Note: l'autrice è Miki e non sono io, indi
per cui non posso sapere che le passava per la mente quando l'ha scritta...
Ma secondo me non ha una sbavatura, quindi non ho appunti da fare! è____é
E guai a voi se obiettate!!! Ehm... Scherzo, ovviamente!^^
Disclaimers: Miki sa bene che i personaggi di SD non sono suoi, anche le
piacerebbe molto e dichiara di non voler guadagnare nulla da questo
raccontino... Beh, almeno lo dichiaro io per lei!^^
Endless Chain
di Miki
Parte 2:
CONFUSIONE
È di nuovo mattina.
È lunedì.
Ieri, quando sono tornato i miei non hanno detto nulla.
Come se non fosse successo niente.
Hanno ripreso la vita vuota e dannatamente 'normale' di tutti i giorni.
Avrei voluto quasi ricevere una bella sberla da papà, per poi potergli
finalmente urlare tutto questa specie di groviglio che mi sta facendo star
male da morire.
Invece niente.
Casa Rukawa è ritornata silenziosa.
Sola.
Appena posso me ne vado.
Appena posso me ne vado in America.
A giocare a basket.
L'unica cosa che so fare bene davvero...
Ho solo il basket.
Voglio mettere l'intero oceano tra me ed i miei genitori.almeno così sarò
davvero solo.
Senza legami.
Solo io e il basket.
Arrivo a scuola come al solito quasi in ritardo.
Neanche troppo.:vedo Mitsui e Kogure che arrivano di corsa dalla palestra, i
capelli spettinati e le guance arrossate, il fiato un po' corto: "Ciao,
Rukawa!"
il senpai Mitsui mi sorride passandomi a fianco trascinandosi dietro Kogure:
"Sbrigati, Megane-kun! Voglio copiare inglese prima che arrivi il
prof.e tu sei nell'altra classe"
"Smettila di trascinarmi a quel modo, Mitsui! Mi stai slogando il
polso!!! Ah! Buongiorno, Rukawa!"
Sorride anche lui, come sempre, ma nei suoi occhi leggo una dolcezza nuova,
mista ad imbarazzo, mentre si divincola dalla presa del compagno e apre il
suo armadietto all'ingresso.
"Ci vediamo a pranzo!"
riesce a dirmi prima di venire nuovamente trascinato via da Mitsui mentre si
infila le pantofole di tela bianche.
"Guarda che se mi dà un'altra insufficienza dopo me la paghi,
Megane-kun!"
"Potresti sempre cominciare a studiare, Teppista!"
"Solo se sei tu a darmi ripetizioni.so che sei molto portato per
le.lingue!" conclude strizzando maliziosamente un occhio e scoppiando a
ridere nel vedere l'espressione prima perplessa e poi via via sempre più
consapevole dell'amico che arrossisce violentemente:
"TU!!!! BRUTTO......!!! MITSUI! SEI.SEI."
il resto del battibecco lo perdo perché i due girano l'angolo e le voci si
perdono nei corridoi ancora pieni di studenti in attesa della seconda
campanella.
Apro a mia volta l'armadietto per cambiarmi le scarpe e immancabilmente ne
cadono a terra le solite buste bianche.
Ancora lettere.
Lettere d'amore.
Non occorre che le legga: tanto sono tutte uguali.
Ragazzine.
"Cosa poi ci trovino in un musone come te ancora non lo capisco."
Ayako mi sorride, chiudendo l'armadietto poco distante al mio dopo aver
infilato le pantofole di tela chiara.e mi porge alcune buste che ha raccolto
dal pavimento: "Tieni, Rubacuori!"
le prendo di malavoglia e le caccio in cartella senza curarmi di
stropicciarle, lei assume un'espressione ferita molto teatrale e si porta il
dorso della mano in fronte: "AH! Che razza di insensibile.ferire così
tanti giovani cuoricini!!
"Piantala, Ayako."
le do le spalle avviandomi in classe, mentre la sua risata mi accompagna.
Sinceramente.
A me di tutte quelle ragazzette non importa proprio niente!
Di tutte quelle urla.
Delle risatine (dovrebbero vietare alle ragazze questa fastidiosa
abitudine!).
Del cioccolato di San Valentino (me ne arriva sempre così tanto che è un
miracolo che non mi sia ammalato di diabete!).
Sono tutte convinte di sapere cosa mi piace, di conoscermi bene.
Beate loro.
Io non so ancora cosa voglio veramente!
Qualche volta mi verrebbe voglia di fermarne un paio e di domandarglielo:
"Senti, ma cos'è che voglio io?"
.mi immagino la scena.
bah.
Suona la seconda campanella: due ore di matematica.non vedo l'ora che venga
ricreazione.
"Forza con quelle braccia! Miyagi alza i gomiti.Yasu, rinforza la
difesa!
SAKURAGI, PIEGA-QUELLE-GINOCCHIA: QUANTE-VOLTE-TE-LO-DEVO-RIPETERE-BRUTTO-IDIOTA?????!!!!
Mitsui!!! Vedi di non dormire!
RUKAWA!!!! HAI-MAI-SENTITO-PARLARE-DI-GIOCO-DI-SQUADRA????!!!!"
Il capitano oggi è scatenato.
Forse perché è obbligato a starsene buonino e tranquillo fino a che la
caviglia non guarisce completamente.
In questo momento gliela spaccherei del tutto.
Sono disfatto.
Mi fa male dappertutto.
Ho la schiena a pezzi e alla base del collo i muscoli mi tirano
dolorosamente.
Mi siedo di schianto sulla panca degli spogliatoi e mi copro la testa con
l'asciugamano.
Non ho la forza di alzarmi per andare a fare la doccia, le risate e gli
schiamazzi degli altri mi circondano come sempre e come sempre io non ne
prendo parte.
"Ciao, gente! A domani!!"
"Ciao, Yasuda!"
"Qualcuno ha visto Ayako?"
"Ryota sei patetico."
"Chi chiude qui?"
"Chiudo io":
Kogure si abbottona la camicia candida della divisa e chiude l'armadietto:
"Vado a controllare se l'attrezzatura è a posto e a spegnere le luci
della palestra: vi do dieci minuti per uscire di qui. Ho promesso a casa che
stasera non avrei tardato, quindi sbrigatevi per favore!"
"A domani, allora, senpai! Sakuragi, hai finito? Vorremmo andare a
mangiare qualcosina."
"Cinque minuti.andate intanto, vi raggiungo!"
"Ok.ci si vede al Mac. Ciao, Rukawa!"
Non mi aspettavo che mi invitassero ad uscire con loro.
Non lo fanno mai.
Non li biasimo.
Non sono un tipo molto di compagnia, io.
Sono andati via.
Tutti.
Quasi.
Qualcuno si allaccia le scarpe accanto a me.
Conosco quelle scarpe.
Sakuragi.
"Beh, Kitsune? Fai muffa qui?"
alzo di malavoglia gli occhi e lo guardo: "Non è aria."
Sbuffa e si alza in tutta la sua lunghezza.
Mi toglie l'asciugamano dalla testa, lo guardo torvo: "Do'aho."
Gli sibilo
"Forza, dai.levati la maglietta"
"Perché?"
sono sulla difensiva.
Getta in un angolo l'asciugamano e si porta le mani ai fianchi.
Poi alza gli occhi al cielo roteandoli buffamente: "Tu toglila e basta.
Mi sembra che di me ti puoi fidare, no?"
Già.
La storia di ieri.
Quasi ero convinto stamattina di scoprire che lo sapeva tutta la
scuola.invece, evidentemente, se lo è tenuto per se.
Lo guardo di nuovo.
Decido di fidarmi.
Obbedisco.
"Siediti per terra."
Si toglie la camicia della divisa rimanendo in t-shirt: "Beh,
Kitsune.potevi almeno andarti a lavare.guarda qui, sei tutto sudato!"
"Che vuoi fare?"
mi irrigidisco mentre mi passa un asciugamano pulito sulla pelle nuda.
Lui ridacchia: "Non ti mangio, Kitsune.tranquillo."
Si inginocchia dietro a me e mi circonda le spalle con il braccio, facendo
aderire la mia schiena al suo petto.
Con il braccio libero piegato, fa pressione con il gomito sulle spalle, alla
base del collo.
"Me lo ha insegnato la mamma, lei fa la fisioterapista all'ospedale.
meglio?"
chiudo gli occhi.
Mi sento davvero meglio.
Ma anche confuso.
Sto facendo caso a mille particolari 'pericolosi'.
A partire dalla sua bocca che sento a pochi centimetri dal mio orecchio: la
sua voce non è poi così stridula e chioccia come la ricordavo.
.e poi il suo fiato caldo sul collo.
.il suo braccio che mi avvolge.
.la tela della sua maglietta appiccicata alla mia schiena.
.il profumo di pulito del suo bagnoschiuma.lo riconosco subito.
Anch'io l'ho usato ieri mattina.
Sa di buono.
L'odore fresco del legno e dei pini dopo la pioggia.è un odore che ho
sempre amato da bambino, mi rende tranquillo.
Adesso si stacca da me, sciogliendomi dall'abbraccio, ma le sue mani
rimangono.
Sulle spalle.
Sul collo.
Sulla schiena.
Salgono.
Scendono.
Mi percorrono il corpo decise e al tempo stesso delicate, leggere.
Calde.
Salgono.
Scendono.
Mi sento bruciare.
Voglio che la smetta subito.
Ma.non sono mai stato così bene.
Qualcuno si sta prendendo cura di me.
Di nuovo.
"Sakuragi.smettila."
riesco in qualche modo a sussurrare con la voce stranamente roca, lui
prosegue nell'opera:
"Vedrai che dopo una buona doccia andrà meglio, Rukawa."
Mi ha chiamato di nuovo Rukawa.
Mi gira la testa.
Ho bisogno di aria.
Alzo la testa in cerca di ossigeno.
Mani.
Mani.
Mani.
L'odore del bosco.
Sakuragi.
Le mani di Sakuragi.
Il profumo di Sakuragi.
Non resisto.
"O.OK! Sto bene!"
mi alzo di scatto passandomi nervosamente la mano tra i capelli.
Lui mi guarda con il suo sguardo limpido, innocente, le mani ancora
sollevate.
Mani grandi.
Mani calde.
Mani.
Deglutisco.
"Ti stanno aspettando e subito tornerà Kogure. Devo sbrigarmi a fare
la doccia."
Parlo troppo.
Do troppe spiegazioni.
Non sono in me, lui lo capisce subito e continua a guardarmi fissamente.
Io mi affretto a recuperare il sapone e l'asciugamano evitando di guardarlo
a mia volta, mi sento imbarazzato.
È la seconda volta che Sakuragi riesce a farmi sentire indifeso.
Non capisco questo potere che ha cominciato ad avere su di me.
"Allora a domani, Kitsune"
infila la camicia senza abbottonarla, la giacca e si avvia alla porta,
chiudendola alle sue spalle.
Io mi ficco sotto la doccia.
Mollo l'acqua fredda a manetta.
"Kaede? Sei tu?"
la mamma esce dal salottino infilandosi la mantella leggera di velluto
grigio argento, è pronta per uscire.
Papà scende le scale e la guarda: "A posto?"
"Sì. Certo. Possiamo andare."
"Uscite anche stasera?"
la mamma guarda il papà e poi me, con un velo di imbarazzo: "C'è la
cena con gli associati americani."
"Sì, vabbè.ciao."
"Kaede.se vuoi mangiare chiedi a Yayoi di prepararti qualcosa prima che
vada via, lo sai che oggi è la sua serata libera."
"Mi arrangerò."
"Buonanotte, figliolo."
"Buonanotte, Kaede."
non rispondo.
Mi limito a guardarli, poi scrollo le spalle e mi avvio su per le scale.
A metà rampa mi fermo, ma non mi volto:
"Cercate di non fare troppo casino quando rientrate."
La porta che si chiude fa entrare una folata di vento freddo che riesce a
farmi male al cuore.
Entro in camera mia.
Il gattino mi viene incontro facendomi le fusa.
Si strofina sulle mie gambe e chiede di essere preso in braccio.
Lo accontento.
Miagola affettuoso e fiducioso.
Com'è carino.
"Do'aho."
Gli sussurro grattandogli dietro le orecchie nel gesto che avevo visto fare
a Sakuragi il giorno prima, lui miagola estasiato: "Non ti ho ancora
dato un nome.come potrei chiamarti?"
Gli occhietti vispi mi fissano curiosi, in attesa.
Mi siedo sul letto e lo pongo sulle ginocchia, continuando ad accarezzarlo:
"Che ne dici di.Mime-chan? No?.mi sa che hai ragione, non fa per te.
Oppure.Kicchy. Forse è meglio..NO! ho trovato!"
Lo sollevo all'altezza dei miei occhi con un sorriso: "Ieri notte
pioveva molto quando ci siamo incontrati.che ne dici di Rain? Ti piace? .Rain.sì,
credo che ti chiamerò così. Felice di conoscerti, Rain.io sono Kaede
Rukawa.."
Rain miagola buffamente: "Hai fame?
Anch'io.però devi portare ancora un po' di pazienza, sai? Mi devo cambiare,
poi andiamo a mangiare, ok?"
Lo poso a terra e mi spoglio della divisa scolastica sistemandola sulla
sedia, in ordine.
Infilo i calzoni di felpa leggera della mia tuta preferita e, indossando
solo quelli, apro l'armadio in cerca di una maglia pulita.
Con la coda dell'occhio vedo Rain giocare con la manica penzolante della
giacca.
Le mani si fermano su un tessuto di cotone blu scuro.
Lo prendo.
È la felpa da tennis che mi ha prestato Sakuragi, evidentemente Yayoi deve
aver pensato che fosse mia e l'ha sistemata tra le mie cose, piegandola con
cura.
La rigiro fra le mani.
C'è ancora il suo profumo.
Posso sentirlo bene.
Fresco.
Pulito.
Suo.
Non resisto alla tentazione di passarmi il caldo cotone sul viso,
immergendomi in quelle sensazioni pericolose di qualche ora prima.
Mi sento di nuovo avvampare.
Devo essere impazzito del tutto.
Il miagolio disperato di Rain mi riporta alla realtà: ha fatto cadere la
giacca e ne è rimasto travolto.
Infilo comunque il maglione e libero il gatto.
"Andiamo a mangiare, Do'aho"
prendo dalla scrivania il libro di geografia, magari mi viene l'ispirazione
di studiare per il compito di mercoledì.
Scendiamo in cucina.
Yayoi è già uscita, ma ha preparato un vassoio coperto da un tovagliolo
bianco.
Apro il frigorifero e prendo il latte, ne verso un po' in una ciotolina e la
metto sul tavolo accanto al mio pasto.
Levo il tovagliolo.
C'è una spremuta d'arancia, del pesce marinato, il riso.
Yayoi sa che la sera non mi piace mangiare molto.
Rain sta già mangiando di gusto, io lo osservo un po' e poi decido di
imitarlo.
Sto tentando inutilmente di studiare.
Proprio non mi riesce di stare concentrato per più di un nanosecondo sulla
pagina del libro di geografia.ho la testa altrove.
E non oso nemmeno mettermi a cercarla.
Ho paura di dove possa averla condotta il filo dei pensieri.
Mi alzo e traffico con lo stereo.
Metto un CD.
Mahler.
Lascio correre la musica nella penombra della sala e mi sdraio sul divano.
Rain si accuccia sulla mia pancia.
A metà del primo movimento suonano alla porta.
Sono le nove di sera e non aspetto nessuno.
È un'ora insolita per una visita di cortesia, comunque.
Di malavoglia vado ad aprire.
Sakuragi.
"Ciao, Kitsune.
Scusa l'ora, ma la mamma ha insistito che ti venissi a riportare il pigiama
stasera.le ho detto che sicuramente ne hai ancora di pigiami e che se te lo
riportavo domani era lo stesso, ma lei è una tale rompiscatole quando ci si
mette."
"Beh, entra."
Si accomoda, toglie il parka leggero appendendolo sull'attaccapanni e si
infila le pantofole degli ospiti.
Noto che anche lui non porta la divisa, indossa i jeans e una maglia color
cannella.
Improvvisamente mi accorgo con imbarazzo che sto indossando la sua felpa, ma
lui non sembra essersene accorto.
"Ringrazia tua madre, è stata molto carina a preoccuparsi per
me."
Lui sorride, orgoglioso e imbarazzato.
"Ti va un po' di thè?"
"Grazie, volentieri."
L'acqua è pronta subito, Yayoi lascia sempre attaccato e pieno il bollitore
elettrico, in previsione di ospiti inattesi e anche perché la mamma ama
bere sempre una tazza di thè prima di andare a letto.
Porto il vassoio in sala, lui si è accomodato in poltrona con Rain sulle
ginocchia.
Mi fermo a guardarlo un istante.
Ha gli occhi chiusi, totalmente rapito dalla musica dello stereo rimasto
acceso.
Li riapre di scatto con un movimento che mi fa trasalire, mi sento
rimescolare lo stomaco, sorride: "Bella musica."
"Già."
l'atmosfera è stranamente familiare, cioè.insolita per la mia casa.
L'orchestra attacca il secondo movimento, io verso il thè nelle alte tazze
di porcellana.
Earl Grey.
Il mio preferito.
Forte.
Profumato.
Intenso.
Lo beviamo in silenzio, circondati dalla musica.
Lascio che questo silenzio e questa musica si depositino lentamente sul
tavolo basso, sulle tazze fumanti del nostro thè, sulle labbra tiepide e
umide del liquido ambrato.
"Beh, grazie per il thè, Kitsune. Adesso torno a casa, ci vediamo
domani."
"Ti accompagno."
Prendo Rain in braccio e lo precedo.
All'ingresso si rimette le scarpe da ginnastica, infila il parka senza
abbottonarlo e si gira per un ultimo saluto prima di uscire.
"Allora ciao, Kitsune."
Apro la bocca per dire qualcosa.
Mi guarda.
È buffo.
Il colore nocciola intenso dei suoi occhi insolenti sembra pieno di riflessi
dorati, come quelli del thè.
Mi guarda.
I suoi occhi che mi guardano lasciano una sensazione calda sulla pelle.
La sento vibrare sotto il suo sguardo.
Non smette di guardarmi.
La musica sale in un vorticoso crescendo che sembra un'eco del tumulto che
sento in me.
È un attimo.
Poi mi sento afferrare il viso tra le sue mani e le sue labbra premere
contro le mie.
Sento le sue dita giocherellare con le ciocche dei miei capelli che mi
spiovono sulle guance.
Mi stringe a sé, tra le braccia.
Il piccolo gattino salta a terra, sfuggendomi.
Punto le mani contro il suo petto per allontanarmi da lui, ma riesco a
sentire sotto i fasci dei suoi muscoli allenati il battito accelerato del
suo cuore.
Sento il suo calore circondarmi, sento l'odore della sua pelle, sento le mie
mani stringersi convulsamente sul tessuto di cotone della sua felpa, sento
che mi sto arrendendo a quel bacio.
Risalgo lentamente con i palmi delle mani l'ampio petto, fino a circondargli
il collo con le mie braccia.
Non capisco più niente.
Sono perduto.
Le nostre bocche si aprono e si chiudono al ritmo del respiro, sento le sue
mani accarezzarmi la schiena nuda sotto la maglia da tennis.
È come una scossa elettrica che mi scuote il corpo.
Mi sento spingere contro la porta, il contatto si fa più stretto.
Attimi o forse ore dopo, sento la sua mano scivolare verso il basso
infilandosi lentamente oltre l'elastico dei pantaloni felpati.
Gli affondo il viso nell'incavo del collo trattenendo un gemito.
Suona il telefono.
Io mi discosto da Sakuragi.
Vado a rispondere come in trance: è la mamma.
"Kaede? Ti dispiace aspettarci alzato?.abbiamo dimenticato le chiavi,
ma non preoccuparti, non facciamo tardi.
Per mezzanotte siamo a casa."
"Va.va bene, aspetterò"
"Kaede, tesoro.stai bene? La tua voce è strana."
"No.no.mi ero appisolato sul divano. Va tutto bene, a più tardi
mamma."
Appoggio la cornetta alla forcella e respiro passandomi le mani che tremano
sul volto, so che lui non si è mosso da dove l'ho lasciato.
Mi aspetta.
Ormai ho ripreso il mio autocontrollo.
Riprendo il gattino in braccio e torno all'ingresso.
"Buonanotte, Sakuragi."
Lui sorride ed esce, chiudendosi la pesante porta alle spalle.
Fine Seconda Parte.
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