DISCLAIMER: Ovviamente i pg non sono miei... magari lo fossero ç_ç... ma di
Inoue-sensei e io non ci guadagno nulla.
DEDICHE: A Natsume per il suo compleanno.
Due vite,
un destino
parte X
di Sakuya
Kaede rientrò a casa con un senso di
angoscia che gli opprimeva il cuore. Ma non c'era solo quello, no, c'era
anche una strana sensazione di gioia e pace.
Era stato una specie di chiarimento quel saluto con Hanamichi e in fondo
poteva sempre sperare che le cose cambiassero un giorno.
Di rimando però continuava a venirgli in mente che il rossino era partito,
era andato in un'altra città... con Sendo.
Ma quel porcospino ambulante non poteva starsene per conto suo, insieme ai
suoi amici e alla sua squadra?? Gli veniva una rabbia se solo ci
pensava... e anche una gran tristezza.
Ma non per Sendo, per Koshino.
Non era stupido, si era accorto benissimo di quello che la guardia del
Ryonan provava per il suo capitano. Non che la cosa si notasse, anche
perché il ragazzo non era esattamente il tipo che dimostrava i suoi
sentimenti, ma... forse era il fatto che anche lui aveva quella stessa
luce negli occhi, una tristezza che solo le persone che amano possono
percepire.
"Kaede... finalmente sei tornato... sei sparito così all'improvviso...
dove sei stato?"
La voce di suo padre che emergeva dalla cucina con uno strofinaccio in
mano e un grembiule addosso lo riportò bruscamente alla realtà.
Suo padre che si atteggiava a genitore affettuoso e il ragazzo che amava
trasferito a Kyoto con un altro.
Si buttò a peso morto sul divano sbuffando. Ma perché tutte in quel
periodo le disgrazie?
"Ero all'aeroporto". Era anche troppo come spiegazione, si sarebbe dovuto
accontentare di quello, ma Tashiro Rukawa era molto più testardo del
figlio... a volte, quando faceva sfoggio di questa sua caratteristica
ricordava a Kaede, Hanamichi... se continuava così sarebbe scoppiato a
piangere senza motivo apparente e non era certo il caso di farlo,
soprattutto non di fronte a suo padre.
"All'aeroporto?? Kaede non vorrai andartene vero??"
"Tzè... è partito un mio amico... Vado a farmi una doccia" disse
alzandosi, ma si ritrovò il padre a interdirgli il cammino verso le scale.
"Kaede adesso è ora che io e te parliamo, la farai dopo la doccia...
siediti per favore..."
La voce risoluta e lo sguardo fermo del padre gli impedirono di fare
qualsiasi tentativo per opporsi. Si sedette e attese che il padre facesse
lo stesso dopo aver posato lo straccio e il grembiule sul tavolino.
"Kaede ascolta... io ho capito di aver sbagliato tutto con te, credevo...
non lo so nemmeno io cosa credevo, in ogni caso non sono mai stato un buon
padre... ma adesso ho deciso di cambiare... forse è troppo tardi, ma
voglio lo stesso fare un tentativo, anzi... se c'è anche una microscopica
possibilità di creare un rapporto con te, non voglio sprecarla, non voglio
lasciare nulla d’intentato..."
Che cavolo gli era saltato in testa? Ma che voleva da lui? Dopo quasi
diciassette anni si era deciso a fare il padre? Beh avrebbe potuto
pensarci molto prima!
"Che vuoi da me?"
"Voglio che tu venga con me nei miei viaggi... lasceremo questa casa e tu
non sarai più costretto a vivere da solo... Ovviamente torneremo qui a
Kanagawa di tanto in tanto perché la sede della mia impresa è qui, ma la
nostra residenza principale sarà a Parigi oppure a Londra, a seconda dei
casi..."
Kaede sgranò gli occhi. Allora era vero che al peggio non c'è mai fine!
"Stai scherzando vero? Io non ho finito ancora il liceo e... non posso
andarmene... io ho una vita qui!" Si era alzato di scatto e aveva
inconsciamente alzato anche la voce.
Non era del tutto falso quello che aveva detto: doveva finire il liceo (ma
poteva farlo ovunque), non poteva andarsene (chi lo avrebbe trattenuto?)!
Lui aveva una vita a Kanagawa!! Il basket, i suoi amici...
Poi rifletté un istante. Era una possibilità per migliorare nel gioco e
poi... lui non aveva amici, e quella poteva essere l'occasione per
lasciarsi tutto alle spalle una volta per tutte.
C'era un solo insignificante, minuscolo, inutile, impensabile dettaglio.
E se Hanamichi fosse tornato? Quella città era il loro unico collegamento,
i suoi amici erano gli unici a poterlo tenere informato, gli unici che
avrebbero potuto dargli il suo numero di telefono, il suo indirizzo...
"Kacchan io capisco che potrebbe essere un trauma per te lasciare tutto,
ma... potremmo costruire un rapporto tra padre e figlio, no? Forse... è
perché qui hai una ragazza... è per questo?"
Già una ragazza... qualcuno che amava c'era, peccato però che non aveva
molto i tratti femminili, fosse alto uno e novanta, fosse dannatamente
forte, fosse un ragazzo, ma soprattutto si fosse appena trasferito in
un'altra città.
"No, non è per questo... io... non posso..."
Abbassò la testa e la frangia gli coprì gli occhi che, ormai, rischiavano
di riempirsi di lacrime in meno di un secondo se non si fosse calmato.
"Ho capito... ascolta il mio prossimo viaggio sarà fra tre settimane e
vorrei che venissi con me, solo per tre giorni, non resterò di più...
Potremo fare una prova, che ne dici?"
"..."
"Non mi devi rispondere subito, hai tempo per pensarci, non ti
preoccupare..."
"Posso andare adesso?"
"Sì certo... la cena sarà pronta tra mezz'ora".
"Hn..."
Adesso era davvero nei guai...
"Pronto?"
"Ehm... buonasera signora sono Sendo... Hiroaki è in casa?"
"Ah Sendo-kun! Ciao tesoro... sì aspetta te lo chiamo subito...
Hiroakiiiiiiiiiiii"
Sendo spostò leggermente la cornetta dall'orecchio. La madre di Koshino
era una donna tanto dolce e comprensiva, ma quando si trattava di urlare,
era come se si trasformasse...
"Sì?"
"Ciao Hiro-kun!!"
"Aki!! Ciao! Come stai?"
Lo aveva davvero chiamato! Ed era partito da un solo giorno! Koshino sentì
che il cuore stava per scoppiargli.
"Bene... questa casa è enorme ti giuro! La mia camera è il doppio di
quella che avevo a casa mia! E poi vedessi il giardino!! Pensa che ci sono
le altalene e lo scivolo che usava Hana da bambino!"
"Mmm... e il resto?"
"Oggi sono andato a vedere la scuola... hanno una gran bella squadra di
basket... o almeno mi è sembrato dagli allenamenti a cui ho assistito... a
dire la verità mi sembrava strano non vedere te... e anche gli altri
ovviamente..."
Forse era stato un po’ troppo precipitoso ad aggiungere quell'ultima
frase, ma di certo Koshino non ci fece caso.
"Oggi... sì insomma... giocare senza di te sapendo che non sei in ritardo
o che verrai domani..."
Silenzio. Che poteva dirgli? Che si voltava sempre verso la porta sperando
vanamente che Akira entrasse di corsa dicendo che si era sbagliato? Che
voleva stare a Kanagawa con loro?… A Kanagawa con lui?
".... Hiro... ascolta... ti sembrerà stupido però... Mi manchi davvero
tanto... mi mancate tutti..."
Appunto, gli mancavano i suoi amici.
"Anche tu manchi a tutti Akira, anche se sei appena partito..."
"A tutti, te compreso?" che strana ansia quella che lo stava prendendo.
Beh ma era ovvio! A lui Koshino mancava tantissimo, com’era giusto che
accadesse con un caro amico... anzi no, con l'unico vero amico che uno
possiede... Era logico che sperava di mancargli a sua volta!
"Secondo te brutto cretino??... Certo che mi manchi..." aggiunse dopo un
attimo. Sendo si sentì stranamente felice, era bello sapere che il
sentimento era reciproco...
"Ehm... Hiro adesso devo andare.. la cena è pronta..."
"Sì, anche qui da me... Allora ci sentiamo, ok?"
"Sì, certo... chiamami ogni tanto, non fare che ti dimentichi di me appena
attacco, chiaro?"
Ma era scemo o cosa? Sembrava che lo facesse apposta a dirgli certe cose!
Come poteva dimenticarsi di lui? Sollevò gli occhi sulla foto che aveva
sulla scrivania... era comodo avere un telefono in camera, ma a volte era
anche tremendamente difficile...
Quella foto l'avevano fatta sei mesi prima, loro due, un canestro, una
palla da basket in terra e il solito sorriso di Akira che era in grado di
rischiarare persino le sere con il cielo coperto e senza stelle come
quella. Chissà se aveva portato quella foto e l'aveva messa sulla
scrivania della sua nuova camera come aveva fatto quando era a Kanagawa?
<Incorniciamola e mettiamola ognuno sulla propria scrivania, così sapremo
sempre che abbiamo una persona su cui contare.> Questo gli aveva detto.
"E smettila di fare l'appiccicoso! Se mi va ti chiamo!"
"Ecco il Kosh che conosco! Ok allora ci sentiamo... vado... ciao Hiro!"
"Sì, ci sentiamo... Ciao Aki".
Koshino mise giù la cornetta e continuò a fissare la foto mentre sua madre
gli urlava di andare a cena.
Da quanto era innamorato di Akira? Neanche se lo ricordava più, da sempre
praticamente, da quando si erano conosciuti in prima media... Certo a
undici anni non si sa cos'è l'amore, ma quando a quattordici ti ritrovi a
sognare di baciare il tuo migliore amico che ti è caduto addosso mentre
giocavate a basket allora cominci ad avere dei sospetti e quando a
diciassette non fai altro che pensare a lui anche sapendo che ama un altro
e a desiderare che sia felice sempre e comunque, sai che lo ami da sempre
e continuerai a farlo per sempre.
Sospirò rumorosamente, si alzò e scese urlando a sua madre di smetterla di
strillare tanto.
Akira bussò un paio di volte ma nessuno gli rispose.
"Hana? Io entro..."
Si guardò intorno ma capì subito che il suo amico non era ancora
rientrato. Era rimasto ad allenarsi in palestra, ma lui era dovuto tornare
a casa per prepararsi al compito di matematica che aveva il giorno
successivo, e infatti era rimasto chiuso in camera sua fino ad allora. I
nonni di Hanamichi erano fuori per una cena di lavoro e visto che erano le
nove passate e il suo stomaco cominciava a brontolare fin troppo
rumorosamente, si decise a chiudere libro e appunti e andare a vedere se
Hana aveva fame.
Entrò e accostò la porta, si sedette sul letto e si guardò intorno.
Era strano che una persona rumorosa e indisciplinata come Hanamichi fosse
così ordinata.
Niente era fuori posto, i libri e i vari manga riposti ordinatamente sugli
scaffali della libreria e neanche una cartaccia sulla scrivania.
Hanamichi aveva anche lui messo lì una foto. In camera di Sendo c'erano un
paio di foto sulle pareti e una sulla scrivania: lui e Koshino abbracciati
e sorridenti con una palla da basket lì vicino.
Era una foto che ritraeva lo Shohoku e gli amici di Hanamichi dopo una
partita, doveva essere quella che avevano fatto dopo la vittoria col
Sannoh di cui il rossino gli aveva tanto parlato.
Accanto c'era una foto della sua famiglia. Sua madre, rossa di capelli
come lui e con il volto illuminato da una gioia senza limiti, suo padre
che rideva e Hana, un bambinetto di setto o otto anni, tra di loro che
faceva il segno della vittoria con due dita e un sorriso felice e
impertinente sulle labbra. Non credeva di avergli mai visto un sorriso
come quello da quando lo conosceva e in quei due anni lo aveva osservato
davvero molto bene.
Su una parete poi c'era una cornice con dentro un sacco d’altre foto.
Con Mito, con tutta la sua banda, sempre con Mito e gli altri ma più
piccoli... e poi tantissime foto fatte con i membri della sua ex-squadra,
chissà quando, prima e dopo un allenamento.
"Eri molto più felice di quello che volevi ammettere Hana... E sei davvero
molto, molto stupido se te ne sei andato lontano solo per scappare da
lui..."
Sendo era in piedi, incantato a guardare la cornice con le foto, ma non
tutte, la sua attenzione era fissa su una in particolare. Hanamichi seduto
su una panca con accanto Mitsui che gli cingeva le spalle con un braccio e
Miyagi dietro di loro che abbracciava entrambi. Ma la cosa che aveva
attratto la sua attenzione non era chi c'era in primo piano, ma chi c'era
dietro... Rukawa, lo sguardo fisso su Hanamichi, gli occhi incredibilmente
tristi. Non credeva di aver mai visto qualcosa di diverso da una luce di
sfida o di soddisfazione in quegli occhi, eppure era così. Non era
difficile da capire che Rukawa provava molto più dell'odio, almeno non era
difficile per un occhio attento come il suo, ma quell'espressione… vedere
l'algida kitsune che esprimeva i propri sentimenti era davvero... non lo
sapeva. Non sapeva come si sentiva e cosa pensava.
Amava Hanamichi, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, ma vederlo, o anche
solo immaginarlo, tra le braccia di Rukawa...
Scosse la testa, in fondo ne andava della felicità del suo Hana...
Il rumore della porta principale che si chiudeva lo riscosse e si rese
conto che non era certo un bene farsi trovare in una camera non sua mentre
elaborava chissà quale assurda e tremenda teoria, così uscì e andò
incontro ad Hanamchi abbracciandolo come suo solito.
Erano già passati dieci giorni da quando viveva a Kyoto e le cose non gli
erano mai sembrate tanto semplici.
Andava bene a scuola, si era già fatto un paio di amici, era diventato
immediatamente titolare della squadra di basket della scuola, i suoi nonni
erano al settimo cielo e poi c’era Akira.
Ogni giorno che passava capiva sempre di più quanto fantastico e
straordinario fosse quel ragazzo.
Era sempre allegro, non gli faceva pesare minimamente il fatto che
sentisse molto la mancanza dei suoi genitori, dei suoi amici e in
particolare di Koshino. Erano davvero molto amici, perché a volte sembrava
che sentisse una nostalgia molto più profonda e radicata di quella che
provava lui per Mito, era molto più simile a quella che sentiva per… Sì,
per lui.
Ormai non era un mistero, o almeno non lo era più. Si era deciso ad
ammetterlo. Il vero motivo della sua partenza, la vera ragione che lo
aveva spinto.
La paura. Paura di essere come era in realtà, paura di farsi vedere senza
la sua maschera, ma soprattutto paura dei propri sentimenti, quelli che lo
legavano a lui.
Era molto più dell’odio, molto più della semplice rivalità, dell’invidia,
della comprensione, della solidarietà per una persona sola come lui. Era
amore. Puro e semplice.
E lui non poteva permettersi di amare, non poteva amare e perdere di nuovo
com’era successo con suoi genitori, la paura era troppa.
Così era fuggito, portandosi dietro un ragazzo meraviglioso che per sua
sfortuna amava la persona sbagliata, proprio come lui.
Bussò alla porta della stanza di Akira e il ragazzo gli aprì sorridendo
come suo solito.
“Ehi…”
“Aki… possiamo parlare?”
”Certo, entra pure… Hana va tutto bene?”
Hanamichi si sedette sul letto e fece cenno a Sendo di sedersi accanto a
lui. Il ragazzo moro capì immediatamente che qualcosa non andava e lo
assecondò senza aprire bocca.
“Ascolta Aki… io ti voglio molto bene, lo sai e sono convinto che tu sia
una persona eccezionale ed è per questo che… io… vorrei che tornassi a
casa… a Kanagawa.” Aveva alzato il volto e ora lo guardava negli occhi,
almeno il coraggio per sentirselo dire che era un bastardo sfruttatore ce
l’aveva.
Ma non vennero insulti, non venne nulla da Sendo se non un sospiro.
Si stese sul letto e sospirò mentre incrociava le braccia dietro la testa.
“Lo sapevo… Sapevo che non poteva durare… Ma sai una cosa? Sono contento
lo stesso…”
“Aki, io… mi dispiace davvero… Eh? Aspetta un attimo hai detto che sei
contento?”
Hanamichi era seriamente stupito e si poteva vedere chiaramente in quei
dolcissimi occhi nocciola che si erano piantati su Sendo ancora increduli.
“Già sono contento… Sono contento di aver avuto la possibilità di
conoscerti meglio, di passare questi pochi, ma intensi giorni con te. Sono
contento anche di tornare, in fondo… Ma soprattutto sono contento di una
cosa… se mi mandi via è perché, finalmente, te ne sei accorto…”
“Accorto? Accorto di che?” Non ci stava capendo più niente e Akira si
ritrovò a ridacchiare dell’ingenuità che spesso dimostrava il ragazzo.
“Che sei innamorato di Rukawa, che altro sennò?” Ecco aveva colto nel
segno, era evidente. Hana era balzato in piedi, era arrossito fino alla
punta dei capelli e sembrava davvero molto imbarazzato.
"Ma... ma che dici? Io, innamorato di... di quella kitsune?? Ma non dire
scemenze! Io lo odio quello!!!!"
"Sì ok... Tu lo odi esattamente come io odio te o Hiro..."
Sendo si accorse di quello che aveva appena detto e si domandò come avesse
potuto fare un simile paragone, ma preferì non pensarci. Si alzò e andò
dal rossino, lo fece voltare e lo abbracciò con calore e affetto.
"Spero tu possa essere felice piccolo... Adesso devo telefonare a casa...
ci vediamo dopo". E dicendo così uscì dalla camera con il solito sorriso
lasciando Hanamichi imbambolato e incredulo nel centro della stanza.
Mentre scendeva le scale pensò che non era poi così disperato come avrebbe
potuto credere. Il ragazzo che amava era innamorato di un altro, non
poteva più stargli accanto come aveva sempre desiderato, eppure l'unica
cosa che provava era uno strano senso d’inquietudine.
Non era esattamente triste, ma non era nemmeno felice, non era
preoccupato, ma non era nemmeno sereno.
Forse tornare a casa lo avrebbe aiutato a riflettere sui suoi sentimenti e
a dimenticare Hanamichi... già, dimenticare Hanamichi... stranamente non
sembrava una cosa impossibile come aveva sempre creduto...
"Ciao mamma... sì tutto bene... Mamma, torno a casa ^___^"
Dieci giorni. Dieci giorni senza sentire quella voce, senza vedere quel
sorriso, senza sentire i suoi insulti, senza vedere quegli occhi.
Una tortura, ecco cosa erano stati quei giorni. E pensare che sarebbe
stato sempre così... Beh, provava solo con un paio d’anni d’anticipo
quello che avrebbe vissuto dopo la fine del liceo, dov'era il problema?
"Kaede? Kaede mi stai ascoltando?"
Era da quando si erano messi a tavola, che suo padre non faceva altro che
parlare e blaterare parole che per lui erano senza senso perché la sua
testa era a kilometri e kilometri di distanza.
"No, ero distratto... che dicevi?"
"Niente d’importante... Kacchan sei così strano da quando quel tuo amico è
partito... per caso era quel bel ragazzo coi capelli rossi che lavorava
qui vicino?"
Kaede si irrigidì di colpo. Si era quasi dimenticato che una sera suo
padre erano andato con lui alla tavola calda dove lavorava Hanamichi e
aveva creduto che fossero amici.
"Hn".
"Capisco... è il tuo migliore amico?"
"E' molto... è solo molto stupido, non è il mio migliore amico, anzi non è
un mio amico e basta... non ho più fame, mi dispiace. Vado a fare i
compiti". Si alzò mentre il padre gli lanciava uno sguardo carico di
quella che poteva sembrare comprensione senza sapere cosa davvero avesse
detto.
Che ne poteva sapere lui o chiunque altro di quello che provava? Hanamichi
non era un suo amico, era molto di più, ecco quello che stava per dire.
Era il suo primo e per ora unico amore. Erano spiriti affini, anime
collegate e legate che non potevano fare a meno l'una dell'altra.
Si sbatté la porta alle spalle. Che sciocchezze andava pensando? La doveva
smettere di fantasticare e pensare a romanticherie. Lui non era il tipo e
Hanamichi non era il ragazzo dal quale era stato costretto a separarsi
contro la loro volontà per colpa del destino.
Lui aveva fatto una scelta ben precisa e Kaede doveva accettarla. Doveva
smettere di correre ogni volta che il telefono squillava, che arrivava la
posta o che il campanello suonava.
Semplicemente doveva andare avanti, trovare qualcun altro da amare e
continuare a giocare come aveva sempre fatto.
Il campanello continuava a suonare. Koshino guardò l'orologio che ogni
sera, prima di andare a dormire, appoggiava sul comodino.
Le dieci e venti. Certo non era presto, ma considerando che si era messo
al letto alle tre passate dopo un'uscita in discoteca con Fukuda, Ikegami,
Uozumi e altri due suoi amici, era davvero impensabile che a quell'ora di
mattina potesse alzarsi! Pensò che non era costretto ad andare ad aprire,
che si sarebbe mosso qualcun altro, che se continuavano a suonare in
quella maniera infernale finalmente suo padre avrebbe abbandonato il
giornale e sua madre l'aspirapolvere per riempire di calci quello
scocciatore insistente, ma poi si ricordò che i suoi genitori erano fuori
per il week-end.
"Che palleeee!!! Arrivoooooooooooooo!!!!" urlò con la voce ancora
impastata dal sonno mentre usciva da sotto le coperte e andava ad aprire
con il pigiama tutto storto, i capelli arruffati e i piedi scalzi. Se era
un venditore ambulante lo avrebbe preso a calci, se era un suo amico lo
avrebbe preso a pugni e chiunque altro fosse stato lo avrebbe preso a
schiaffi.
Possibile che di domenica mattina una persona sana di mente non avesse
altro di meglio da fare che andare a scocciare lui? Come risveglio era
stato tremendo e visto che era risaputo che era molto irascibile di
carattere, il povero... anzi, lo stupido che aveva osato svegliarlo
avrebbe...
"^____________^ Buongiorno! ^______^ Ma come, dormi ancora??"
Ecco, uno stupido sogno lo aveva svegliato. Un sogno con un sorriso
meraviglioso, i capelli a punta e un paio di jeans così stretti da
togliere il fiato... e non solo metaforicamente!
"A... Aki?"
"Hana mi ha rimandato a casa, è innamorato di Rukawa, mi fai entrare Hiro?"
Koshino si spostò dalla porta per permettere all'altro di entrare,
improvvisamente sveglio, ma ancora troppo scosso per incamerare le notizie
appena ricevute.
Sendo aveva le mani in tasca, non si voltava e non parlava.
"Aki... mi dispiace, io non so che dire..."
"Dimmi solo che sei contento di vedermi" gli disse voltandosi e allora
Hiroaki vide qualcosa che non si aspettava e che non vedeva da molto,
moltissimo tempo: Sendo piangeva, sempre senza smettere di sorridere.
Gli buttò le braccia al collo e lo strinse più forte che poteva.
"Sono felice... felicissimo di vederti..."
"Anche io Hiro, anche io" disse il ragazzo più alto, senza smettere di
piangere.
Koshino strinse ancora più forte le braccia, in quel momento era felice
perché finalmente Akira era di nuovo vicino a lui, si sentiva un verme,
era vero, ma era felice. Sarebbe dovuto scoppiare a piangere perché Sendo
era triste e non perché non gli importava di altro se non delle sue
braccia che lo stringevano ricambiando il suo abbraccio, ma in quel
momento non gli importava di nient’altro, solo avere Akira accanto era
importante, il resto sarebbe venuto dopo.
"Lo supereremo insieme, vedrai..." disse con il tono più dolce che riuscì
ad usare e Sendo si strinse così tanto da lasciarlo senza fiato.
Come risveglio era stato decisamente molto, molto piacevole, non c'era che
dire.
"Allora io domani parto... sei sicuro di non voler venire con me?"
"No".
"Kyoto è una bella città... per tre giorni cambieresti aria..."
Kaede drizzò le orecchie e si voltò verso il padre.
"Dovremmo andare a Kyoto?"
"Sì, ma tranquillo sarebbe solo per tre..."
"Vado a preparare una borsa con dei vestiti e a prendere la palla...
prenota anche per me".
Tashiro rimase senza parole. Non aveva mai visto suo figlio così deciso, a
parte quando gli aveva detto che, finiti gli studi, sarebbe voluto andare
negli Stati Uniti per migliorare nel basket, e forse nemmeno allora. E il
tutto senza battere ciglio! La freddezza l'aveva presa tutta da sua
madre... anzi no, era molto più distaccato di lei! Scosse la testa e alzò
il ricevitore del telefono che era lì accanto per prenotare un biglietto
aereo e una stanza d'albergo per il figlio.
Kaede si chiuse la porta alle spalle, accese lo stereo con dentro un cd di
musica punk che aveva comprato per sbaglio, lo mise a tutto volume e poi
si mise ad urlare... una gioia incontenibile gli bruciava dentro, tanto da
fargli scoppiare il cuore che correva all'impazzata e i polmoni che erano
ormai in carenza d’ossigeno.
"Preparati Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa viene a prenderti!"
FINE DECIMA PARTE
KAE: *______* sììììììììììììììì
evvaiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!
SAKU: Ehm... Kae... sei contento??
KAE: *_________* HANA *__*
SAKU: ^^;;;;;;;
HANA: KAEEEEEEEEEEE muovitiiiiiiiiiiiiiiiiiii vieni subito da me
amoreeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!
SAKU: ^^;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;
HIRO: Aki *__________*
SAKU: ^^;;;;;;;;;;;;;;;;
AKI: Hiro, consolami *________*
SAKU: ^^;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;
HIRO: Ceeeeeerto Aki-chan *____*
SAKU: BASTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!! -________-
H&K&H&A: Che le è preso?? é__è
SAKU: Smettetela di fare i cretini, io devo scrivere l'ultimo cap! è__é
HANA: *___* L'ultimo.......
KAE: ........capitolo *____*
SAKU: Ok, ok, vado....... sfruttatori! >___<
H&K: *_______*
Con qualche giorno di anticipo... A Natsume per il suo compleanno.
Tanti auguri e 1.000.000.000 di questi giorni nipo!!!! ^*^
DUE VITE, UN DESTINO - Decima parte
by SAKUYA
Kaede rientrò a casa con un senso di angoscia che gli opprimeva il cuore.
Ma non c'era solo quello, no, c'era anche una strana sensazione di gioia e
pace.
Era stato una specie di chiarimento quel saluto con Hanamichi e in fondo
poteva sempre sperare che le cose cambiassero un giorno.
Di rimando però continuava a venirgli in mente che il rossino era partito,
era andato in un'altra città... con Sendo.
Ma quel porcospino ambulante non poteva starsene per conto suo, insieme ai
suoi amici e alla sua squadra?? Gli veniva una rabbia se solo ci
pensava... e anche una gran tristezza.
Ma non per Sendo, per Koshino.
Non era stupido, si era accorto benissimo di quello che la guardia del
Ryonan provava per il suo capitano. Non che la cosa si notasse, anche
perché il ragazzo non era esattamente il tipo che dimostrava i suoi
sentimenti, ma... forse era il fatto che anche lui aveva quella stessa
luce negli occhi, una tristezza che solo le persone che amano possono
percepire.
"Kaede... finalmente sei tornato... sei sparito così all'improvviso...
dove sei stato?"
La voce di suo padre che emergeva dalla cucina con uno strofinaccio in
mano e un grembiule addosso lo riportò bruscamente alla realtà.
Suo padre che si atteggiava a genitore affettuoso e il ragazzo che amava
trasferito a Kyoto con un altro.
Si buttò a peso morto sul divano sbuffando. Ma perché tutte in quel
periodo le disgrazie?
"Ero all'aeroporto". Era anche troppo come spiegazione, si sarebbe dovuto
accontentare di quello, ma Tashiro Rukawa era molto più testardo del
figlio... a volte, quando faceva sfoggio di questa sua caratteristica
ricordava a Kaede, Hanamichi... se continuava così sarebbe scoppiato a
piangere senza motivo apparente e non era certo il caso di farlo,
soprattutto non di fronte a suo padre.
"All'aeroporto?? Kaede non vorrai andartene vero??"
"Tzè... è partito un mio amico... Vado a farmi una doccia" disse
alzandosi, ma si ritrovò il padre a interdirgli il cammino verso le scale.
"Kaede adesso è ora che io e te parliamo, la farai dopo la doccia...
siediti per favore..."
La voce risoluta e lo sguardo fermo del padre gli impedirono di fare
qualsiasi tentativo per opporsi. Si sedette e attese che il padre facesse
lo stesso dopo aver posato lo straccio e il grembiule sul tavolino.
"Kaede ascolta... io ho capito di aver sbagliato tutto con te, credevo...
non lo so nemmeno io cosa credevo, in ogni caso non sono mai stato un buon
padre... ma adesso ho deciso di cambiare... forse è troppo tardi, ma
voglio lo stesso fare un tentativo, anzi... se c'è anche una microscopica
possibilità di creare un rapporto con te, non voglio sprecarla, non voglio
lasciare nulla d’intentato..."
Che cavolo gli era saltato in testa? Ma che voleva da lui? Dopo quasi
diciassette anni si era deciso a fare il padre? Beh avrebbe potuto
pensarci molto prima!
"Che vuoi da me?"
"Voglio che tu venga con me nei miei viaggi... lasceremo questa casa e tu
non sarai più costretto a vivere da solo... Ovviamente torneremo qui a
Kanagawa di tanto in tanto perché la sede della mia impresa è qui, ma la
nostra residenza principale sarà a Parigi oppure a Londra, a seconda dei
casi..."
Kaede sgranò gli occhi. Allora era vero che al peggio non c'è mai fine!
"Stai scherzando vero? Io non ho finito ancora il liceo e... non posso
andarmene... io ho una vita qui!" Si era alzato di scatto e aveva
inconsciamente alzato anche la voce.
Non era del tutto falso quello che aveva detto: doveva finire il liceo (ma
poteva farlo ovunque), non poteva andarsene (chi lo avrebbe trattenuto?)!
Lui aveva una vita a Kanagawa!! Il basket, i suoi amici...
Poi rifletté un istante. Era una possibilità per migliorare nel gioco e
poi... lui non aveva amici, e quella poteva essere l'occasione per
lasciarsi tutto alle spalle una volta per tutte.
C'era un solo insignificante, minuscolo, inutile, impensabile dettaglio.
E se Hanamichi fosse tornato? Quella città era il loro unico collegamento,
i suoi amici erano gli unici a poterlo tenere informato, gli unici che
avrebbero potuto dargli il suo numero di telefono, il suo indirizzo...
"Kacchan io capisco che potrebbe essere un trauma per te lasciare tutto,
ma... potremmo costruire un rapporto tra padre e figlio, no? Forse... è
perché qui hai una ragazza... è per questo?"
Già una ragazza... qualcuno che amava c'era, peccato però che non aveva
molto i tratti femminili, fosse alto uno e novanta, fosse dannatamente
forte, fosse un ragazzo, ma soprattutto si fosse appena trasferito in
un'altra città.
"No, non è per questo... io... non posso..."
Abbassò la testa e la frangia gli coprì gli occhi che, ormai, rischiavano
di riempirsi di lacrime in meno di un secondo se non si fosse calmato.
"Ho capito... ascolta il mio prossimo viaggio sarà fra tre settimane e
vorrei che venissi con me, solo per tre giorni, non resterò di più...
Potremo fare una prova, che ne dici?"
"..."
"Non mi devi rispondere subito, hai tempo per pensarci, non ti
preoccupare..."
"Posso andare adesso?"
"Sì certo... la cena sarà pronta tra mezz'ora".
"Hn..."
Adesso era davvero nei guai...
"Pronto?"
"Ehm... buonasera signora sono Sendo... Hiroaki è in casa?"
"Ah Sendo-kun! Ciao tesoro... sì aspetta te lo chiamo subito...
Hiroakiiiiiiiiiiii"
Sendo spostò leggermente la cornetta dall'orecchio. La madre di Koshino
era una donna tanto dolce e comprensiva, ma quando si trattava di urlare,
era come se si trasformasse...
"Sì?"
"Ciao Hiro-kun!!"
"Aki!! Ciao! Come stai?"
Lo aveva davvero chiamato! Ed era partito da un solo giorno! Koshino sentì
che il cuore stava per scoppiargli.
"Bene... questa casa è enorme ti giuro! La mia camera è il doppio di
quella che avevo a casa mia! E poi vedessi il giardino!! Pensa che ci sono
le altalene e lo scivolo che usava Hana da bambino!"
"Mmm... e il resto?"
"Oggi sono andato a vedere la scuola... hanno una gran bella squadra di
basket... o almeno mi è sembrato dagli allenamenti a cui ho assistito... a
dire la verità mi sembrava strano non vedere te... e anche gli altri
ovviamente..."
Forse era stato un po’ troppo precipitoso ad aggiungere quell'ultima
frase, ma di certo Koshino non ci fece caso.
"Oggi... sì insomma... giocare senza di te sapendo che non sei in ritardo
o che verrai domani..."
Silenzio. Che poteva dirgli? Che si voltava sempre verso la porta sperando
vanamente che Akira entrasse di corsa dicendo che si era sbagliato? Che
voleva stare a Kanagawa con loro?… A Kanagawa con lui?
".... Hiro... ascolta... ti sembrerà stupido però... Mi manchi davvero
tanto... mi mancate tutti..."
Appunto, gli mancavano i suoi amici.
"Anche tu manchi a tutti Akira, anche se sei appena partito..."
"A tutti, te compreso?" che strana ansia quella che lo stava prendendo.
Beh ma era ovvio! A lui Koshino mancava tantissimo, com’era giusto che
accadesse con un caro amico... anzi no, con l'unico vero amico che uno
possiede... Era logico che sperava di mancargli a sua volta!
"Secondo te brutto cretino??... Certo che mi manchi..." aggiunse dopo un
attimo. Sendo si sentì stranamente felice, era bello sapere che il
sentimento era reciproco...
"Ehm... Hiro adesso devo andare.. la cena è pronta..."
"Sì, anche qui da me... Allora ci sentiamo, ok?"
"Sì, certo... chiamami ogni tanto, non fare che ti dimentichi di me appena
attacco, chiaro?"
Ma era scemo o cosa? Sembrava che lo facesse apposta a dirgli certe cose!
Come poteva dimenticarsi di lui? Sollevò gli occhi sulla foto che aveva
sulla scrivania... era comodo avere un telefono in camera, ma a volte era
anche tremendamente difficile...
Quella foto l'avevano fatta sei mesi prima, loro due, un canestro, una
palla da basket in terra e il solito sorriso di Akira che era in grado di
rischiarare persino le sere con il cielo coperto e senza stelle come
quella. Chissà se aveva portato quella foto e l'aveva messa sulla
scrivania della sua nuova camera come aveva fatto quando era a Kanagawa?
<Incorniciamola e mettiamola ognuno sulla propria scrivania, così sapremo
sempre che abbiamo una persona su cui contare.> Questo gli aveva detto.
"E smettila di fare l'appiccicoso! Se mi va ti chiamo!"
"Ecco il Kosh che conosco! Ok allora ci sentiamo... vado... ciao Hiro!"
"Sì, ci sentiamo... Ciao Aki".
Koshino mise giù la cornetta e continuò a fissare la foto mentre sua madre
gli urlava di andare a cena.
Da quanto era innamorato di Akira? Neanche se lo ricordava più, da sempre
praticamente, da quando si erano conosciuti in prima media... Certo a
undici anni non si sa cos'è l'amore, ma quando a quattordici ti ritrovi a
sognare di baciare il tuo migliore amico che ti è caduto addosso mentre
giocavate a basket allora cominci ad avere dei sospetti e quando a
diciassette non fai altro che pensare a lui anche sapendo che ama un altro
e a desiderare che sia felice sempre e comunque, sai che lo ami da sempre
e continuerai a farlo per sempre.
Sospirò rumorosamente, si alzò e scese urlando a sua madre di smetterla di
strillare tanto.
Akira bussò un paio di volte ma nessuno gli rispose.
"Hana? Io entro..."
Si guardò intorno ma capì subito che il suo amico non era ancora
rientrato. Era rimasto ad allenarsi in palestra, ma lui era dovuto tornare
a casa per prepararsi al compito di matematica che aveva il giorno
successivo, e infatti era rimasto chiuso in camera sua fino ad allora. I
nonni di Hanamichi erano fuori per una cena di lavoro e visto che erano le
nove passate e il suo stomaco cominciava a brontolare fin troppo
rumorosamente, si decise a chiudere libro e appunti e andare a vedere se
Hana aveva fame.
Entrò e accostò la porta, si sedette sul letto e si guardò intorno.
Era strano che una persona rumorosa e indisciplinata come Hanamichi fosse
così ordinata.
Niente era fuori posto, i libri e i vari manga riposti ordinatamente sugli
scaffali della libreria e neanche una cartaccia sulla scrivania.
Hanamichi aveva anche lui messo lì una foto. In camera di Sendo c'erano un
paio di foto sulle pareti e una sulla scrivania: lui e Koshino abbracciati
e sorridenti con una palla da basket lì vicino.
Era una foto che ritraeva lo Shohoku e gli amici di Hanamichi dopo una
partita, doveva essere quella che avevano fatto dopo la vittoria col
Sannoh di cui il rossino gli aveva tanto parlato.
Accanto c'era una foto della sua famiglia. Sua madre, rossa di capelli
come lui e con il volto illuminato da una gioia senza limiti, suo padre
che rideva e Hana, un bambinetto di setto o otto anni, tra di loro che
faceva il segno della vittoria con due dita e un sorriso felice e
impertinente sulle labbra. Non credeva di avergli mai visto un sorriso
come quello da quando lo conosceva e in quei due anni lo aveva osservato
davvero molto bene.
Su una parete poi c'era una cornice con dentro un sacco d’altre foto.
Con Mito, con tutta la sua banda, sempre con Mito e gli altri ma più
piccoli... e poi tantissime foto fatte con i membri della sua ex-squadra,
chissà quando, prima e dopo un allenamento.
"Eri molto più felice di quello che volevi ammettere Hana... E sei davvero
molto, molto stupido se te ne sei andato lontano solo per scappare da
lui..."
Sendo era in piedi, incantato a guardare la cornice con le foto, ma non
tutte, la sua attenzione era fissa su una in particolare. Hanamichi seduto
su una panca con accanto Mitsui che gli cingeva le spalle con un braccio e
Miyagi dietro di loro che abbracciava entrambi. Ma la cosa che aveva
attratto la sua attenzione non era chi c'era in primo piano, ma chi c'era
dietro... Rukawa, lo sguardo fisso su Hanamichi, gli occhi incredibilmente
tristi. Non credeva di aver mai visto qualcosa di diverso da una luce di
sfida o di soddisfazione in quegli occhi, eppure era così. Non era
difficile da capire che Rukawa provava molto più dell'odio, almeno non era
difficile per un occhio attento come il suo, ma quell'espressione… vedere
l'algida kitsune che esprimeva i propri sentimenti era davvero... non lo
sapeva. Non sapeva come si sentiva e cosa pensava.
Amava Hanamichi, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, ma vederlo, o anche
solo immaginarlo, tra le braccia di Rukawa...
Scosse la testa, in fondo ne andava della felicità del suo Hana...
Il rumore della porta principale che si chiudeva lo riscosse e si rese
conto che non era certo un bene farsi trovare in una camera non sua mentre
elaborava chissà quale assurda e tremenda teoria, così uscì e andò
incontro ad Hanamchi abbracciandolo come suo solito.
Erano già passati dieci giorni da quando viveva a Kyoto e le cose non gli
erano mai sembrate tanto semplici.
Andava bene a scuola, si era già fatto un paio di amici, era diventato
immediatamente titolare della squadra di basket della scuola, i suoi nonni
erano al settimo cielo e poi c’era Akira.
Ogni giorno che passava capiva sempre di più quanto fantastico e
straordinario fosse quel ragazzo.
Era sempre allegro, non gli faceva pesare minimamente il fatto che
sentisse molto la mancanza dei suoi genitori, dei suoi amici e in
particolare di Koshino. Erano davvero molto amici, perché a volte sembrava
che sentisse una nostalgia molto più profonda e radicata di quella che
provava lui per Mito, era molto più simile a quella che sentiva per… Sì,
per lui.
Ormai non era un mistero, o almeno non lo era più. Si era deciso ad
ammetterlo. Il vero motivo della sua partenza, la vera ragione che lo
aveva spinto.
La paura. Paura di essere come era in realtà, paura di farsi vedere senza
la sua maschera, ma soprattutto paura dei propri sentimenti, quelli che lo
legavano a lui.
Era molto più dell’odio, molto più della semplice rivalità, dell’invidia,
della comprensione, della solidarietà per una persona sola come lui. Era
amore. Puro e semplice.
E lui non poteva permettersi di amare, non poteva amare e perdere di nuovo
com’era successo con suoi genitori, la paura era troppa.
Così era fuggito, portandosi dietro un ragazzo meraviglioso che per sua
sfortuna amava la persona sbagliata, proprio come lui.
Bussò alla porta della stanza di Akira e il ragazzo gli aprì sorridendo
come suo solito.
“Ehi…”
“Aki… possiamo parlare?”
"Certo, entra pure… Hana va tutto bene?”
Hanamichi si sedette sul letto e fece cenno a Sendo di sedersi accanto a
lui. Il ragazzo moro capì immediatamente che qualcosa non andava e lo
assecondò senza aprire bocca.
“Ascolta Aki… io ti voglio molto bene, lo sai e sono convinto che tu sia
una persona eccezionale ed è per questo che… io… vorrei che tornassi a
casa… a Kanagawa.” Aveva alzato il volto e ora lo guardava negli occhi,
almeno il coraggio per sentirselo dire che era un bastardo sfruttatore ce
l’aveva.
Ma non vennero insulti, non venne nulla da Sendo se non un sospiro.
Si stese sul letto e sospirò mentre incrociava le braccia dietro la testa.
“Lo sapevo… Sapevo che non poteva durare… Ma sai una cosa? Sono contento
lo stesso…”
“Aki, io… mi dispiace davvero… Eh? Aspetta un attimo hai detto che sei
contento?”
Hanamichi era seriamente stupito e si poteva vedere chiaramente in quei
dolcissimi occhi nocciola che si erano piantati su Sendo ancora increduli.
“Già sono contento… Sono contento di aver avuto la possibilità di
conoscerti meglio, di passare questi pochi, ma intensi giorni con te. Sono
contento anche di tornare, in fondo… Ma soprattutto sono contento di una
cosa… se mi mandi via è perché, finalmente, te ne sei accorto…”
“Accorto? Accorto di che?” Non ci stava capendo più niente e Akira si
ritrovò a ridacchiare dell’ingenuità che spesso dimostrava il ragazzo.
“Che sei innamorato di Rukawa, che altro sennò?” Ecco aveva colto nel
segno, era evidente. Hana era balzato in piedi, era arrossito fino alla
punta dei capelli e sembrava davvero molto imbarazzato.
"Ma... ma che dici? Io, innamorato di... di quella kitsune?? Ma non dire
scemenze! Io lo odio quello!!!!"
"Sì ok... Tu lo odi esattamente come io odio te o Hiro..."
Sendo si accorse di quello che aveva appena detto e si domandò come avesse
potuto fare un simile paragone, ma preferì non pensarci. Si alzò e andò
dal rossino, lo fece voltare e lo abbracciò con calore e affetto.
"Spero tu possa essere felice piccolo... Adesso devo telefonare a casa...
ci vediamo dopo". E dicendo così uscì dalla camera con il solito sorriso
lasciando Hanamichi imbambolato e incredulo nel centro della stanza.
Mentre scendeva le scale pensò che non era poi così disperato come avrebbe
potuto credere. Il ragazzo che amava era innamorato di un altro, non
poteva più stargli accanto come aveva sempre desiderato, eppure l'unica
cosa che provava era uno strano senso d’inquietudine.
Non era esattamente triste, ma non era nemmeno felice, non era
preoccupato, ma non era nemmeno sereno.
Forse tornare a casa lo avrebbe aiutato a riflettere sui suoi sentimenti e
a dimenticare Hanamichi... già, dimenticare Hanamichi... stranamente non
sembrava una cosa impossibile come aveva sempre creduto...
"Ciao mamma... sì tutto bene... Mamma, torno a casa ^___^"
Dieci giorni. Dieci giorni senza sentire quella voce, senza vedere quel
sorriso, senza sentire i suoi insulti, senza vedere quegli occhi.
Una tortura, ecco cosa erano stati quei giorni. E pensare che sarebbe
stato sempre così... Beh, provava solo con un paio d’anni d’anticipo
quello che avrebbe vissuto dopo la fine del liceo, dov'era il problema?
"Kaede? Kaede mi stai ascoltando?"
Era da quando si erano messi a tavola, che suo padre non faceva altro che
parlare e blaterare parole che per lui erano senza senso perché la sua
testa era a kilometri e kilometri di distanza.
"No, ero distratto... che dicevi?"
"Niente d’importante... Kacchan sei così strano da quando quel tuo amico è
partito... per caso era quel bel ragazzo coi capelli rossi che lavorava
qui vicino?"
Kaede si irrigidì di colpo. Si era quasi dimenticato che una sera suo
padre erano andato con lui alla tavola calda dove lavorava Hanamichi e
aveva creduto che fossero amici.
"Hn".
"Capisco... è il tuo migliore amico?"
"E' molto... è solo molto stupido, non è il mio migliore amico, anzi non è
un mio amico e basta... non ho più fame, mi dispiace. Vado a fare i
compiti". Si alzò mentre il padre gli lanciava uno sguardo carico di
quella che poteva sembrare comprensione senza sapere cosa davvero avesse
detto.
Che ne poteva sapere lui o chiunque altro di quello che provava? Hanamichi
non era un suo amico, era molto di più, ecco quello che stava per dire.
Era il suo primo e per ora unico amore. Erano spiriti affini, anime
collegate e legate che non potevano fare a meno l'una dell'altra.
Si sbatté la porta alle spalle. Che sciocchezze andava pensando? La doveva
smettere di fantasticare e pensare a romanticherie. Lui non era il tipo e
Hanamichi non era il ragazzo dal quale era stato costretto a separarsi
contro la loro volontà per colpa del destino.
Lui aveva fatto una scelta ben precisa e Kaede doveva accettarla. Doveva
smettere di correre ogni volta che il telefono squillava, che arrivava la
posta o che il campanello suonava.
Semplicemente doveva andare avanti, trovare qualcun altro da amare e
continuare a giocare come aveva sempre fatto.
Il campanello continuava a suonare. Koshino guardò l'orologio che ogni
sera, prima di andare a dormire, appoggiava sul comodino.
Le dieci e venti. Certo non era presto, ma considerando che si era messo
al letto alle tre passate dopo un'uscita in discoteca con Fukuda, Ikegami,
Uozumi e altri due suoi amici, era davvero impensabile che a quell'ora di
mattina potesse alzarsi! Pensò che non era costretto ad andare ad aprire,
che si sarebbe mosso qualcun altro, che se continuavano a suonare in
quella maniera infernale finalmente suo padre avrebbe abbandonato il
giornale e sua madre l'aspirapolvere per riempire di calci quello
scocciatore insistente, ma poi si ricordò che i suoi genitori erano fuori
per il week-end.
"Che palleeee!!! Arrivoooooooooooooo!!!!" urlò con la voce ancora
impastata dal sonno mentre usciva da sotto le coperte e andava ad aprire
con il pigiama tutto storto, i capelli arruffati e i piedi scalzi. Se era
un venditore ambulante lo avrebbe preso a calci, se era un suo amico lo
avrebbe preso a pugni e chiunque altro fosse stato lo avrebbe preso a
schiaffi.
Possibile che di domenica mattina una persona sana di mente non avesse
altro di meglio da fare che andare a scocciare lui? Come risveglio era
stato tremendo e visto che era risaputo che era molto irascibile di
carattere, il povero... anzi, lo stupido che aveva osato svegliarlo
avrebbe...
"^____________^ Buongiorno! ^______^ Ma come, dormi ancora??"
Ecco, uno stupido sogno lo aveva svegliato. Un sogno con un sorriso
meraviglioso, i capelli a punta e un paio di jeans così stretti da
togliere il fiato... e non solo metaforicamente!
"A... Aki?"
"Hana mi ha rimandato a casa, è innamorato di Rukawa, mi fai entrare Hiro?"
Koshino si spostò dalla porta per permettere all'altro di entrare,
improvvisamente sveglio, ma ancora troppo scosso per incamerare le notizie
appena ricevute.
Sendo aveva le mani in tasca, non si voltava e non parlava.
"Aki... mi dispiace, io non so che dire..."
"Dimmi solo che sei contento di vedermi" gli disse voltandosi e allora
Hiroaki vide qualcosa che non si aspettava e che non vedeva da molto,
moltissimo tempo: Sendo piangeva, sempre senza smettere di sorridere.
Gli buttò le braccia al collo e lo strinse più forte che poteva.
"Sono felice... felicissimo di vederti..."
"Anche io Hiro, anche io" disse il ragazzo più alto, senza smettere di
piangere.
Koshino strinse ancora più forte le braccia, in quel momento era felice
perché finalmente Akira era di nuovo vicino a lui, si sentiva un verme,
era vero, ma era felice. Sarebbe dovuto scoppiare a piangere perché Sendo
era triste e non perché non gli importava di altro se non delle sue
braccia che lo stringevano ricambiando il suo abbraccio, ma in quel
momento non gli importava di nient’altro, solo avere Akira accanto era
importante, il resto sarebbe venuto dopo.
"Lo supereremo insieme, vedrai..." disse con il tono più dolce che riuscì
ad usare e Sendo si strinse così tanto da lasciarlo senza fiato.
Come risveglio era stato decisamente molto, molto piacevole, non c'era che
dire.
"Allora io domani parto... sei sicuro di non voler venire con me?"
"No".
"Kyoto è una bella città... per tre giorni cambieresti aria..."
Kaede drizzò le orecchie e si voltò verso il padre.
"Dovremmo andare a Kyoto?"
"Sì, ma tranquillo sarebbe solo per tre..."
"Vado a preparare una borsa con dei vestiti e a prendere la palla...
prenota anche per me".
Tashiro rimase senza parole. Non aveva mai visto suo figlio così deciso, a
parte quando gli aveva detto che, finiti gli studi, sarebbe voluto andare
negli Stati Uniti per migliorare nel basket, e forse nemmeno allora. E il
tutto senza battere ciglio! La freddezza l'aveva presa tutta da sua
madre... anzi no, era molto più distaccato di lei! Scosse la testa e alzò
il ricevitore del telefono che era lì accanto per prenotare un biglietto
aereo e una stanza d'albergo per il figlio.
Kaede si chiuse la porta alle spalle, accese lo stereo con dentro un cd di
musica punk che aveva comprato per sbaglio, lo mise a tutto volume e poi
si mise ad urlare... una gioia incontenibile gli bruciava dentro, tanto da
fargli scoppiare il cuore che correva all'impazzata e i polmoni che erano
ormai in carenza d’ossigeno.
"Preparati Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa viene a prenderti!"
FINE DECIMA PARTE
KAE: *______* sììììììììììììììì
evvaiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!
SAKU: Ehm... Kae... sei contento??
KAE: *_________* HANA *__*
SAKU: ^^;;;;;;;
HANA: KAEEEEEEEEEEE muovitiiiiiiiiiiiiiiiiiii vieni subito da me
amoreeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!
SAKU: ^^;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;
HIRO: Aki *__________*
SAKU: ^^;;;;;;;;;;;;;;;;
AKI: Hiro, consolami *________*
SAKU: ^^;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;
HIRO: Ceeeeeerto Aki-chan *____*
SAKU: BASTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!! -________-
H&K&H&A: Che le è preso?? é__è
SAKU: Smettetela di fare i cretini, io devo scrivere l'ultimo cap! è__é
HANA: *___* L'ultimo.......
KAE: ........capitolo *____*
SAKU: Ok, ok, vado....... sfruttatori! >___<
H&K: *_______*
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