Note: l'autrice è Miki e non sono io, indi
per cui non posso sapere che le passava per la mente quando l'ha scritta...
Ma secondo me non ha una sbavatura, quindi non ho appunti da fare! è____é
E guai a voi se obiettate!!! Ehm... Scherzo, ovviamente!^^
Disclaimers: Miki sa bene che i personaggi di SD non sono suoi, anche le
piacerebbe molto e dichiara di non voler guadagnare nulla da questo
raccontino... Beh, almeno lo dichiaro io per lei!^^
Endless Chain
di Miki
Parte 3:
SUKI DA
Martedì.
Allenamento.
Sono una furia.
Me ne rendo conto da solo.
Non sto guardando in viso nessuno.penso solo a giocare.
Giocare.
Giocare.
Voglio stare male da tanto ho giocato.
Voglio stare male fino a essere intontito dal dolore.
Voglio che il dolore ubriachi i miei sensi fino a non capire più niente.
Non voglio pensare.
Sentire.
Provare altro che dolore.
Questo corpo mi ha tradito ieri.
Questo corpo.
Schiaccio a canestro con rabbia cieca.
Non mi sono nemmeno accorto di aver travolto nella corsa anche Yasuda e
Sakuragi intervenuti a fermarmi.
Quando mi riscuoto li vedo a terra che si massaggiano chi la spalla, chi il
fondoschiena doloranti.
"Ah.scusate."
porgo la mano a Yasu e lo aiuto a rialzarsi:
"Niente, niente.oggi sei in forma, eh?
Facevi quasi paura!"
Il senpai si massaggia il braccio sorridendo perplesso.
Mi giro e allungo la mano per aiutare anche Sakuragi, ma a metà del
movimento mi blocco.
Riesco solamente a sfiorare le dita della sua mano prima di venire
riassalito dal ricordo di ieri.
Mi scosto con un movimento brusco, cattivo:
"Levati dai piedi, Do'aho."
Ho la voce che mi trema, mentre si rialza da solo senza mollare un solo
istante i miei occhi.
Anche gli altri ci stanno guardando, perplessi.
Mitsui fischia, spezzando la tensione:
"Canestro valido! Basket-count: un tiro libero per i Gialli!"
Punto.
Riprendiamo a giocare, neanche a farlo apposta gli hanno dato il compito di
marcarmi.
Imbecille.
Non riesce a starmi dietro il più delle volte, rivelando la sua scarsa
esperienza, ma è deciso a voler essere una seconda ombra per me.
Dannazione.
"Non mi scappi, stupido Volpino"
Lo guardo.
*Perché diavolo sorridi in quel modo, Do'aho?*
Cerco di smarcarmi, ma riesce in qualche modo a non perdere il contatto.
"Bene, Sakuragi!
Tieni botta, non mollarlo per nessun motivo, capito?"
"Non ci penso neanche, Gorilla."
Mi inchioda con lo sguardo.
Mi sento avvampare.
MERDA!!!
Merdamerdamerdamerda.
Non posso credere che sia successo davvero.
Non faccio altro che pensarci.
Dannazione.
"Ehi, Kitsune!
Fai muffa?"
Arrogante.
Idiota.
Do'hao.
Sto per rimbeccarlo, ma qualcosa mi blocca.
Lo guardo con astio.
"Lasciami stare, va bene?"
mi schiodo e smarco Kogure.
Canestro.
Mitsui fischia la fine:
"68-56 per i Gialli!
Tutti a casa!"
Riconsegna il fischietto ad Anzai-san e riprende il pallone.
Gli altri cominciano a sistemare l'attrezzatura.
Io entro negli spogliatoi per prendere un asciugamano pulito.
Ma la verità è che voglio uscire dalla palestra il prima possibile.
Prima di lui.
Mi sento afferrare per il braccio, non appena varco la porta.
Sakuragi mi inchioda alla parete, pone le mani sul muro, ai lati del mio
viso.
Sento che tremo di rabbia, ma.non solo.
E questo mi spaventa.
"Cosa vuoi, Do'aho."
"Parlare con te, Kitsune."
Io impreco tra i denti, puntellando le mani sul suo petto nel tentativo di
togliermelo di dosso:
Sorride con quel modo un po' obliquo che mi fa altamente girare le palle.
"Lasciami andare.
tieni a bada i tuoi ormoni.
Non ho bisogno di altri casini nella mia vita."
È un lampo di tenerezza che gli attraversa gli occhi adesso?
Il sorriso si è fatto dolce, assomiglia a quello che gli ho visto in volto
l'altra mattina.
Adesso capisco.
Pietà.
LUI ha avuto PIETA' di.me!
Dovevo immaginarlo.
Devo avergli fatto pena.
Tutto quel mio patetico parlare di solitudine.
Istintivo.
Forse è stato il suo modo di consolarmi
"Lasciami passare, Sakuragi.
Io.io.non sono disposto a farmi prendere in giro da te, non ho bisogno della
tua pietà.
Posso benissimo stare da solo.
Sono sempre stato solo.
Non voglio essere di nuovo un aquilone in balia del vento."
L'ultima frase è un sussurro, poi con uno scatto nervoso riesco ad
allontanarlo quel tanto che basta da staccarmi dalla parete:
".non ho niente da spartire con te, io non."
Non mi lascia finire la frase.
Mi scaraventa nuovamente contro il muro, con violenza.
Mi strappa un gemito di dolore, ho battuto malamente la spalla.
I suoi occhi fanno quasi paura, adesso.sono arrabbiati.sono.feriti?
Mi spaventa quello che vedo in fondo a quegli occhi.
Vorrei chiuderglieli a suon di pugni.
Strapparglieli via.
Spegnerli.
*Non guardarmi a quel modo, Do'aho!!*
come se avesse sentito i miei pensieri abbassa lo sguardo, sospirando.
Ma è solo un istante.
Risolleva quegli occhi ardenti su di me e comincia a parlare quasi
sussurrando:
"Senti.
Mi stai trattando come una merda.
Ok.
Posso sopravvivere."
Mi prende il viso tra le mani, costringendomi a guardarlo dritto negli
occhi:
"Ma voglio dirti una cosa.
Non è stata pietà.
Non è stata una questione ormonale.
Per me sei speciale, Rukawa e mi è piaciuto un casino riuscire a scalfire
quella tua corazza di assoluta perfezione, riuscire ad avvicinarmi a te un
po' di più.
Non mi pento di cosa è stato."
Il suo viso si fa più vicino:
"Ricorda: forse io sono come il vento.ma sei tu che controlli
l'aquilone."
Mi bacia a fior di labbra:
"Guida piano."
Mercoledì.
Anche oggi ho cercato di evitare Sakurgi.
Comportamento puerile, me ne rendo conto.ma ho paura delle mie reazioni più
che di lui.
Forse dovrei parlarne con qualcuno.
Già.
Ma chi?
Forse con Anzai-sensei.o con il capitano.
Forse no.
Forse non capirebbero.
Forse non lo accetterebbero.
Magari ci caccerebbero dalla squadra.
E non voglio che Sakuragi perda tutto quello che ha costruito in questi
mesi.
Guardo i miei compagni che pranzano poco distanti da me e mi accorgo che da
un po' Kogure mi sta fissando.
Si alza e viene a sedersi accanto a me, porgendomi il suo contenitore del
cibo:
"Vuoi un po' del mio bento?
Mia madre me ne prepara sempre troppo."
"Grazie, ma non ho molta fame, senpai."
Lui sorride e riprende a mangiare il suo pasto.
Poi si volta di nuovo a guardarmi:
"Sei strano in questi giorni, Rukawa.c'è qualcosa che ti
preoccupa?"
"Io."
mi blocco.
Come posso raccontargli della mia fuga, della notte passata sotto una
tettoia, del gatto, di.Sakuragi.
Potrebbe capire?
Lo guardo negli occhi.
Gli occhi neri di Kogure sono sereni, sinceramente partecipi.
Forse lui potrebbe capire.
Forse posso fidarmi di lui.
"Non saprei come spiegartelo, senpai."
Lui si concentra un po' sul pasto, giocherellando con il riso, poi torna a
guardarmi, comprensivo, poggiando la mano sulla mia spalla:
"Se hai bisogno di aiuto vieni pure a trovarmi quando vuoi, Rukawa.
forse non avrò la soluzione dei tuoi problemi, ma parlarne ti farà
bene"
Ho deciso.
Vado da Kogure.
L'allenamento oggi è stato una vera sofferenza.
Fortunatamente Sakuragi non è venuto: Mito è venuto ad avvertire che
doveva
fermarsi a scuola per recuperare il compito di storia.
Ho detto "fortunatamente".
Ma in verità ho sentito una specie di vuoto dentro a non saperlo in
palestra
accanto a me.
Pazzo.
Pazzo.
Pazzo.
Sono pazzo.
Basta.
Vado da Kogure.
Stasera.
Suono dopo un po' di esitazione al campanello della piccola villetta del mio
senpai.
Si accende la luce esterna e quella dell'ingresso, la porta si apre e sento
la sua voce che dice a qualcuno:
"TI PREGO.!
Vedi di non combinare un disastro!
Ah! Ciao, Rukawa.accomodati."
È chiaramente sorpreso di vedermi e non capisco perché è lievemente
arrossito e lancia piccole, furtive occhiate in direzione di quella che
penso sia la cucina.
Mi levo la giacca e infilo le pantofole degli ospiti, quando un urlo
disumano e un clangore di pentolame escono dalla cucina.
"AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAGH!!! CAZZOCAZZOCAZZOCAZZOCAZZOCAZZO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
PENTOLINO BASTARDO!!!"
Kogure mi guarda con un sorriso imbarazzato e poi si volta: dalla porta
della cucina esce uno scarmigliato Mitsui che si regge la mano destra
chiaramente ustionato, non sembra essersi accorto di me e punta direttamente
su Kogure, serrando i denti per il dolore:
"Kami-sama, Kimi-kun.a casa tua non esistono le presine?
Quel.quel.COSO scotta!!!
MI SONO FATTO MALISSIMO, CACCHIO!"
Kogure lo guarda con un'espressione tra il divertito e il preoccupato, poi
gli scompiglia con un gesto tenero i capelli spettinati:
"Le presine sono nel cassetto, zuccone!
Possibile che ti lascio da solo un minuto e tu mi distruggi la casa?"
"EHI! Guarda che il TUO pentolino del cavolo sta bene!
Sono IO a essermi ustionato, koibito!"
In quello si accorge di me.
Kogure si guarda la punta delle scarpe, indeciso se sprofondare
nell'imbarazzo o scoppiare a ridere.
Mitsui mi guarda annichilito, per un momento dimentico del dolore alla mano
e del pentolino rovesciato.
Adesso capisco tante cose.
La spropositata reazione del vice-capitano in palestra quando Mitsui si è
presentato con la banda di teppisti.
.la sfumatura di certe frasi.
.certi gesti.
.la dolcezza nuova in fondo agli occhi di Kogure, il recupero di Mitsui sia
a scuola che nella vita.
"Ecco.forse sono venuto in un momento sbagliato."
"No, tranquillo.ci stavamo facendo una cioccolata, ne vuoi anche
tu?"
"Grazie."
forse dovrei andarmene.
"Mi fai un favore, Rukawa?
Potresti medicare la mano a Hisashi?
Io preparo la cioccolata."
Mi pone tra le mani la cassetta del pronto soccorso e sparisce in cucina,
dove lo sentiamo sistemare il pasticcio di Mitsui borbottando:
"Viva gli imbranati."
ci accomodiamo in sala.
Gli passo una garza imbevuta di soluzione sterile sulla mano ustionata.
È fortemente arrossata e si sta formando una bolla di siero.
Cerco di essere delicato, ma capisco che comunque è una cosa dolorosa.
Con cautela gli spalmo una pomata specifica e gli fascio la mano.
Parla lui per primo:
"Avrai capito come stanno le cose tra me e Kiminobu"
pronuncia il nome del senpai come se fosse qualcosa di buono, dolce da
sentire sulle labbra.
E sorride.
È raro vedere Mitsui con un sorriso così sereno.
È allegro, certo, nello spogliatoio.scherza, fa battute.
Non è un musone come me.
Ma avevo sempre notato una specie di ombra in fondo ai suoi occhi, come se
il suo passato da teppista potesse venire un giorno a reclamare vendetta
distruggendo il suo piccolo universo tornato in pace.
"State.voi due siete."
"Stiamo insieme da tre mesi."
Lo dice con calma.
Orgoglioso.
Mi aiuta a fermare la fasciatura.
"Tutto bene?"
Kogure entra portando un vassoio e tre tazze di cioccolata fumante, in una
bassa ciotolina ci sono delle meringhe sbriciolate da mettere nella calda
bevanda.
"Sì, koibito, grazie.
Il nostro campione è un asso anche nelle fasciature."
Io arrossisco un po'.
Prendo la mia tazza e sorbisco un po' di cioccolato, Mitsui prima ci tuffa
le meringhe col cucchiaiano.
È un bel quadretto.
"Di che cosa volevi parlarmi, Rukawa?"
Mitsui si alza, prendendo con cautela la sua tazza:
"Forse è meglio che vada in cucina.starete meglio.
Quando ho finito vado a casa."
Si china a dare un bacio sulla fronte di Kogure:
"A domani, Kimi, buonanotte."
"Resta, ti prego, senpai."
Lo fermo.
Mi guardano:
"Io.ho bisogno di aiuto."
Si scambiano un lungo sguardo, poi Mitsui torna a sedersi.
Il silenzio è spezzato solo dall'abbaiare di un cane in fondo alla strada,
dal passaggio di qualche automobile, dal ticchettio della pendola, dal
girare dei cucchiaini nelle tazze.
"E' per Sakuragi, Rukawa.?"
Sussulto.
Il cucchiaino mi sfugge di mano cadendo sul tappeto.
Kogure con gentilezza mi toglie dalle mani che tremano la tazza e l'appoggia
sul tavolino.
"Come.?
Come.lo avete capito?"
sono frastornato.
"Non sei mai stato così cattivo con lui come in questi giorni.
Tutti pensano che sia una normale fase di rivalità, dopotutto Hanamichi è
parecchio migliorato e presto potrebbe darti del filo da torcere, ma."
Kogure mi guardò dritto negli occhi prima di terminare la frase:
".ma non credo che sia solo questo, sbaglio?"
"Non sbagli, senpai"
ammetto con un filo di voce.
"E' successo qualcosa."
"Lui mi ha."
mi fermo.
Non è vero.
Non c'è solo "lui".
C'ero anch'io.
Anch'io lo baciato.
E ci stavo pure bene.
"Di cosa hai paura, Rukawa?"
di QUESTO ho paura.
Di stare bene.
Di essere felice.
E.di perdere di nuovo tutto quanto.
Mi prendo il viso tra le mani, con un sospiro:
".di soffrire."
Ecco.
L'ho detto.
Parlo.
Parlo per quelle che mi paiono ore.
Il capo abbassato, i capelli spiovono sugli occhi, nascondendoli.
Kogure si è seduto di fronte a me e mi tiene le mani, sollecito.
Mitsui ascolta, comprensivo.
Ogni tanto annuisce, pensieroso.
Come se ritrovasse qualcosa di sé in quello che racconto.
Parlare mi fa bene.
Ma mi sconvolge.
Non mi ricordavo quanto male potesse fare il cuore.
Non volevo ricordarlo.
"Rukawa, Sakuragi ha scalfito quella corazza che avevi eretto intorno
al tuo
cuore e tu lo hai lasciato entrare.
Adesso però ti senti vulnerabile.
Tu probabilmente sei stato per troppo tempo solo, fino a convincerti che si
può stare da soli.
Perché la solitudine, che non sorride mai, diventa l'abitudine."
"Kogure ha ragione.
non commettere il mio stesso errore, Kaede.
Per due anni, dopo l'incidente, ho sbarrato il mio cuore, rifiutando
qualsiasi contatto.esistevo solo io.
Io e basta.
Credevo che nessuno potesse capire come mi sentivo, quello che provavo.
Però.così facendo finivo da solo.
Solo.
Sempre.
Ho perso la stima dei compagni, dei professori, dei miei genitori..di me
stesso.
Attraverso gli occhi di Kogure ho visto quello che ero diventato.e ne ho
provato vergogna.
La mia amarezza mi aveva tolto le cose che amavo di più.
Non devi permettere alla solitudine di diventare un'abitudine."
Mitsui sorrideva, amaro, stringendosi le ginocchia al petto.
"Anche se Sakuragi fosse solo una folata di vento, Rukawa, devi
permettere
al tuo cuore di volare almeno una volta."
Kogure sorride e mi alza il viso per guardarmi negli occhi:
"Ha ragione lui, sei tu ad avere in mano il gioco.fino a quando hai
intenzione di aspettare in panchina?"
Io non voglio restare da solo.
Io odio stare da solo.
Io odio stare in panchina.
Rain mi salta addosso miagolando risentito non appena varco la soglia di
camera mia.
"Ciao, Do'aho.oggi ti ho trascurato, eh?"
lo accarezzo dietro le orecchie e mi sdraio a letto, appoggiandomelo sulla
pancia.prende a fare le fusa finalmente soddisfatto.
Nella testa mi frullano un sacco di pensieri.le parole di Mitsui e Kogure
sono rimaste come un'eco in fondo al cuore.
Sakuragi.
Non è stato solo attrazione.
Il mio corpo ha raccolto segnali che il mio cuore non poteva (o non voleva.)
raccogliere.
Sakuragi è geloso di me.
Sakuragi si preoccupa per me.
Sakuragi mi cerca, mi insegue.
E non è solo per agonismo.è come se cercasse di essere alla mia altezza,
degno di me: mi cerca come se mi volesse raggiungere, come se non
sopportasse di lasciarmi avanti da solo.
E io voglio farmi raggiungere.
Adesso l'ho capito.
Mi alzo di scatto.
Rain si appende al maglione per non cadere, miagolando disperato.
Apro l'armadio e prendo la felpa e i jeans di Sakuragi, li infilo in una
borsa e mi precipito giù per le scale con il gatto appollaiato alla meglio
sulla spalla.
"Kaede!
Dove stai andando a quest'ora??
Sono le 21.00, è tardi."
La mamma mi guarda allibita, io torno indietro per darle un bacio sulla
fronte, regalandole un sorriso che ormai credeva io non sapessi fare.
Gli occhi le si inumidiscono, le labbra le tremano.
Continuo a sorridere mentre le dico:
"Vado a far volare un aquilone!"
ed esco nella notte.
Sul portone di casa sua incrocio Mito che sta tornando a casa.
Mi saluta amichevole, come sempre.
Prima di mettere in moto lo scooter si volta a guardarmi con un sorriso, ma
con gli occhi serissimi:
"Te lo affido.
Mi raccomando."
Lo guardo allontanarsi nella via poco illuminata.
Non è sorpreso di vedermi.
Prende la borsa che gli porgo senza parlare.
Mi accomodo in cucina.
Rain trotterella curioso, annusando ogni angolo.
"Del thè?"
"Grazie, sì"
anch'io mi guardo intorno, imbarazzato, mentre lui armeggia con pentolini e
gas.
Rivedo mentalmente il lavandino pieno di acqua saponata, le lasagne
bruciacchiate, il bucato messo a stendere. le lacrime che ho pianto su questa
stessa sedia, il suo sorriso.
"Tieni.
Non è buono come il tuo, però riscalda."
Sorride mentre mi porge la tazza un po' sbrecciata.
È bello il suo sorriso.
"Io.
io volevo."
mi mette una mano sulla bocca, impedendomi di continuare:
"Non dire niente.
Adesso sei qui."
Gli prendo la mano, me la passo sul viso con dolcezza, poi la riporto alle
labbra per deporvi un bacio:
"Sì.
Sono qui.
Per restare."
Avvicina il suo volto al mio, mi cerca le labbra per baciarmi.
Un bacio di quelli infiniti.
Di quelli che non se ne ha mai abbastanza.
Il thè si raffredda.
"Suki da, Kitsune."
sorride sulle mie labbra mai sazie.
"Suki da."
END
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