Storia originale yaoi ambientata a Parigi nel periodo della Rivoluzione
francese. Questa prima parte si svolge nel marzo 1789, alcuni mesi prima
della presa della Bastiglia, che avverrà nel luglio del rispettivo anno.
Dopo avervi fornito questi punti di riferimento spaziali e cronologici, vi
auguro buona lettura. Siate buoni con i giudizi… vi chiedo solo di volere
un po’ di bene ai miei personaggi!
Due onde
di Dream
Parte I
Ingenui. Li commiserava apertamente per
quelle utopie sciocche, per le loro speranze infantili. Eppure… eppure
un’altra parte di sé gli sussurrava malignamente che in realtà lui avrebbe
dato volentieri l'anima per poter condividere quelle aspettative, per
crederci a sua volta, per trovare in sé uno scopo atto a giustificare quella
sua vuota, dopotutto inutile vita. Inutile, perché dedicata a nulla.
Inutile, perché priva di senso…
Ma, semplicemente, non
ci riusciva: non condivideva le speranze del popolo, non sperava nella loro
lotta, non credeva nei loro ideali. Era un disilluso, lo era sempre stato.
Sentirlo parlare di
libertà, di uguaglianza, di fraternità, di condivisione… che convinzioni
patetiche! Non si rendeva conto che gli ideali per cui si infiammava in quel
modo tanto assoluto quanto sciocco erano, alla fin dei conti, inattuabili?
Mah! Decisamente Henri non avrebbe mai saputo comprendere l'entusiasmo
devastante che rendeva febbrile quello sguardo, che calamitava
inesorabilmente l'attenzione delle folle su quella voce appassionata,
su quel volto puro e deciso. Sul volto di quel giovane che
stava parlando davanti ai suoi occhi.
Per un semplice caso era capitato in quella
piazzetta e lo aveva visto lì.
Stava ritornando al
suo appartamento situato in un vicolo del Quartiere Latino, a non molta
distanza dalla Sorbona. Aveva trascorso una giornata grama davanti al
Palazzo di Giustizia alla caccia di qualche caso di cui occuparsi,
ricercando invano un disperato disposto a pagare un avvocatuncolo
sconosciuto come lui per sbrigare i propri affari. Dalla parola ‘invano’
avrete capito che non era stata la sua giornata fortunata. In effetti, non
era quasi mai la sua giornata fortunata.
Le offerte di lavoro scarseggiavano, ogni
giorno diminuivano le possibilità di riuscire ad accaparrarsi una causa. Ma
Henri poteva anche comprendere i motivi di tale situazione: la gente era
allo stremo… se avesse posseduto del denaro, non lo avrebbe di certo
sperperato in sterili atti legali! Ormai a Parigi in troppi erano ridotti
alla pura ed essenziale sopravvivenza, lui stesso poteva annoverarsi in quel
gruppo. Se poi qualcuno fosse stato ricco al punto da potersi permettere il
sussidio di un avvocato, sicuramente non avrebbe assoldato un leguleio come
lui, con il suo soprabito rivoltato e le pezze sui pantaloni frusti!
Che vita misera... il
guaio era che non poteva nemmeno permettersi di sperare in una svolta
positiva! I Francesi parevano affondare inesorabilmente nella miseria, ogni
giorno di più e più insidiosamente… con ogni probabilità in maniera
irreversibile.
Eppure in mezzo a quel
fango sorgevano ancora dei fiori… fiori che proprio a causa di tale
desolazione apparivano ancora più splendidi ed incorrotti.
Davanti ai suoi occhi
ora spiccava un giglio. Magnifico, fulgido. Puro.
Era appena giunto in
quel piccolo spiazzo, che in realtà pareva più un crocevia che non una
piazza. Si era fermato, attirato dalla folla che si era ammassata in quel
luogo, formando un crocchio attorno ad una singola persona. Quel gruppo
attento si manteneva in un silenzio religioso, quasi impregnato di
venerazione: una cosa veramente singolare per gente così irrimediabilmente
polemica come i Parigini! Chi diamine stavano ascoltando con tale trasporto?
Robespierre forse, oppure Saint Just? Narratori di fole…
Non vedeva l’ora di
potersi beffare fra sé e sé del malcapitato oratore di turno, intento a
sciorinare con incredibile convinzione i propri inattuabili sogni a quel
branco di pecore ignoranti e credulone!
Raggiunta una buona
posizione di osservazione, Henri rimase lievemente stupito dal constatare
che non si trattava affatto di uno di quei personaggi che aveva elencato
prima, ovvero individui osannati dal popolo ma al tempo stesso distanti
dalla folla e da lui. L’esaltato rivoluzionario in questione era invece una
persona che conosceva. Una persona che aveva perfino imparato ad ammirare
durante i corsi che avevano seguito assieme alla Sorbona, la prestigiosa
università di Parigi.
Conoscere? Ammirare?! Ma chi cavolo voglio
prendere in giro…
Henri Grantaire si
appoggiò ad un muro, con il viso per una volta privo dell'abituale
sorrisetto sarcastico e disilluso che ormai era una sua prerogativa. Il suo
viso, incredibilmente, stava esprimendo un sincero rispetto.
Ci si poteva infatti
prendere gioco di chiunque, ma non di un tipo come Jean Duval.
Nessuno si sarebbe mai
azzardato a deridere una personalità come quella, così ardente ed
immacolata, senza sentirsi colpevole in seguito… senza macchiarsi di un
peccato morale simile a quello che gli sarebbe gravato sull’anima se avesse
osato sputare sull'altare della Madonna. Non si può schernire impunemente la
decisione fiduciosa.
Henri lo ammirava con
uno sguardo corrucciato. Non poteva farne a meno, semplicemente. Osservava
febbrilmente quegli occhi accesi, quel volto infiammato dall’ideale e dalla
speranza. Ascoltava quella voce fremente e metallica che instillava, tramite
le sue frasi, la speranza nella mente di quella povera gente, ormai talmente
abituata al giogo del tiranno da non ricordare più il significato della
parola ‘ribellione’.
Si trovò a considerare
che persone come Jean Duval erano pericolose, estremamente pericolose. Erano
in grado di attizzare il fuoco dalle ceneri e di alimentarlo, era vero… ma
sarebbero state poi in grado di spegnerlo? Avrebbero saputo contenerne
l'impetuosità, dirigerne la fiamma purificatrice solo verso il legno marcio,
impedendole di divorare tutto il mobile? Non ne era poi così sicuro.
Volevano una ribellione, una rivolta per rovesciare un regime corrotto… ma
pensavano mai al ‘dopo’? Ad un ‘dopo’ che forse non sarebbe stato idilliaco
come loro ingenuamente lo dipingevano?
A giudicare
dall'impetuosità che animava i gesti di Jean e dal crescente tono della sua
voce, il discorso del suo ‘amico’ (se così poteva chiamarlo…) stava per
volgere al suo termine. Doveva ammettere che era piacevole e coinvolgente
ascoltarlo. Si sentiva quasi portato a credere alle sue parole, a lasciarsi
trascinare e ad arrendersi ad esse, alla sua voce… come avrebbe voluto fare
Ulisse con il canto delle sirene. Ma, esattamente come Ulisse era impedito
da solide corde, a frenarlo vi era un certo scettico pessimismo… ed anche
una sorta di tremore più profondo che solo quel giovane biondo era in grado
di incutere in lui.
Lo ascoltò citare idee
di Robespierre, di Marat… sciorinare discorsi e frasi di Montesquieu, di
Voltaire, di Rousseau… nomi probabilmente barbari ed ignoti alla stragrande
maggioranza del suo uditorio, che lo stava fissando intimorito dal suo
sapere, da quella conoscenza che già di per sé significava libertà… ed anche
dominio sugli altri.
Jean li teneva in
pugno a causa della loro ignoranza, eppure bisognava riconoscere che a loro
non dispiaceva affatto essere stretti da quella rete.
Duval scese agilmente
a terra dalla botte che aveva costituito il suo improvvisato pulpito e
terminò la sua arringa con un’esclamazione che suscitò le ovazioni del
popolo.
“Libertà!!!”
Quanta passione in
quella voce giovane e fresca… quanta impetuosità era in grado di liberare,
solitamente nascosta dal suo atteggiamento freddo ed altero.
Dopo un attimo di
esitazione, Grantaire si appressò a lui richiamando la sua attenzione: “Ehi,
Duval! Che ne dici di venire con me a bagnarti la gola? E' da un'ora che
stai sbraitando a vuoto su questioni fumose ed oscure… sono pronto a
scommettere che hai bisogno di qualcosa da bere!”
Il suo interlocutore,
non appena udita la sua voce, si girò verso di lui irrigidendosi in ogni sua
fibra. Henri non poté esimersi dallo scrollare sfiduciato la testa,
sospirando impercettibilmente.
Non era un mistero l'astio innato che Duval
aveva sempre nutrito nei suoi confronti. Era vero che ad esso si univa anche
una certa ammirazione per la sua acuta intelligenza, del dissimulato timore
per il suo mordace sarcasmo ed una sorta di celato rispetto per la sua
fredda intuitività, ma tutto comunque svaniva sotto il manto del disprezzo.
Jean aveva da sempre cercato di mantenersi a distanza da lui e dal suo modo
di vedere il mondo: non sopportava il suo disinganno, il suo cinismo
disilluso che faceva costantemente vacillare le speranze per il futuro del
popolo e della Francia.
Dacché Henri riusciva
a ricordare, mai una loro discussione si era conclusa in modo diverso da un
litigio! Magnifico, no? Non sopportava questa situazione… ma, a quanto
pareva, non poteva andare diversamente fra loro.
Va bene, meglio essere del tutto onesti!
Nonostante la freddezza che permeava i loro rapporti, potevano però -in
fondo in fondo (ma molto in fondo!)- anche dirsi ‘amici’. Mh… forse era
meglio ‘conoscenti’? Più di una volta, anche se ora stentava a ritenerlo
possibile, Henri aveva stretto a sé quel corpo sottile per cercare di
trasmettergli il calore umano di cui Duval, fredda statua di marmo, sembrava
non avere bisogno. Già… semplici abbracci da ‘amici’, pronti ad essere
rinnegati quando il momento di debolezza svaniva e Jean ridiveniva il
solito, impassibile tutto-d’un-pezzo Jean. Strette da ‘amicizia
superficiale’… purtroppo.
Henri si trovò a
sperare di non dover ricevere un gelido e sprezzante rifiuto al suo invito
di quel giorno. Certe volte era capitato che l’altro lo avesse respinto
ancor prima di poter litigare seriamente con lui…
Inaspettatamente,
però, quel viso scolpito e cesellato si piegò in un cenno d'assenso. Henri
allora si concesse un sorriso che stranamente nulla aveva di beffardo,
augurandosi che questa volta la serata non sarebbe degradata in uno dei loro
soliti conflitti di idee. Poteva essere la volta buona…
Perché mai non
riuscivano ad entrare in contatto se non cozzando l'uno contro l'altro?
Talora gli sembrava che loro si comportassero così appositamente per
non rischiare di avvicinarsi troppo…
>>§<<
Fumo, risate… teste
riverse sui banconi, canzonette patriottiche o libertine. Una semplice
taverna dei sobborghi dove era meglio fare attenzione alla borsa, se proprio
si teneva a rimediare qualcosa di cui sfamarsi la mattina seguente. Certo,
lui non aveva di tali problemi: era povero in canna! Semmai avrebbe dovuto
mantenere alta la guardia Jean, il figliol prodigo di un ricco e panciuto
borghese che per ora pareva tollerare pacificamente la passeggera (così
credeva l’illuso genitore) ‘fase rivoluzionaria’ della vita del nonostante
tutto amato rampollo.
“Ti ho ascoltato,
prima. La tua arte retorica è veramente notevole, Duval! Sicuramente saresti
stato un avvocato molto migliore di me” iniziò stancamente, cercando di
trovare un amo da cui principiare un discorso neutrale.
Questo suo volonteroso
tentativo seppe rimediarsi solamente un'occhiata di ghiaccio ed una risposta
fredda.
“Non ne dubito,
Grantaire. Non sei portato per la tua professione, questo è un fatto
risaputo da tutti”
“Potrei conoscere il
motivo che ti porta a convincerti di questa sgradita opinione?” inquisì,
sentendosi più incuriosito che offeso dall'aspra considerazione dell'amico.
La risposta giunse
diretta, senza tergiversazioni: “Come può uno come te difendere le posizioni
degli altri, se non crede nemmeno in se stesso?”
“Sbagli. Non è vero
che io non creda… semplicemente io diffido. E’ questa la differenza fra un
disfattista ed uno scettico… ed io mi vanto di essere principalmente
scettico”
“Non mi sembra che il
concetto sia poi molto dissimile… e non vedo che vanto ci possa essere in
questo! E’ molto meglio credere in qualcosa, piuttosto che non credere
affatto” ribadì Duval, fissandolo con ostilità e rifiutando di toccare il
proprio bicchiere colmo di liquore ambrato.
“Non sono d’accordo!
Credi, poi rimarrai deluso. Non credi, non soffrirai di disinganni” spiegò
Henri, non potendo però fare a meno di ammirare ancora una volta quelle
tenaci prese di posizione, la limpidezza con cui Jean riusciva a convincersi
di ogni propria idea senza nemmeno concedersi il beneficio del dubbio. Come
faceva ad essere sempre così dannatamente sicuro di sé stesso? Non l'avrebbe
mai capito. Proprio per questo non avrebbe mai cessato di ammirarlo.
La conversazione era
già caduta e Jean non sembrava affatto intenzionato a tentare di riprenderne
i fili.
Henri lo fissò di
sottecchi, domandandosi inconsciamente che cosa si potesse celare dietro al
suo sguardo fisso ed alla sua aria concentrata. Gli sarebbe piaciuto poter
penetrare i suoi pensieri, poter afferrare qualche sensazione dall'anima di
quel blocco di marmo. Talora si convinceva che il compagno, tanto
distaccato, non fosse in grado di provare sentimenti per gli altri esseri
umani. Forse la natura, avendogli donato un'eccessiva bellezza, aveva voluto
lesinare sulla sua capacità di commuoversi, di soffrire, di… amare.
Dio, questo è troppo duro da accettare…
Ogni volta, in qualsiasi situazione,
perfino all'interno di quella squallida taverna parzialmente illuminata…
Henri non poteva esimersi dal provare le stesse emozioni della prima volta
in cui l'aveva visto. Già, se ne rammentava ancora perfettamente…
Era appena giunto a
Parigi, rampollo di una nobile casata di provincia, fuggito da casa e da un
padre troppo oppressivo che avrebbe voluto fare di lui un degno successore
nei suoi territori. Bleah! Figurarsi… mai e poi mai! Per sfuggire a tale
desolante prospettiva lui si era riempito un po' le tasche, aveva salutato
la madre piangente e si era diretto senza rimpianti verso la capitale,
inseguendo le sue aspirazioni ed il suo desiderio di conoscenza e di vita.
Non sapeva ancora per certo a quale stile di vita sarebbe approdato, ma
sicuramente essere definito dagli altri come sempliciotto titolato di
campagna non era mai stato ciò che avrebbe voluto scorgere nel suo futuro!
Aveva intravisto
lui per la prima volta all'ingresso della Sorbona. Ne era rimasto
folgorato. Ne era tuttora folgorato… povero demente che non sapeva farsi una
ragione della realtà!
Ma, ammettiamolo,
chiunque avesse visto quella fronte marmorea accarezzata da ciocche di un
pallido biondo… il naso greco e fine, le labbra sottili e rosate, lo sguardo
chiaro ed impenetrabile… chiunque non avrebbe potuto evitare di
formulare qualche pensiero poco casto di apprezzamento! Era inevitabile.
Come resistere alla tentazione di cercare di toccare quella pelle candida,
quell'algida e fredda bellezza, quel portamento regale e quel corpo da
Apollo greco? Eppure guai a chi avrebbe osato avvicinarsi a tale splendore,
guai a chi avrebbe tentato di concretizzare il proprio desiderio! Un
semplice sguardo sfacciato, un vostro sorriso allusivo, una proposta
azzardata… ed avreste visto l'angelo biondo mutarsi in demone di ghiaccio,
il sacerdote austero divenire un Alessandro guerriero, quell'eros pallido e
fragile innalzarsi fino a richiamare alla mente un gelido e terribile Ares.
Quello era Jean.
Grantaire si stupiva
sempre che quel corpo splendido, quella scintillante statua greca sapesse
ancora conservare la sua purezza incontaminata in mezzo alla corruzione in
cui costantemente si aggirava. Eppure quelle labbra mai avevano baciato,
quel corpo non aveva conosciuto passione, quegli occhi non si erano mai
infiammati… se non per i suoi ideali di gloria.
Almeno, lui credeva
che così fosse…
Inattaccabile.
Irraggiungibile. Inarrivabile. La sua eterea e tremenda avvenenza era da
sola sufficiente a spaventare i più audaci… la sua eccessiva bellezza
sgomentava, intimoriva, respingeva.
Una semplice brama di
passione provata nei suoi confronti era quasi un sacrilegio.
Henri Grantaire, in
quanto a quest'ultimo punto, ormai non si preoccupava: lui era già dannato…
in modo irreversibile, oltretutto. Se doveva proprio essere sincero… lo era
da anni. Eppure poteva anche dirsi rassegnato, dato che aveva ormai imparato
a conoscere l'unica passione di cui Duval fosse capace.
Jean non aveva che un
amore: la patria. Non aveva che un'amante: la libertà.
Aveva fatto di esse le
sue compagne di vita, per loro sarebbe morto così come era per loro che
stava vivendo, lottando e sperando. Non vi era spazio per nient'altro in
quel cuore arido d'affetto. Ma non si sentiva mai solo? Probabilmente sì, ma
questo per lui non costituiva un problema. La solitudine lo accompagnava,
sicura e fedele seguace degli spiriti elevati. Forse era proprio da essa che
lui traeva la propria devastante grinta, la sua meravigliosa capacità di
annullare se stesso in un ideale, di credervi ciecamente e battersi con
tutta l'anima per esso.
Era di questo che lui, Henri, si era
perdutamente innamorato. Della sua forza, della sua purezza. Di ciò che
mostrava e di ciò che celava. Del suo mistero e della sua trasparenza. Di
ciò che era e di ciò che avrebbe potuto essere. Perfino della gelida ferocia
e decisione che usava per difendersi e per attaccare! Attaccare gli altri.
Attaccare lui. Un arcangelo Michele pronto a brandire una spada che già
troppo spesso aveva lacerato il suo cuore. Jean avrebbe potuto essere
l'implacabile Armodio… ma lui purtroppo non era Aristogitone, non avrebbe
mai potuto esserlo. Quella fulgida e scomposta bellezza non sarebbe mai
stata intaccata dal suo desiderio. Forse questo, visto sotto una certa
ottica, era anche un bene…
Iniziò nuovamente a parlare, nella vaga
speranza di ritardare il momento dell'imminente separazione.
“Libertà. Ti sei
riempito la bocca di questa parola, oggi! Spiegami, come puoi crederci sul
serio? Come puoi pensare che questo ideale esista in simile mondo di
imperfezione?”
L'unica reazione che
riuscì a suscitare fu uno sguardo fiammeggiante accompagnato da delle parole
fredde: “E tu… tu come fai a vivere senza sperarci? Libertà: la possibilità
di esprimere le proprie idee, di governarsi autonomamente decidendo cosa sia
giusto e cosa sia sbagliato… essere privi dell'egida di un tiranno, poter
sposare chiunque senza badare a presunte differenze di classe… non venire
giudicati colpevoli a priori, non venire guardati dall'alto in basso…
esercitare la giustizia facendo sì che la legge sia REALMENTE uguale
per tutti… non è libertà, questa? E non è la più sublime delle aspettative?”
“Devo presumere che la
tua idea di libertà coincida con la democrazia?”
“La libertà deve
necessariamente essere democrazia. Non vedo altro mezzo”
Henri ammirò una volta
di più il fulgore che illuminava i suoi occhi adamantini, sentendosi nel
frattempo lacerare dentro. Possibile, possibile che potesse viverlo
sul serio solamente provocandolo in quel modo? Un suo abbraccio… non avrebbe
mai portato al medesimo risultato? Mai? Mai?! Ma, in fondo,
abbracciarlo senza saperlo suo forse gli avrebbe fatto ancora più male…
“Credi forse” riprese,
troppo perso nello sguardo di Jean per potersi fermare “Che nella democrazia
non possa esserci corruzione? In questo mondo ci sarà sempre prevaricazione,
ci saranno sempre deboli ed oppressi, ricchi e poveri…”
Duval, glacialmente
infiammato, non si fece pregare per ribattere: “Non lo nego, ma è un dovere
del popolo, o meglio dei governanti del popolo, saperne equilibrare le
percentuali, cercare di limitare il numero di miserabili che si trascinano
sui bordi delle strade, evitare che le proprie sorelle minori vadano a
prostituirsi per un tozzo di pane… attualmente quasi il totale della
popolazione francese sta agonizzando, schiacciata da poche migliaia di
ricchi che non si fanno scrupoli per premere il viso dei poveri nel fango.
Con la democrazia questo non avverrebbe… questo non verrebbe permesso!”
Incredibile! Henri
avrebbe voluto sapere a sua volta che sensazioni devastanti potesse dare una
fiducia tanto incontaminata…
“E chi eserciterebbe
il potere nel tuo stato perfetto, nella tua democrazia?” lo stuzzicò
nuovamente “Quale autorità verrebbe rispettata? Chi farebbe seguire le
leggi, chi eseguirebbe le condanne? A chi spetterebbe il compito di
discernere il giusto dal riprovevole? Quale organo di governo? Disordine e
terrore, ecco in cosa si muterebbe la tua democrazia! Devo forse ricordarti
che lo stesso Aristotele, nella tua tanto apprezzata Grecia delle città
stato, considerava sprezzantemente la democrazia alla stregua di un governo
demagogico di piazza?”
“Ci sarebbe un
Parlamento. Una Costituzione da sottoscrivere e degli uomini designati dal
popolo come destinati ad applicarla. Aristotele non credeva nella democrazia
perché allora, nelle antiche poleis greche, ancora non era stato
ideato il diritto di voto, la possibilità di eleggere dei rappresentanti del
popolo… io mi riferisco ad una repubblica”
Era a questo che
voleva portarlo… vi era riuscito.
“Rappresentanti?”
ribatté con tono caustico “Immagino… sicuramente filosofi incorruttibili ed
integerrimi come te! Ma hai mai provato a considerare la possibilità che non
in tutti gli esponenti del genere umano si trova racchiusa la tua stessa
purezza? Appena giunti in possesso del potere, i più spregiudicati
lotterebbero per aumentare la propria influenza e per accrescere la propria
ricchezza. La tua democrazia si muterebbe in aristocrazia prima, in
oligarchia poi… e, chissà, forse anche nuovamente in monarchia oppure in
tirannide…”
Se aveva avuto sino a quel momento qualche
dubbio su quale sarebbe stata la reazione di Jean, ora sicuramente non ne
provava più: quel viso di marmo era immobile e severo, ma la splendida bocca
era deformata in una piega amara, quasi di commiserazione.
“Non ti capisco,
Grantaire… davvero, non ti capisco. Perché? Perché provi così tanta sfiducia
nei confronti della giustizia e della libertà? Tu vedi questi concetti come
semplici ideali astratti… non pensi che forse sarebbe possibile, che sarebbe
sublime tentare di concretizzarli!? Sei troppo estremista con le tue
idee disfattiste e sfiduciate! Prova a crederci!”
“Assurdo” confermò
Henri “Reputo impossibile cercare di realizzarli, non ho fiducia
nell'umanità. Credo solo nella debolezza che infetta ogni essere. Pensi,
speri di poter cambiare il mondo… ma non potrai mai cambiare l'uomo, questo
animale imperfetto e meschino che venderebbe il proprio fratello pur di
risparmiare a se stesso della sofferenza! Chi mai resisterebbe alla
tentazione di impadronirsi del potere e di soggiogare gli altri?”
Venne interrotto dalla
sua voce adirata, che a causa del tono alterato richiamò anche l'attenzione
degli altri avventori: “SBAGLI! Sbagli… tu sbagli. Non posso tollerare che
tu parli così! Il mondo non può essere come lo descrivi tu, non lo è! Il tuo
cinismo non è il modo giusto per affrontare la vita. Ti compatisco,
Grantaire. Ignori perfino cosa sia la fiducia! Sei così debole e meschino da
aver paura di credere in qualsiasi cosa per timore di poter venire
disingannato, di soffrire a causa delle tue stesse speranze. Del resto”
soggiunse poi, riconquistando parte della sua fredda obbiettività “Sei
comunque libero di pensarla come credi, anche se non ti approvo… ‘io non
la penserò mai come te, ma mi batterò affinché tu possa pensarla
diversamente’.”
Henri sorrise,
riconoscendo la voluta citazione di Voltaire, ma scosse comunque il capo.
“Fino a che punto si estende il tuo
concetto di libertà, Duval?”
La domanda era stata
fatta su tono leggero. Meglio cercare di scaricare la tensione…
“Lo sai. La libertà
del cittadino finisce laddove inizia la libertà di un altro cittadino. La
democrazia è l'identico diritto di tutti di partecipare alla vita politica e
di essere titolari della sovranità. L'uguaglianza sociale deve coesistere
con l'uguaglianza sul piano economico dei beni”
“Belle parole! Mi
congratulo per la risposta. Lo sai che ha un vago sentore di libro stampato?
La hai recitata come si declamerebbero macchinalmente le prime terzine della
‘Divina Commedia’ o del ‘Roman de la rose’: a memoria. Da dove
provengono queste frasi? Dal tuo amico Saint Just?” chiese sprezzante, senza
nemmeno tentare di celare l'odio sottile che lo aveva pervaso alla citazione
di quel nome dannato.
Saint Just. Il
mentore, il compagno di lotta, l’amico di Jean. La persona da tenere in
considerazione, la voce da bere con assetata avidità, lo sguardo da
sostenere con ammirazione e fiducia.
Jean Duval e Louis
Saint Just lavoravano nello stesso giornale clandestino, condividendo le
medesime idee ed aspirazioni. Henri non ignorava che quei due erano molto
(troppo?) vicini. Tutti erano a conoscenza di quanto Jean apprezzasse,
spartisse e seguisse le idee di quel compagno. Certamente Duval provava nei
confronti di quel pazzo aspirante rivoluzionario (Saint Just, per
intendersi… d’ora in poi, se vi capita di leggere insulti, sappiate che
Henri molto probabilmente li riferisce a lui) sensazioni diametralmente
opposte a quelle che sentiva nei suoi confronti! Qualcosa gli diceva anche
che, se ciò fosse stato possibile, l'unica persona che Jean avrebbe potuto
amare… sarebbe stato proprio Saint Just.
Non gli piaceva odiare, era come sentirsi
corrodere l'animo dall'interno. Ma, una volta che si è conosciuto l'amore, è
quasi impossibile non sperimentare anche l'odio. Una lama a doppio taglio.
Avrebbe voluto dannarsi per essersi permesso di provare quei sentimenti
sciocchi e quelle patetiche debolezze! Si disprezzava per la facilità con
cui si era dato preda del desiderio… ma questo non gli evitava di venirne
consumato.
L'amore lo bruciava,
l'odio lo arrugginiva. Per quanto sarebbe riuscito a resistere? Era orribile
ascoltare di notte la sua anima che gridava, sussurrava, implorava… priva di
eco.
Inoltre, lui era certo
che Saint Just amasse Jean. Di un amore cieco, folle, assetato ed obliante.
Esattamente come il suo. Ed avrebbe potuto lui, Henri Grantaire, cinico e
disilluso avvocato senza stabile lavoro, competere con il mito di Jean… con
quel dannato bastardo? Era incredibilmente svantaggiato. Quei due
condividevano una lotta spirituale, un'aspirazione inseguita, un futuro
prostrante. Nulla rinsalda due spiriti come un'affinità di obbiettivi. Era
sconfitto in partenza. Ma quel maledetto non poteva ancora dirsi
felice: nel cuore di Duval, per il momento, non vi era spazio per l’amore.
Tuttavia, in futuro, quando Jean sarebbe stato meno giovane e meno
idealista… chissà?
Quel ‘chissà’ era sufficiente a fargli
desiderare la pazzia, la morte, l'assenza di sensazione e chissà quali
efferati crimini.
Non era bello sentirsi
un idiota. Infatti, a cosa l'avrebbero condotto quell’amore e quella
sofferenza? A cosa, se non ad un'agonia… se non ad un interminabile
stillicidio? Quanto era stupida l'umanità! Talmente breve era il tempo che a
ciascun essere veniva concesso di vivere… talmente breve! Eppure, nonostante
ciò, nessun animale pari all'uomo era tanto abile nel rovinarsi la sua
effimera permanenza sulla terra creandosi sofferenze ed ostacoli. Lui ne era
l’esempio più calzante.
“Saint Just? Si può
sapere cosa ha a che fare lui con la nostra discussione in questo momento?”
Ovviamente Jean non
comprendeva nulla. Non aveva mai capito niente! Non si era mai
accorto dell'evidente desiderio con cui Louis Saint Just lo fissava, così
come non avrebbe mai notato la passione che suscitava anche in lui, Henri…
ma forse era meglio così. Grantaire non gli avrebbe di certo rivelato la
verità. L'innocenza di Duval era forse la più sicura arma di difesa che
questi possedesse.
Riprese la
discussione, rispondendo alle perplessità dell'interlocutore: “Scusami, hai
ragione. Non avrei dovuto chiamare in ballo il ‘tuo’ venerato Saint
Just. E’ stata una svista che non si ripeterà. Comunque, dimmi: non credo
che ti sia sfuggito un particolare… ovvero che l'attuale monarca è Sua
Maestà Luigi XVI, il quale sembra anche che ci tenga a giocare a fare il re,
trastullandosi fra i suoi innumerevoli impegni mondani… come pensi di
effettuare il delicato passaggio da monarchia a repubblica?"
La replica fu
immediata, concisa e diretta: “Semplice. Bisogna destituire quel sovrano
inetto! Mandare in esilio quel tiranno incapace, cacciarlo dal suolo di
Francia che lui si è dimostrato inabile a governare”
“Va bene, ne convengo
con te: è l'unico modo. Non credo però che lui si lascerà privare della sua
carica con tanta buona volontà ed un sorriso spontaneo fra le labbra. Del
resto, tolto di mezzo il re, rimarrebbero anche i nobili a romperti le uova
nel paniere! Credi che loro accetterebbero una democrazia, un parlamento,
una costituzione, le tasse da pagare, l'esproprio dei beni, l'uguaglianza
sociale ed economica?”
“No, non le
vorrebbero”
“Ebbene? Giungereste
ad una guerra civile, ve ne rendete conto? Centinaia, forse migliaia di
morti, figli strappati alle vecchie madri, neonati orfani, vedove prive di
cibo e colme di lacrime, miseria, ferite, dolore, urla, maledizioni a Dio…
saresti disposto a portare il peso di tutto questo? E per cosa? Per una
semplice utopia?”
“Guerra civile? E
guerra civile sia! Non ti guardi attorno? Non ti accorgi che già ora il
popolo francese sta lentamente agonizzando, che sta morendo di fame e di
stenti? Tutti stanno invocando solo una speranza a cui aggrapparsi, il
semplice desiderio di un futuro di libertà, futuro da costruire con le
proprie mani dalle basi. Darebbero la propria vita per poter combattere per
la salvezza! Se il fine è giusto, la guerra talora è un dovere. E ricorda
che io non dico loro di ‘andare’ a combattere, ma di ‘seguirmi’
a combattere. Darei la vita per la mia patria, la offrirei senza rimpianti
come un dono per il cielo… tu lo sai!”
Già, lo sapeva. Forse
sarebbe avvenuto sul serio. Che fosse proprio quello il destino riservato a
quell'Adone guerriero, al giovano Apollo intrepido che sapeva lottare per le
sue idee pur ignorando totalmente il calore dell'amore? Sarebbe morto
schiacciato dalla violenza della vita? La semplice idea colmò Henri di gelo…
di terrore, di straziante dolore. E gli fece dire ciò che forse avrebbe
dovuto esimersi dal pronunciare.
“Nulla vale quanto la
vita di un uomo, Duval. Stai parlando come un semplice assassino pronto ad
uccidere chiunque, anche me, per le tue puerili aspettative! La patria è un
concetto astratto di cui gli uomini si servono per adescare altri uomini, e
tu te ne sei lasciato accecare… patria, libertà, uguaglianza, democrazia… ma
non ti rendi conto che sono semplici sogni formulati dalla tua mente di
bambino?! Essi sono inconciliabili con la bassezza dell'uomo…”
Un violento pugno si
abbatté sul tavolo davanti a lui, rovesciando il suo bicchiere, mentre
contemporaneamente Jean si sollevò in piedi con impeto e fierezza,
rovesciando la sedia su cui precedentemente era seduto. Lo sguardo era
oltraggiato e sfavillante, la fronte marmorea sollevata fieramente, le
labbra serrate, il corpo sottile e fremente: l'immagine stessa del
disprezzo.
“Tu non sai cosa sia
ciò che io sto provando. Tu ignori cosa voglia dire il desiderio di fondersi
con un ideale! E' totalmente inutile parlare con te, non so chi me lo faccia
fare! Uomini come te sono indegni di respirare, di parlare, di vivere…
perfino di morire! Mi fai pena perché ignori cosa voglia dire credere in
qualcosa, mi fai pena perché non hai fiducia in nessuno e non ne avrai mai
nemmeno in te stesso!”
Queste parole gli si
conficcarono nell'anima come mille sferzate appuntite, eppure Henri riuscì a
mantenersi impassibile sino al termine di quella valanga di frasi astiose.
Alla fine, con voce tranquilla e sguardo calmo, replicò con tremenda
freddezza: “Anche tu mi fai pena, perché nonostante le tue aspirazioni la
tua vita è priva d'amore… ed un uomo che non sappia cosa sia l'amore non
sarà mai un vero uomo”
Quegli occhi azzurri
si sbarrarono, come colpiti nel profondo. Rabbia di essere stato compreso o
dolore di essere stato mal interpretato?
Il gesto successivo fu
velocissimo: Jean afferrò il proprio bicchiere ancora colmo e glielo gettò
in viso con un gesto furibondo, poi corse verso l'uscita e sparì nelle
tenebre della notte.
Mh… questa volta la
lite era stata addirittura peggiore di molte altre!
Si ripulì il volto con
un fazzoletto, pagò il conto per entrambi con il poco denaro che ancora
vagava nelle sue tasche e si diresse a passi leggeri verso l'esterno,
sentendo il suo cuore farsi incredibilmente pesante.
Splendido! Pioveva.
Non se ne era affatto
accorto, trovandosi all'interno del locale. Ciò contribuiva a rallegrare la
sua vivace e stupenda giornata… ormai fortunatamente finita.
Strano a dirsi, ma il
suo primo pensiero nel venire bagnato da quelle gocce fredde fu per Jean:
probabilmente quel demente si sarebbe completamente inzuppato! Il suo
spirito era forte, ma… appariva così fragile e nervoso di costituzione!
Immaginò quel corpo sottile rabbrividire gocciolante in qualche vicolo.
Temeva davvero che Duval avrebbe potuto ammalarsi… in un'occasione quel
giovane era già stato colto una febbre molto alta ed a lungo si era
mantenuto in bilico fra la vita e la morte. Era avvenuto, se non si
sbagliava, più o meno un anno e mezzo prima.
Ricordava di esserlo
andato a trovare una volta sola durante la sua convalescenza, sebbene avesse
voluto visitarlo più di frequente. Il problema che gli aveva impedito di
farlo era che loro non erano propriamente ‘amici’, come già è stato detto,
perciò sarebbe risultato strana e sconveniente una sua eccessiva assiduità
al capezzale di Jean.
Lo rammentava disteso in un ampio letto a
baldacchino, le dita pallidissime e sottili, il viso smunto e scavato, quasi
cereo, gli occhi vacui. Aveva avuto paura. Una tremenda paura di perderlo!
Era cosciente già prima di allora di tenere a lui in modo particolare, ma
aveva compreso solo in quel preciso momento quanto effettivamente amasse
quella testa cocciuta che aspirava a lottare per poter cambiare il mondo,
come se questo fosse realmente stato possibile.
Henri si incamminò fra
le tenebre, cercando di mantenersi quanto più possibile rasente ai muri per
ripararsi perlomeno minimamente dalla pioggia scrosciante. Quanto era triste
Parigi di notte! Sembrava che le stesse speranze del popolo venissero
sommerse da un'indifferenza ancora più fredda di quelle gelide gocce che
rigavano il suo soprabito consunto. Che brividi… non capiva se tremasse più
violentemente il suo corpo o la sua anima.
Avrebbe voluto essere
forte e saper credere in un ideale senza abbattersi, esattamente come faceva
Duval… forse in questo modo Jean avrebbe almeno imparato a rispettarlo, se
non ad amarlo.
Henri si rendeva conto
di averlo appena accusato di non essere in grado di provare amore. Era
realmente ciò che credeva oppure la sua voce aveva solamente reso palpabili
le sue frustrazioni, la sua rabbia di dover desiderare invano una statua di
marmo?
Lui non sapeva nulla
di Jean. Non sapeva… se amasse qualcuno o meno.
Visto dall'esterno,
sembrava che tutto scivolasse sulla sua superficie liscia e priva di
appigli… ma all'interno… cosa vi era oltre quell'involucro di freddo
difensore dei propri ideali? Era impossibile che lui non potesse davvero
provare sentimenti. Non era forse fatto di carne e sangue come ogni altro
essere umano? Ma gli appariva così surreale che Duval potesse sentire
passione, desiderio… delle sensazioni, insomma, che non gli derivassero
dalla sua personale lotta contro l'oppressione. Avrebbe voluto saper leggere
nella sua mente… se solo fosse stato possibile, avrebbe voluto scoprire qual
era il suo ruolo nella vita di quel angelo vendicatore!
E Saint
Just? Che
posizione occupava Saint Just? Era solamente un compagno clandestino di
lotta… oppure la sua parte nel palcoscenico della vita di Jean Duval
oltrepassava i semplici confini dell'amicizia? Interrogativi privi di
risposta, semplicemente perché non avrebbero mai dovuto essere formulati.
Non doveva provare
amore per Jean, non poteva permetterselo. Ma ormai era più appropriato dire
che non avrebbe dovuto provare amore per Jean, che non avrebbe dovuto
permetterselo.
Gli sembrava che i
suoi piedi stessero affondando nelle sabbie mobili. Più tentava di
ribellarsi, di agitarsi, di uscirne… più il processo accelerava. L'amore
l'aveva colto in fallo in un momento in cui non aveva pensato di innalzare
le proprie difese. Ormai non c'era più nulla da fare se non cercare
(inutilmente) di ignorare ciò che sentiva. Era l'unica soluzione, dal
momento che non riusciva a sopprimere quei sentimenti. Se solo avesse potuto
spegnere quelle braci… se solo non si fossero mai accese!
Perché si era
innamorato di una statua isolata su un piedistallo?
Giunse in vista della
sua dimora, da lui chiamata pomposamente appartamento ma ribattezzata
volgarmente dai suoi amici con l’epiteto di catapecchia-solaio. Constava di
due semplici, disadorne e squallide stanze poste all’ultimo piano di un
cadente caseggiato. Esse gli erano state affittate da un'arzilla e gentile
vecchietta, chiamata madame Bourgon, che talora si premurava anche di
rigovernare un po’ nel suo abitacolo.
Fatto il suo ingresso
nell'edificio giunse a tentoni nel buio sino alle scale, sorreggendosi al
muro e cercando con attenzione di non urtare nulla per non svegliare di
soprassalto i vicini. Non si trattava di cortesia, ma di semplice istinto di
conservazione: il suo vicino sulla sinistra era un tipo piuttosto nerboruto
che più di una volta gli aveva ammaccato un occhio per essere stato da lui
svegliato nel cuore della notte.
Iniziò a salire i
gradini, ascoltando i rintocchi di una campana che battevano la mezzanotte.
Erano vagamente inquietanti… parevano il simbolo della sua solitudine.
Si affacciò al
corridoio e seguitò a procedere, giungendo fino alla propria porta. La aprì
lentamente, premurandosi che non cigolasse. Non era solito chiuderla a
chiave, non vi era nulla che qualcuno potesse rubargli… a parte un paio di
vecchi stivali malridotti che teneva con sé più per affezione che per
qualche motivo oggettivo. Certo, c’era il suo violino… ma nessuno sarebbe
andato a cercarlo nel doppiofondo dell’armadio!
Richiuse lentamente
l'uscio alle sue spalle e si appoggiò contro di esso, esalando un tremulo
sospiro. Non aveva provocato rumori molesti… quindi il suo vicino non
l’avrebbe preso a cazzotti e nessun amico cretino gli avrebbe chiesto il
giorno dopo se si era messo dell’ombretto attorno all’occhio destro per
sembrare più affascinante!
Era totalmente
fradicio, tremava in ogni parte del suo corpo e non sentiva quasi più i suoi
muscoli: parevano essersi ghiacciati tanto erano insensibili! Se non si
fosse sbrigato a liberarsi di quegli abiti zuppi, avrebbe rischiato di
diventare la vittima privilegiata di una di quelle polmoniti che si
affezionano alla gente così tanto, da non volersene staccare più sino a che
il corpo ospite non si decida a staccarsi a sua volta dalla vita. Che
splendida simbiosi…
Si liberò in fretta di
soprabito e farsetto, li lasciò scivolare a terra ed iniziò a sbottonare con
impazienza non dissimulata la camicia, facendo attenzione a non danneggiarne
la stoffa. Sarebbe stato un guaio, dato che allora sarebbe rimasto privo di
camicia di ricambio! Intento in questa operazione, non si era nemmeno
premurato di accendere una candela… cosa di cui si pentì immediatamente.
La luce livida di un
lampo illuminò una sagoma scura che si stagliava accanto alla finestra.
Chi poteva essere? Un
mendicante, un pezzente, un assassino? Qualcuno che aveva scoperto la sua
vera identità di nobile, da lui accuratamente nascosta, e che desiderava
rapirlo per ricattare suo padre? Le possibilità erano innumerevoli.
Paura… no, non era
paura, ma incertezza. Talora è peggio.
Per un eterno istante
Henri rimase immobile, con le mani sollevate a mezz'aria ed il ritmico
battito del cuore che gli pulsava nelle tempie. Si dimenticò totalmente non
solo di dover respirare, ma addirittura di essere in grado di muoversi.
Riuscì solamente a trattenere il fiato ed a fissare paralizzato e fremente
quella figura ignota e, sembrava, minacciosa. Ignorava assolutamente chi
fosse quel tipo e cosa volesse da lui, eppure riusciva a sentire la
pressione di uno sguardo gelido incatenato al suo.
Rimasero ambedue
immobili per pochi attimi, che tuttavia sembrarono estendersi ad un’intera
esistenza. Improvvisamente un brivido di freddo riscosse Henri, che si diede
mentalmente del deficiente per la sua totale assenza di reazioni. Cosa stava
aspettando?! Una cometa che gli illuminasse la camera?
Recuperato
parzialmente il suo sangue freddo, si rese conto che la persona davanti a
lui, di chiunque si trattasse, non pareva avere, almeno per il momento,
intenzioni bellicose. Si manteneva in quella posizione, come attendendo che
lui facesse la prima mossa per poi decidere come reagire. Realizzò che se
quello sconosciuto avesse voluto ucciderlo, probabilmente lo avrebbe già
fatto. O forse no? Mh… fare congetture era inutile!
“Chi diamine sei?”
interrogò, mascherando la sua agitazione sotto un tono di minaccia.
Il silenzio parve ergersi prepotente fra
lui e l’ignoto visitatore, quasi geloso di venire interrotto da quella voce
roca.
Grantaire sentì
svanire tutto il suo terrore a causa dell'irritazione per la mancata
risposta. Il timore che ancora rimaneva in lui si era attenuato sino a
mutarsi in una sottile ansia che lo rendeva ancora più ardito. Con la
sicurezza di uno che conosce il proprio territorio e che sa come
approfittare di questo vantaggio, Henri si avvicinò con passo felino e
silenzioso alla propria scalcinata scrivania ed afferrò senza esitazione un
candeliere, accendendolo dopo un paio di tentativi infruttuosi. Si voltò con
uno scatto verso l'ignoto ospite, pronto ad attaccare o a difendersi… pronto
a tutto, insomma! Beh… quasi a tutto! Infatti non era affatto pronto
all'attonito stupore che lo assalì alla vista del pallidissimo e tetro viso
di Jean che emergeva dalle tenebre della sua stanza.
Jean? A casa sua?!
Fece un inconsapevole
passo indietro, sospinto dalla quasi materiale pressione di quegli occhi
azzurri, freddi ed impenetrabili che si erano incrociati con i suoi.
“Che cosa vuoi? Che ci fai qui?” mormorò con
voce tremante, chiedendosi per caso se non fosse tutto frutto di una
grottesca allucinazione… se non si trattasse solo della materializzazione di
un suo desiderio! La cupa atmosfera di quella notte di fine marzo
contribuiva a fare da sfondo a quello scenario irreale.
Jean prese ad avanzare
verso di lui, entrando nel cono di luce emanato dalla tremula fiamma della
candela. Un lungo soprabito scuro fasciava quel corpo sottile ed aderiva ad
esso, mentre freddi rivoli d'acqua scivolavano dalla stoffa e cadevano sul
pavimento di legno producendo piccoli, distinti tonfi secchi.
“Davvero pensi che io non possa provare
amore?”
Eh? Oddio… chi dei due
era impazzito?
Henri sarebbe forse
avvampato, se solo quella domanda fosse stata pronunciata con tono umano,
caldo… privo insomma di quella maledetta, perenne freddezza! Ma quello
sguardo… quello sguardo sembrava quasi triste, ora… oppure era solo il gioco
d’ombre provocato dalla candela?
Si impose di non
perdere il controllo. L'amore era forte, però la paura ed il rispetto che
Jean riusciva in ogni occasione a suscitargli abbattevano ogni altro
desiderio. Non doveva rovinare anche il poco che era riuscito a conquistare…
non poteva permettersi di perderlo a causa di qualche gesto sconsiderato.
Avrebbe desiderato
urlargli che lo desiderava e che lo voleva… che lo bramava e lo amava…
da anni ormai. Sì, da anni. Ma ciò che provava era troppo violento… ne era
quasi spaventato. Se avesse permesso a quei sentimenti di emergere, come
avrebbe potuto fermarli? Doveva dominarsi.
Prese un lungo sospiro
e riguadagnò un tono di voce neutro compiendo un tenace sforzo di volontà.
“Suppongo che sia una
tua abitudine autoinvitarti senza avvisare nelle case delle persone che
maggiormente detesti! Avrei da discutere su questa tua usanza… comunque,
ormai è fatta. Non puoi di certo andartene con una simile bufera! Faresti
meglio a spogliarti di quegli abiti fradici. Dormirai qui, ti cedo il mio
letto. Purtroppo, come noterai, è sprovvisto di baldacchino e di lenzuola di
seta… sto momentaneamente attraversando un periodo di indigenza, quindi ti
dovrai adattare”
“Non mi hai risposto!”
Insisteva? E a cosa
avrebbe dovuto rispondere? A quel suo interrogativo insensato?
‘Davvero pensi che io non possa provare
amore?’
Perché diamine gli aveva rivolto quella
domanda? Non conosceva la risposta. Quella domanda… faceva quasi male.
Henri si avvicinò
all'armadio e ne estrasse due coperte che era riuscito a recuperare un paio
di giorni prima con un'azione non proprio onorevole. Del resto, che altro
avrebbe potuto fare? Quelle vecchie erano totalmente sdrucite, sarebbero
potute servire solamente come toppe per i pantaloni! Si era fatto allora
prestare un abito buono da uno dei suoi amici dei quartieri alti e, senza
troppa fatica, anzi assai facilmente, aveva agganciato con squisita
galanteria una dama a passeggio nei giardini del Luxembourg, la quale
evidentemente soffriva di momentanea solitudine.
Un paio di coperte,
fregate come compenso per la compagnia offertole, gli era sembrato il
minimo! Arrossiva di vergogna verso se stesso al semplice pensiero… ridursi
a quello! Altro che momentanea indigenza…
Certo, avrebbe potuto
chiedere del denaro a qualche suo compagno… ma lui per principio non avrebbe
mai tollerato di lasciare debiti dietro di sé. Va bene, era conscio che
rubare coperte in un appartamento del Marais poteva essere considerato di
molto peggiore rispetto all’indebitamento, ma… comunque, non sarebbe
successo più. Non avrebbe nemmeno ricercato quella dama se lei, con quei
capelli biondi, non gli avesse ricordato così tanto… basta!
Perché sentirsi in
colpa? Perché giustificarsi? Lui non aveva nessuno a cui mantenersi fedele.
Se per una volta si era concesso un momento di spensieratezza, unendo
l’utile al dilettevole, che male poteva esserci?
Con il suo aspetto non
avrebbe avuto difficoltà a trovarsi un compagno o, eventualmente, una
compagna… il suo sguardo verde e penetrante, la bocca ben disegnata, i
lineamenti marcati e simmetrici attiravano sulla sua persona numerosi
sguardi ammirati. Tuttavia ad Henri non importava nulla degli apprezzamenti
o delle proposte che riceveva… era, purtroppo, troppo innamorato di
un'astrazione ideale per potersi curare di qualcun altro.
Talvolta provava
desiderio per altre persone, ma si trattava soprattutto di bisogno di
calore, provocato dal terrore che la sua avvolgente solitudine si potesse
perpetuare all’infinito… nulla di più. Non amore, no. Forse, accettando la
corte di qualcuno dotato di una discreta agiatezza, avrebbe potuto vivere in
condizioni migliori... ma l'idea lo inorridiva. Non si sarebbe mai fatto
mantenere… detestava la dipendenza, quell'obbligo di provare riconoscenza
che paralizza i tuoi atti a causa del continuo desiderio di ripagare, lo
smarrimento della personalità che ne consegue. E detestava l’idea di doversi
sentire legato a qualcuno che non amava!!
Ma non era di certo un
asceta! Il suo controllo veniva spesso messo a dura prova… soprattutto in
momenti come quello. Ecco la sua astrazione, il suo amore ideale (Jean
insomma…) in piedi davanti a lui in tutta la sua concretezza, che lo
esortava a rispondere ai suoi interrogativi quanto mai assurdi!
Si decise ad
assecondare il compagno, sapendo per esperienza certa che mai Duval avrebbe
arretrato nelle sue pretese finché non gli fossero state fornite risposte
per almeno parte di ciò che desiderava sapere.
“Amore? E' strano
sentirti parlare d'amore… sembra quasi che questa parola stoni, pronunciata
dalla tua voce” Jean lo avrebbe schiaffeggiato per quelle parole? Ma non
importava. Decise di continuare: “Esistono diverse sfumature di amore,
questo è noto a tutti. Vuoi davvero che te lo dica? Io personalmente ritengo
che tu sia in grado di provare solo alcuni dei vari tipi di amore da me
conosciuti”
Jean parve irrigidirsi
ed impallidire, prima di affermare sarcastico: “Spiegati meglio. Avanti,
descrivi ciò che provo e sento! Puoi farlo, evidentemente mi conosci bene…
anzi, ritieni addirittura di conoscermi meglio di quanto mi comprenda io
stesso!”
Henri finse di non
rilevare il sarcasmo e procedette nella sua dichiarazione: “Il tuo amore è
sublimazione, purificazione, abnegazione. Tu ami i tuoi ideali e il futuro
che hai progettato, li ami come fossero tangibili e daresti te stesso per
essi. Forse è questo il tipo d'amore più nobile che ci sia… certamente
quello che io maggiormente ammiro. Sai molto bene quanto mi risulti
difficile credere in qualunque speranza. In quanto all'amore passionale… non
so. Francamente, non penso che tu possa concepirlo”
Che senso aveva questo
discorso?
Jean si allontanò da
Grantaire per accostarsi lentamente alla finestra. Henri, osservandolo e
cercando di interpretare il suo mutismo, si accorse che tremava.
“Duval, ti prego,
togliti quegli abiti zuppi. Potresti ammalarti di nuovo ed io… io non lo
sopporterei” terminò con un sussurrò riluttante, che fece fatica a farsi
strada fra le sue labbra strette.
Gli aveva chiesto di
spogliarsi e gli aveva offerto di trascorrere la notte presso di lui, eppure
nemmeno per un momento aveva pensato di potersi approfittare della
situazione. Lui non avrebbe mai deturpato e calpestato quel giglio di
candida, anche se gelida, bellezza.
Se Jean avesse anche solamente aperto i primi
bottoni della candida camicia di seta, lui sapeva che avrebbe voltato il
viso verso la parete… che avrebbe rifiutato di marchiare quella pelle con il
desiderio che stava fiammeggiando nei suoi occhi di smeraldo. Velò lo
sguardo con le palpebre, pregando che Duval non si avvedesse di ciò che lo
stava turbando.
Lotta del rispetto e
dell’eccitazione.
“Dalla tua voce preoccupata si direbbe
quasi che tu tenga alla mia salute” osservò Jean “Divertente! Sappi che non
devi fingere, che non devi manifestare falsa sollecitudine solo per cercare
di non sentirti in colpa per il tuo disinteresse. So che è così… tu in
realtà non provi nulla per me. Stai solo sopportando la mia presenza in
questo momento… e questo ti fa sentire colpevole. La tua insensibilità nei
miei confronti ti fa ribrezzo, nega l’umanità che tu spesso ti vanti di
possedere”
“Non hai compreso
nulla, stupido presuntuoso! Ricordi quando ti ammalasti ed io venni a
trovarti a casa tua? Avrei dato tutto il mio sangue pur di riportarti alla
vita!”
Il giovane biondo si
voltò verso il compagno con un'espressione incuriosita ed incredula sul viso
pallido.
“Perché?”
Perché? Avrebbe
veramente potuto rivelargliene il motivo? Avrebbe potuto confessargli il suo
amore? Ma Jean… non avrebbe saputo che farsene…
“Non puoi capire” si
decise a dire, abbassando il capo e sentendo le ciocche bagnate dei suoi
capelli neri ricadergli scomposte lungo il viso.
Se solo avesse trovato
l'ardire di guardarlo negli occhi, si sarebbe spaventato per il lampo di
autentico furore che aveva deformato quei lineamenti perfetti.
“Non posso capire.
Naturale… anzi, ovvio! Scontato. Puoi affermarlo senza rimorsi. Tutti quanti
potete dirlo! Potete parlare di me come se sapeste chi io sia, cosa voglia
realmente, cosa abbia sofferto… sono sufficienti poche frasi per inserirmi
in una data categoria di persone, per assegnarmi un abbozzo superficiale di
carattere con cui riconoscermi. Tu non vedi altro, in me, che ciò che sembro
essere nelle occasioni in cui casualmente ci incontriamo. Non ti interessa
nemmeno sapere se potrebbe esserci qualcosa di più, qualcosa di diverso… ma
che cretino, perché mi spreco a dirti queste idiozie?”
Henri si sentì
frastornato al punto di dimenticarsi totalmente degli abiti bagnati e del
clima non propriamente caldo della stanza.
A che scopo quel
discorso? Perché la voce del compagno era colma di amarezza? Non ce n’era
ragione…
Decise di ribattere:
“Cosa intendi dire? Sei tu che per primo rifiuti di farti comprendere da
altri. La tua riservatezza, il tuo carattere scostante… tutto questo
contribuisce a creare una sorta di barriera di rispetto e di timore attorno
a te. Bisognerebbe essere molto intrepidi o molto folli per arrischiarsi ad
attraversarla! Tu fai paura, Duval. Non dirmi che non lo sai! Il tuo sguardo
gelido incute soggezione. Come puoi pretendere dagli altri il coraggio di
cercare di superare le tue apparenze? Potrebbe non esserci nulla, dietro.
Perché rischiare di farsi male con la tua freddezza?”
Probabilmente aveva
parlato troppo e male… di certo nessuno si era rivolto a Jean con tanta
franchezza prima di allora. Sperava che avrebbe apprezzato almeno la sua
sincerità, se non le sue frasi.
“Amore…” mormorò Duval con tono pensoso
“No, probabilmente non so cosa significhi. Tu lo conosci, Grantaire? Questo
sentimento… ne parli con tanta foga… sembra proprio che tu ci conviva.
Riesci a credere almeno ad esso, dato che non credi a nient’altro?”
“Lo conosco e so quali
sensazioni possa provocare. Ma non credo nell'amore… credo piuttosto nella
sofferenza che esso riesce a causare”
Duval si appressò
nuovamente alla finestra, appoggiandosi al freddo vetro con le spalle ed
incrociando le braccia. Qui rimase immobile a fissare Henri per la durata di
molti suoi profondi respiri, prima di decidersi faticosamente a parlare.
“Grantaire… ti
andrebbe di ascoltare una storia? Forse… forse non dovrei affatto
parlartene. Suppongo di stare per fare una vera e propria assurdità di cui
non riesco proprio a capacitarmi. Sicuramente più tardi mi pentirò di aver
narrato proprio a te un fatto che non ho mai menzionato a nessun altro.
Evidentemente io sono privo di importanza per il tuo mondo… ma vorrei avere
un tuo giudizio. Tu proclami che io non so amare… e mi fai incavolare
con la tua pretesa di sapere tutto di me. Dichiari che sono insensibile e
bastardo. Bene! Dopo che ti avrò raccontato tutto, mi dirai se la tua
opinione sarà rimasta immutata…”
Henri rimase immobile
con le coperte in mano. Non comprendeva quale ragione spingesse Jean ad
usare un tono di voce tanto cupo, non vedeva la cagione di quell'estrema
serietà… tutto ciò lo stava mettendo a disagio. Stava per scoprire un lato
fino ad allora ignoto del carattere di Duval?
Lasciò cadere quanto
aveva in mano e si mise a sedere sulla sua scrivania, incrociando le gambe
fasciate dai lunghi pantaloni scuri ed appoggiando la schiena contro il
muro.
“Parla. Ti ascolto”
asserì, usando un tono basso ed evitando di incrociare quello sguardo
azzurro.
Il compagno iniziò a
parlare, riferendosi probabilmente ad avvenimenti avvenuti parecchio tempo
prima… forse a quando ancora loro non si conoscevano a sufficienza per
potersi definire compagni inseparabili di diatribe. La voce… era esitante.
“Tre anni fa… dovevo
avere più o meno diciotto anni… mi stavo incamminando verso casa attraverso
i vicoli oscuri dalle parti del Montmartre. Si stava appressando il
tramonto, ormai le strade non erano più sicure: la Parigi della luce del
sole stava lentamente lasciando spazio alla Parigi notturna… e questa lenta
mutazione era inquietante. Mi affrettavo lungo le strade buie, lanciando
rapide occhiate alle ombre che si profilavano nei crocicchi o alle sagome
che si stagliavano dietro le finestre illuminate. Non riuscii ad impedirmi
di trasalire stupidamente quando una mano mi toccò delicatamente il
braccio…”
Grantaire sospinse con
un gesto infastidito i capelli scuri e ribelli dietro la nuca, sollevando
lentamente gli occhi verdi e cupi su quel giovane che pareva perso nei
ricordi. Duval parve avvedersi di quel gesto, ma lo interpretò erroneamente.
“Scusami, cercherò di
essere breve e di non lasciarmi trasportare dalla mia innata propensione ai
sermoni interminabili…”
“No, io non
intendevo…”
Henri venne
immediatamente interrotto da quella voce autorevole che riprese a narrare:
“Il mio spavento si dimostrò totalmente immotivato. Ero stato agganciato da
un ragazzino magro, disperato e dagli abiti laceri… non pareva un
borseggiatore o un assassino: il mio istinto non mi suggeriva alcun
pericolo. Lo fissai. Mi sentii stringere il cuore alla vista di quella pelle
pallidissima, quasi bluastra, di quegli occhi neri cerchiati di desolazione
e di quelle labbra violacee per il freddo. Mio malgrado, la mia voce fu
incredibilmente gentile quando gli chiesi cosa volesse. Non credevo di
essere capace di usare un tono così cortese… non lo credi nemmeno tu, vero?
Eppure prova ad ammettere che io sappia provare almeno pietà, se non amore!”
Lo stupore che Jean
aveva provato in quell’occasione era ancora presente nel suo accento mentre
narrava. Pareva ancora incapace di capacitarsi delle sue sensazioni… della
compassione velata di tenerezza che quello spettacolo di miseria gli aveva
suscitato.
“Quel ragazzo mi
chiese timidamente se volessi fare sesso con lui. Per denaro, ovviamente!
Penso che tu abbia già capito che cosa lui fosse. Puoi immaginare quanto
questa proposta mi avesse lasciato allibito e senza parole. Probabilmente
era stato attirato dai miei abiti ben confezionati che gli avevano fatto
prospettare un buon compenso. Gli chiesi quanti anni avesse. Mi rispose che
ne aveva quasi diciassette… eppure la magrezza e la povertà lo facevano
sembrare molto più giovane! Gli dissi che no, non volevo fare l'amore con
lui. Tentai di allontanarmi, ma mi si aggrappò addosso, mi supplicò, mi
chiese di avere pietà, di essere caritatevole… lo avrebbero picchiato se non
avesse rimediato nulla! Mi assicurò che lui era bravo nel dare appagamento…
mi garantì che mi sarebbe sicuramente piaciuto!” ricordò, con una sfumatura
di leggerissimo sarcasmo.
Il tono con cui si esprimeva era
appassionato e calmo, eppure gli occhi azzurri erano tremendamente freddi e
lontani. L'espressione del suo volto non manifestava alcun sentimento di
sorta. Grantaire provava la spiacevole impressione che quella storia quasi
non lo riguardasse… ma, in effetti, era solo un’impressione.
“Fissai per un lungo
momento quegli occhi neri, ampi e cupi come dei frammenti di carbone. Lo
invitai allora a seguirmi e lui si mise alle mie calcagna. Pareva allo
stesso tempo lieto e triste, come se fosse soddisfatto di aver perseguito il
suo scopo ma allo stesso tempo avesse desiderato che io persistessi con il
mio diniego. Con suo immenso stupore io non lo portai a casa mia, bensì in
una locanda dove gli ordinai un pasto caldo. Evidentemente doveva essere da
molto che non toccava cibo, dato che si tuffò letteralmente su un brodino
che era veramente stomachevole. Cercai di instaurare una conversazione con
lui, scoprendo parecchie cose sulla sua vita… ma forse sarebbe meglio
definirla esistenza”
Duval scrutò il volto
del suo ascoltatore alla ricerca di una traccia di insofferenza, di un segno
indicatore di noia e stanchezza che lo avrebbe costretto ad interrompersi.
Henri, notando la sua esitazione, lo esortò: “Continua. Per favore…”
Jean annuì e si
rituffò nella narrazione.
Grantaire non
comprendeva perché gli stesse confidando quegli avvenimenti, cosa mai
volesse comunicargli, quale scopo si nascondesse dietro le sue parole.
Intuiva che vi era un nesso, un fine nascosto… ma non ne notava alcuno, per
il momento. Comunque sospettava che quella storia fosse importante per il
compagno… quindi lo era necessariamente anche per lui.
“Si chiamava Marius Bodin. Batteva la
strada da quando aveva quattordici anni. Viveva da solo con un padre che
sfruttava i suoi profitti per comprarsi alcolici e che lo picchiava se i
guadagni non lo soddisfacevano… aveva una parlata svelta e semplice,
piacevole ad udirsi anche se inframmezzata da termini in gergo. Intuii in
lui una vivace intelligenza, una capacità di dialogo e di ragionamento che
purtroppo erano sprecate nella sua condizione. Alle luci delle lanterne ad
olio appariva anche… bello. Una bellezza botticelliana, delicata e quasi
efebica. Gli occhi non erano neri, ma verde scuro, i capelli corti e
castani. La sua eccessiva magrezza ne sminuiva l'avvenenza, ma forse gli
conferiva un aspetto grave e malinconico che lo rendeva più interessante.
Dopo aver rilevato questi particolari, mi stupii di me stesso… era la prima
volta che mi capitava di badare a cose simili!”
Grantaire continuava
ad ascoltare apparentemente impassibile, ma in realtà celando gli effetti
dei freddi artigli di una sorda gelosia che si stava aggrappando alla sua
anima. Mai avrebbe pensato che Duval potesse parlare in questo modo rivolto
ad una persona, ad un ragazzo! Cosa avrebbe potuto significare? Cosa
aveva provato per quel giovane che ricordava un dipinto sbiadito in olio su
tela? Che poteva esserne stato di lui? Intuiva che il finale di tale storia
doveva presentare una situazione non propriamente felice… e non se ne
rammaricava, pur sentendosi meschino per questo. Non riusciva né voleva
provare simpatia per quel Marius che era inspiegabilmente riuscito a far
breccia, a catturare l'attenzione di Jean. Come ci era riuscito? Tramite la
commiserazione? Beh… probabilmente anche lui faceva pena a Duval, ma il
risultato purtroppo non era lo stesso!
“Alla fine gli dissi
che si era fatto tardi e, dopo avergli dato un paio di monete, mi accinsi ad
andarmene. Non avevo fatto i conti con la sua cocciutaggine. Lui non
accettava carità! Il denaro che riceveva doveva semplicemente essere un
compenso per il suo 'lavoro'. Non avrebbe mai potuto prendere quei soldi da
me. Si giunse ad un compromesso: lui avrebbe intascato quanto gli avevo
dato, ma io gli dovetti promettere che il giorno dopo sarei ritornato da lui
per venire ricompensato. Non avrei dovuto presentarmi all'appuntamento
convenuto… ma non riuscii a farne a meno. Dovevo rispettare la parola data
o, più onestamente, volevo rivederlo. Ovviamente non ci fu nessun atto
sessuale fra noi, non lo avrei mai potuto permettere né volere…”
Il respiro di Henri
non si fece meno oppresso, dopo aver udito questa rassicurazione… e come
avrebbe potuto? Non era il lato fisico quello più importante. Sesso privo di
amore o amore privo di sesso? Sicuramente la seconda fra le due opzioni lo
ghiacciava molto più profondamente… ed ormai le sue congetture lo avevano
inevitabilmente già condotto lì.
“Divenne un’abitudine.
Concluse le lezioni e gli impegni della giornata mi recavo in quella
locanda, ormai nostro convenuto punto di ritrovo, e trascorrevo del tempo
con lui. Mi liberava la mente con la freschezza delle sue idee, la sua
ingenuità, l’appassionato desiderio di credere nei suoi sogni, nel suo
futuro. Lo aiutavo come potevo, gli portavo dei vestiti decenti, gli donavo
del denaro. Suo padre ormai non lo picchiava più, si era convinto che il
pargolo si fosse trovato un protettore potente e che questo non potesse che
essere un bene. Di ciò io ero molto sollevato: non potevo tollerare che
qualcuno gli facesse del male. Nonostante tutto questo, lui riluttava ancora
ad accettare i miei doni. Continuava a pensare che io gli stessi
semplicemente facendo la carità, che lo stessi compatendo… e non poteva
accettarlo. Dovevo costantemente pregarlo di lasciarsi aiutare. Gli dicevo
che lui ormai per me era diventato un amico, una persona a cui tenevo, che
era normale che volessi fare qualcosa per lui. Ero stanco, stanco di
vedergli fare quella vita. La sua vitalità era sprecata in mezzo a tutta
quella sofferenza… la sua intelligenza non avrebbe mai potuto brillare in
quei vicoli. Stava gettando via la sua esistenza, non lo sopportavo”
Un lungo silenzio calò
fra di loro. Un silenzio colmo di interrogativi da un lato, di oppressione
dall’altro.
Henri non poteva
accettare di doversi tormentare ancora a lungo con quei dubbi, con quelle
domande… meglio il baratro che un precario equilibrio di incertezza!
“Duval… cosa provavi
per quel ragazzo?”
Il ragazzo biondo
sollevò di scatto la testa china, incrociando sorpreso i suoi occhi verdi.
Sembrava non si aspettasse quella domanda proprio in quel momento, però si
rilassò immediatamente. Era come se avesse saputo di dover affrontare la
questione prima o poi, come se un simile interrogativo fosse stato
inevitabile…
“Gli volevo bene”
rispose banalmente, senza esitazioni.
Ma cosa poteva voler
dire? Ci sono innumerevoli modi per voler bene ad una persona! Si tiene ad
un amico, ad un fratello, ad un amante… li si ama, ma non allo stesso modo!
Quel Marius, cosa era stato per Jean, quale ruolo aveva avuto? Amico,
fratello… o amante?
“Marius mi domandò
perché mi stessi preoccupando tanto per lui. Risposi che volevo la sua
felicità, che la volevo ad ogni costo. Che avevo bisogno di credere di
poterlo rendere felice. Mi chiese se lo avrei abbandonato, nel caso fossi
riuscito a trovargli una sistemazione accettabile e non avesse più avuto
materialmente bisogno di me. Disse che se abbandonare la miseria significava
perdere me, allora avrebbe preferito prostituirsi per il resto della sua
vita. Accadde in quel momento: con una voce estremamente grave lui confessò
di amarmi. Di amarmi! Un ragazzo di
diciassette anni! Comprenderai il mio
scetticismo, Grantaire. Mi era difficile crederlo… anche se forse avrei
voluto riuscirci.
Non volle risposte da
me, non accettò nemmeno le mie obiezioni sul fatto che eravamo entrambi
giovanissimi, sulla differenza di età, sulla palese assurdità della
dichiarazione che aveva mormorato con giovanile ma impetuosa passione.
Ripeté testardamente che mi amava e che non voleva nulla in cambio del suo
sentimento. Non desiderava nemmeno sapere se io lo ricambiassi o meno. La
cosa importante per lui era che io mi rendessi conto di quanto ero diventato
importante, che non lo privassi della possibilità di starmi vicino. Sai una
cosa? Mi sembrò immensamente più adulto di me dopo quelle parole”
“Ma tu… tu lo
ricambiavi?” sussurrò, incapace di trattenere la pena che sgorgava dalla sua
anima.
Avrebbe
voluto riuscire a
suscitare lui quelle sensazioni in Jean! Ora… ora, mentre Duval narrava
perso in quei ricordi evidentemente così importanti per lui, non sembrava
affatto una statua priva di sentimenti. L’espressività dei suoi occhi chiari
manifestava dolore, ma quel dolore era vita! Marius era stato in grado di
fargli provare desiderio, compassione, affetto… lui avrebbe mai potuto
giungere a questo? Perché, perché poi gli stava raccontando quegli
avvenimenti?!
Tutto ciò gli faceva
solo comprendere che il suo amore non avrebbe mai trovato una fessura
per penetrare in quell’anima e far scorrere a sua volta la vita in quelle
vene. Deprimente ed inevitabile.
“Ormai poco importa se
lo ricambiassi o meno” riprese Jean “E’ una sciocchezza cercare di
quantizzare un sentimento perduto, una futilità tentare di inscaffalettarlo
all’interno di limiti definiti da convenzioni. Gli volevo bene,
semplicemente, e questa pulsione mi spingeva a volere il suo bene.
Che altro c’è da dire? Ormai ci stavamo facendo sempre più vicini… ed io
incominciavo a sentire indispensabili i suoi occhi ammiratori che mi
fissavano mentre tentavo di spiegargli la vita. Spesso lo seguivo nella
stanza dove accoglieva i suoi clienti e lì rimanevamo a discutere di tutto e
di nulla, anche semplicemente a fissarci senza parlare. Ascoltare la
presenza di un altro essere… cosa può esistere di più sublime? Ero sereno.
Forse non felice, ma sereno. Avevo sempre provato il desiderio di avere
accanto qualcuno con cui condividere la mia anima… ed ora… ora mi sembrava
di averlo trovato…”
“Cosa accadde? Perché
qualcosa di… di non lieto avvenne, giusto? Stai parlando usando tempi del
passato, riferendoti ad un periodo della tua vita chiuso, perduto… come tu
stesso hai asserito. Marius… dov’è ora?”
Un sorriso amaro stirò
le labbra del giovane. Amaro come una speranza sconfitta.
“Per chiunque voglia
andare a trovarlo, sebbene siano pochi, troppo pochi quelli che di lui hanno
conosciuto la sua parte più vera… la sua tomba è ormai ricoperta d’erba al
cimitero di Montmartre. Ed è colpa mia. Io sono il responsabile della
sua morte”
L’ultima affermazione
venne detta su tono lacerato, ma al contempo pacato. La sentenza di un
giudice che accusava un assassino privo di qualsiasi attenuante.
Grantaire si sollevò
in piedi attonito, cercando di non fare il minimo rumore. I suoi occhi
increduli si rifiutarono di accettarlo. Il dolore muto che sconvolgeva i
lineamenti del suo amico gli stava strappando il cuore, opprimendogli il
respiro. Come poteva riuscire a reggere la sofferenza che Jean stava
evidentemente provando? Cosa poteva… cosa poteva fare per lui?
Come poteva dire di
aver ucciso quel ragazzo?! Avrebbe voluto credere in un equivoco, in uno
scherzo… ma Duval non scherzava mai!
“Cosa intendi dire?”
ansimò, cercando di prendere fiato… tentando di controllare il lacerante
desiderio di andare accanto a lui e stringerlo, stringerlo fra le sue
braccia fino a soffocare il suo passato…
“Iniziò tutto una sera
in cui mi trattenni da lui più del solito. Continuava a parlarmi del suo
desiderio di entrare in una compagnia di attori per poter recitare… ed io
osservavo i suoi sogni scorrermi davanti, facendo attenzione a non
spiegazzare le loro ali leggere. Era così giovane, poteva crederci! Avrebbe
potuto farcela… avrebbe potuto realizzarli! Avrebbe perlomeno dovuto lottare
per questo, e si mostrava disposto a farlo. Amavo il fuoco che c’era nelle
sue parole mentre mi descriveva il suo futuro. Al tempo stesso fissavo lo
squallore della sua camera, la povertà della suppellettili, quelle lenzuola
consunte su cui eseguiva quello che riusciva a chiamare con tutta candidezza
‘il mio lavoro’. Una rabbia profonda per ciò che era costretto a fare mi
pervadeva. Ora che vi ripenso, forse devo ammettere che la gelosia ebbe a
sua volta un importante ruolo nella mia reazione… ad ogni modo, scattai in
piedi e mi avvicinai a lui. Lo scossi per le spalle in modo convulso,
attirandomi uno sguardo di incomprensione, poi mi decisi a formulare la mia
richiesta. Doveva smettere di prostituirsi. Basta. Non potevo più accettare
che lo facesse! La sera successiva sarei passato da lui e lo avrei condotto
via con me. Sarebbe rimasto a vivere da me finché non avesse trovato un
altro modo per mantenersi. Io lo avrei aiutato in qualsiasi modo avessi
potuto. Probabilmente Marius era meno sciocco di me: avvertì il mio amore
celato dietro a quelle frasi severe. Mi sorrise e mi abbracciò in silenzio,
limitandosi ad annuire.
Non avrei mai dovuto
fargli quella richiesta… oppure avrei dovuto condurlo via quella stessa
sera. Se lo avessi fatto, non lo avrei perso… ed ora… ora sarebbe ancora con
me. Ora potrebbe ancora parlarmi… e prendermi in giro per la mia serietà…
potrebbe amarmi ancora… potrebbe vivere, capisci?!”
No, basta! Non poteva,
non poteva reggerlo!
Henri strinse i pugni e serrò fortemente la
mascella, cercando di controllarsi, di evitare che quell’angoscia sottile lo
sommergesse. Riusciva a sopportare il proprio dolore, la rabbia di rendersi
conto che il cuore di Duval era in qualche modo appartenuto (e forse
apparteneva ancora) ad un altro… ma la vista di quegli occhi azzurri vuoti,
asciutti ed allucinati era più di quanto potesse accettare!! Attraversò la
stanza con poche, ampie falcate e con irruenza lo prese fra le sue braccia.
Senza riflettere. Forzò quel capo biondo ad affondare nella sua spalla,
stringendolo con forza, artigliandogli la schiena, serrandolo contro il suo
petto.
All’inizio lo sentì
irrigidirsi e cercare di divincolarsi, ma alla fine Jean parve rendersi
conto dell’inutilità della sua resistenza e gli si rilasciò contro con un
sospiro di resa e di dolore.
Dio, sentirlo così
vicino… così fragile… tremante ed abbandonato a sé… desideroso di conforto e
di calore… così umano, diverso dal solito aspetto di ghiaccio che
mostrava ad ognuno!
Ma la cosa più
stravolgente era sentire quel cuore che batteva, batteva e batteva contro il
suo… all’unisono con il suo!
Poteva avvertire la
sua anima spezzata e tenace, il suo strazio e la sua volontà. Era bello…
bello ed orgoglioso, stupendo nel suo essere diverso da ogni altro,
superiore ad ogni meschinità.
Lo amava. Lo amava di
un sentimento troppo forte per poter essere retto e concepito… gli mozzava
il fiato! Da quanto, da quando lo desiderava così ardentemente? Avrebbe
voluto prendere tutta quella sofferenza su di sé, solo su di sé… per poterlo
vedere sorridere. Sentiva un disperato bisogno del suo sorriso in quel
momento…
Dannazione, quanto egoismo nei suoi
pensieri! Come avrebbe potuto sorridere, se il suo cuore era spezzato?!
Eppure lui ne aveva bisogno… aveva bisogno di vederlo sereno, per potersi
sentire meglio. Dio, ma non poteva smettere di parlare?!
Eppure, nonostante
quel racconto facesse male ad entrambi, esso ormai doveva venire completato.
“Cosa successe poi,
Jean?”
Non sapeva perché
l’avesse chiamato per nome. Per la prima volta aveva osato farlo… ma in una
situazione come quella che importanza poteva avere la denominazione? Che
importanza potevano avere le opinioni politiche, le differenze sociali, i
rancori, i litigi? Tutto si infrange e si disperde di fronte ad un vero
dolore. Laddove c’è il dolore, il suolo è sacro.
Mai prima di quel
momento erano stati più vicini… e mai Grantaire si era sentito più lontano
dalla sua felicità.
Stava stringendo fra le braccia il ragazzo
che amava mentre quest’ultimo gli stava gettando in faccia i sentimenti
provati per un altro. Sofferenza…
“La sera successiva
andai da lui, come avevo promesso. Avevamo convenuto di ritrovarci nella
solita taverna. Lui non c’era”
Quel mormorio convulso
si spezzava, si faceva sempre più disperatamente fioco. Eppure sembrava che,
ad ogni interruzione, Duval riuscisse a trovare in sé una nuova forza per
proseguire… come se non volesse arrendersi di fronte alla propria debolezza.
“Lo attesi per un po’
di tempo, pensando che fosse in ritardo a causa di qualche contrattempo. I
minuti scorrevano. L’attesa era uno stillicidio. Non riuscivo a tollerare la
preoccupazione in una simile inattività. Scesi in strada e mi diressi verso
la sua stanzetta, cercando di scacciare l’inquietudine e la desolazione che
cresceva in me al pensiero che Marius potesse aver cambiato idea, aver
deciso che in fondo non voleva venire a vivere con me, che… che non mi amava
poi così tanto come assicurava. Giunsi alla porta della sua stanza e bussai
con il cuore in gola. Mi rispose… solo un flebile gemito”
Un tremito più forte
degli altri scosse quel corpo sottile. Jean sollevò le braccia, che prima
teneva abbandonate lungo i fianchi, e con esse incredibilmente si aggrappò
ad Henri, come se il calore di quell’abbraccio potesse in qualche modo
rendere meno gelidi quei ricordi.
Abbracciati,
avvinghiati. Uniti.
Grantaire lottò per un breve attimo contro
il nodo che gli stava stringendo la gola, prima di trovare voce sufficiente
per mormorare rocamente: “Jean… non è necessario che continui. Non devi
dimostrarmi nulla. Non voglio che tu ti faccia male in questo modo, te ne
prego. Non esacerbare il tuo dolore…”
Venne interrotto da un
sussurro deciso: “No, io… io voglio parlartene, voglio che tu sappia! Vuoi
ascoltarmi?”
“Si, voglio
ascoltarti. Se questo può farti stare meglio…”
Qualunque cosa per farti stare meglio…
Non era possibile, non
era possibile amare qualcuno così disperatamente… ed era solo dolore! Solo
dolore.
“Entrai in quella
stanza spalancando la porta. Sperai che vi fosse il suo sorriso ad
attendermi… lo desiderai ardentemente! Ed invece, solo un viso pallido e
sconvolto dalla sofferenza. Giaceva riverso sul letto con il petto
insanguinato che si alzava e si abbassava affannosamente, procurandogli
continui gemiti che non riusciva a soffocare. Gli fui immediatamente
addosso… gelato, terrorizzato, sconvolto, preoccupato. Pazzo di terrore. Lo
presi fra le braccia delicatamente, iniziando a piangere come un cretino
senza nemmeno accorgermene. Lui tentò di sorridermi per farmi coraggio.
Fallì miseramente. Mi chiese di abbracciarlo, di abbracciarlo forte senza
preoccuparsi di fargli male. Mi disse che sentire il mio cuore battere lo
faceva star meglio… io avrei di gran lunga preferito che continuasse a
battere il suo!”
“Chi gli aveva fatto
questo?”
“Un nobile a cui si
era rifiutato di prestare i suoi ‘servizi’… solo per far fede alla dannata
promessa di non prostituirsi che mi aveva fatto la sera prima!!” rispose
riluttante fra i denti, come se il peso della sua colpa stesse schiacciando
le sue parole. Riprese dopo un breve attimo di pausa: “Quel dannato aveva
cercato dapprima di persuaderlo, poi di minacciarlo… infine aveva tentato di
violentarlo. Marius si era difeso, aveva opposto una resistenza disperata,
aveva urlato. Il maledetto allora aveva dovuto farlo tacere per evitare che
attirasse l’attenzione di qualche pattuglia. Sarebbe potuto scoppiare uno
scandalo, il suo ‘buon nome’ forse ne sarebbe uscito infangato… e non
è difficile immaginare in quale modo lo avesse ridotto al silenzio. Io lo
indovinai subito: il coltello era ancora lì vicino, a terra”
Henri sospirò
profondamente, prima di aiutarlo nell’esposizione con le sue domande:
“L’identità di quel nobile… è stata scoperta? Si è capito chi fosse?”
“Sì. Conservo ancora
con me il coltello dal quale partì il colpo. La lama tuttora è arrugginita a
causa… a causa…”
“… del suo sangue”
completò per lui Henri, sentendo su se stesso moltiplicarsi la violenza di
ogni singola parola.
“Sì” sospirò Jean con
voce soffocata “del sangue di Marius” confermò in fretta, come se gli
riuscisse difficile o penoso pronunciare una simile realtà.
Riprese quasi
immediatamente: “Sull’impugnatura c’è lo stemma della casata. E’ ancora
vivo… nonostante tutto. Avrei voluto ucciderlo, sbranargli le carni… ed
invece lui ora si sta godendo la vita mentre Marius è circondato dalla
fredda terra! L’assassino banchetta nell’opulenza, l’innocente giace nella
bara. Eppure avrei potuto assassinarlo. Ho avuto occasioni per farlo…”
“Perché allora non lo hai fatto?”
“Per Marius. Mi fece
giurare che non sarei diventato un assassino a causa sua. Stava morendo fra
le mie braccia, eppure stupidamente si preoccupava ancora per me! Ti sembra
che io lo meritassi?
Invocai aiuto, mi
sollevai per andare a cercare un medico… mi trattenne. Mi disse che era
stupido che sbraitassi tanto ora: non lo avevo mai fatto prima, sebbene
avessi avuto anche motivi validi. Era quindi inutile che iniziassi a
strillare adesso, dato che non vi era più nulla da fare. Volle essere
abbracciato di nuovo. Lo strinsi a me mentre la sua vita scivolava via senza
che potessi fare altro. Lo supplicavo di tacere ma lui continuava a
blaterare come al suo solito… con voce però sempre più debole. Si rendeva
conto che fra poco mi avrebbe lasciato e che aveva ancora così tante cose da
dirmi, che doveva sforzarsi di condensarle in poche frasi… lui, lui che
odiava i discorsi fatti in fretta…”
“E… che cosa ti
disse?”
“Che avrebbe voluto
venire a vivere con me, che avrebbe voluto davvero che io lo vedessi
recitare… che da quando mi aveva incontrato la sua vita era cambiata… che
non dovevo rovinare i miei occhi piangendo per lui, perché non ne valeva la
pena… che non dovevo dispiacermi per lui. Che mi era grato. Mi ripeté un
infinità di volte che mi amava e che mi era grato per aver illuminato la sua
vita. Che non avrebbe mai voluto lasciarmi. L’ultima cosa… l’ultima cosa che
disse fu che i suoi risparmi erano sotto il materasso del suo letto e che
voleva che li avessi io, poiché avevo fatto tanto per lui e lui non era mai
riuscito a ripagarmi. Poi… i suoi occhi si chiusero. Rivedo quella scena
ancora adesso…”
Jean era gelido, rigido e freddo contro di
lui. Respirava affannosamente come se stesse piangendo, eppure Henri non
udiva alcun singhiozzo uscire da quelle labbra stupende. Sembrava che stesse
cercando di trattenere la sofferenza dentro di sé… ma così si sarebbe
soffocato con il suo stesso dolore! La ferita era ancora aperta, lo bruciava
e lui non riusciva a sopportarla…
“Jean.. Jean… Jean…”
continuò lentamente a ripetere quel nome come se fosse una dolce cantilena,
un incantesimo per esorcizzare il male.
Perché aveva dovuto
attraversare tutto questo? Perché proprio lui?!
“Strinsi per ore il
suo corpo esanime fra le mie braccia. Posai un bacio su quella fronte
fredda… e sai una cosa? Quello è l’unico bacio che io gli abbia mai dato”
Come aveva anche solo
potuto pensare di poter posare le labbra sulle sue? Sfiorare quella bocca
pura sarebbe stato un oltraggio a quanto vi era di più sacro al mondo!
“Da allora intrapresi
la mia lotta contro la nobiltà ed il regime monarchico che la favorisce.
Marius era morto, il suo assassino invece era vivo e libero. Questo era… era
ingiusto! Quell’uomo non avrebbe mai potuto venire punito per quanto
aveva fatto perché… perché era un nobile mentre Marius era un pezzente.
Aveva avuto quindi pieno diritto di ucciderlo, nessuno dei suoi pari gliene
avrebbe fatto una colpa! E purtroppo sono i suoi pari ad esercitare la
legge, loro che ritengono che la morte di un plebeo sia un evento di nessuna
importanza… come se Marius non fosse un essere umano, come se non avesse
avuto un futuro, una vita davanti a sé da plasmare… da trascorrere con me.
Il mio dolore venne
forgiato dalla rabbia: mi trasformò.
Quel ragazzino aveva
saputo far emergere in me sentimenti umani, la sua perdita me li fece
totalmente dimenticare. Volli dimenticarli… non mi serviva provare
amore, se non avevo più nessuno su cui riversarlo. Ora dovevo combattere,
combattere contro l’ingiustizia per cercare un nuovo senso nella mia vita.
Non vi doveva più essere spazio per null’altro. Basta con l’affetto, basta
con i sentimenti… basta con il dolore. Dimenticai la mia umanità perché era
più semplice vivere senza di essa. All’inizio perseguii da solo la mia
lotta, poi Saint Just mi si avvicinò alla fine di una sua orazione e mi
propose di unirmi a lui. Accettai, comprendendo che da solo non avrei
risolto nulla, ma che forse unito ad altri con il mio stesso obbiettivo…
forse avrei potuto realizzare le mie speranze. Eppure talvolta un pensiero
mi fa credere che ciò che ho fatto e che sto facendo sia del tutto inutile…”
“Perché?”
“Perché comunque le mie belle parole… la
rivoluzione, la giustizia, la vendetta… nulla di tutto questo potrà più
riportarlo da me… nulla di tutto ciò potrà darmi la felicità vera, quella
che solo un essere umano può regalare ad un altro essere umano”
Rimasero in silenzio a
lungo, l’uno fra le braccia dell’altro, senza accennare a voler diminuire
l’intensità della stretta. Qualche attimo dopo però Henri si accorse che
Jean stava tremando violentemente a causa dei suoi abiti bagnati.
“Tremi… non dovresti
rimanere così…” gli fece notare.
Non ricevette alcuna
reazione. Si decise allora ad allontanarlo da sé, vincendo la resistenza che
l’altro opponeva per mantenere chiuso l’abbraccio. Incontrò degli occhi
insicuri, lucidi di incomprensione come a volersi chiedere se aveva fatto
qualcosa di male per venire respinto. Gli sorrise ed iniziò lentamente a
sfilargli la camicia, rabbrividendo nel sentire la morbidezza di quella
pelle gelida. No, non era il momento… non era proprio l’occasione giusta per
pensare a ‘quello’… doveva cercare di dimenticare i suoi desideri! Il tocco
delle sue mani calde sembrò lentamente riscuotere Duval, che lo fissò come
se non comprendesse affatto ciò che aveva intenzione di fare. Captò la sua
occhiata preoccupata e sospirò, prima di dare le sue spiegazioni.
“Ti ammalerai se non
ti spogli… ti prego, continua da solo”
Al cenno affermativo
dell’amico, Henri si voltò immediatamente per fuggire la vista di quel corpo
che, inerme, si stava svelando alle sue spalle. Tuttavia l’ombra dei
movimenti lenti che Jean stava usando per svestirsi si rifletteva sulla
parete che stava fissando… poteva vedere le sue mani che slacciavano la
camicia bianca, la camicia stessa che ora scivolava lentamente lungo le sue
spalle… i pantaloni che venivano calati con un fruscio leggero e che si
adagiavano al suolo, accanto agli stivali…
Strinse i denti ed afferrò una delle
coperte prese poco prima, tendendogliela bruscamente senza voltarsi. Quando
sentì che Jean vi si era avvolto, si permise finalmente di girarsi e di
fissarlo negli occhi. Lo sguardo cadde immediatamente sulla pelle bianca di
quel petto, che si intravedeva a malapena fra le ombre create dalla coltre
che lo celava. Henri si costrinse a distogliere gli occhi per posarli sui
vestiti dell’altro che ora giacevano a terra. Li raccolse e li posò
nell’armadio.
“Anche tu… i tuoi
pantaloni sono bagnati, dovresti toglierli…” gli fece notare Duval con voce
sicura, ormai controllata.
Scrollò le spalle con
indifferenza, asserendo: “Non preoccuparti, non ho più freddo… del resto, io
non mi ammalo tanto facilmente. Sono più robusto di te. Usa il mio letto se
vuoi sederti…”
Jean fece ciò che gli
era stato chiesto quasi meccanicamente.
Grantaire lo fissò per
qualche secondo con viso scuro, prima di decidersi a formulare la sua
domanda: “Perché… perché mi hai raccontato tutto questo?”
Duval si passò
stancamente una mano fra i capelli, riflettendo.
“Io… avevo bisogno di
parlarne con qualcuno. Non l’avevo mai raccontato prima e… non ce la facevo
a tenerlo per me…”
“Perché proprio io?!”
lo incalzò.
Doveva sapere… voleva
sperare!
Seguì un silenzio
lungo e teso, rotto finalmente dalla voce di Jean: “Perché volevo… perché
sapevo che tu mi consideravi privo di ogni sentimento umano e volevo
distoglierti da quest’idea. Non… non sopportavo che tu mi ritenessi
insensibile. Non lo sopporto. Ora credi ancora che io non sia in grado di
provare amore verso un’altra persona?” terminò quasi con ironia.
“Mi dispiace. Io… ti avevo giudicato solo
dalle apparenze che mi hai mostrato, senza pensare che forse avrebbe potuto
esserci dell’altro in te! No, ora so e credo che tu possa amare… ed anche
soffrire per questo. Sono stato uno sciocco, non ho mai cercato di andare
oltre il tuo comportamento. Perdonami”
Eppure era strano.
Come mai aveva permesso proprio a lui di scorgere la sua sofferenza? Come
mai non ad un altro? Come mai non…
Saint
Just, ad esempio?!
Sarebbe stato di gran
lunga il più indicato…
Doveva chiedere
ancora, non poteva farne a meno.
“Perché ti dava
fastidio che io ti reputassi insensibile? Non ritenevo che ti importasse
dell’opinione degli altri… non credevo soprattutto che ti importasse di cosa
pensassi io!”
“Beh, hai sempre
sbagliato… anche se non su tutto. E’ vero, non mi interessa ciò che gli
altri potrebbero pensare su di me, ma il tuo giudizio, la tua opinione…
quella sì. Lo ammetto, è una debolezza che ho scoperto in me: tu sei l’unico
che con le sue idee riesca a mettermi in difficoltà, a far vacillare i miei
progetti e… a farmi infuriare per questo. Io ti ascolto, sempre. Sei in
grado di farmi sentire incerto e di farmi rivedere le mie convinzioni. Non
credo che ammetterò mai più una cosa simile, quindi ti conviene rammentarla:
io… ti ammiro. Ammiro il tuo modo di pensare, la tua tendenza a non
illuderti per nulla, la sicurezza con cui ti avvolgi, la tua capacità di non
farti prendere in giro dalle speranze. Contrariamente a quanto tu potresti
credere, non ti ho mai disprezzato. Ho tentato di farlo, non ci sono
riuscito. Temo i tuoi giudizi. So che mi pensavi freddo, forse crudele… e
questo mi faceva male. Non volevo che pensassi questo di me. Avrei voluto
che anche tu mi ammirassi come ti ammiravo io” rimase in silenzio per un
attimo, poi sorrise con disprezzo e commentò: “Dio, quanto sono stupido…”
“No, non lo sei. Non è
stupido chi è in grado di affezionarsi alle persone. Perché dovresti
rimproverarti di queste tue parole? Ciò che mi hai confidato non è una
vergogna… e non sei l’unico a provarlo. Anche io… ti apprezzo” confessò
finalmente. Cosa ammise? Una mezza verità. Per ora, era anche troppo. “Ti ho
sempre ammirato e rispettato. Apprezzo la tua grinta, la tua capacità di
credere nelle tue idee e di tentare di metterle in pratica. Io non sono come
te, eppure vorrei esserlo… perché tu hai i tuoi sogni, io non ho nulla. Una
persona come te non merita di soffrire. Io odio vederti soffrire”
concluse su tono più sommesso.
“Perché?” lo interrogò
stupito Duval.
“Perché il tuo dolore
mi fa male…” spiegò semplicemente, andandosi a sedere al suo fianco.
“Credevo che a te
non ti importasse affatto di me…”
“Non è vero. Ciò che
provi tu… le tue sensazioni… tutto di te è importante per me. Lo è sempre
stato” assicurò, facendo un vago gesto nell’aria.
Si stava scoprendo
troppo? Forse.
Provò di nuovo
l’intenso desiderio di stringerlo. Non cercò di contenersi. Si sporse e
delicatamente lo avvolse fra le sue braccia, stupendosi di sentirlo
immediatamente rilassare contro di sé. Prese a far scorrere lentamente le
mano sulla sua schiena, in lente ed esitanti carezze.
Stava osando troppo?
Forse.
Ma quando avrebbe
avuto un’altra occasione? Probabilmente mai più.
Quella sensazione…
sentire il suo calore così vicino lo stordiva… non avrebbe mai voluto
lasciarlo andare…
“Sono contento” lo
sentì mormorare “Che tu tenga a me. Tu sei l’amico che io avrei sempre
voluto avere”
Henri lo allontanò
immediatamente da sé con il cuore in gola. Quelle parole… non aveva mai
provato una felicità più intensa! Una felicità più ingenua. Sentirlo dire
che teneva a lui lo faceva impazzire! Certo, teneva a lui come ad amico… ma
questa semplice ammissione gli aveva fatto tremare le mani. Non si stava
prendendo gioco di lui, vero? Se solo avesse saputo quanta gioia, quanto
dolore era in grado di procurargli…
Cercò di indagare nei
suoi occhi azzurri, riuscendo a fatica a sostenere il suo sguardo. Non vi
vide falsità… eppure riuscì con suo grande stupore a scorgervi della paura.
Perché?
Immediatamente comprese quale fosse il
problema: Duval non aveva mai fatto un discorso del genere con nessuno. Non
era abituato ad aprirsi, non era tipo da rivelare i suoi sentimenti, le sue
necessità. Doveva essere stato difficile e doloroso… ed ora forse provava il
timore che lui lo deridesse ed usasse le sue rivelazioni per fargli del
male. Eppure, pur rendendosi conto di questo rischio, aveva accettato
comunque di esporsi…
Si decise a ricambiare
quella fiducia: “Io vorrei esserti amico. Io l’ho sempre voluto. Ho
sempre odiato i litigi, gli insulti, il falso disprezzo… non avrei mai
desiderato ricevere questo da te. Mi credi, vero? Sai che non sto mentendo”
Jean annuì e sorrise.
Dio, quel sorriso…
Grantaire notò che
sembrava stanco e fece per alzarsi dal letto. Venne però trattenuto per un
braccio e non poté evitare di sentirsi turbato, sentendo quella mano sottile
e bianca posarsi sulla sua pelle abbronzata.
“Dove stai andando?”
“Beh, penso che tu
abbia bisogno di riposare e così…”
“Ma dove dormirai,
allora?” interrogò Jean con viso perplesso.
“Non preoccuparti,
passo spesso le notti in bianco” spiegò con naturalezza.
“Non se ne parla
nemmeno! Rimarrai sul letto assieme a me. Non mi darai fastidio, te lo
assicuro”
Ma non comprendeva
proprio?!
“Sì, ma…”
Desistette, scorgendo
sul viso dell’altro quell’espressione decisa che era la massima
manifestazione della sua cocciutaggine. Ovviamente non gli era possibile
spiegargli il motivo reale per cui riluttava tanto a condividere con lui lo
stesso giaciglio… altro che San Lorenzo sulla graticola!
Si stese al suo fianco
dopo aver spento la candela. Un silenzio completo piombò su di loro,
interrotto solamente da rumori attutiti provenienti dagli appartamenti
adiacenti a quelli di Henri.
“Senti ancora molto la
sua mancanza?”
Avrebbe voluto
prendersi a schiaffi! Come aveva potuto pensare di fare una simile domanda?
“Sì… più che altro del
modo in cui mi faceva sentire…”
Che altra risposta
avrebbe dovuto aspettarsi? L’aveva sentito tremare contro di sé, prima!
“… ma ora sto meglio”
concluse Duval, con voce decisa e priva di tremiti “Mi sento di nuovo vivo.
Mi hai fatto stare meglio… anche se non riesco a capire come tu abbia potuto
farlo”
“Sono contento di
averlo fatto” rispose semplicemente.
Gli rispose solo un
sospiro sommesso.
Il sonno infine parve
calare… o almeno su uno di loro.
Henri riusciva a
sentire il respiro calmo e profondo di Jean, la sua presenza accanto a sé… e
non aveva alcuna intenzione di dormire. Come avrebbe potuto sprecare in tal
modo una simile opportunità? Duval gli stava permettendo di condividere la
sua vicinanza… e lui voleva essere ben desto, voleva cogliere tutte le
proprie emozioni per potersene poi avvolgere le notti seguenti, quando il
suo letto sarebbe stato vuoto e la sua solitudine desolante. Si chiese se
sarebbe mai riuscito a trovare il coraggio di confessargli che lo amava.
Marius vi era riuscito, semplicemente ed innocentemente. Non credeva di
potercela fare a sua volta. Probabilmente non aveva forza a sufficienza… la
paura di venire allontanato era troppa. Ma avrebbe mai saputo accontentarsi
della sua amicizia?
Quante cose erano
cambiate in poche ore… e lui era sempre stato sinceramente convinto che
Duval lo odiasse e che fosse inumano! Che cieco…
Jean si girò nel sonno
e lui riuscì ad avvertire il suo respiro leggero sfiorargli la nuca. Velò
gli occhi verdi con le palpebre, emettendo un profondo sospiro.
Dormire… una funzione
vitale veramente, veramente stupida…
Fine prima parte
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