PARTE: 1/4
DISCLAIMER: Qs personaggi sono miei e ci
faccio quello che voglio
Enjoji
di Ki-chan
Era notte fonda. La città di Tokyo era dolcemente addormentata sotto
l’amorevole cura della luna piena.
Un individuo alto e molto elegante si apprestava ad entrare in un piccolo
vicolo buio dove avrebbe incontrare un uomo.
Era il figlio del capo della famiglia Koshino, nota organizzazione criminale
che operava nella capitale del Giappone. Il suo nome era Takenori, aveva
circa 20 anni ed era il secondogenito, ma ugualmente era il candidato più
accreditato alla successione del padre come nuovo capo della famiglia. Il
fratello, infatti, qualche anno prima aveva avuto un violento scambio
d’opinioni con il padre riguardo l’organizzazione delle attività della
famiglia, incrinando così, forse definitivamente il loro rapporto già
molto precario.
Takenori Koshino si era presentato in quel vicolo, apparentemente deserto,
per incontrare un uomo coinvolto con le attività criminali della famiglia.
Il vicolo era completamente avvolto nell’oscurità, decise in ogni caso di
proseguire fidandosi, imprudentemente, dell’uomo che avrebbe dovuto
incontrare.
Sentì un rumore alle sue spalle. Quando si girò, l’uomo che stava
aspettando non era presente, al suo posto c’era un uomo molto alto e
caratterizzato da una cicatrice che gli deturpava il volto, seguito da
quattro uomini vestiti di scuro. Takenori lo riconobbe immediatamente, cercò
di estrarre la pistola ma fu anticipato dal suo antagonista che lo colpì in
pieno petto, all’altezza del cuore.
Ritrovarono il corpo la mattina seguente.
*** ***
Era una splendida giornata d’estate, le vacanze stavano giungendo al
termine, due bambini camminavano ridendo e divertendosi per la lunga salita
che portava alla grande villa, residenza estiva della famiglia Koshino e dei
collaboratori più fidati. Il bambino più giovane aveva circa sei anni
mentre l’amico aveva due anni in più, anche se sembrava molto più
grande.
Avevano giocato a calcio, come testimoniavano le macchie di fango ed erba
sui loro vestiti e il pallone da calcio che il più piccolo custodiva
gelosamente tra le mani. Stavano gustando un gelato enorme, almeno visto
dagli occhi di un bambino. Il più piccolo inciampò nella stringa
slacciata, rimase miracolosamente in piedi ma il gelato cadde rovinosamente
al suolo. Rimase fermo, immobile, fissando il gelato, dopo qualche istante i
suoi occhi furono annebbiati delle lacrime che scorrevano sul volto,
accompagnate da profondi singhiozzi.
L’altro bambino gli si avvicinò con un dolcissimo sorriso stampato sul
volto e asciugandogli le lacrime con il dorso della mano, disse: «dai
Enjoji non piangere … tieni prendi il mio!». Accettò felicissimo il
regalo e con gli occhi ancora lucidi ma felici disse: « grazie Aki-chan»
scatenando così la risposta scherzosa dell’altro ragazzo che assunse un
tono irritato: «lo sai che non mi piace quando mi chiami così! Ti costa
tanto pronunciare il mio nome per intero?»
*** ***
« mi potrebbe portare un altro tè ». Il cameriere dopo qualche minuto
ritornò con una tazza di te. Cominciò a sorseggiarlo lentamente, era un
bel locale, tranquillo, molto raffinato.
Era molto stanco, non fisicamente ma a livello mentale, stava per impazzire,
aveva una tremenda sensazione. Quell’insolito invito. Era così strano che
Inawa lo avesse incontrare, si erano sempre odiati a vicenda, non si
potevano sopportare e per questo si evitavano. Poi, quello strano messaggio
lasciato in segreteria: ‘domani al sakura alle 10.00. Sii puntuale!’
Certo dopo quello che era successo a suo fratello era lui il futuro capo
della famiglia Koshino, e forse Inawa voleva riallacciare i rapporti per
futuri favori …
Poi una vicenda lontana riaffiorò nel mare dei suoi ricordi riportandolo in
diedro di molti anni.
‘Ero stato un incosciente a poter solo sperare di riuscire a fronteggiare
tre uomini appartenenti alla famiglia a noi avversa, ma per orgoglio e
incoscienza giovanile avevo deciso di affrontarli ugualmente. Le cose però
non erano andate certo come avevo immaginato e come speravo nel profondo del
cuore. Quella volta avevo veramente rischiato la vita, se non fosse
intervenuto Akira a quest’ora sarei sepolto sotto un metro di terra. Akira
… Akira Togashi il figlio del braccio destro di mio padre. Era morto
quando Akira era ancora piccolo per salvare la vita a mio padre il quale,
dopo la sua morte, aveva deciso di tenere con se la vedova e il piccolo
figlio. Diventammo subito grandi amici e quando fummo cresciuti, entrammo
entrambi a far parte dell’associazione malavitosa di mio padre.
Appena fummo soli, Akira arrabbiato, o forse meglio dire furioso, cominciò
a rimproverarmi gridando, come mai prima: «cos’hai nella testa? Segatura
forse? Ti rendi conto che hai rischiato di farti ammazzare? … …»
continuò a parlarmi in quel modo per molto tempo … beh almeno a me
sembrava molto tempo. Fui scioccato e impaurito nel vederlo così, mai
l’avevo visto così furibondo. Quella fu la prima e ultima volta che si
arrabbiò in quel modo. Non era certo una persona facile all’ira, anzi,
non perdeva mai il controllo, soprattutto con me … eppure quella volta lo
fece, perse il suo solito autocontrollo la sua tranquillità e calma,
sembrava un’altra persona e io tuttora non capisco cosa possa averlo
turbato tanto …’ “ perché mi viene in mente tutto questo adesso …
sono passati otto anni da allora, sono cambiato … siamo cambiati,
all’epoca avevo solo diciassette anni. Sono cresciuto … adesso sono un
uomo … sono una persona fredda, sicura di me, potente e rispettata … non
sono più il bambino che lui deve proteggere … ma ugualmente quando sento
il pericolo imminente penso a lui d’istinto, come se una piccola parte di
me cercasse ancora il suo aiuto, la sua protezione … perché ogni volta
che sono con lui mi sento piccolo e insignificante? Perché con lui non
riesco ad essere la persona fredda e cinica che sono di fronte a tutti gli
altri? …”
Enjoji Koshino, in tutta la sua eleganza e bellezza, era seduto al tavolo
immerso nei suoi pensieri con aria fredda e distaccata quando entrò nel
locale la persona che gli aveva dato l’appuntamento. Lo vide entrare ma
non si voltò, non voleva dargli la minima considerazione. Solo quando
l’uomo raggiunse il suo tavolo dovette guardarlo negli occhi.
Inawa in quel momento fu travolto da uno sguardo minaccioso ma allo stesso
tempo indifferente, lo stesso sguardo che Enjoji era solito riservare per i
suoi più acerrimi nemici che, a causa del suo lavoro, sempre che così si
potesse chiamare, erano molto numerosi a Tokyo e non solo. Quello sguardo lo
offese e s’irritò ma si era già preparato ad una simile accoglienza. Si
sedette senza conferire parola.
Con voce fredda e atona il giovane uomo, osteggiando sicurezza e superiorità,
si rivolse al suo interlocutore rompendo il silenzio che era calato tra loro
«perché mi hai disturbato, lo sai che in questo periodo sono molto
occupato! Cosa mi devi dire di tanto urgente?»
L’uomo di fronte a lui non disse nulla, si limitò ad estrarre dalla tasca
interna del cappotto una busta bianca. La pose sul tavolo poi con l’indice
la spinse verso Enjoji.
Aprì la busta lentamente, osservò a lungo le foto che conteneva poi, senza
far trasparire la minima preoccupazione, la richiuse e disse: « cosa
significano?».
L’uomo davanti a lui fu illuminato da un sorriso di soddisfazione e
rispose: «Diciamo che queste foto potrebbero finire tra le mani di tuo
padre e tutti lo verrebbero a sapere».
Aveva tanta voglia di spaccargli la faccia ma mantenne l’autocontrollo e
chiese un po’ irritato: «cosa vuoiin cambio? Soldi o cos’altro?»
«No niente soldi, ho bisogno che tu faccia un lavoretto per me!»
« che tipo di lavoretto?»
«Niente di difficile, ma avrai maggiori dettagli fra qualche giorno!»
detto questo Inawa si alzò e si diresse verso la porta, prima però si
volto e rivolgendosi ad Enjoji disse: «quelle le puoi anche tenere per
ricordo, tanto io ne ho altre!»
“sfotte anche! … accidenti a lui sono in un bel casino … potrei
ignorare le sue minacce dopo tutto sono affari miei … certo papà si
arrabbierebbe e forse mi caccerebbe …. Ma non voglio che lo sappia Akira,
tutti ma non lui, ma chi voglio prender in giro, non sopporterei mai che
qualcuno, chiunque sia lo sappia!… … Akira … non potrei più guardarlo
negl’occhi … cosa penserebbe di me, non è difficile immaginarlo … non
mi resta che sottostare alle sue minacce anche se è l’ultima cosa che
vorrei … …”
Uscì dal locale, si chiuse il cappotto nero perché il freddo era
insopportabile anche se era una bella giornata col sole. Era confuso,
arrabbiato, disperato e anche impaurito ma ugualmente il suo aspetto era
fiero, sicuro, impassibile e distaccato e lui manteneva la sua rara
bellezza, i capelli nero alabastro, la pelle liscia, il corpo snello ma
ugualmente molto muscoloso. Caratteristiche valorizzate dal suo cappotto
nero che gli accarezzava le forme sinuose del corpo fin poco sopra le
caviglie e che copriva un bellissimo vestito nero e la cravatta in tinta, al
polso un costoso cronografo e all’orecchio un piccolo orecchino d’oro
bianco, unico testimone dalla sua gioventù spesa alla ribellione.
Sembrava impossibile che un ragazzo arrogante e indisciplinato come lui
potesse essere diventato un uomo serio e responsabile che a breve sarebbe
diventato il capo di un’associazione criminale tra le più famose e temute
di Tokyo.
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