Note: l'autrice è Miki e non sono io, indi per cui non posso sapere che le passava per la mente quando l'ha scritta... Ma secondo me non ha una sbavatura, quindi non ho appunti da fare! è____é E guai a voi se obiettate!!! Ehm... Scherzo, ovviamente!^^
Disclaimers: Miki sa bene che i personaggi di SD non sono suoi, anche le piacerebbe molto e dichiara di non voler guadagnare nulla da questo raccontino... Beh, almeno lo dichiaro io per lei!^^



Endless Chain

di Miki


Parte 1:
RANDAGI

Urla.cosa sono tutte queste urla nella mia testa?
Dai, mamma.non rompere: voglio dormire ancora un po'.
È domenica, no?
Insomma!
Ho sonno, che cazzo sta succedendo?
Basta.
Adesso mi alzo.
Ma.che ore sono?
Mamma?
Papà?
Ancora urla.
Guardo la sveglia.sono le 4 del mattino!
Ma cosa.?
Mi sta scoppiando la testa.
Cos'è tutto questo casino?
Apro la porta di camera mia.
Le voci, arrabbiate, provengono dalla cucina al piano di sotto.
Mi sporgo dalla ringhiera della scalinata ancora intontito dal sonno.
Un piccolo rumore mi fa voltare: rannicchiata sulle scale c'è la cameriera della mamma che piange, tappandosi le orecchie.
Sono sveglio adesso.
Scendo i gradini a due a due e vado verso la grande cucina.
La porta è aperta.
Mamma è seduta al tavolo.
È bellissima come sempre: indossa quello stupendo abito di seta violetta che fa risaltare i suoi capelli nerissimi e la pelle vellutata e bianca.
Ma il suo viso è contratto e iroso.mi fa paura.
Papà è di fronte a lei in piedi, i pugni serrati lungo i fianchi. il viso stanco e affilato.
Anche lui indossa l'abito da sera e la giacca nera è appoggiata negligentemente al tavolo.
Mamma.
Papà.
Volano parole grosse.
Cattive.
Affilate come lame che incidono il cuore fino a farlo sanguinare.
Crudeli come i sogni che da bambino ho visto infrangersi.
Mamma.
Papà.
"BASTA!!!! FINITELA!!!
IO.Io..vi odio!!!!"
"KAEDE!!!"
"A.aspetta, tesoro!
Non.noi stavamo solo.KAEDE!!!"
Tacete.tacete.
Mi fa male il cuore.non vi riconosco più.
Afferro la giacca a vento e corro fuori.
Scalzo.
Col pigiama.
Sbatto la porta con rabbia.
Piove a dirotto.
Non capisco se sto piangendo.l'acqua corre sul mio viso sferzandolo.
Ho voglia di urlare.
A un certo punto mi fermo.
Ho la nausea.
Schifo.
Li odio.
Respiro pesantemente, mentre la pioggia seguita a cadere violenta su di me.
Un miagolio flebile mi distrae: sotto un pezzo di cartone se ne sta raggomitolato un piccolo gattino.
È fradicio.
Spaventato.
Solo.
Come me.
Sorrido tristemente e lo raccolgo, stringendomelo sotto la giacca.
Lui dapprima si ribella e mi graffia la mano.
"Ahi!! Stupido Do'aho!!"
Lui mi guarda curioso e decide di fidarsi: lecca la piccola ferita quasi a scusarsi e si acquieta.
"Dobbiamo cercarci un rifugio, piccolo Do'aho.siamo due randagi."
Vedo poco distante il tetto di un piccolo tempio.
Magari lì staremo un po' all'asciutto.
Quando sorgerà il sole deciderò cosa fare.
Adesso non voglio ritornare a casa.
Casa.
Si può chiamare casa quella?
Una casa è fatta di persone che si amano.
Di sorrisi.
Ma a casa mia non si sorride più.
A casa mia non ci si ama più.
Solo rancore.
Solo rabbia.
Solo.
Ecco.
Io sono solo.
Mi sistemo alla meglio sotto il piccolo portico, in un angolo riparato e nascosto.
La giacca a vento è fradicia e non è una buona protezione.il gattino si è addormentato nell'incavo della mia spalla, la testolina buffa poggiata sul collo.il suo respiro leggero, fiducioso mi rasserena un po'.piano piano dimentico le voci.
Finalmente mi addormento e cado in un sonno senza sogni.
Mi sveglia un raggio di sole che mi cade sul viso.
Il gattino se ne è andato.
Ma il suo tenero tepore lo sento ancora.
Mi sollevo a sedere e mi stropiccio gli occhi stanchi: devo avere un aspetto terribile!
Mi guardo intorno: è davvero un piccolo tempio.
Appena fuori dall'edificio ci sono tutta una serie di lapidi: deve essere una specie di cimitero.
"Ciao, papà.
Buon compleanno."
È una voce familiare.
Guardo da dietro una colonna di legno.
Sakuragi.
È in piedi di fronte a una lapide di pietra azzurrina.
Quasi non lo riconoscevo: non ha la solita aria trasandata con cui indossa l'uniforme della scuola o quelle sue patetiche canottiere.
Porta pantaloni scuri e un dolcevita beige.
Al braccio tiene con disinvoltura un impermeabile chiaro.
Sorride.
Un sorriso dolce.
Non quello idiota che assume quando vede Haruko.questo è un vero sorriso.
Un miagolio mi riporta alla realtà: il 'mio' gatto si sta avvicinando a Sakuragi!!
"Ehi.e tu da dove salti fuori?"
Sakuragi si china per accarezzarlo, quella piccola peste lo lascia fare e gli fa un po' di fusa soddisfatto.poi miagola e ritorna verso di me.
Accidenti.
Si ferma davanti alla colonna miagolando per attirare l'attenzione del rossino.
"No.no.vai via stupido Do'hao!!" gli sussurro irritato.
Non ho intenzione di farmi scoprire da quel deficiente.
Mi guarda inclinando la testolina curioso e riprende a miagolare.
"Che hai, piccolino? Cosa c'è?"
Sakuragi lo raggiunge:
"Cosa hai trovato? C'è qualcuno là?"
Dannazione.
Sale le scale del piccolo tempio con il gattino tra le braccia: "C'è nessuno? HEY!"
Il gattino gli balza dalle braccia e mi raggiunge nell'ombra nella quale mi sono rifugiato.
"Chi sei? È tuo il gattino?"
È inutile ormai.
Esco dall'ombra con il gatto appollaiato sulla spalla.
Vedo lo stupore dipingersi nel volto trasparente e sincero del mio compagno di squadra.
"Opporco.! KITSUNE???!!!"
"Buongiorno."
Devo essere uno spettacolo ben strano, sotto la tettoia di un tempio, di primo mattino per di più in pigiama e con un gatto randagio in braccio!
"Beh.non credo tu abbia voglia di darmi delle spiegazioni, immagino! Vieni."
"Dove?"
Che domanda stupida.
Ma mi ha spiazzato.
Scoppia a ridere.
"Va bene che sei un tipo originale, ma ho la sensazione che tu abbia bisogno di una doccia calda, di abiti puliti.e di qualcosa da mettere sotto i denti!"
Aggiunge malizioso dopo aver sentito il mio stomaco rumoreggiare facendomi arrossire e scatenando nuovamente la sua ilarità.
Mi dà una pacca sulla spalla: "Forza, baka Kitsune.andiamo" scendo le scale di legno dietro a lui che si ferma all'improvviso.
"Scusami un attimo..."
Ritorna davanti alla lapide azzurrina a si inchina di nuovo sorridendo: "Ciao, papà.adesso devo andare. Torno a trovarti presto."
Sorride accarezzando la stele di pietra: "Ti voglio bene."
Torna da me, mettendosi sulle spalle l'impermeabile.
Ci avviamo in silenzio verso casa sua.
"Mamma? Sono a casa!"
"Hana-chan? Sei stato da papà?" la signora Sakuragi fa capolino dalla cucina e rimane sorpresa nel vedermi, ma non chiede spiegazioni al figlio.
"Lui è un mio compagno di squadra. Non ha voluto dirmi cosa gli è successo.ma penso abbia bisogno di una mano."
La signora sorride e mi guarda affettuosamente.
Trasalisco.era da tanto tempo che qualcuno non mi guardava a quel modo. Come ti guarda solo una madre.
Sento pizzicarmi fastidiosamente le palpebre.
MAI!!
Non avrei mai pianto di fronte a quel.quel.quell'idiota!
Sua madre mi prende sottobraccio con sollecitudine, accorgendosi del mio imbarazzo: "Vieni con me, tesoro. Hana-chan? Prepara un po' di latte caldo mentre mi occupo del tuo amico."
E senza dargli il tempo di replicare mi trascina al piano di sopra.
"Questi sono vestiti di Hanamichi.mettili pure e quando sei pronto vieni in cucina a mangiare un boccone."
Si impadronisce dei vestiti che indossavo fino a quel momento per lavarli ed esce dalla stanza.
Mi lavo velocemente sciogliendo, grazie all'acqua calda, la stanchezza dai muscoli indolenziti dalle ore passate all'umido e all'addiaccio.
Infilo un vecchio paio di jeans e un maglioncino blu da tennista, con lo scollo a "V".
Questa è la camera di Sakuragi.
È stranamente ordinata.
Pensavo che un tipo come lui vivesse sommerso dal caos, invece il futon è piegato in un angolo e sulla scrivania sono aperti i libri per i compiti. Li sbircio.
Mi scappa una risatina: le equazioni sono quasi tutte sbagliate.ma è evidente l'impegno che ci sta mettendo per riuscire...
Come nel basket.
Ho dovuto ammettere a me stesso che quel deficiente ha del talento..
Non è da tutti fare così tanti progressi in poco tempo.
Lo invidio.
Lui ci mette ancora passione in quel che fa.
Io non più.
Anche se il basket è tutto quello che ho.
"Ohi, Kitsune!!! Tutto bene?"
La voce squillante si fa sentire dalle scale.
"Non strillare, stupido! Sto arrivando."
Si è cambiato anche lui, è di nuovo il Sakuragi che conosco, in felpa e calzoni di tela.
"Il tuo gattino era affamato.si è spazzolato tutto quanto!"
C'è dello stupore genuino nel suo tono di voce. è come un bambino.
"Non è il mio gattino.ci siamo semplicemente trovati."
La buffa bestiola frattanto sta tentando di arrampicarsi sulle mie gambe, senza successo.
Ruzzola a terra e sbuffa contrariato.
Mi scappa da ridere nel guardarlo.piccolo pel di carota.
Già.
Stanotte non lo avevo notato, ma il suo pelo è di una delicata sfumatura rosso-arancio.
"Do'hao" gli sussurro scuotendo il capo, lui non demorde e finalmente si accoccola sulle mie ginocchia, vittorioso.
Quando alzo gli occhi incontro lo sguardo di Sakuragi.
Sorride.
Il sorriso di stamattina.
"Allora hai anche tu un cuore, Kitsune."
Mi sento arrossire e mi concentro sul mio latte caldo.
Accidenti.
La signora Sakuragi mi spadella davanti un'enorme omelette con un sorriso che farebbe invidia a quello di Sendoh.
"Coraggio, tesoro! Non badare a questo zuccone e mangia un po', hai l'aria patita.!"
"MAMMA!!! Sono cose da dire??!!! Scusala, ti prego."
"Va bene, stai tranquillo."
mangio con calma, osservando il tran tran familiare di casa Sakuragi.
A un certo punto la mamma guarda l'orologio con disappunto.
"Accidenti.è tardissimo! Hana-chan, tesoro.devo correre in ospedale. Ci vediamo stasera. Se faccio tardi non aspettarmi alzato, domani hai scuola e devi dormire."
"D'accordo, mamma."
"Il pranzo è nel frigo, puoi scaldarlo nel forno. Metti il bucato a stendere quando la lavatrice ha finito e ricordati di ritirarlo stasera."
Si avvicina al suo ragazzo e gli dà un bacio sulla fronte, carezzandogli i capelli cortissimi.
"Ti voglio bene, Hana-chan. A stasera."
Si volta verso di me, con un sorriso dolce.
Poi, dopo un attimo di esitazione, mi scompiglia i capelli e scende sulla guancia con una carezza:
"Buona giornata, tesoro."
Esce leggera come una farfalla.
Sul viso c'è ancora il tiepido alone della sua mano.
Prima che riesca solo a capire cosa mi stia succedendo, sento qualcosa di caldo scivolarmi sulla guancia.
Sakuragi mi guarda.
NO!
Non deve vedermi così.
Non voglio.non da lui.
Ma ormai è troppo tardi.
Mi porto le mani al volto e piango.

Fuori Sakuragi sta tenendo una lezione di economia domestica al gattino rosso.
"Vedi, Rosso. se metto i panni colorati al sole corro il rischio di trovarmi le magliette sbiadite.quindi le appendiamo qui, all'ombra: basterà il vento ad asciugarle."
Ha avuto la delicatezza di uscire durante la mia crisi.
Ha capito il mio imbarazzo.
Il gattino lo ascolta attento, ma appena si accorge di me mi viene incontro miagolando.
Sakuragi mi guarda e mi lancia una maglietta umida: "Forza, Kitsune! Guadagnati il pranzo."
Appendiamo il bucato in silenzio.
È una cosa nuova per me e osservo i suoi movimenti di sottecchi: è svelto, pratico.
Quando abbiamo finito rientriamo in casa.
Si è fatta ora di pranzo.
"Ti piacciono le lasagne?"
"S.sì.
Mi piacciono."
Ma che sto facendo qui?
Forse dovrei andarmene.
Ma dopotutto dove potrei andare.a casa mia?
E poi?
Mi sentirei soffocare dentro quelle mura fredde.
Ho sempre freddo a casa mia.
Qui sto bene.
"Apparecchia, Kitsune. Le stoviglie sono nella credenza."
Mi metto all'opera, il gattino fa la spola tra me e Sakuragi, strusciandosi sulle nostre gambe e facendo le fusa.
Quando tutto è pronto mangiamo le lasagne.
Sakuragi ha sbagliato i tempi di cottura e sono un po' bruciacchiate.ma va bene così.
So che ce l'ha messa tutta.
Come sempre.
"Kitsune."
alzo lo sguardo dalla schiuma del detersivo per i piatti.
Ho insistito per lavarli io.lui li asciuga e li ripone nella credenza.
Il gattino gioca con le bolle di sapone.
"Kitsune.cosa è successo?"
potrei mandarlo al diavolo o dargli un pugno sul muso.
Impiccione.
Ma ho un bisogno quasi disperato di parlarne con qualcuno.
"Sono scappato di casa."
Mi asciugo le mani sul canovaccio di tela e prendo al volo il gatto che stava cadendo nel lavandino ancora pieno d'acqua saponata: "Attento, Do'hao."
Sakuragi si avvicina e gratta dietro le orecchie del gatto che miagola soddisfatto.
"Saranno preoccupati per te."
È chiaro che vorrebbe saperne di più, ma ha il buonsenso e la delicatezza di non indagare oltre.
"Forse."
"Torna a casa, Rukawa."
"E poi?" sbotto.
Il gattino mi sfugge dalle braccia spaventato.
"Non cambierebbe nulla.
Continuerebbero a urlare.a litigare.
La mamma direbbe sempre quelle cose terribili al papà.e il papà schiaffeggerebbe di nuovo la mamma.e io.io.sono così stanco di essere solo!"
Mi prendo la testa fra le mani.
Sono seduto su di una seggiola coi gomiti appoggiati sulle ginocchia.
"Non era così prima.sai, Sakuragi? Anche mia madre trovava il tempo di cucinarmi le omelette e mio padre mi accompagnava agli allenamenti.la domenica andavamo insieme al mare o alle partite.
Poi il nonno è morto e papà ha dovuto prendere il suo posto nell'azienda.la mamma doveva essere la perfetta padrona di casa, la 'first lady'. E nessuno aveva più tempo per me."
"Rukawa."
"Non voglio la tua compassione, Sakuragi. Non so perché ti ho raccontato questo. Dimenticalo.
Fammi questo favore."
Mi alzo e infilo le scarpe che la mamma di Sakuragi mi ha preparato sulla porta: "Ti ringrazio. Ti farò riavere i tuoi vestiti al più presto."
Il gattino miagola pateticamente ai miei piedi, lo raccolgo e struscio il viso sul suo pelo morbido e caldo: "Vuoi venire con me?" miagola affermativamente e gli gratto le orecchie.
Sorrido mestamente, poi alzo gli occhi sul mio compagno: "Grazie sul serio, Sakuragi. Ci vediamo domani a scuola."
Apre la bocca per dire qualcosa.
Un attimo di esitazione.
"Ciao, Rukawa."
In meno di mezz'ora è la terza volta che si rivolge a me chiamandomi con il cognome, non "baka", non "kitsune", non.
Fa effetto.
Troppo.
Vado.



Fine Prima parte


 
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