei. Quindi fu la sua timida voce ancora da bambina nonostante i ventiquattro anni quasi compiuti a spezzare quel silenzio. “Io con te mi sento in colpa…solo un po’, che per me è già abbastanza…” Posò lo sguardo sulla persona che le stava accanto da sette anni ma non riuscì a sostenere il suo, così spostò l’attenzione sui fiori che come ogni volta che partiva le portava per farsi perdonare dell’assenza. Un sorriso amaro le incurvò le labbra. “Non riesco più a guardarti…e perché no? Non è stato in questa stanza…” Gli occhi del ragazzo s’incupirono, mentre tornava a ravviarsi i capelli con un gesto che ad Haruko era familiare. Provò una stretta allo stomaco: da quando l’aveva convinto a lasciarli crescere perché a lei piaceva tanto accarezzarli e passarci le dita, erano diventati un po’ la spia rossa che l’avvisava quando era nervoso. Ed era molto comodo, perché aveva sempre quell’espressione condiscendente ed il sorriso gentile che impedivano di capire cosa sentisse davvero. Ma non era certo il momento per i ricordi nostalgici, quello: dopo quanto accaduto quel pomeriggio, doveva assolutamente chiarire la situazione una volta per tutte. Anche se questo avrebbe voluto dire ferirlo molto profondamente, lui doveva capire quello che lei già sapeva da troppo tempo. “Mi lasciavi sempre sola, Kami sa quante volte ho detto no al mio cuore che sanguinava e alla mia testa che voleva smettere di pensare a te…” “Ma…è stato uno sbaglio, è umano, io…capisco e…dai, possiamo provare a…” “…Ricominciare? Che senso ha? E fare l’amore, poi, che senso ha se diventa un qualcosa di dovuto e non trasmette più nulla?” Lui sussultò. Se n’era accorta, allora. “Va bene, ho sbagliato, ma posso cambiare! Io…” “No, ti prego! Le tue promesse sono sempre le stesse e io non le sopporto più! Sai meglio di me che non valgono nulla! E poi non posso adesso: davvero non potrei… Ho capito di amare un altro, di averlo forse sempre amato, e tu non mi hai stretta forte abbastanza nonostante lo sport e gli allenamenti…” aggiunse strappandogli l’ombra di un sorriso. Si alzò e si portò accanto alla porta della cucina, appoggiandosi allo stipite, mentre osservava la sua figura dinoccolata nella luce del sole che era ormai quasi del tutto tramontato. Il cuore le diede un balzo, ma ormai aveva deciso: era andata troppo oltre, per permettersi dei ripensamenti di qualsiasi tipo. Strinse i pugni, dandosi mentalmente dell’idiota. Aveva calpestato i sentimenti di troppe persone, aveva cercato di rendere il tutto il meno doloroso possibile soprattutto per se stessa, e non perché fosse un’egoista, ma perché già la sola idea di tradirlo le faceva così male che le sembrava di soffocare. “Quando sei tornato in mente, io e lui…eravamo già amanti…” Quelle parole lo colpirono come una frustata. Un altro. Con lei. Lei che era sua. SUA. Era successo di nuovo, di nuovo la persona più importante per lui in realtà non provava lo stesso. Stava per essere lasciato di nuovo solo. “Dare un taglio a tutto il resto, tu lo sai, mi è costato più che mai! I miei sogni erano importanti per me, le aspirazioni… I piccoli amori dell’adolescenza… Ho rinunciato a tutto per te, per starti vicino, ma non ci sei mai stato. Non mi hai mai fatta sentire davvero importante, e questo ha logorato i miei sentimenti, giorno per giorno. Dimmi, che senso ha ricominciare, fare l’amore, provare a tornare insieme come abbiamo già fatto sapendo fin dall’inizio come finirà? Seppelliamo tutto e basta, prima di arrivare ad odiarci…” Ti prego, non dire più nulla, non promettermi le stesse cose che non sai mantenere, non riempirti la bocca di un sentimento che non provi… Perché tu non mi ami… Il suo cuore la implorava di gettarsi fra le braccia di quel ragazzo che sembrava così fragile ora che lo stava lasciando solo, ma non poteva farlo…non poteva, avrebbe finito con lo spezzarsi davvero. Le dita fra i capelli, la bocca semi aperta, come con l’intenzione di dire qualcosa, la resa finale. Il capo che annuiva sconfitto. Haruko vide tutto questo da dietro un velo di lacrime, ringraziando il cielo che il progressivo scurire del cielo gli avrebbe impedito di vederle. Corse in camera, gettando alla rinfusa quanto di suo poté recuperare nel borsone che le aveva regalato Hanamichi. Un’altra stretta. Perdonami, amico mio, un giorno capirai. Per il resto sarebbe passata con suo fratello. Scese le scale a due a due e poi uscì, senza voltarsi indietro. Le lacrime stavano infatti per sfuggire al suo controllo. Il ragazzo, rimasto solo, si analizzò come suo solito. E scoprì che non gli faceva più male di tanto quanto accaduto, era il suo orgoglio a soffrire davvero. Era la consapevolezza di non poter avere ciò che voleva sul serio… Balzò in piedi. Cos’era quel pensiero? Quel volto… No! Non doveva pensarci! Lo scacciò con forza. Ma quello tornava alla carica, come un’onda insistente che non vuole andarsene. Così realizzò che se le sue supposizioni erano esatte, QUELLA PERSONA avrebbe dovuto trovarsi nella stessa situazione. Certo, al momento non era in città, e certo il suo compagno avrebbe saputo mentire meglio di quanto avesse fatto Haruko, però prima o poi lo avrebbe scoperto. E cosa avrebbe deciso? Magari…
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Ma ovviamente, per quanto ritardato, il giorno arrivò e con esso la tanto attesa telefonata. “Pronto amico? Come stai?” La voce dall’altro capo del telefono era allegra, ma la nota stonata di fondo denotava quanto fosse falsa. “Hana, non devi fingere con me, lo sai…” rispose dunque incoraggiante, mentre tratteneva il respiro in attesa. “Ecco, io…Kaede…Lui ed Haruko…me l’ha detto, un’ora fa.” “…E?”pregò che l’urgenza nella sua voce fosse passata inosservata al suo interlocutore. “…e ho deciso di perdonarlo, perché sai?, lui mi ama davvero…ma non lo sapeva…o meglio lo sapeva ma ne aveva paura…ora le cose andranno meglio…” I sogni e le flebili speranze caddero come un castello di carte instabile. Il ragazzo si lasciò cadere sulla sedia vicino al telefono. “Scusa…” aggiunse il rossino. “Per cosa?” l’altro si rianimò. “Beh, per non esserti stato vicino come avrei dovuto quando ho saputo che tu e Haruko vi eravate lasciati. Ma perché non mi hai detto niente? Siamo amici, se lo sapevi avresti dovuto dividere il peso con me…” Un sospiro. “Volevo aspettare che fosse Rukawa a dirtelo. Magari per lui era stata solo una cosa senza importanza e poteva diventare il ragazzo modello… Non avevo diritto di negarti la possibilità di essere felice…” “Ti voglio bene!” gli disse sinceramente l’amico, provocandogli un accelerazione cardiaca non indifferente. “Hana, senti…” azzardò titubante “ti va stasera di andare a bere qualcosa insieme?” “Certo amico! A che ora ti vengo a prendere?” Quando chiusero la comunicazione, il ragazzo andò a vestirsi, lasciando poi un po’ di vestiti sparsi tra sedia e futon; tanto viveva da solo e per una volta la sua maniacalità per l’ordine finì in secondo piano rispetto alla prospettiva di perdere preziosi minuti con Hanamichi. Certo non immaginava che di lì a poche ore avrebbe fatto sesso con il rossino su quegli stessi vestiti sgualciti.
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“Ci riproviamo” Tutto d’un fiato, buttato lì. Una doccia gelata. Un burrone di cui non si vedeva la fine. “Insomma, non vado bene neanche come sostituto? Non faccio bene l’amore? Eh? Non sono abbastanza stimolante per te? O forse preferisci farti sbattere da qualcuno capace solo di farti del male? Forse…” ma le sue parole cariche di dolore furono soffocate contro il petto ampio dell’ex rimbalzista. “Ssssh” gli sussurrò. “Non è per nessuno di questi motivi, e lo sai. Solo che non mi riesce di buttare nel cesso otto anni di vita insieme senza neppure cercare di recuperare qualcosa. Non ti ho preso in giro, ma è stato uno sbaglio e te ne chiedo scusa infinitamente.” Sciolse la stretta per poi allontanarsi. Ogni suo passo era una stilettata. Poi all’improvviso si fermò e voltandosi a guardarlo gli regalo il primo sorriso sincero dopo molti giorni. “Però la sai una cosa?” gridò agitando un braccio e mettendolo terribilmente in imbarazzo “sono contento di aver sbagliato con te!” E quella frase poteva sottintendere tutto oppure niente.
***************FINE FLASHBACK*******************
Driiiin. Driiiin. Il campanello suonava insistentemente. Strinse in un asciugamano i capelli bagnati, con l’accappatoio semi aperto che gli svolazzava intorno mentre correva ad aprire, rendendolo pericolosamente simile ad un supereroe piuttosto ridicolo. Spalancò la porta solo per trovarsi di fronte Hanamichi col borsone a tracolla. “L’ho lasciato” gli disse evitando di guardarlo, visto che si sentiva un verme. “Ti farebbe comodo un coinquilino?” Non ottenne risposta, così alzò il viso per guardare l’amico. Aveva un sorriso dolcissimo, il più luminoso che avesse mai visto. Non sapeva che il calore che stava provando in quel momento era lo stesso che gli aveva causato quel famoso giorno appartenente ormai ad un’eternità passata. “Entra, dai, stavo preparando il katsudon!” “Yum!” disse il rossino leccandosi i baffi. “Ma sia chiaro: io cucino e tu lavi i piatti!” aggiunse l’altro in tono che non ammetteva repliche. “Sei cattiiiiiivo” si lamentò il rossino. Ridevano entrambi quando il ragazzo chiuse la porta impedendo la visuale alla coppia che si trovava alla finestra della casa di fronte. “Sei davvero sicura di quello che hai fatto, Haruko?” chiese Takenori, preoccupato dall’aria stanca e triste della sorella minore. “Assolutamente, fratellone, era la cosa giusta. Quei due devono stare insieme. Rukawa è forte e poi è troppo egoista per soffrire a lungo. Gli passerà presto. Quanto a me…”sorrise. “Tanto non sarebbe stato mio in ogni caso, e dopo aver accettato che si era innamorato di Hanamichi è stata tutta discesa.” Akagi le si avvicinò e le scompigliò i capelli. “La mia sorellina è una guerriera” sentenziò con la voce intenerita. Haruko annuì, e poi si voltò di nuovo verso la finestra. Non si accorse neppure che il fratello era uscito dalla stanza. Tirò rumorosamente su con il naso. Beh, forse una settimanella di autocommiserazione se la poteva concedere, no? Accarezzò il vetro appannato, disegnando ghirigori senza significato. Poi si sedette sul futon e spense la luce, senza dimenticare la carezza fugace ad un paio di occhiali senza lenti. “Sayonara, Kiminobu…aishiteru…” sussurrò alla notte.
* OWARI *
ma da uno a dieci, quanto son bastarda? ^_^ beh, spero con questa di aver esaurito la depressione e poter tornare alle storie allegre!
Un bacio a tutti e fatemi sapere che ne pensate ok?
Marty
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