Due onde
Parte II
di Dream
Il sole
filtrava dalle finestre con i suoi pallidi raggi leggeri, illuminando la
stanza e spingendosi sino al letto occupato da due figure che condividevano
il medesimo guanciale. I capelli castani si intrecciavano con le ciocche
bionde, la pelle ramata contrastava con l’incarnato niveo, i muscoli
pronunciati di Henri mettevano in evidenza il corpo sottile e nervoso di
Jean. Ambedue dormivano tranquillamente, catturati dalle inestricabili trame
del sonno. Anche Grantaire alla fine aveva dovuto capitolare davanti a
Morfeo, trovandosi in un’età in cui è pressoché impossibile resistere al suo
richiamo. Era in tal modo piombato in sogni tranquilli, anche se impregnati
del sottile profumo di una presenza accanto a sé.
Un rumore di piatti
che si infrangevano al suolo lo destò bruscamente. Oh, diamine… no! Ancora?!
Erano sicuramente i coniugi Courbeau, i suoi insopportabili vicini di destra
(che poteva farci se non aveva un solo vicino che fosse equilibrato
mentalmente?!). Avevano nuovamente litigato. Possibile che le loro dispute
dovessero sempre risolversi a simili orari impossibili e, cosa ancora
peggiore, così rumorosamente?
Va
bene… Henri comprendeva perfettamente i problemi che potevano sorgere in una
relazione coniugale, soprattutto quando la miseria ti riduce a dover mandare
i tuoi figli a mendicare sui bordi delle strade e le tue figlie a
prostituirsi… ma le urla non avrebbero portato nessun risultato concreto
nella loro vita, se non quello di attirarsi l’ira di tutto il vicinato del
raggio di una decina di metri!
Filosoficamente, lui era incline a ritenere che una sana e tranquilla
discussione, con l’esposizione ordinata dei vari punti di vista, sarebbe
stata una soluzione assai migliore… se non altro avrebbe garantito la
salvezza delle già poche suppellettili! Beh, se proprio doveva tirare in
ballo la sua filosofia di vita, allora era meglio farlo fino in fondo e
ricondurre ogni cosa al motto: ‘farsi gli affari propri’. Era decisamente il
caso di tentare di dormire ancora un po’… chiasso e litigi permettendo,
ovviamente.
Si girò languidamente
dall’altro lato del letto, ma… invece di richiudere pacificamente gli occhi
come aveva previsto di fare, si trovò costretto a riaprirli, spalancandoli
oltretutto a dismisura.
Cosa ci faceva lui
nel suo letto, nudo sotto una semplice coperta e beatamente addormentato?!!
Oddio! Panico.
Dopo un primo attimo
di smarrimento, la sua mente riuscì però a rievocare i ricordi legati alla
sera precedente: la discussione politica, le urla, l’acquazzone, Jean a casa
sua e… Marius. Soprattutto Marius e ciò che Duval aveva detto di lui…
‘Gli volevo bene…’
Sbatté un paio di
volte le palpebre, cercando di ridestare il suo sguardo verde divenuto
innaturalmente fisso, duro e freddo. Per distrarsi dalla voce di quei
pensieri molesti (‘Avevo sempre provato il desiderio di avere accanto
qualcuno con cui condividere la mia anima… ed ora… ora mi sembrava di averlo
trovato…’) concentrò la propria attenzione sul viso rilassato posto a
poca distanza dal suo. Un volto stupendo dai lineamenti decisi, marcati ma
dolci al contempo. Quella dolcezza… quanto era ingannevole! Henri lo sapeva
bene, dato che si era scontrato più volte con la forza d’animo ed il fulgore
furioso di quegli occhi chiari, ora velati dalle lunghe ciglia bionde. Jean
non era affatto tenero. Era deciso, tenace ed inarrestabile. Credeva nelle
proprie idee, combatteva per esse. Era forte, tanto forte da riuscire a
nutrire fiducia verso gli esseri umani… e fiducia anche verso di lui. Lo
aveva dimostrato esponendosi, narrandogli gli eventi della sua vita che
avevano contribuito a fare di lui la persona che era diventato… la persona
che amava.
Si concesse di
contemplarlo ancora qualche attimo: la fronte liscia, le sopracciglia
finemente disegnate, le labbra morbide, le lunghe ciglia, la frangia lieve
che accarezzava il suo volto…
Doveva svegliarlo
prima di venire preso dal desiderio di toccare la fine grana della sua
pelle! La tentazione… era incredibilmente forte.
Improvvisamente però, prima che avesse potuto fare qualsiasi movimento, la
porta della sua camera si spalancò violentemente ed una voce gioiosa che lui
ben conosceva iniziò a sbraitare colma di inutile allegria.
“AVANTI, VECCHIO
DEMENTE! E’ ORA DI EMERGERE DAL TUO LETARGO PERENNE PER ANDARE IN CERCA DI
AVVENTURE! TI ANDREBBE DI ACCOMPA…”
Il
nascente invito venne seguito da un silenzio attonito, che lasciò
immediatamente spazio poi ad un mormorio stupefatto: “Henri… cosa diamine è
successo qui?!”
Magnifica ed immancabile situazione…
Grantaire poteva
comprendere senza bisogno di eccessive riflessioni la causa dello stupore di
Antoine. La scena era ‘piuttosto’ equivoca: lui, vestito con un semplice
paio di pantaloni frusti e stropicciati, stava condividendo il medesimo
letto di un ragazzo addormentato, abbandonato e nudo, avvolto solamente in
una coperta!! Le prime ed apparentemente ovvie impressioni erano più
che ingannevoli… anche se totalmente false. Henri non mancò di desiderare
che ciò che Antoine stava probabilmente congetturando potesse essere vero…
ma non lo era. Purtroppo.
A ciò si aggiunse un
ulteriore problema: il bell’addormentato, udendo tutto quel trambusto, aveva
socchiuso gli occhi con aria confusa, iniziando a mormorare qualcosa del
tipo: “Henri… che succede? Che ore sono…?”, il tutto condito ed aggravato da
un’espressione rilassata alquanto irresistibile.
Attimo di inevitabile,
mistica contemplazione.
Eppure
ora non aveva tempo di restare lì impalato come un povero idiota! Il suo
caro (e soprattutto ‘tempestivo’!) amico Antoine aveva evidentemente tratto
le sue conclusioni e, senza pensarci due volte, si era allontanato
precipitosamente senza aggiungere altro. Doveva assolutamente chiarire
l’equivoco! Non che gli sembrasse molto importante farlo per se stesso, dal
momento che non gli interessava minimamente ciò che gli altri avrebbero
potuto supporre di lui… ma non poteva permettere che strane ed infondate
voci iniziassero a circolare su Duval, corrompendo la sua reputazione!
Si precipitò fuori dal
letto e senza riflettere nemmeno per un attimo si fiondò all’esterno della
porta della sua stanza, rincorrendo l’amico che stava già scendendo in
fretta le scale.
“ANTOINE!!!! EHI,
ANTOINE!!!! ASPETTAMI!!”
Il ragazzo richiamato
si fermò, voltandosi. Il suo viso era tranquillo, rilassato, privo di alcuna
traccia di sdegno o di disgusto. Solamente una lontana ombra scura gli
velava lo sguardo. Apparentemente sembrava tutto a posto… apparentemente.
Avrebbe potuto trarre in inganno tutti… ma Henri lo conosceva troppo bene:
sapeva comprendere quando Antoine era irritato, anche se l’altro non voleva
darlo a vedere. Ed adesso Antoine ERA chiaramente irritato.
Erano molto amici.
Poteva tranquillamente affermare che quel giovane dal viso affilato, dagli
occhi bruni e profondi e dai corti capelli neri fosse il suo migliore amico.
Antoine lo aveva ospitato nel proprio appartamento quando lui, appena giunto
a Parigi, non aveva altro luogo dove andare. Sempre Antoine l’aveva aiutato
a trovarsi una sistemazione stabile ed a farsi degli amici, permettendogli
così di inserirsi nell’ambiente parigino quando era ancora un campagnolo
grezzo, timido ed inibito.
Rammentava
perfettamente il loro primo, memorabile incontro-scontro… una situazione non
molto pacifica, in verità!
Lui stava camminando
un po’ spaesato per le vie della capitale, riflettendo sulla sua misera vita
di nobile rustico appena fuggito da casa e privo di denaro, lavoro, tetto e
conoscenze. I soldi che sua madre gli aveva dato avevano misteriosamente
preso il volo dalle sue tasche durante il suo viaggio per Parigi. Ma come
diamine era riuscito a spenderli tutti?!
Stava seriamente
ponderando di mettere in atto qualche drastica risoluzione, dato che era
praticamente sul punto di morire di fame: nelle bancarelle del mercato
stavano facendo la loro bella mostra molte fragranti pagnotte incustodite.
Lui era svelto… sarebbe riuscito a fuggire in tempo infilandosi in qualche
vicolo, giusto? Beh, bisognava almeno tentare, oppure fra un po’ si sarebbe
accasciato a terra in preda ai crampi allo stomaco! Che strano… era disposto
a rubare, ma non ad abbassarsi a mendicare!! Ah… il fascino del pericolo! O
meglio, la demenza dell’orgoglio…
Improvvisamente delle urla soffocate provenienti da un vicolo cieco
attirarono la sua attenzione. D’istinto diresse i suoi passi verso il luogo
da cui scaturivano quei rumori, iniziando ad inoltrarsi nell’ombra per
scoprire che cosa cavolo stesse succedendo. Rimase basito quando vide una
giovane ragazza dimenarsi violentemente fra le mani di un uomo nerboruto e
malvestito che stava cercando di stracciarle il corsetto e che non dava
proprio l’impressione di voler desistere da questa impresa, nonostante la
giovane non sembrasse gradire troppo quel tipo di approccio. Va bene… questa
era nell’elenco delle classiche cose che non poteva tollerare!
Si slanciò in avanti,
sentendo il sangue montargli automaticamente alla testa.
“EHI, TU!! SI, DICO A
TE, MALEDETTO BASTARDO! PROVA A PRENDERTELA CON ME, SE NE HAI IL CORAGGIO!!”
Il ruggito rabbioso
che Henri emise attirò su di sé l’attenzione sia del delinquente sia della
ragazza terrorizzata ed ormai in lacrime.
Uhm… in verità, da
lontano il tipastro gli era sembrato un po’ meno prestante! Ahi… beh,
ormai era fatta! Assurdo tirarsi indietro…
L’uomo sogghignò,
lasciando andare la sua preda e mormorando: “Accidenti… chi si vede!
Un petit
garçon! Mi
dispiace, ragazzino, ma è meglio che cambi aria. Non mi stai affatto
simpatico… temo proprio che tu non sia il mio tipo…”
“Se è per questo,
credo che tu non sia nemmeno il suo tipo…” rispose Henri, fremendo ed
accennando alla donna che si era accasciata tremante a terra.
“Fatto irrilevante.
Tu, piuttosto, che ti impicci a fare?! Che ne dici di levarti cortesemente
dai piedi e di lasciarci continuare?!”
Henri trovò opportuno
abbandonare il piano verbale per passare ad uno scontro più concreto.
Immediatamente si gettò in avanti e fece partire un destro violento. Il
colpo però non sembrò intaccare la dura scorza dell’avversario, il quale
parve anzi divertito dalla svolta che stavano prendendo gli eventi.
“Oh, ohhhh!! Ma allora
abbiamo a che fare con un vero uomo, eh?! Bene, bene… vediamo che sai
fare!!”
Senza nemmeno
accorgersene, Henri si ritrovò disteso a terra, intontito, pesto e
dolorante.
Ma… ma da dove sbucava
quello?! Da un bagno di forzati? Che cazzotto! Comunque, lui non si sarebbe
arreso! Aveva un certo orgoglio virile da difendere, che diamine!
Si risollevò ed iniziò
ad attaccare di nuovo, sentendosi ad ogni nuovo colpo sempre più furibondo
dato che quel maledetto riusciva a schivare con estrema facilità i suoi
pugni, prendendosi allo stesso tempo bellamente gioco di lui. Alla fine quel
bastardo sembrò finalmente (o purtroppo?) stancarsi di quella danza ed
iniziò a rispondere ai suoi colpi, assestandogli dieci percosse per ogni
mazzata ricevuta.
La situazione si
faceva interessante.
Henri, totalmente
ammaccato e indolenzito, iniziò a rendersi confusamente conto che non
sarebbe riuscito a resistere ancora a lungo. Presero campo le
recriminazioni: perché diamine si doveva sempre impicciare in faccende che
non lo riguardavano?! Accidenti a lui… suo padre gli aveva sempre detto che
questa sarebbe stata la sua rovina! Che rabbia dover riconoscere che ‘il
vecchio’ aveva ragione!!
Cavolo… le forze lo
stavano abbandonando, considerato anche il fatto che erano circa due giorni
che non addentava qualcosa! Calma, bisognava usare la ragione… a che santo
doveva votarsi? Mh… ma esisteva un santo protettore degli imbecilli?
Fortunatamente tutto
quel trambusto aveva attirato l’attenzione di altri passanti. Iniziò ad
accorrere altra gente, pronta a dargli man forte.
Forse, dopotutto, quel
santo esisteva sul serio…
L’assalitore,
sentendosi minacciato, decise prudentemente di svignarsela dopo un pugno più
violento degli altri che lo aveva mandato a sbattere contro il muro del
vicolo. Grantaire scosse per un paio di volte la testa, stordito e confuso,
prima di rendersi conto che il suo avversario si era dato alla fuga.
Vittoria! Va bene, va bene… vittoria causata dall’abbandono dell’avversario
e non dalla propria superiorità, ma queste erano sottigliezze, giusto? Era
sempre stato abituato a considerare solo il risultato…
La sua attenzione
allora si concentrò totalmente sulla ragazza che giaceva ancora rannicchiata
in un angolo e che stava pudicamente tentando di coprirsi. Barcollando, si
alzò, si diresse verso di lei e le tese una mano per aiutarla a rialzarsi.
Vedendo che la giovane esitava, Henri cercò di rivolgerle un sorriso
rassicurante (lividi permettendo) che subito si trasformò in una smorfia, a
causa del dolore provocatogli dai dannati pesti muscoli facciali che stava
cercando di contrarre.
“Non tema,
mademoiselle. Il pericolo è finito, nessuno le farà del male ora…”
Finalmente essa parve
rilassarsi ed accettò il suo aiuto, risollevandosi e guardandolo piuttosto
preoccupata.
“Vi ringrazio per il
vostro aiuto, monsieur. Ma… siete sicuro di stare bene?”
“Sì, sì, benissimo!!”
mentì spudoratamente, sentendo con sgomento le ginocchia cedergli. No,
accidenti! Doveva essere stoico! Che figura ci avrebbe fatto, altrimenti?
La ragazza però si
accorse del suo effettivo stato di salute e lo invitò ad appoggiarsi a lei,
sorreggendolo delicatamente. Henri non ebbe nemmeno la possibilità di
stupirsi della rapidità con cui la giovane si era ripresa dallo spavento
subìto, che subito un urlo selvaggio si elevò alle loro spalle.
“MALEDETTO, COSA STAI
FACENDO A MIA SORELLA!!”
Si voltò confuso,
giusto in tempo per godersi la vista di un destro diretto alla sua mascella.
Il colpo di grazia.
Senza emettere nemmeno
un gemito si lasciò accasciare a terra, perdendo i sensi.
Già, Antoine era molto
affezionato a Monique… ed estremamente protettivo nei suoi confronti!
Tuttavia in seguito la ragazza aveva spiegato l’equivoco a suo fratello e da
allora loro due erano sempre stati compagni inseparabili.
Antoine
era il suo migliore amico, lo spensierato compare di pazzie ed avventure.
Dotato di un carattere allegro, gioviale ed ottimista, poteva apparire
inizialmente piuttosto superficiale… ma questa era solamente una patina
sottile. Henri in realtà conosceva il grande altruismo, lo spirito di
sacrificio del compagno, la sua capacità di analizzare con serietà e
profondamente ogni problema. Antoine preferiva celare questo suo aspetto
serio e posato, nascondendo i suoi tormenti e le sue preoccupazioni… ma ciò
non significava che fosse solo un semplice opportunista! La verità era che
temeva di infastidire e di far impensierire gli altri, mostrandosi
apertamente troppo serio e pensoso.
Spesso Antoine ed
Henri avevano litigato per questo: Grantaire infatti non sopportava che
l’amico tenesse anche lui all’oscuro dei suoi crucci personali, solo per la
stupida pretesa di non creargli problemi! Dovevano essere amici non soltanto
nella spensieratezza, ma soprattutto nelle sofferenze. Che legame poteva
essere il loro, se Antoine negava ogni volta le sue afflizioni rifiutando
qualsiasi aiuto da parte sua? Henri non voleva solo la sua allegria, ma
anche la sua tristezza. Non voleva una maschera sorridente, bensì
un’emozione effettiva… fosse anche dolore. Almeno in questo modo avrebbe
potuto essergli davvero vicino…
Non si poteva mai
essere certi di cosa Antoine provasse realmente. Quell’idiota tentava sempre
di nascondere ogni cosa dietro un sorriso sereno, talvolta ferendosi
profondamente per questo. Era un innegabile ottimista… ma questo non
significava che non sapesse soffrire.
Così anche ora,
nonostante Antoine apparisse tranquillo e pacifico, Henri si trovò a
chiedersi quanto di questo suo atteggiamento fosse reale e quanto solamente
una studiata facciata. Quegli occhi neri… erano troppo cupi per poter
essere effettivamente sereni.
“Si può sapere perché
diamine ti sei precipitato fuori dal mio appartamento, senza nemmeno
concludere il tuo discorso o senza permettermi di chiarire le cose?”
apostrofò immediatamente.
Antoine
scrollò le spalle: “Scusami, è che… non avevo intenzione di disturbarvi
oltre. Mi dispiace. Prometto che la prossima volta picchierò alla porta,
prima di fare irruzione nella tua stanza”
“Su questo concordo
con te… tu e la tua mania di non bussare! Comunque, guarda che non è affatto
come pensi! Io e Jean non abbiamo fatto… beh, sì, non abbiamo… insomma, hai
capito cosa sto cercando di dirti, no?!” sbottò alla fine, cercando di
celare l’imbarazzo sotto un tono burbero.
L’amico replicò,
sollevando sorpreso un sopracciglio: “’Jean’? Da quando lo chiami per
nome? Questa è una novità! Che io sappia, voi due non siete mai andati
d’accordo…”
“Mh, ecco… impiegherei
troppo tempo a spiegarti tutto nei particolari… e del resto non potrei
nemmeno farlo, dal momento che questo significherebbe rivelarti un segreto
che non ho il diritto di svelare. Lasciami solo dire che credo che ora i
miei rapporti con Duval miglioreranno. Spero di poter instaurare con lui… un
legame di amicizia”
“Amicizia?! Diamine
Henri, ma che stai dicendo?! Come puoi pretendere che quell’elemento privo
di sentimenti possa riuscire ad essere amico di un altro essere umano? Non
hai sempre detto anche tu, almeno fino a ieri, che è un blocco di marmo?! Mi
pare strano che un tipo come Duval possa essere mutato così
improvvisamente…”
Henri lo interruppe,
infastidito: “Mi sbagliavo sul suo conto, va bene? Stanotte l’ho conosciuto
meglio e mi sono reso conto che sbagliavo nel giudicarlo!”
Si accorse troppo
tardi della gaffe…
“Stanotte l’hai
conosciuto meglio? Non ne dubito. Già… immagino perfettamente il modo in cui
hai approfondito tale conoscenza…”
Il tono utilizzato da
Antoine era vetriolo distillato, ma il viso continuava a mantenersi
tranquillo e distaccato. Un contrasto che faceva quasi rabbrividire.
“Non ho fatto sesso
con lui!!!” sibilò Henri, socchiudendo minacciosamente i suoi occhi verdi.
“No? Va bene, no. Ma
lo vorresti, vero? Ammettilo… io l’ho compreso da tempo, sai? So
perfettamente cosa c’è nei tuoi occhi ogni volta che posi lo sguardo su di
lui. Molti pensano che si tratti di odio o di disprezzo, ma entrambi, tu ed
io, sappiamo che si tratta di altro… che non si tratta che di…”
“Non dirlo!”
Antoine continuò
severo, noncurante dell’ammonimento dell’amico: “…di desiderio… o mi
inganno? Non credo. Tu desideri quella statua di cera… non è forse vero? Non
me l’hai mai confidato, l’ho sempre saputo. Non prendermi dunque in giro con
la scusa di una vostra presunta amicizia! E’ di tutt’altra natura ciò che
vorresti avere da lui”
A quel rimprovero
aspro, Henri si tese come sotto l’effetto di una sferzata, sentendosi
scoperto. Replicò aspramente: “Ti sbagli! Forse hai ragione a dire che la
sua amicizia non è esattamente ciò che vorrei ottenere da lui… ma
sicuramente ciò che sento nei suoi confronti non è puro e squallido
desiderio!”
Antoine si voltò
bruscamente, riprendendo a discendere le scale in fretta. Molto in fretta.
Henri lo richiamò
indietro con voce concitata: “Ehi, aspetta! Dove stai andando? Non ho
finito… devo spiegarti!!”
“Non ho intenzione di
ascoltare altro”
“FERMATI!! ADESSO
STARAI A SENTIRE QUELLO CHE DEVO DIRTI!!!”
Il giovane si
immobilizzò, bloccato da quell’ordine perentorio. Un sospiro seccato uscì
dalle sue labbra, anticipando il mormorio che poi riuscì a proferire:
“Parla… coraggio: dillo. Dillo e falla finita!”
“Lo amo”
Antoine dovette
chiudere per un istante gli occhi. Quanto era inutile e penoso cercare di
contenere quel brivido che a tali parole aveva iniziato a serpeggiare lungo
il suo corpo, gelando ogni sua fibra, ogni nervo, ogni pulsione vitale…
Era semplicemente
questo. Questo… ovvero, ciò che aveva sempre temuto. Ciò che sapeva che,
prima o poi, si sarebbe verificato. Aveva sempre evitato di pensarci con
eccessiva fissazione, illudendosi che forse le sue pessimistiche previsioni
non si sarebbero avverate. Aveva sempre sperato che l’amicizia che
condividevano fosse sufficiente per Henri… di essere lui stesso
sufficiente per Henri! Aveva anche fantasticato che, se il suo amico avesse
un giorno desiderato un affetto che andasse oltre un legame fraterno… allora
si sarebbe rivolto a lui. A lui, il compagno di sempre. A lui, Antoine.
Forse aveva sempre
sbagliato tutto. No… il ‘forse’ era dannatamente superfluo.
Non avrebbe mai dovuto
celare ciò che provava realmente, attendendo che il mondo esterno lavorasse
per lui. Cosa aveva conquistato con tale vigliaccheria? Non solo non aveva
ottenuto il suo cuore… ma aveva perso anche la misera porzione che era
riuscito ad occupare! E da chi era stato soppiantato? Era ‘questa’ la
beffa crudele… Duval!! Quel maledetto, freddo ed insensibile rivoluzionario
utopistico animato dalla stupida pretesa di cambiare il mondo! L’esatto
opposto di Grantaire sotto questo aspetto, per la precisione. Con cosa era
riuscito ad abbacinarlo? Con la sua bellezza, con la sua grinta? Desiderava
scoprirlo… ma al contempo non voleva saperlo.
“E lui?” sibilò con
sforzo, evitando gli occhi del suo interlocutore.
“Lui cosa?”
“Lui ti ricambia? Lui…
sa ciò che provi?” insistette Antoine.
“No…”
“No? A quale delle due
domande stai rispondendo?! No-non ti ricambia, oppure no-non lo sa?”
“No… non lo sa. Non
gli ho rivelato nulla dei miei sentimenti, credo che mai riuscirò a farlo… e
di nuovo no, nemmeno mi ricambia”
Antoine aggrottò le
sopracciglia, infastidito: “Come puoi sapere che non ti ricambi? Ne sei
certo? Te l’ha detto?”
Henri si lasciò
sfuggire un leggero sorrisetto, replicando: “Mi deludi… dimmi, come potrei
esserne ‘certo’? Credevo che ormai tu sapessi quali sono i postulati su cui
baso la mia vita! Fra questi vi è anche la massima che afferma di non
affidarsi chiaramente a nessuna certezza, pena ricevere i peggiori
disinganni!”
“Dunque… lui potrebbe
amarti a sua volta, non puoi escluderlo”
“Mi sembra
un’eventualità altamente improbabile. Credo che anche tu abbia notato che
lui non prova alcun interesse per gli esseri umani a meno che questi non
rientrino nei suoi piani politici! Non può ‘amarmi’. Ora non ha tempo
da perdere con simili sentimenti che ormai non desidera più provare… li ha
soffocati anni fa con la scomparsa dell’unico che sia riuscito… a suscitare
sensazioni in lui. Ma queste sono ombre. Basta. Non posso né devo andare
oltre! E non posso sperare. Mi ha parlato di sé ieri notte… è palese che
nella sua mente non c’è spazio per me!”
Questa nebulosa
esposizione parve irritare ad oltranza Antoine, il quale sbottò: “Ma allora,
spiegami perché!! Perché hai perso la testa proprio per quel damerino
spocchioso ed imbronciato!? Io sapevo già che lui non avrebbe mai potuto
ricambiare i tuoi sentimenti, semplicemente perché non credo che lui riesca
addirittura a ‘provare’ sentimenti di alcun tipo! Sei ridicolo, non
te ne rendi conto? Stai recitando il patetico dramma di un eroe tragico,
innamorato follemente e disperatamente dello stereotipo dell’insensibilità!
Questo ti fa sentire importante? Ti fa sentire diverso? Credi che il dolore
che stai provando ti nobiliti? Pensi di essere superiore all’intera umanità
a causa di questo tuo infantile amore non corrisposto? Mi fai pena. Cerchi
di gloriarti delle tue sofferenze, di trarre orgoglio da esse. Te ne ricopri
come se fossero un manto di porpora regale. Pensi forse che dovrei
compatirti? Posso farlo… ma non per il tuo presunto dolore, bensì per il tuo
egoismo! Credi di essere l’unico a provare un amore disperato!? Devo
deluderti. Molti altri sono nella tua medesima condizione, lo sai? Eppure
non usano le loro sofferenze per innalzarsi di fronte a se stessi!”
“Cosa stai dicendo?”
proferì incredulo Henri, spalancando gli occhi e osservando la furia ora
incisa chiaramente sul volto dell’amico. Quale cavolo di significato poteva
avere quell’incoerente valanga di parole? Che senso c’era in quella sfuriata
senza senso?
“Non ti piace
ascoltare ciò che sto dicendo, giusto? La verità è fastidiosa come una
zanzara… o come un amico sincero. Toglimi una curiosità, però! Dal momento
che non fai altro che sbandierare la tua filosofia scettica da quattro soldi
in tutte le bettole di Parigi, mi spieghi come fai a conciliare le tue due
tesi?”
“Quali?”
“Beh,
rifiuti ogni certezza riguardo a ciascun aspetto della tua vita, perfino
riguardo a te stesso… mi spieghi allora come è possibile che tu ti definisca
innamorato di quel tipo? Come puoi essere certo che il tuo sia amore? Ti
stai contraddicendo da solo! Potresti sbagliarti nei confronti dei tuoi
sentimenti… e se quello che denomini amore fosse solo amicizia? E se ciò che
pensi che sia semplice amicizia… fosse in realtà qualcosa di diverso?”
Un tentativo
disperato. Le frasi sarcastiche che fuoriuscivano dalla bocca sprezzante di
Antoine in realtà non erano provocatorie, come le stava intendendo Henri,
bensì colme di una straziata speranza. Voleva cercare di demolire la
sicurezza dell’amico per trovare perlomeno una singola, squallida parola a
cui affidarsi per potersi illudere ancora… per poter sognare ancora.
Forse quelle di Henri
erano state solo frasi avventate… forse non aveva riflettuto prima di
parlare. Forse, spinto dall’impeto del momento, aveva proclamato di sentire
solamente ciò che pensava di sentire!
Forse non amava
davvero Duval. Forse… c’era ancora posto per lui…
Henri
scosse la testa, rassegnato. Attese qualche attimo, riflettendo sui termini
da usare, prima di esporre la sua considerazione: “Antoine, le tue
perplessità sono giochi di parole. Non dovrei dirmi certo di amare Duval? Ma
se ciò che provo per lui non fosse amore, l’amore tanto decantato e
celebrato sin dalla notte dei tempi, allora… allora io credo che non esista
amore, oppure forse io non sono in grado di provarlo. Quando lo guardo negli
occhi, provo l’unico ed intenso desiderio di… stringerlo, baciarlo,
scaldarlo e supplicarlo di aprirsi a me completamente, di parlarmi di tutto
ciò che lui è e di ciò che vorrebbe essere… vorrei fondermi con lui per
potermi armonizzare con i suoi pensieri… vorrei cose che non pensavo di
essere in grado di concepire!”
La cosa peggiore per
Antoine era dover fingere che tutto ciò per lui non fosse di alcuna
importanza.
Henri amava un altro,
voleva un altro, sognava un altro… che interessava a lui di questo? La cosa
forse lo riguardava? La risposta a questi quesiti avrebbe dovuto essere
negativa. Ma come poteva fingersi indifferente quando lui viveva di
ogni parola uscita dalle labbra di Henri!? Viveva del suo tono di voce,
della sua ironia, dell’esuberanza che spesso lo animava, della sua
disillusione, della sua capacità di disperare di tutti e perfino del futuro.
Viveva con la speranza di poter alleviare il dolore che talvolta l’altro
provava vivendo. Avrebbe voluto essere lui la sua felicità. Come poteva ora
accettare di arrendersi e di ritirarsi fra le ombre?!
Odiava Duval. Lo
odiava, sebbene questo fosse ingiusto: infatti, che colpa aveva? Aveva fatto
innamorare Henri, ma di sicuro non volutamente. Ed allora, perché
prendersela con lui? Eppure non poteva evitarlo. Lo detestava con ogni fibra
del suo corpo… e questa rabbia lo stupiva profondamente. Lui non aveva mai
odiato nessuno, dal momento che non era ancora riuscito a trovare una
persona in grado di fargli concepire odio, un sentimento rovinoso che non
poteva certo venire sprecato per il primo venuto. Aveva disprezzato
moltissime persone, questo era vero, ma l’odio… non si era mai permesso di
nutrirlo fino ad ora. Sentimento orribile, distruttivo, in grado di
consumarti e demolirti. E' necessaria cautela nel maneggiarlo.
Tuttavia adesso capiva
di aver trovato anche lui la persona che sarebbe divenuta il suo ‘nemico
personale’: la persona da battere, calpestare, annientare e distruggere per
riscattare il suo cuore ferito. Duval gli aveva rubato Henri… non glielo
avrebbe mai perdonato! Prima o poi l’avrebbe pagata per questo.
Già, vendetta. Se si
concentrava sul furore, sulla collera, su oscuri progetti… il dolore passava
in secondo piano, ed era questo che voleva.
“Bene, Henri… ti
auguro dunque ogni felicità possibile con il tuo bel principino! In quanto a
me, ora credo proprio che sia giunta l’ora che levi finalmente il disturbo e
ti lasci ai tuoi penosi tentativi di approccio… ne ho abbastanza dei tuoi
discorsi melensi!”
Gli aveva mai parlato
tanto duramente?
Lo aveva mai amato
tanto disperatamente?
Si apprestò a
discendere le scale, ma venne bloccato nuovamente da una voce a cui,
nonostante tutta la sua rabbiosa volontà ferita, non riusciva a resistere.
Quella voce nei suoi confronti era sempre stata serena, amichevole,
confortante… ora però era dura e severa. E mai, mai sarebbe stata amorevole…
Ed a questo non c’era
un ‘perché’. Era così e basta.
“Aspetta! Antoine, io
voglio che ciò che ti ho confidato rimanga fra noi! Nessuno deve saperlo…
soprattutto Duval non deve saperlo! Promettimelo!”
Non
riusciva a decidersi a dare la sua parola, in quanto assecondare quella
richiesta avrebbe significato rispettare quell’amore che a lui era
totalmente inviso.
Due
sguardi si confrontarono a lungo… occhi verdi che supplicarono accoratamente
due confusi e riluttanti occhi scuri. Alla fine, lo sguardo di smeraldo
riuscì a prevalere. Antoine fu suo malgrado costretto ad annuire.
“Me lo prometti?”
incalzò Henri, deciso a non cedere sino al raggiungimento del suo scopo.
“Sì, lo prometto. Lo
prometto, va bene?!! Adesso… lasciami andare!”
Antoine si liberò
dalla malia di quello sguardo con
uno scatto violento del capo, disprezzandosi e vergognandosi per la sua debolezza.
Possibile che l’odio fosse più debole dell’amore? Possibile… possibile che
non riuscisse ad esimersi dal fare qualsiasi cosa pur di ricercare la sua
approvazione? Ed Henri non se ne rendeva nemmeno lontanamente conto! Ma
davvero non capiva? Davvero non intuiva i suoi sentimenti?! Da anni si
conoscevano… da anni lui si struggeva in silenzio… da anni il suo amore
continuava a venire ignorato, nascosto e costretto fra le tenebre! Quel
sentimento disperato lo stava facendo marcire! Più si mostrava gioviale
all’esterno, più si sentiva strappare all’interno! Ma chi ne era la causa
non aveva intuito niente di tutto ciò! Ben poco importava ad Henri di lui…
ben poco, forse nulla.
Nulla… perché era il
suo stupido amore ad essere nulla!
La rabbia, la
delusione, le speranze infrante, gli anni vani trascorsi in una stupida ed
utopica attesa di qualcosa che non gli sarebbe mai stato riservato… no, non
lo tollerava più. La misura era colma.
Eppure la sua voce si
elevò stranamente ed innaturalmente calma, quando riuscì ad utilizzarla per
parlare: “Sei un egoista, amico mio. Vorrei poterti odiare per ciò che mi
hai fatto e per ciò che mi stai facendo, ma non è odio il sentimento che
posso provare per te. Allora… allora non posso che cercare di odiare quel
maledetto che ora si trova nella tua camera, ed odio e maledico
tranquillamente quell’amore che dici di provare per lui”
Henri
era… sconvolto. Non riusciva più a riconoscere il suo allegro e disponibile
Antoine sotto le spoglie di quell’uomo acido, cinico e disilluso che con un
sorriso affilato e crudele sulle labbra gli stava gettando addosso
tetraggini così profonde.
Cercò di riscuotersi e
di trovare in sé il coraggio per affrontare quello sconosciuto con
l’estraneo viso del suo migliore amico.
“Antoine, si può
sapere che cosa stai dicendo? Perché queste parole crudeli? Perché detesti
Duval in questo modo?!”
“Tu dovresti saperlo
perfettamente!” dichiarò Antoine con voce ferma e sicura, senza
indietreggiare minimamente dalle sue prese di posizione.
“No, non lo so. E mi
piacerebbe che tu me lo spiegassi chiaramente!”
Lo sguardo cupo
dell’amico di Henri si addolcì improvvisamente, come se incominciasse a sentirsi
stanco di quell’assurda situazione, dei loro tentativi di ferirsi
subdolamente con sottili dardi avvelenati. Che senso aveva… che scopo
aveva quella lotta?
“Va bene” replicò
Antoine con un sospiro “Cerca di ricordare una cosa che ti dissi una notte,
più o meno tre settimane fa. Probabilmente tu allora non ci avevi fatto
caso, ma essa è in fondo la chiave del mio attuale stato d’animo. Ora, ti
prego, permettimi di andare via. Mi fa male rimanere qui accanto a te… in
questo modo”
Quest’ultima
rivelazione, proferita su tono disilluso e stanco, fu sufficiente per
annientare ogni possibile replica di Henri. Il giovane permise all’amico di
allontanarsi, riflettendo riluttante sulle sue ultime parole con un
indefinibile senso di angoscia. Non comprendeva… cosa dovesse ricordare. No,
non indovinava proprio a quale frase si riferissero quelle allusioni.
A meno che… ma no! Non
poteva essere! Erano entrambi ubriachi marci quella notte! Non aveva nemmeno
pensato di prendere sul serio quelle parole.
Quel dialogo… le sue
risposte…
>>§<<
“Non ti capita mai,
Antoine, di voler improvvisamente sparire nel nulla… semplicemente, svanire
assieme a tutti i problemi… come se nulla di te fosse mai esistito?”
“Cosa stai dicendo,
Henri?!”
“Certe volte vorrei
morire… o essere diverso. Mi sento così male… così stonato rispetto a ciò
che tutti voi vorreste che io fossi! Non sono in grado di rispondere alle
vostre aspettative. Voi mi idealizzate, ma io non corrispondo all’immagine
della vostra mente. Io… io sono così meschino… sono inutile per te, per me,
per… per la persona per cui vorrei essere importante…”
“Henri, taci! Io
non pretendo nulla da te. Non ti voglio diverso. Sii semplicemente quello
che sei, non indossare maschere quando ti trovi con me. Non cercare di
essere un altro, non ce n’è bisogno… e non pensare alla morte. Mai. Io… io
non potrei reggere la vita senza di te. Se mi parli di questo, mi uccidi”
“Ti proibisco di
dipendere da me sino a questo punto!”
“Puoi proibirmi
tutto ciò che vuoi… ma non puoi impedirmi di amarti. Alla fine, tutto si
riduce a questa verità così semplice, così scontata e puerile… così
stupenda… e dolorosa…”
>>§<<
No, semplicemente non
poteva essere. Si era rifiutato di crederci quella sera e si rifiutava di
farlo tuttora. Ricordava che entrambi erano totalmente ebbri: non potevano
dirsi padroni dei loro gesti o dei loro pensieri… né tanto meno delle loro
parole!!
Antoine lo amava?
Questa poi… veramente divertente! Si era mai sentita prima un’idiozia più
assurda?
Sicuramente l’amico
non aveva voluto intendere effettivamente ‘quello’. Stava sproloquiando, era
chiaro! Magari stava addirittura pensando di parlare con qualcun altro.
Quando Antoine era ubriaco non bisognava escludere nessuna supposizione, per
quanto improbabile potesse sembrare!
Del resto, lui stesso
rammentava di aver dichiarato a sua volta amore eterno a perlomeno dieci
persone diverse durante quella fatidica notte, una volta trascorsa quella
fase triste della sbornia che lo affliggeva ad ogni sbronza, puntuale come
una tassa. Ora come ora non ricordava nemmeno i nomi di quelli a cui si era
appiccicato con passione… ma dei particolari riaffioravano: possedevano
tutti capelli biondi ed occhi azzurri. Un caso? Ovviamente no, lo sapeva.
Henri scosse la testa
e cominciò a risalire lentamente le scale per raggiungere la sua stanza e
colui che vi si trovava dentro.
Non immaginava cosa
doversi aspettare. Quale reazione avrebbe dovuto attendersi ora da quel
ragazzo tanto imprevedibile che gli aveva ormai scompigliato l’esistenza?
Sperava non uno scontro… ma, nella sua assennatezza, non ardiva a desiderare
nemmeno il clima rassicurante della sera precedente.
Aprì lentamente la
porta e vide al centro della stanza Duval, già completamente vestito, che
stava terminando di riabbottonarsi la giacca. Immediatamente il suo ospite
sollevò il viso, permettendogli di incontrare quegli occhi: la sua
espressione era di nuovo lontana, fredda e distante. Nulla a che vedere con
il dolore e la passionalità della notte trascorsa.
Non riusciva a far
corrispondere l’uomo impeccabile e controllato che si trovava in piedi
davanti a lui con l’immagine di un giovane appassionato che si era delineato
in modo sfumato durante quella narrazione così struggente.
Aveva sognato tutto?
Evidentemente sì, ed è categorica legge che i sogni debbano svanire alle
prime luci dell’alba.
Era inutile e sciocco
sperare. Perché aspettarsi qualcosa? Lui non poteva attendersi nulla di più
di quella freddezza. L’affetto, la fiducia e l’amore che Marius aveva
ricevuto… sarebbero rimasti per sempre di Marius. Doveva solo imparare ad
accettarlo. Ma sarebbe riuscito a rassegnarsi?
“Hai litigato con il
tuo ragazzo per causa mia? Mi dispiace” udì pronunciare da quella voce bassa
e severa.
“Ma… ma… ma siete
tutti pazzi stamattina? Cos’è, una sindrome dilagante?! Ne ho abbastanza di
assurdità! Antoine non è il mio ragazzo” puntualizzò, oltremodo seccato da
quell’insinuazione… forse perché iniziava davvero a sospettare che quella
pura amicizia non fosse in realtà mai stata così ‘pura’. Non per una delle
due parti, almeno.
“Mi sembrava che fosse
geloso…” considerò Jean.
Appariva distaccato,
calmo. Il discorso non lo riguardava, stava facendo semplici e distaccate
osservazioni. Era solo curiosità… non si trattava di nulla in più di questo.
Perché avrebbe dovuto esserci qualcosa dietro le sue parole? Che speranze
puerili, le sue… ridicolo, proprio lui che disprezzava le illusioni!
Gelosia? Duval?! Sarebbe stato bello, ma… ma quando mai!
Henri, sei un demente… e tu dovresti rassegnarti?! Sei sulla buona
strada, davvero!
“Fesserie!” ribatté
Grantaire, soffocando quei pensieri ironici e dirigendosi verso il proprio
armadio per estrarre da esso la sua camicia di riserva. Inseguendo Antoine,
non aveva nemmeno avuto il tempo di rendersi presentabile…
Si sentiva a disagio a
torso nudo accanto a Jean, pur non essendoci un’effettiva ragione per
esserlo: Duval non lo stava nemmeno guardando! Quegli occhi chiari erano
vaghi, quasi lontani. A cosa… o meglio, a chi stava pensando? Questo gli
richiamò alla mente un particolare… non molto piacevole, a dir la verità!
“Non
dovresti parlare a me di gelosia” si trovò a considerare amaramente
“Preoccupati piuttosto che Saint Just non venga a sapere nulla di questa
notte, o temo che si profilino tempi assai duri per me…”
“Cosa stai dicendo?”
gli chiese infastidito Jean, fissandolo quasi trucemente.
“Avanti, non cercare
di schermare la verità…” aggiunse con tono falsamente scherzoso “E’ evidente
che lui ti ama e che è follemente geloso di te! Non c’è nulla di male ad
ammetterlo…”
“Fesserie!”
Si fissarono per un
istante, ma questa volta con un’ombra di sorriso sulle labbra. Avevano
fornito le stesse secche, concise risposte…
Decisero di concludere
questo scontro in parità: il terreno stava diventando piuttosto spinoso per
entrambi. Evidentemente ambedue le supposizioni fatte nascondevano un fondo
di verità, ed essi non si sentivano la coscienza così limpida da
poterle negare in tutta franchezza.
“Ora Grantaire, se non
ti dispiace, levo il disturbo. Ti ho già importunato troppo con questioni
che non ti riguardano e che non avrei mai dovuto rivelarti… ti prego di
dimenticarle. Perdonami per averti praticamente costretto ad ascoltare… me
ne vergogno. Non oso pensare a cosa tu possa aver pensato di me e della mia
storia lamentevole”
La voce era di nuovo
puro ghiaccio. Un tono studiato apposta per intimidire l’avversario. Quegli
occhi parevano scrutarlo, guardinghi… ma non stavano nascondendo anche una
scintilla di panico?
Henri ovviamente non
poté tollerare quell’atteggiamento.
Prima che il suo
Apollo potesse uscire dalla stanza, lo richiamò con voce perentoria: “Che
scempiaggini vai dicendo?! Perché cerchi di ritirarti, proprio ora che mi
hai rivelato parte di te? Hai paura di esserti scoperto troppo e tenti di
riguadagnare terreno? Ti sei già pentito di esserti fidato? Vuoi rimangiare
tutto?!”
Duval aggrottò le
sopracciglia: “Io non… senti, non è necessario che tu finga ancora. Immagino
perfettamente che cosa tu possa aver pensato di me… ‘un ragazzino
traumatizzato e fragile, colpito al cuore da una patetica storia d’amore… le
sue rivelazioni sono state penose, che stupido infantilismo! Eppure il
minimo che io possa fare è cercare di aiutarlo… mi fa veramente una gran
pena! Improvvisiamoci santi per un giorno, chissà che la questione non si
riveli divertente!’.” prese un violento respiro, poi ricominciò: “Mi sto
allontanando di molto dalla verità? Non credo. Ma sai cosa ti dico? Che non
ho intenzione di assecondarti! Ieri sera avevo creduto che i tuoi tentativi
di amicizia fossero dettati da comprensione sincera, ma ora alla luce del
sole mi appare tutto più chiaro. Io… preferisco evitare la tua pietà. Ti
ringrazio comunque per il gentile pensiero…”
Riprese ad
allontanarsi, ma non riuscì a muovere nemmeno un passo: un sussurro
sarcastico lo gelò sul posto.
“Credi di essere
forte, vero? Ebbene, mi dispiace disingannarti. Sei… solo un vigliacco! Hai
paura. Paura di esporti, paura di soffrire di nuovo. Mi sono ingannato sul
tuo conto: in realtà, tu non sei affatto disposto a fidarti. Non hai
abbastanza coraggio per riuscirci. Non è ciò che hai vissuto in passato a
farmi pena… è ciò che stai facendo adesso che mi fa pena! Ti stai
nascondendo dietro una facciata di superiorità, con la quale cerchi solo di
celarmi il tuo spavento. Ti sei reso conto di esserti mostrato più di quanto
tu abbia mai fatto prima… ed adesso non ti senti abbastanza sicuro da
poterne reggere le conseguenze, di qualsiasi tipo esse possano essere. Temi
sia il dolore che la gioia. Mi fai pena, perché dopotutto hai solo paura di
vivere…”
Un pugno ben assestato
lo scaraventò contro il muro. Prima ancora di potersi riscuotere dallo
stupore si ritrovò inchiodato alla parete, con i polsi stretti nella morsa
delle mani di Jean e quel corpo premuto contro il suo per cercare di
mantenerlo immobile.
Una
situazione assai pericolosa… probabilmente quel giovane non immaginava
nemmeno quanto e ‘cosa’ stesse rischiando! Ma come faceva a non capire? Come
poteva non vedere… non leggere dietro le sue parole!?
Sarebbe stato
sufficiente un piccolo movimento per sfiorare quelle labbra, per ribaltare
le loro posizioni e… e poi…
“Io non ho paura di
niente!!!” sibilò Duval, fissandolo con uno sguardo che sprizzava lampi di
autentico furore.
E poi…
nulla! Decisamente era meglio lasciar perdere. L’occasione non sembrava
affatto adatta…
“Prova
ad essere sincero…” lo sfidò, combattendo la sua espressione infuriata con
un atteggiamento paziente, ma proprio per questo ancora più irritante.
Era veramente
impossibile! Stavano di nuovo litigando…
Tuttavia la perfetta
calma di quegli occhi verdi parve avere un effetto rilassante sullo stesso
Jean, che a poco a poco rilasciò i suoi muscoli tesi ed infine si decise ad
allentare la presa, allontanandosi dall’avversario.
“Ti prego” insistette
Grantaire, cercando di non attizzare la sua ira e di sembrare sincero “Ti
prego, non… non ti allontanare da me. Cerca di riflettere sul tuo
comportamento, non mentire a te stesso. Perché tenti costantemente di
chiuderti in questo modo? Lasciati… capire. Lasciati raggiungere”
Jean
era ancora indeciso. Sembrava combattuto fra due opposte tendenze… fra il
desiderio di fidarsi di Henri e la volontà di non cedere, di riprendere il
loro scontro e di schiacciarlo con la sua volontà. Un bivio decisivo, forse:
amicizia o prova di forza?
“Per favore! Devo
ripetertelo? ‘Tutto di te è importante per me’… ricordi? L’ho detto.
Lo penso ancora. Fidati di nuovo… fidati di me!!”
Duval sospirò ed
abbassò il capo. La frangia bionda scese ad accarezzare lievemente la sua
candida fronte, destando un assurdo moto d’invidia in Henri… irrazionale
invidia nei confronti di quei fili d’oro, che potevano sfiorare ciò che a
lui era negato!!
“Come posso essere
sicuro che tu non mi voglia fare del male?” sussurrò infine Jean con sforzo,
cercando pateticamente di sembrare sicuro di se stesso. Dio… quanto era
difficile per lui quella situazione! Avrebbe voluto fuggire e piantare in
asso tutto. Stava sconfinando troppo! Sarebbe riuscito poi a… retrocedere,
se ce ne sarebbe stato bisogno?
“Non
credo di poterti dire nulla che ti convinca della mia effettiva buona fede,
Jean. Hai detto che io sono l’amico che avresti sempre voluto avere… ma la
volontà per credere in una nostra possibile amicizia la devi trovare in te,
non posso donartela io. Potrei parlarti per ore dicendoti quanto ti
rispetti, quanto tenga a te, quanto… insomma, altre cose che non posso
nemmeno rivelarti! Probabilmente sarebbe inutile. Forse tu ora mi
crederesti, forse ora riuscirei a convincerti. Ma domani? L’incertezza ti
coglierebbe di nuovo, dovremmo nuovamente combattere. Credo che tu debba
semplicemente farti una domanda a cui è necessario rispondere in assoluta
sincerità: ritieni che ne valga la pena?! Secondo te, io merito il rischio
del dolore? Cosa è più importante? Io, oppure l’ignoto che temi di
affrontare? Tenere ad una persona comporta azzardi, lo so. E’ necessario
coraggio. Sei coraggioso come tutti dicono che tu sia? Vuoi accettare… la
mia mano tesa?”
Lo stava spingendo ad
una scelta definitiva: amicizia oppure indifferenza. Far passare di grado il
loro rapporto, cercare di comprendersi l’uno attraverso l’altro… oppure
permanere nello stadio attuale, fatto di scontri, liti, incomprensione,
ammirazione celata e rinnegata.
Se solo avesse deciso
di fidarsi di lui, se solo gli avesse permesso di prendersi cura di
lui! Allora avrebbe tentato di riportarlo di nuovo alla vita ed alle
emozioni umane… l’avrebbe ricondotto alla capacità di provare amore. Che
fosse amore per lui o per un altro (per Saint Just, sussurrava la sua
coscienza)… beh, questo era il dettaglio minore. Voleva solo tentare di
farlo sorridere più spesso.
Belle parole… molto
probabilmente assai false! Avrebbe mai potuto accettare che Jean si
innamorasse un altro? Ma non era il momento di pensarci. Se per questo, non
era nemmeno l’occasione adatta a fare voli di fantasia! Probabilmente adesso
Duval l’avrebbe fissato con aria di sufficienza e se ne sarebbe andato senza
degnarlo di una sillaba di più.
Henri si chiese se
sarebbe riuscito anche questa volta a minimizzare tutto con una scrollata di
spalle.
Chiuse per un attimo
gli occhi, cercando di cacciare dalla mente questa desolante prospettiva (o
doveva forse chiamarla desolante previsione?) per un futuro imminente. In
questo modo però non si accorse di quella mano finché essa non si
appoggiò con delicatezza, quasi esitando, sulla sua spalla destra. Spalancò
a dismisura lo sguardo, specchiandosi in quello turbato del giovane di
fronte a lui.
“Tu sei più
importante. La vita è più importante. Io… aiutami a cambiare, a non
sentirmi più completamente solo. Sono stanco… stanco di essere ‘così’, di
vivere in questo modo… isolato, distante…”
Quanta forza d'animo
aveva dovuto mettere in gioco per riuscire a pronunciare quelle poche
parole? Non poteva immaginarlo.
Protese la sua mano
sino a posarla a sua volta sulla spalla dell’amico. Ma questo non gli
bastava… fece scorrere le dita sul suo collo (che brividi che provocava
questo gesto!), posandole dietro la sua nuca ed attirando quel corpo sottile
in uno stretto ed inaspettato abbraccio.
Aveva bisogno di
sentirlo vicino, di sentirlo reale e concreto accanto a lui… come la sera
precedente. Voleva assaporare l’inebriante profumo della sua vicinanza,
cercare di ascoltare il battito del suo cuore, percepire il suo respiro
tranquillo… ma no, ora tranquillo non era! Era… accelerato, rapido quasi
quanto il suo.
Inizialmente entrambi
erano rigidi, l’uno perché colto di sorpresa e non abituato più alle
manifestazioni di affetto, l’altro perché paralizzato dalla paura di
lasciarsi andare troppo oltre. Poi, finalmente, si abbandonarono l’uno
contro l’altro… un attimo soltanto, forse di più.
Il primo a rompere
quell’abbraccio fu Jean, che si tirò indietro con lentezza, quasi
chiedendosi se non avesse fatto male ad essersi permesso quella
dimostrazione di attaccamento.
Henri comprese
immediatamente il suo dubbio e cercò di rassicurarlo con il sorriso e le
parole: “Davvero impensabile, Duval! Credo proprio che tu debba essere fatto
di ghiaccio! E’ normale, fra amici, dimostrare il proprio affetto con degli
abbracci o dei gesti simili! Nessuno te l’ha insegnato? Impara, se vuoi
inserirti fra noi esseri umani!”
“Nelle tue parole
c’era per caso qualche battuta che non ho colto? Avvertimi se devi ridere!”
ribatté Jean, sarcastico.
“Spiritoso! Era solo
un tentativo di alleggerire la tensione. Speravo che lo avessi compreso…”
Mantennero il silenzio
ancora per qualche attimo, poi Grantaire si risolse a fare ritorno alle
questioni che più gli stavano a cuore con un’inopportuna valanga di domande:
“Hai deciso, dunque? Proverai a fidarti di me? Non cercherai più di
nasconderti dietro un atteggiamento di sufficienza, non rimangerai i tuoi
proponimenti? Vuoi essermi amico?”
Un altro leggero
sorriso. Oh, era struggente ammirare quelle labbra morbide incurvarsi in un
sorriso! Gli occhi, in quel mentre, assumevano una profondità ed una
dolcezza che faceva quasi a pugni con il bagliore combattivo che rifulgeva
in essi durante le perorazioni politiche. Il ruscello impetuoso che per un
attimo si riposa in una tranquilla polla d’acqua.
“Amico? Non so.
Cercherò. Non credo che mi riuscirà facile… io non ho mai avuto amici nel
senso proprio del termine”
“Marius era tuo amico”
gli fece notare nervosamente Henri, odiando la pronuncia di quel nome.
“Marius non era un
amico… non solo” precisò il suo Apollo, causandogli inconsapevolmente una
stilettata al cuore.
Grantaire non avrebbe voluto riconoscerlo, ma era vero: con Marius era stata
valicata la fragile linea che intercorreva fra amico ed amante. Eppure quel
ragazzo non era stato per Duval né l’uno né l’altro: troppo vicino ed amato
per essere un amico, troppo distante per poter essere un effettivo amante.
Una relazione ambigua ed intricata nella cui purezza Jean era rimasto
aggrovigliato… e dal cui richiamo probabilmente doveva ancora districarsi
completamente.
Con Henri invece non
avrebbe mai dovuto affrontare simili problemi… lì il desiderio e l’amore
venivano banditi. C’era spazio solo per un tiepido affetto. Ma basta, basta
tormentarsi con quei pensieri…
“Non esistono
regole che possano aiutarti a diventare un ‘amico provetto’, Jean. Ogni
amicizia è diversa da un'altra… i legami che si instaurano fra le persone
sono vari e dipendono dagli individui stessi, dagli interessi, dalle
affinità di carattere. Tutto ciò che devi fare è essere naturale, essere
semplicemente te stesso”
Duval pareva perplesso
ed un po’ preoccupato. Evidentemente era angosciato da qualcosa.
“Cosa c’è?” lo
interrogò cautamente Henri “Puoi dirmelo, se vuoi. Rammenta che uno dei
postulati principali dell’amicizia è la sincerità”
“La sincerità è uno
dei postulati della vita!” ribadì Jean con sicurezza.
“Stai cercando di
eludere la domanda…”
“Niente affatto! E’
solo che… talvolta essere me stesso mi disgusta. Non sono sicuro di sapere
chi sono veramente, spesso disprezzo ciò che conosco di me. Probabilmente,
se tu mi conoscessi per ciò che sono realmente, mi disprezzeresti a tua
volta… io non sono quello che cerco di sembrare, io…”
Grantaire scosse il
capo, replicando: “Non ti facevo così insicuro… ma non credo che ‘insicuro’
sia un aggettivo adatto a te. Potrei dirti che nessuno di noi può asserire
di conoscere completamente se stesso e che ognuno di noi vorrebbe potersi
cambiare… ma lascia che sia io a valutare ciò che sei! Ebbene, il mio
giudizio è… che non posso giudicarti. Un amico non è un arbitro, ma
semplicemente un sostegno. Non devi temere la mia disapprovazione… come io
non dovrei temere la tua. Spesso le nostre opinioni divergeranno, temo
proprio anzi che sarà un miracolo trovarsi d’accordo su qualcosa… ma ci si
confronta, si discute! Un diverbio non può distruggere un’amicizia, se
l’affetto è sincero”
Jean lo stava fissando
muto ed immobile, tanto che alla fine Grantaire ne fu persino preoccupato.
“Cosa c’è? Perché mi
stai guardando così?” chiese, preoccupato.
Duval
si riscosse, sorridendo.
“Sai, credo di aver
molto da imparare da te” spiegò “Ti mostri sorprendentemente sicuro su
questi argomenti, ne sai parlare veramente bene! Ho quasi l’impressione che
i nostri ruoli si siano invertiti, che io sia diventato lo scettico ritroso
e tu il credente”
Grantaire si rese
conto, imbarazzato, di aver parlato forse con eccessiva enfasi. Cercò di
riparare all’errore: “Non sono poi così certo di quello che sto dicendo,
probabilmente sono solo insulse e smielate stupidaggini! Comunque, anche io
ho bisogno di credere in qualcosa. Non sono uno scettico estremista… ho
bisogno di coltivare della fiducia, Apollo!”
“Apollo?!” esclamò
Jean, alquanto disorientato.
Quell’espressione
smarrita era veramente meravigliosa… ci andava pazzo!
“Beh, sì… gli
assomigli! O meglio, sei simile alla personale idea che io ho di
Apollo. Se qualcuno mi dicesse di immaginare il dio Sole, probabilmente
penserei a te… anche se ammetto che talvolta i tuoi atteggiamenti richiamano
alla mente più un Marte guerriero e spavaldo, che non il tiepido Apollo,
amante delle arti e suonatore di cetra” rifletté ad alta voce, ammettendo
quell’inspiegabile contrasto.
“Ti interessi di
letteratura greca o romana?” chiese incuriosito Duval, evidentemente
indifferente al complimento che gli era implicitamente stato fatto. Insomma:
Apollo = bellezza! Gli aveva detto di essere bello! Henri si chiese se lo
avesse almeno notato… forse non se ne era neppure accorto!
Quel ragazzo era
veramente, assolutamente impossibile…
Rispose con
rassegnazione: “Credevi che io fossi un illetterato totale? Per tua
informazione, il vino ed i miei poco proficui tentativi di procacciarmi una
causa in tribunale non sono i miei unici interessi! Ovviamente ora i miei
fondi scarseggiano e non ho modo di recuperare direttamente dei brani da
leggere, ma posso farmeli prestare dai miei amici meglio sistemati. Amo gli
scritti dei filosofi antichi, mi diletto a leggere Aristotele e soprattutto
Platone, i tragediografi greci e i commediografi romani… altri autori come
Omero, Esiodo, Virgilio, Cicerone… diciamo che mi distraggo ampliando la mia
cultura!”
“Se vuoi, quando non
hai altro da fare di importante, puoi venire a fare un salto a casa mia. A
mio padre piace darsi arie da intellettuale per cercare di valicare la sua
squallida posizione di borghese arricchito, ragion per cui ha anche trovato
indispensabile munirsi di una biblioteca piuttosto fornita, che io
contribuisco ad ampliare e che lui approfitta per ostentare. Potrei
prestarti qualche libro dei miei, se tu lo volessi”
Questa proposta lo
aveva davvero stupito, questo doveva ammetterlo sinceramente!
“Avanti, che fregatura
c’è sotto?! Pretendi che mi fidi in questo modo di te? Cosa vuoi in cambio
della tua offerta apparentemente disinteressata?!” chiese con tono
fintamente minaccioso.
“Ma come!” lo canzonò
Jean con aria falsamente ingenua ed offesa “Non ti fidi di me? E tutti i
tuoi bei discorsi sull’amicizia cosa si sono rivelati essere? Parole al
vento?!”
“Stai rischiando, ti
avverto preventivamente. Non permetto a nessuno di prendermi in giro!” lo
avvisò con sguardo torvo, meno infastidito di quanto non volesse far credere
di essere.
In realtà, Henri amava
vederlo lasciarsi andare così, spensierato e privo di preoccupazioni sulle
conseguenze delle sue parole. Accadeva troppo di rado. Sembrava più giovane…
o meglio, sembrava davvero il giovane che era e che troppo spesso nascondeva
con atteggiamenti adulti.
Ehi! Dunque era
possibile anche per loro andare d’accordo…
Duval riprese la
parola con aria pensosa: “In effetti, qualcosa potresti fare per ricambiare
la mia gentile offerta… ad esempio, lavorare nel mio giornale clandestino
oppure renderti disponibile per la causa a cui io e Saint Just collaboriamo”
Immediatamente
Grantaire si rabbuiò. Questa volta il fastidio non era una finzione.
“Per favore, Jean, non
cercare di coinvolgermi nei tuoi progetti politici! Lasciamoli fuori, va
bene? Sai perfettamente bene che io non condivido i tuoi ideali, quindi non
trascinarmi nell’ennesima discussione che come al solito degenererà in un
rovinoso scontro di opinioni. Io rispetto ciò a cui credi, tu rispetta ciò a
cui credo io. Tentiamo di essere amici nonostante le nostre filosofie di
vita!”
Duval rimase in
silenzio per qualche attimo, prima di replicare con un sospiro: “E’ giusto,
hai ragione. Non te lo chiederò più…”
“Ti ringrazio”
Ambedue ora si stavano
mantenendo immobili, a poca distanza l’uno dall’altro. Henri aveva la strana
impressione che Jean dovesse andare via ma non trovasse la volontà
necessaria per decidersi a farlo. Se sperava in un suo intervento per
spronarlo, si sbagliava di grosso! Lui non aveva assolutamente alcun
desiderio che si allontanasse… non ora, quando stavano così bene godendo
della reciproca compagnia!! Non ora, dopo aver capito che anche per loro era
possibile dialogare senza rimbeccarsi su ogni frase. Non adesso, quando
poteva cercare di saziare il suo amore con la vista di quegli occhi…
“Va bene, me ne devo
andare” sussurrò quasi con sforzo Duval, piantando lo sguardo azzurro nel
suo e cercando di incatenarsi ad esso.
Henri annuì, incapace
di dire altro.
Dopo un altro breve
cenno Jean si volse e si apprestò a valicare la porta.
Due braccia lo
riattirarono dentro, lo avvolsero delicatamente per un attimo… e lui
inaspettatamente non poté far altro che abbandonarsi a quella stretta, a
quel profumo… ma quasi subito la presa si allentò e Duval si trovò
nuovamente libero. Si volse e fissò per qualche istante quella pelle
abbronzata, quel corpo agile e giovane… quegli occhi di smeraldo e quei
capelli corvini. Erano belli, innegabilmente. Jean si rese conto di non aver
mai notato prima quei dettagli. Realizzò improvvisamente un particolare che
lo sorprese…
“Sai una cosa, Henri?”
“Cosa?!” gli diede
corda, sopraffatto dalla sensazione che dava il suono del suo nome
pronunciato da quelle labbra.
“Se io sono Apollo… tu
indubbiamente sei Adone”
Quindi se ne andò,
allontanandosi come un’ombra che non ama fare rumore.
>>§<<
Era veramente nei
guai! Doveva assolutamente riuscire a trovare un modo per rimediare dei
soldi, oppure le cose per lui si sarebbero sul serio messe male…
Anche quel giorno
nessuna causa, nessun cliente, niente lavoro. Nulla di nulla, insomma.
Henri si sedette
sospirando in un angolo dell’osteria, prendendosi la testa fra le mani e
cercando di fare mente locale sulla sua situazione non propriamente florida.
Non era davvero il caso di fare gli schizzinosi: adesso qualsiasi
occupazione sarebbe andata bene, purché gli fornisse i mezzi per vivere! I
suoi abiti erano sempre più malridotti ed impresentabili, le porzioni di
cibo ogni giorno meno abbondanti, la fame ed il freddo incalzavano… non
ancora dolorosamente, ma di certo fastidiosamente. Non rimpiangeva la sua
vita da nobile isolato e rustico, ma il prezzo da pagare per l’attuale
indipendenza si stava rivelando veramente troppo alto!
Era immerso nei suoi
tetri pensieri già da parecchi minuti, così si accorse solo dopo qualche
istante che Antoine si era accomodato al suo stesso bancone e che stava
sfoggiando uno sguardo preoccupato a causa della sua espressione pensosa.
“Problemi, Henri?” lo
interrogò quello con naturalezza, senza il minimo segno di disagio.
Evidentemente la
discussione svoltasi fra loro pochi giorni prima non aveva avuto per lui
alcuna importanza. Meglio così! Non chiedeva di meglio che fare a sua volta
finta di nulla. Forse aveva solo volato un po’ troppo con l’immaginazione!
Sicuramente Antoine non provava niente per lui…
Decise di assecondare
il desiderio del compagno di dare vita ad una conversazione neutrale:
“Problemi? In un certo senso, ma non è il caso di drammatizzare! Diciamo che
sono prossimo al morire per ibernazione o per mancanza di alimentazione, ma
a parte questo tutto procede perfettamente…”
“Sei ancora senza
lavoro?” proseguì l’amico, chiamando nel frattempo l’oste con un cenno della
mano.
Grantaire decise di
rispondere con un semplice cenno affermativo, sbuffando scocciato fra sé e
sé. Se la sua capacità di prevedere gli eventi non era ancora stata
totalmente affievolita dagli stenti e dai digiuni, presumeva inevitabilmente
che subito avrebbe dovuto sorbirsi un bel predicozzo o come minimo, se era
la sua giornata, degli amorevoli rimproveri infastiditi.
Ed infatti…
“Henri, tu sei proprio
una testa di marmo! Si può sapere perché non ti decidi ad accettare un mio
aiuto? Ti ho detto mille volte che non ho alcun problema a darti i soldi che
ti servono per tirare avanti… me li restituirai quando ti sarà possibile!
Giuro che non esagererò con la mia mania di fare l’usuraio! Perché diamine
non vuoi mai lasciarti dare una mano?! Ti rendi conto che i tuoi rifiuti mi
offendono?”
“Lo sai, non sopporto
di avere debiti. I debiti sono la prima forma di schiavitù… mi
vincolerebbero la coscienza più fastidiosamente di quanto potrebbero fare
delle pesanti catene. Non riuscirei a vivere tranquillamente sapendo di
doverti qualcosa. Ti sono molto grato per la tua offerta, ma vedrai che me
la caverò comunque”
“Sì, come no… ricordo
l’ultima volta che hai detto così: il giorno dopo ti ho trovato svenuto a
casa tua! Non è allettante la prospettiva di vederti morire di fame e di
freddo, sai?”
Nel frattempo l’oste
aveva portato, come gli era stato richiesto, una buona bottiglia di vino di
Borgogna ed un paio di coppe.
“Permettimi almeno”
riprese Antoine “Di offrirti qualcosa da bere! Non mi rifiuterai anche
questo, spero!”
Henri finse di esitare
nel rispondere, ma l’occhiata furibonda e minacciosa del compagno lo
convinse a capitolare: “Va bene, va bene… ma solo perché sei tu! Un
bicchiere sarà sufficiente…”
“Non essere
ridicolo…” borbottò l’amico di rimando, versando lentamente il liquido
scuro nei due calici.
Era divertente vederlo
tanto arrabbiato! Antoine era solito nascondere così le sue apprensioni nei
confronti degli altri…
Mentre assaporavano in
silenzio la bevanda, la porta del locale venne aperta violentemente ed entrò
un gruppo composto da una decina di giovani e di uomini adulti, che
portarono con sé il suono di voci dalle diverse intonazioni, di risate,
sospiri ed urla allegre. La combriccola, dopo essersi guardata per un attimo
in giro, notò la presenza dei due compagni ed immediatamente si apprestò a
raggiungerli.
“Guardate un po’ chi
c’è qua!! Come mai quelle facce scure, compari!!?”
“Heilà, Henri! Quando
ti deciderai a rivoltare quel cappotto logoro? Se persevererai a conciarti
come uno spauracchio, le donzelle inizieranno a negarti le loro grazie!”
“Non fare l’idiota,
Claude! Sai benissimo che è sufficiente che Henri scocchi uno sguardo,
affinché tutte le esponenti del gentil sesso cadano immediatamente ai suoi
piedi… e ciò avviene indipendentemente dal modo in cui è conciato!”
“Già, giustissimo!
Dovresti preoccuparti tu invece, Claude, che da più o meno un mese stai
conducendo una vita da eremita barbaresco!”
“Questi non sono
affari vostri, cretini!!”
La solita briosa
cacofonia delle bande di studenti universitari, a cui si aggiungevano anche
scansafatiche ed allegri sbandati di tutte le età. Solitamente Henri si
divertiva ad unirsi nelle loro scorribande, ma da un po’ di tempo a questa
parte aveva disertato gli inviti di aggregarsi a loro… complici problemi di
vario tipo: economici, politici e, non ultimi, sentimentali. Ma quella sera
sentiva veramente il bisogno di svagarsi, quindi accolse quasi con
gratitudine quella spumeggiante confusione di voci e di rumori. Sperava
solamente che non si mettessero a cantare quelle loro solite, assurde e
strampalate canzoni in latino maccheronico, oppure non avrebbe potuto
resistere… veramente una brutta cosa possedere l’orecchio da musicista!
Tutte le stonature gli sembravano amplificate.
Lui ed
Antoine vennero immediatamente attorniati da quella masnada, che portò con
sé gli argomenti più disparati: avventure licenziose, litigi con genitori
troppo avari, scommesse e, naturalmente, politica.
Si diceva che la
convocazione degli Stati Generali, un’assemblea dei rappresentanti delle tre
classi della società francese, fosse imminente. Ovviamente tutto ciò non
toccava la sfera degli interessi di Grantaire. Si chiedeva solo che cosa avrebbe detto a questo proposito il suo perennemente
entusiasta Duval, trascinatore di popoli e di greggi. Non l’aveva più visto
dalla memorabile data d’inizio della loro amicizia… anche se ‘amicizia’ gli
sembrava un termine falsato, o piuttosto forzato. Da un po’ di giorni
sembrava sparito dalla circolazione.
Si scostò la cortina
di capelli scuri che gli spiovevano sul viso e sollevò lo sguardo,
dirigendolo casualmente verso l’ingresso. Si immobilizzò, gelato, non
riuscendo a scostare la sua attenzione da quella zona, o meglio… da ‘chi’
era comparso in quella zona. Il classico ‘lupus in fabula’! Per la carità,
non c’era niente di dispregiativo in questa espressione, non voleva affatto
lamentarsi dell’apparizione improvvisa di quel ‘deus ex machina’… anzi!
Lui
era appena entrato nel locale ed ora si manteneva fermo, quasi indeciso,
davanti alla porta, gli occhi chiari fissi su Henri e la tipica espressione
impenetrabile. Pretendere da lui un sorriso sarebbe stato troppo?
Probabilmente sì. Era incredibile quanto riuscisse a ferirlo con quell’ostentata
freddezza…
Dopo qualche attimo
Duval si mosse leggermente, facendogli un impercettibile cenno col capo ed
accennando ad andarsene.
Perché si allontanava?
Henri si levò
immediatamente in piedi, senza minimamente udire le esclamazioni di sorpresa
di coloro che lo circondavano e senza cogliere l’imprecazione che Antoine
non si era dato la pena di soffocare dopo aver visto a sua volta il ‘lupus
in fabula’ in questione.
In poche ampie falcate
raggiunse l’uscita e la varcò, venendo falciato dalla fredda aria notturna.
Dov’era? Non se ne era
andato, vero? No. Eccolo lì, a pochi passi da lui.
Appoggiato al muro, lo
snello corpo di Duval pareva una figura finemente scolpita nella pietra. Lo
fissò stupidamente per qualche attimo, oppresso da quella bellezza irreale e
distante, prima di riscuotersi con un brivido.
Si bagnò le labbra
secche con incertezza, chiedendosi quale fosse il miglior mezzo per
introdurre un dialogo. Iniziò a parlare con cautela: “Perché sei uscito?
Avresti benissimo potuto rimanere all’interno dell’osteria… avremmo parlato
lì”
“No” replicò il
ragazzo biondo in tutta calma “Eri in compagnia ed io… non volevo
disturbarti”
“Non mi avresti
disturbato!”
“Beh… diciamo allora
che la situazione avrebbe disturbato me. Non mi trovo a mio agio nel mezzo
di quelle combriccole cacofoniche, non sono il mio passatempo preferito. E
poi c’era con te anche quel tuo amico –scusa, non ricordo il suo nome- che
sicuramente avrebbe insistito con lo scoccarmi occhiate furibonde”
“Ti riferisci ad
Antoine?” indagò, vagamente perplesso.
“Sì, al tipo geloso di
te… no, aspetta! Lo dico io al posto tuo: fesserie! Giusto?”
Henri sorrise
divertito, sentendo l’aria distendersi.
Il ghiaccio era rotto.
Jean continuò,
allontanandosi dal muro e posizionandosi di fronte a lui: “Ti accompagno a
casa. Sempre che tu lo voglia, ovviamente”
“Sì, certo! Sai
benissimo che… mi farebbe piacere” lo rassicurò scrollando le spalle.
Si incamminarono
assieme per le strade buie, mantenendo per un bel tratto di strada un
silenzio interrotto solamente dal rumore dei loro passi sul selciato.
Grantaire spesso
voltava parzialmente il capo all’indietro. Aveva la strana e spiacevole
sensazione di essere seguito! Tuttavia, ogni volta che esaminava le ombre
alle sue spalle, riusciva a vedere solo… ombre, appunto! Mah… evidentemente
era solo la sua immaginazione a perseguitarlo con chimere inesistenti.
Lui non aveva nulla
da temere dalle vie di Parigi, città che ormai conosceva da cima a fondo.
Quelli erano tempi pericolosi per i nobili che viaggiavano in carrozza o a
cavallo, dato che correvano il rischio di essere assaliti dai popolani
esasperati dagli stenti, ma non certo per un misero avvocato come lui, che
aveva dimenticato e fatto dimenticare il suo titolo nobiliare a partire dal
preciso momento in cui aveva posto piede al di fuori delle sue proprietà.
Non aveva detto a
nessuno il suo vero nome ed il suo titolo: era qualcosa di cui personalmente
non andava fiero e che non considerava come un vanto. Secondo una sua
personale opinione, il merito di una persona non si misurava dalla purezza
del sangue o dagli avi della casata di appartenenza. Lanciò una piccola
occhiata nervosa ad Duval che procedeva silenzioso al suo fianco. Che cosa
avrebbe detto il suo Apollo, se avesse saputo che lui non era davvero un
avvocato pezzente orfano di padre e di madre… se avesse scoperto che Henri
Grantaire era l’erede della nobile famiglia dei conti de Vouillé?!
Era stato un nobile ad
aver ucciso Marius. Ricordava il dolore, la rabbia, l’odio di cui era
intrisa quella storia… e rammentava altrettanto bene l’accento sprezzante e
furibondo che Jean usava ogniqualvolta si riferiva ad un titolato!!
No, non gliel’avrebbe
mai confidato…
“A cosa pensi?”
“Eh?!” esclamò,
allarmato di trovarsi tratto così violentemente dalle sue riflessioni.
“Ti ho chiesto” ripeté
pazientemente il suo compagno di strada “A cosa stai pensando”
“A nulla in
particolare” mentì “Mi sto solo tormentando con problemi esistenziali! Ecco
un esempio: dove potrei recuperare un costume da Pulcinella?”
L’amico rimase
perplesso a causa di questa uscita, almeno a giudicare dal tono della
risposta: “E questa da dove ti esce, scusa? Problemi esistenziali, eh?
Pensavo che il tuo cervello non fosse ancora totalmente bacato! Che cosa
penseresti di fartene di un vestito simile?”
“Beh… il mio progetto
era avviare una carriera da saltimbanco per racimolare un po’ di denaro…”
Percepì la risata
sommessa di Jean, seguita da un’esclamazione divertita: “Accidenti! Devi
essere proprio sull’orlo del baratro se sei disposto ad abbassarti a simili
risoluzioni! Comunque, se devo essere sincero, non ti ci vedrei proprio a
fare il buffone su un palco di legno in mezzo alla strada… non mi sembra
un’attività degna del cinico e disilluso filosofo scettico che pretendi di
essere! E la tua dignità, che fine farebbe?!”
“Diogene era un
filosofo talmente famoso da aver attirato l’attenzione dello stesso
Alessandro il Macedone, eppure viveva in una botte…” gli fece notare Henri,
piccato per la sua irriverente ironia.
“Va bene, hai ragione…
devo dedurre che sei proprio deciso ad avviare la tua carriera di giullare e
mentecatto! Ma ti piace così tanto l’idea?”
“No, ovviamente no!”
sbottò Henri infastidito “Ma ho bisogno di denaro… e nessuno sembra essere
disposto a fornirmi il modo di procurarmelo!”
Si stava trattenendo a
malapena dal far notare acidamente a Duval che avrebbe scherzato di meno su
tale argomento, se non avesse avuto un padre pronto a soddisfare ogni suo
minimo bisogno. Jean non era decisamente coerente! Perorava la causa dei
poveri e dei miserabili, mentre in realtà viveva alle loro spalle senza
mostrarsi disposto a rinunciare ai suoi agi per loro. Già, questo
sicuramente era meglio non puntualizzarlo… altrimenti nessuno lo avrebbe
salvato dall’ennesimo ceffone stampato in viso!
Nel
frattempo il suo efebico compagno aveva ripreso le file del dialogo:
“Capisco… ma ci sarà pur qualcosa che tu sappia fare e che possa aiutarti a
sopravvivere! Avanti, fai un elenco delle tue capacità!”
Non riusciva proprio a
capire se Jean fosse serio o meno! Aveva la fastidiosa sensazione che stesse
continuando a prendersi gioco di lui. Beh, poteva rispondergli per le rime!
“Le mie capacità?!
Allora, vediamo… so respirare, so mangiare, so bere… so dormire…”
“Grantaire!!” lo
ammonì Duval, palesemente seccato dalla sua ironia.
Lui continuò, senza
apparentemente rilevare il tono di fastidio con cui l’altro lo aveva
richiamato: “…so parlare, so fare l’amore…”
“Davvero? Mon Dieu!
Che rivelazione… sconcertante!!” lo interruppe Jean, nascondendo un sorriso
sarcastico dietro un’espressione falsamente scioccata.
Allora sapeva anche
essere malizioso!
“Sì, so fare l’amore…
ed anche piuttosto bene! Prova ad informarti, se non ti fidi…”
Avrebbe voluto anche
proporgli di testare in prima persona, ma non era prudente spingersi troppo
oltre. Jean avrebbe anche potuto andarsene piantandolo in asso, se lui
avesse esagerato…
Duval scosse la testa,
replicando: “Non preoccuparti. Sono un gentiluomo, ti credo sulla parola.
Vai avanti! Le tue mirabili abilità mi stanno sconvolgendo!”
“Dove ero rimasto? Ah,
giusto! Dunque… nota bene! So perfino scrivere!”
“Sono senza parole!”
Il tono genuinamente
stupefatto con cui il ragazzo biondo aveva proferito quest’ultima
esclamazione fece terminare quello scherzo infantile con un’allegra risata.
Henri si sentiva come
se stesse veleggiando nell’empireo: era riuscito… a farlo ridere! Avrebbe
perfino detto (notate da questo il suo grado di rincitrullimento!) che il
suono cristallino che sgorgava da quelle labbra sarebbe stato in grado di
spingere gli angeli all’inferno… se solo avesse creduto agli angeli ed
all’inferno, ovviamente! Eppure, se lo fissava negli occhi, si trovava
spesso costretto a rivedere le sue teorie sugli angeli…
Si riprese per primo,
pronto a continuare con più serietà: “Va bene, lasciamo da parte le facezie.
Conosco il latino ed i principali autori greci e latini, sono in grado di
parlare, oltre al francese, l’inglese, il tedesco e un po’ di italiano… so
suonare il violino…”
“Sai suonare il
violino?!” lo interruppe Jean improvvisamente.
“Sì, sin da quando ero
piccolo. E’ così importante?”
“Ma certo!! E’ fatta!
Nel teatro… in quel teatro dove… pensava di inserirsi Marius…”
La voce di Duval si
era repentinamente abbassata: ora il tono pareva quasi… affaticato. Era
bastato un nome: l’atmosfera si era appesantita. Ambedue erano tornati con
la mente a quella sera di qualche giorno prima, a quel racconto doloroso.
Era strano che, sebbene fosse stato proprio esso a dare vita alla loro
amicizia, quel ricordo riuscisse adesso a farli sentire… tanto a disagio.
Duval si sentì
improvvisamente insicuro… come se stesse camminando su un terreno pronto a
franargli sotto i piedi. Quelle memorie avevano messo in luce in lui
un’emotività che detestava dover ammettere. Ed Henri… Henri non poteva far
altro che tendersi al suono del nome di una persona che aveva ottenuto ciò a
cui lui non poteva nemmeno aspirare…
Jean si sforzò di
continuare il discorso con un tono disinvolto, provando a superare quell’ostacolo.
Ci riuscì.
“In quel teatro stanno
cercando un violinista. Forse la paga non è altissima, ma…”
“Ci sto!” esclamò
immediatamente Grantaire, incredulo di trovarsi di fronte ad una così buona
occasione.
“Perfetto, allora. Se
vuoi, domani posso accompagnarti là e parlare con il direttore… lo conosco
da molto tempo, è una persona simpatica”
“Come mai lo conosci?”
Quanto si sentiva
idiota! Riusciva ad essere geloso perfino di un tizio che non aveva mai
visto e che probabilmente era solo un bonario vecchietto con una moglie ed
un sacco di marmocchi al carico! Era veramente ridicolo da parte sua…
comunque, come mai lo conosceva?
Jean non aveva
evidentemente rilevato il motivo per cui questa domanda era stata posta.
“E’ un sostenitore
della democrazia e collabora alla diffusione del nostro giornale
clandestino”
Ah… ecco, ora tutto
era spiegato! E lui che, da perfetto babbeo, era andato ad immaginarsi
chissà quali altarini! La sua gelosia gli faceva perennemente dimenticare
che il totale disinteresse di Duval nei confronti di tutto ciò che
riguardava anche solo vagamente il tema sesso/amore era noto ad ogni essere
pensante di Parigi. Il desiderio degli altri, gli sguardi appassionati, i
sospiri intensi gli scivolavano addosso come avrebbe potuto fare una
secchiata d’acqua su un vetro. Jean aveva smesso di pensare all’amore… da
anni, ormai. E lui era l’unico a saperne l’effettivo motivo.
‘Non l’avevo mai
raccontato prima…’
Queste erano state le
parole di Jean. Henri non capiva se avrebbe dovuto sentirsi privilegiato
per l’esclusività di una rivelazione che l’aveva solamente fatto sentire
peggio. In fondo, con essa Duval aveva fatto naufragare tutte le sue già
flebili speranze di poter essere ricambiato.
Con difficoltà tentò
di rispondere con cortesia: “Ti ringrazio veramente molto per la tua
offerta. Non immagini nemmeno quanto ne abbia bisogno!”
Quel viso si girò
verso di lui nella penombra dei vicoli illuminati solamente dalle fioche
luci provenienti dalle abitazioni. Il volto pallido era parzialmente in
ombra, ma poteva scorgere comunque lo scintillio di quegli occhi profondi.
Le sue labbra… stavano sorridendo?
“Oh, lo immagino
benissimo invece!” lo udì dire “La stoffa della tua camicia è talmente
logora e sottile, che fra un po’ potrebbe venire scambiata per una finissima
ragnatela…”
“In effetti, non posso
dire che tu abbia torto…” concordò, chiedendosi che impressione potesse mai
fargli: era vestito in modo così trasandato e sciatto, mentre Duval era
sempre immacolato ed impeccabile! Di certo non gli doveva sembrare
attraente…
Il silenzio calò per
qualche breve attimo dopo quest’ultimo strascico di conversazione. Ad Henri
parve di sentire nuovamente dei passi leggerissimi alle loro spalle. Si
voltò di nuovo, ma ancora una volta non riuscì a sorprendere nessuno.
Forse la fame lo stava
facendo diventare psicotico…
“Come mai sei
scomparso negli ultimi giorni? Nessuno ti ha visto in giro… hai avuto
qualche problema?”
Non aveva proprio
potuto trattenersi. Probabilmente il suo compagno l’avrebbe considerato, a
ragione, invadente… ma voleva sapere tutto di lui. E poi… sì, c’era sempre
quell’assurda questione di gelosia!
“Ti sono mancato?”
chiese Jean con tono ironico.
“Immensamente!”
rispose con la medesima intonazione.
Il suo Apollo non
immaginava nemmeno quanto quella parola corrispondesse all’effettiva realtà…
“Ho dovuto lavorare
con Saint Just per alcuni articoli… sai, ci stiamo preparando ad informare
meglio il popolo sugli Stati Generali che probabilmente verranno aperti in
Maggio. Manca poco più di un mese… un tempo minimo!”
Dannazione, ma non
esisteva nient’altro per lui?! Si sentiva quasi tentato di chiedergli se la
proposta di entrare a far parte del suo giornale era ancora valida… ma
questo non sarebbe stato giusto per nessuno dei due. Duval vi lavorava
perché credeva fermamente nei suoi ideali… Henri lo avrebbe solo preso in
giro, se si fosse unito alla sua lotta per il puro e semplice motivo di
potergli stare accanto.
Rispettava le sue
idee, anche se non le condivideva. Non poteva insultarle in quel modo.
Comunque, quella
storia degli Stati Generali era proprio una cretinata! Non poteva non
dirglielo…
“Jean,
non ti rendi conto che non si risolverà nulla? A quell’assemblea
parteciperanno i rappresentanti di Nobiltà, Clero e Popolo… ovviamente i
nobili non vorranno rischiare e si premuniranno di salvaguardare i loro
interessi! Come credi che avverranno le votazioni? Non verrà assegnato un
voto ad ogni rappresentante… si voterà secondo schieramento! I Nobili si
alleeranno con il Clero ed il popolo si troverà in minoranza, schiacciato,
impotente… come è sempre stato, del resto! Cosa pretendi? Pensi che qualcosa
possa davvero risolversi così?!”
“Sì, lo penso e lo
voglio!! E lotterò affinché accada! Non ti rendi conto che questa situazione
non può durare? Siamo giunti al limite, Henri! Il popolo non ce la fa più…
se non ottiene l’approvazione di almeno alcune fra le sue richieste, cosa
credi che farà?! Si solleverà!”
Grantaire scosse la
testa, deluso ma allo stesso tempo stupito per la tenace convinzione
dell’amico: “Va bene, Jean… chiudiamo qui! Sai già che non riusciremo mai a
giungere ad un accordo: abbiamo visioni diametralmente opposte su questo
argomento. Non è possibile conciliarle. Non voglio litigare con te… se è
possibile, non più”
Duval sembrò essere
d’accordo con il suo appello, dato che lasciò cadere la polemica.
Giunsero alla
celebrata catapecchia-solaio di Grantaire. Questo era il momento di
salutarsi… il momento di lasciarlo andare fra le ombre della notte.
Avrebbe voluto
chiedergli di salire da lui, di non privarlo così presto del suono della sua
voce… di rimanere a dormire da lui, anche solo per permettergli di ascoltare
il suo respiro durante il sonno. Voleva la sua presenza accanto a sé… ne
aveva un bisogno disperato. Ma… ma aveva sempre difettato di
coraggio, quando si trattava di Jean.
Poteva rischiare un
abbraccio? Poteva… o sarebbe stato troppo azzardato? Rammentava il turbine
di sensazioni che aveva provato quando quel corpo sottile aveva aderito al
suo… ricordava la sensazione di completezza, di ebbrezza e di gioia… i due
cuori che battevano, battevano e battevano insieme…
Aveva bisogno di
questo per sentirsi vivo, per sentirsi caldo… aveva così tanto freddo,
freddo dentro di sé, adesso che si rendeva conto di doversi allontanare da
lui… si sentiva solo e privo di affetto come mai prima… perché aveva bisogno
di lui! Ma non era una necessità reciproca, evidentemente.
“Immagino che sia
giunto il momento che io me ne vada” mormorò Jean, voltandosi verso di lui.
Idiota! Perché mai
aveva annuito come un carciofo invece di opporgli un ferreo diniego?!
Duval riprese: “Va
bene, allora ci vediamo… domani, giusto? Devo accompagnarti a quel teatro.
Passo a prenderti domani sera verso le cinque…”
“Perfetto…” trovò la
forza di sussurrare.
Perché si sentiva così
male al pensiero di lasciarlo andare? Il problema era che questo lo faceva
sentire anche estremamente stupido… e sentirsi stupido lo faceva sentire
ancora più stupido!
Magnifico…
Il dilemma era che
quando Jean gli era distante si illudeva di non sentirne eccessivamente la
mancanza, ma quando poi lo rivedeva capiva effettivamente quanto straziante
era stato essergli lontano, costretto a pensare a lui ed ai suoi occhi senza
potervisi specchiare. Avrebbe voluto essere in grado di diminuire, di
temperare quel sentimento disperato… ma non ne conosceva il modo! E nemmeno
la sua volontà poteva aiutarlo in questo.
Possibile che quell’amore
fosse più forte di tutto?!!
“Allora… buonanotte,
Grantaire”
“Henri!”
“Henri?! Ma scusa, ti
chiami per nome da solo? Memoria labile, paura di dimenticare la tua
identità?! Crisi di personalità?!” lo sbeffeggiò impietosamente Jean.
“Stupido, non è
questo! Intendevo dire che… puoi chiamarmi per nome, se vuoi. Certe volte,
senza accorgertene, lo fai… mi piace, lo preferisco”
Si sentiva a disagio
nel sentirsi chiamare per cognome, soprattutto perché quella denominazione
non gli apparteneva. Il suo vero nome era Henri de Vouillé…
‘Grantaire’ era solo uno pseudonimo che aveva adottato per non creare
sospetti e per non rischiare di venire rintracciato da suo padre.
E poi… Henri era più ‘intimo’.
“Va bene… buonanotte,
Henri!”
Dal tono in cui gli
aveva parlato, riusciva ad indovinare che il suo Apollo stava sorridendo.
“Buonanotte… Jean”
sussurrò, osservando la sua schiena allontanarsi sempre di più sino a
confondersi nell’oscurità.
Non era riuscito a
trovare il coraggio di abbracciarlo…
Rimase ancora per
qualche istante intento ad ascoltare la notte (già, veramente stupido!), poi
si girò con un sospiro, accingendosi a raggiungere le sue stanze. Prima di
poter fare un solo passo in più, venne bruscamente respinto all’indietro.
Una persona
posizionata di fronte a lui gli stava impedendo l’ingresso… e sembrava
avercela proprio con lui! Ecco chi lo aveva seguito…
“Grantaire, ritengo
che noi due dovremmo fare una bella chiacchierata amichevole!”
Sì… ‘amichevole’?!
Buona questa!
Henri si trovò a
chiedersi se fosse giusto fidarsi di una tigre solo perché in quel momento
essa stava nascondendo le zanne.
Fine seconda parte
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