Storia originale yaoi ambientata a Parigi nel periodo della Rivoluzione francese. Questa prima parte si svolge nel marzo 1789, alcuni mesi prima della presa della Bastiglia, che avverrà nel luglio del rispettivo anno. Dopo avervi fornito questi punti di riferimento spaziali e cronologici, vi auguro buona lettura. Siate buoni con i giudizi… vi chiedo solo di volere un po’ di bene ai miei personaggi!


 

Due onde

 

di Dream

 

Parte I

 

Ingenui. Li commiserava apertamente per quelle utopie sciocche, per le loro speranze infantili. Eppure… eppure un’altra parte di sé gli sussurrava malignamente che in realtà lui avrebbe dato volentieri l'anima per poter condividere quelle aspettative, per crederci a sua volta, per trovare in sé uno scopo atto a giustificare quella sua vuota, dopotutto inutile vita. Inutile, perché dedicata a nulla. Inutile, perché priva di senso…

Ma, semplicemente, non ci riusciva: non condivideva le speranze del popolo, non sperava nella loro lotta, non credeva nei loro ideali. Era un disilluso, lo era sempre stato.

Sentirlo parlare di libertà, di uguaglianza, di fraternità, di condivisione… che convinzioni patetiche! Non si rendeva conto che gli ideali per cui si infiammava in quel modo tanto assoluto quanto sciocco erano, alla fin dei conti, inattuabili? Mah! Decisamente Henri non avrebbe mai saputo comprendere l'entusiasmo devastante che rendeva febbrile quello sguardo, che calamitava inesorabilmente l'attenzione delle folle su quella voce appassionata, su quel volto puro e deciso. Sul volto di quel giovane che stava parlando davanti ai suoi occhi.

Per un semplice caso era capitato in quella piazzetta e lo aveva visto lì.

Stava ritornando al suo appartamento situato in un vicolo del Quartiere Latino, a non molta distanza dalla Sorbona. Aveva trascorso una giornata grama davanti al Palazzo di Giustizia alla caccia di qualche caso di cui occuparsi, ricercando invano un disperato disposto a pagare un avvocatuncolo sconosciuto come lui per sbrigare i propri affari. Dalla parola ‘invano’ avrete capito che non era stata la sua giornata fortunata. In effetti, non era quasi mai la sua giornata fortunata.

Le offerte di lavoro scarseggiavano, ogni giorno diminuivano le possibilità di riuscire ad accaparrarsi una causa. Ma Henri poteva anche comprendere i motivi di tale situazione: la gente era allo stremo… se avesse posseduto del denaro, non lo avrebbe di certo sperperato in sterili atti legali! Ormai a Parigi in troppi erano ridotti alla pura ed essenziale sopravvivenza, lui stesso poteva annoverarsi in quel gruppo. Se poi qualcuno fosse stato ricco al punto da potersi permettere il sussidio di un avvocato, sicuramente non avrebbe assoldato un leguleio come lui, con il suo soprabito rivoltato e le pezze sui pantaloni frusti!

Che vita misera... il guaio era che non poteva nemmeno permettersi di sperare in una svolta positiva! I Francesi parevano affondare inesorabilmente nella miseria, ogni giorno di più e più insidiosamente… con ogni probabilità in maniera irreversibile.

Eppure in mezzo a quel fango sorgevano ancora dei fiori… fiori che proprio a causa di tale desolazione apparivano ancora più splendidi ed incorrotti.

Davanti ai suoi occhi ora spiccava un giglio. Magnifico, fulgido. Puro.

Era appena giunto in quel piccolo spiazzo, che in realtà pareva più un crocevia che non una piazza. Si era fermato, attirato dalla folla che si era ammassata in quel luogo, formando un crocchio attorno ad una singola persona. Quel gruppo attento si manteneva in un silenzio religioso, quasi impregnato di venerazione: una cosa veramente singolare per gente così irrimediabilmente polemica come i Parigini! Chi diamine stavano ascoltando con tale trasporto? Robespierre forse, oppure Saint Just? Narratori di fole…

Non vedeva l’ora di potersi beffare fra sé e sé del malcapitato oratore di turno, intento a sciorinare con incredibile convinzione i propri inattuabili sogni a quel branco di pecore ignoranti e credulone!

Raggiunta una buona posizione di osservazione, Henri rimase lievemente stupito dal constatare che non si trattava affatto di uno di quei personaggi che aveva elencato prima, ovvero individui osannati dal popolo ma al tempo stesso distanti dalla folla e da lui. L’esaltato rivoluzionario in questione era invece una persona che conosceva. Una persona che aveva perfino imparato ad ammirare durante i corsi che avevano seguito assieme alla Sorbona, la prestigiosa università di Parigi.

Conoscere? Ammirare?! Ma chi cavolo voglio prendere in giro…

Henri Grantaire si appoggiò ad un muro, con il viso per una volta privo dell'abituale sorrisetto sarcastico e disilluso che ormai era una sua prerogativa. Il suo viso, incredibilmente, stava esprimendo un sincero rispetto.

Ci si poteva infatti prendere gioco di chiunque, ma non di un tipo come Jean Duval.

Nessuno si sarebbe mai azzardato a deridere una personalità come quella, così ardente ed immacolata, senza sentirsi colpevole in seguito… senza macchiarsi di un peccato morale simile a quello che gli sarebbe gravato sull’anima se avesse osato sputare sull'altare della Madonna. Non si può schernire impunemente la decisione fiduciosa.

Henri lo ammirava con uno sguardo corrucciato. Non poteva farne a meno, semplicemente. Osservava febbrilmente quegli occhi accesi, quel volto infiammato dall’ideale e dalla speranza. Ascoltava quella voce fremente e metallica che instillava, tramite le sue frasi, la speranza nella mente di quella povera gente, ormai talmente abituata al giogo del tiranno da non ricordare più il significato della parola ‘ribellione’.

Si trovò a considerare che persone come Jean Duval erano pericolose, estremamente pericolose. Erano in grado di attizzare il fuoco dalle ceneri e di alimentarlo, era vero… ma sarebbero state poi in grado di spegnerlo? Avrebbero saputo contenerne l'impetuosità, dirigerne la fiamma purificatrice solo verso il legno marcio, impedendole di divorare tutto il mobile? Non ne era poi così sicuro. Volevano una ribellione, una rivolta per rovesciare un regime corrotto… ma pensavano mai al ‘dopo’? Ad un ‘dopo’ che forse non sarebbe stato idilliaco come loro ingenuamente lo dipingevano?

A giudicare dall'impetuosità che animava i gesti di Jean e dal crescente tono della sua voce, il discorso del suo ‘amico’ (se così poteva chiamarlo…) stava per volgere al suo termine. Doveva ammettere che era piacevole e coinvolgente ascoltarlo. Si sentiva quasi portato a credere alle sue parole, a lasciarsi trascinare e ad arrendersi ad esse, alla sua voce… come avrebbe voluto fare Ulisse con il canto delle sirene. Ma, esattamente come Ulisse era impedito da solide corde, a frenarlo vi era un certo scettico pessimismo… ed anche una sorta di tremore più profondo che solo quel giovane biondo era in grado di incutere in lui.

Lo ascoltò citare idee di Robespierre, di Marat… sciorinare discorsi e frasi di Montesquieu, di Voltaire, di Rousseau… nomi probabilmente barbari ed ignoti alla stragrande maggioranza del suo uditorio, che lo stava fissando intimorito dal suo sapere, da quella conoscenza che già di per sé significava libertà… ed anche dominio sugli altri.

Jean li teneva in pugno a causa della loro ignoranza, eppure bisognava riconoscere che a loro non dispiaceva affatto essere stretti da quella rete.

Duval scese agilmente a terra dalla botte che aveva costituito il suo improvvisato pulpito e terminò la sua arringa con un’esclamazione che suscitò le ovazioni del popolo.

“Libertà!!!”

Quanta passione in quella voce giovane e fresca… quanta impetuosità era in grado di liberare, solitamente nascosta dal suo atteggiamento freddo ed altero.

Dopo un attimo di esitazione, Grantaire si appressò a lui richiamando la sua attenzione: “Ehi, Duval! Che ne dici di venire con me a bagnarti la gola? E' da un'ora che stai sbraitando a vuoto su questioni fumose ed oscure… sono pronto a scommettere che hai bisogno di qualcosa da bere!”

Il suo interlocutore, non appena udita la sua voce, si girò verso di lui irrigidendosi in ogni sua fibra. Henri non poté esimersi dallo scrollare sfiduciato la testa, sospirando impercettibilmente.

Non era un mistero l'astio innato che Duval aveva sempre nutrito nei suoi confronti. Era vero che ad esso si univa anche una certa ammirazione per la sua acuta intelligenza, del dissimulato timore per il suo mordace sarcasmo ed una sorta di celato rispetto per la sua fredda intuitività, ma tutto comunque svaniva sotto il manto del disprezzo. Jean aveva da sempre cercato di mantenersi a distanza da lui e dal suo modo di vedere il mondo: non sopportava il suo disinganno, il suo cinismo disilluso che faceva costantemente vacillare le speranze per il futuro del popolo e della Francia.

Dacché Henri riusciva a ricordare, mai una loro discussione si era conclusa in modo diverso da un litigio! Magnifico, no? Non sopportava questa situazione… ma, a quanto pareva, non poteva andare diversamente fra loro.

Va bene, meglio essere del tutto onesti! Nonostante la freddezza che permeava i loro rapporti, potevano però -in fondo in fondo (ma molto in fondo!)- anche dirsi ‘amici’. Mh… forse era meglio ‘conoscenti’? Più di una volta, anche se ora stentava a ritenerlo possibile, Henri aveva stretto a sé quel corpo sottile per cercare di trasmettergli il calore umano di cui Duval, fredda statua di marmo, sembrava non avere bisogno. Già… semplici abbracci da ‘amici’, pronti ad essere rinnegati quando il momento di debolezza svaniva e Jean ridiveniva il solito, impassibile tutto-d’un-pezzo Jean. Strette da ‘amicizia superficiale’… purtroppo.

Henri si trovò a sperare di non dover ricevere un gelido e sprezzante rifiuto al suo invito di quel giorno. Certe volte era capitato che l’altro lo avesse respinto ancor prima di poter litigare seriamente con lui…

Inaspettatamente, però, quel viso scolpito e cesellato si piegò in un cenno d'assenso. Henri allora si concesse un sorriso che stranamente nulla aveva di beffardo, augurandosi che questa volta la serata non sarebbe degradata in uno dei loro soliti conflitti di idee. Poteva essere la volta buona…

Perché mai non riuscivano ad entrare in contatto se non cozzando l'uno contro l'altro? Talora gli sembrava che loro si comportassero così appositamente per non rischiare di avvicinarsi troppo…

 

>>§<<

 

Fumo, risate… teste riverse sui banconi, canzonette patriottiche o libertine. Una semplice taverna dei sobborghi dove era meglio fare attenzione alla borsa, se proprio si teneva a rimediare qualcosa di cui sfamarsi la mattina seguente. Certo, lui non aveva di tali problemi: era povero in canna! Semmai avrebbe dovuto mantenere alta la guardia Jean, il figliol prodigo di un ricco e panciuto borghese che per ora pareva tollerare pacificamente la passeggera (così credeva l’illuso genitore) ‘fase rivoluzionaria’ della vita del nonostante tutto amato rampollo.

“Ti ho ascoltato, prima. La tua arte retorica è veramente notevole, Duval! Sicuramente saresti stato un avvocato molto migliore di me” iniziò stancamente, cercando di trovare un amo da cui principiare un discorso neutrale.

Questo suo volonteroso tentativo seppe rimediarsi solamente un'occhiata di ghiaccio ed una risposta fredda.

“Non ne dubito, Grantaire. Non sei portato per la tua professione, questo è un fatto risaputo da tutti”

“Potrei conoscere il motivo che ti porta a convincerti di questa sgradita opinione?” inquisì, sentendosi più incuriosito che offeso dall'aspra considerazione dell'amico.

La risposta giunse diretta, senza tergiversazioni: “Come può uno come te difendere le posizioni degli altri, se non crede nemmeno in se stesso?”

“Sbagli. Non è vero che io non creda… semplicemente io diffido. E’ questa la differenza fra un disfattista ed uno scettico… ed io mi vanto di essere principalmente scettico”

“Non mi sembra che il concetto sia poi molto dissimile… e non vedo che vanto ci possa essere in questo! E’ molto meglio credere in qualcosa, piuttosto che non credere affatto” ribadì Duval, fissandolo con ostilità e rifiutando di toccare il proprio bicchiere colmo di liquore ambrato.

“Non sono d’accordo! Credi, poi rimarrai deluso. Non credi, non soffrirai di disinganni” spiegò Henri, non potendo però fare a meno di ammirare ancora una volta quelle tenaci prese di posizione, la limpidezza con cui Jean riusciva a convincersi di ogni propria idea senza nemmeno concedersi il beneficio del dubbio. Come faceva ad essere sempre così dannatamente sicuro di sé stesso? Non l'avrebbe mai capito. Proprio per questo non avrebbe mai cessato di ammirarlo.

La conversazione era già caduta e Jean non sembrava affatto intenzionato a tentare di riprenderne i fili.

Henri lo fissò di sottecchi, domandandosi inconsciamente che cosa si potesse celare dietro al suo sguardo fisso ed alla sua aria concentrata. Gli sarebbe piaciuto poter penetrare i suoi pensieri, poter afferrare qualche sensazione dall'anima di quel blocco di marmo. Talora si convinceva che il compagno, tanto distaccato, non fosse in grado di provare sentimenti per gli altri esseri umani. Forse la natura, avendogli donato un'eccessiva bellezza, aveva voluto lesinare sulla sua capacità di commuoversi, di soffrire, di… amare.

Dio, questo è troppo duro da accettare…

Ogni volta, in qualsiasi situazione, perfino all'interno di quella squallida taverna parzialmente illuminata… Henri non poteva esimersi dal provare le stesse emozioni della prima volta in cui l'aveva visto. Già, se ne rammentava ancora perfettamente…

Era appena giunto a Parigi, rampollo di una nobile casata di provincia, fuggito da casa e da un padre troppo oppressivo che avrebbe voluto fare di lui un degno successore nei suoi territori. Bleah! Figurarsi… mai e poi mai! Per sfuggire a tale desolante prospettiva lui si era riempito un po' le tasche, aveva salutato la madre piangente e si era diretto senza rimpianti verso la capitale, inseguendo le sue aspirazioni ed il suo desiderio di conoscenza e di vita. Non sapeva ancora per certo a quale stile di vita sarebbe approdato, ma sicuramente essere definito dagli altri come sempliciotto titolato di campagna non era mai stato ciò che avrebbe voluto scorgere nel suo futuro!

Aveva intravisto lui per la prima volta all'ingresso della Sorbona. Ne era rimasto folgorato. Ne era tuttora folgorato… povero demente che non sapeva farsi una ragione della realtà!

Ma, ammettiamolo, chiunque avesse visto quella fronte marmorea accarezzata da ciocche di un pallido biondo… il naso greco e fine, le labbra sottili e rosate, lo sguardo chiaro ed impenetrabile… chiunque non avrebbe potuto evitare di formulare qualche pensiero poco casto di apprezzamento! Era inevitabile. Come resistere alla tentazione di cercare di toccare quella pelle candida, quell'algida e fredda bellezza, quel portamento regale e quel corpo da Apollo greco? Eppure guai a chi avrebbe osato avvicinarsi a tale splendore, guai a chi avrebbe tentato di concretizzare il proprio desiderio! Un semplice sguardo sfacciato, un vostro sorriso allusivo, una proposta azzardata… ed avreste visto l'angelo biondo mutarsi in demone di ghiaccio, il sacerdote austero divenire un Alessandro guerriero, quell'eros pallido e fragile innalzarsi fino a richiamare alla mente un gelido e terribile Ares.

Quello era Jean.

Grantaire si stupiva sempre che quel corpo splendido, quella scintillante statua greca sapesse ancora conservare la sua purezza incontaminata in mezzo alla corruzione in cui costantemente si aggirava. Eppure quelle labbra mai avevano baciato, quel corpo non aveva conosciuto passione, quegli occhi non si erano mai infiammati… se non per i suoi ideali di gloria.

Almeno, lui credeva che così fosse…

Inattaccabile. Irraggiungibile. Inarrivabile. La sua eterea e tremenda avvenenza era da sola sufficiente a spaventare i più audaci… la sua eccessiva bellezza sgomentava, intimoriva, respingeva.

Una semplice brama di passione provata nei suoi confronti era quasi un sacrilegio.

Henri Grantaire, in quanto a quest'ultimo punto, ormai non si preoccupava: lui era già dannato… in modo irreversibile, oltretutto. Se doveva proprio essere sincero… lo era da anni. Eppure poteva anche dirsi rassegnato, dato che aveva ormai imparato a conoscere l'unica passione di cui Duval fosse capace.

Jean non aveva che un amore: la patria. Non aveva che un'amante: la libertà.

Aveva fatto di esse le sue compagne di vita, per loro sarebbe morto così come era per loro che stava vivendo, lottando e sperando. Non vi era spazio per nient'altro in quel cuore arido d'affetto. Ma non si sentiva mai solo? Probabilmente sì, ma questo per lui non costituiva un problema. La solitudine lo accompagnava, sicura e fedele seguace degli spiriti elevati. Forse era proprio da essa che lui traeva la propria devastante grinta, la sua meravigliosa capacità di annullare se stesso in un ideale, di credervi ciecamente e battersi con tutta l'anima per esso.

Era di questo che lui, Henri, si era perdutamente innamorato. Della sua forza, della sua purezza. Di ciò che mostrava e di ciò che celava. Del suo mistero e della sua trasparenza. Di ciò che era e di ciò che avrebbe potuto essere. Perfino della gelida ferocia e decisione che usava per difendersi e per attaccare! Attaccare gli altri. Attaccare lui. Un arcangelo Michele pronto a brandire una spada che già troppo spesso aveva lacerato il suo cuore. Jean avrebbe potuto essere l'implacabile Armodio… ma lui purtroppo non era Aristogitone, non avrebbe mai potuto esserlo. Quella fulgida e scomposta bellezza non sarebbe mai stata intaccata dal suo desiderio. Forse questo, visto sotto una certa ottica, era anche un bene…

Iniziò nuovamente a parlare, nella vaga speranza di ritardare il momento dell'imminente separazione.

“Libertà. Ti sei riempito la bocca di questa parola, oggi! Spiegami, come puoi crederci sul serio? Come puoi pensare che questo ideale esista in simile mondo di imperfezione?”

L'unica reazione che riuscì a suscitare fu uno sguardo fiammeggiante accompagnato da delle parole fredde: “E tu… tu come fai a vivere senza sperarci? Libertà: la possibilità di esprimere le proprie idee, di governarsi autonomamente decidendo cosa sia giusto e cosa sia sbagliato… essere privi dell'egida di un tiranno, poter sposare chiunque senza badare a presunte differenze di classe… non venire giudicati colpevoli a priori, non venire guardati dall'alto in basso… esercitare la giustizia facendo sì che la legge sia REALMENTE uguale per tutti… non è libertà, questa? E non è la più sublime delle aspettative?”

“Devo presumere che la tua idea di libertà coincida con la democrazia?”

“La libertà deve necessariamente essere democrazia. Non vedo altro mezzo”

Henri ammirò una volta di più il fulgore che illuminava i suoi occhi adamantini, sentendosi nel frattempo lacerare dentro. Possibile, possibile che potesse viverlo sul serio solamente provocandolo in quel modo? Un suo abbraccio… non avrebbe mai portato al medesimo risultato? Mai? Mai?! Ma, in fondo, abbracciarlo senza saperlo suo forse gli avrebbe fatto ancora più male…

“Credi forse” riprese, troppo perso nello sguardo di Jean per potersi fermare “Che nella democrazia non possa esserci corruzione? In questo mondo ci sarà sempre prevaricazione, ci saranno sempre deboli ed oppressi, ricchi e poveri…”

Duval, glacialmente infiammato, non si fece pregare per ribattere: “Non lo nego, ma è un dovere del popolo, o meglio dei governanti del popolo, saperne equilibrare le percentuali, cercare di limitare il numero di miserabili che si trascinano sui bordi delle strade, evitare che le proprie sorelle minori vadano a prostituirsi per un tozzo di pane… attualmente quasi il totale della popolazione francese sta agonizzando, schiacciata da poche migliaia di ricchi che non si fanno scrupoli per premere il viso dei poveri nel fango. Con la democrazia questo non avverrebbe… questo non verrebbe permesso!”

Incredibile! Henri avrebbe voluto sapere a sua volta che sensazioni devastanti potesse dare una fiducia tanto incontaminata…

“E chi eserciterebbe il potere nel tuo stato perfetto, nella tua democrazia?” lo stuzzicò nuovamente “Quale autorità verrebbe rispettata? Chi farebbe seguire le leggi, chi eseguirebbe le condanne? A chi spetterebbe il compito di discernere il giusto dal riprovevole? Quale organo di governo? Disordine e terrore, ecco in cosa si muterebbe la tua democrazia! Devo forse ricordarti che lo stesso Aristotele, nella tua tanto apprezzata Grecia delle città stato, considerava sprezzantemente la democrazia alla stregua di un governo demagogico di piazza?”

“Ci sarebbe un Parlamento. Una Costituzione da sottoscrivere e degli uomini designati dal popolo come destinati ad applicarla. Aristotele non credeva nella democrazia perché allora, nelle antiche poleis greche, ancora non era stato ideato il diritto di voto, la possibilità di eleggere dei rappresentanti del popolo… io mi riferisco ad una repubblica”

Era a questo che voleva portarlo… vi era riuscito.

“Rappresentanti?” ribatté con tono caustico “Immagino… sicuramente filosofi incorruttibili ed integerrimi come te! Ma hai mai provato a considerare la possibilità che non in tutti gli esponenti del genere umano si trova racchiusa la tua stessa purezza? Appena giunti in possesso del potere, i più spregiudicati lotterebbero per aumentare la propria influenza e per accrescere la propria ricchezza. La tua democrazia si muterebbe in aristocrazia prima, in oligarchia poi… e, chissà, forse anche nuovamente in monarchia oppure in tirannide…”

Se aveva avuto sino a quel momento qualche dubbio su quale sarebbe stata la reazione di Jean, ora sicuramente non ne provava più: quel viso di marmo era immobile e severo, ma la splendida bocca era deformata in una piega amara, quasi di commiserazione.

“Non ti capisco, Grantaire… davvero, non ti capisco. Perché? Perché provi così tanta sfiducia nei confronti della giustizia e della libertà? Tu vedi questi concetti come semplici ideali astratti… non pensi che forse sarebbe possibile, che sarebbe sublime tentare di concretizzarli!? Sei troppo estremista con le tue idee disfattiste e sfiduciate! Prova a crederci!”

“Assurdo” confermò Henri “Reputo impossibile cercare di realizzarli, non ho fiducia nell'umanità. Credo solo nella debolezza che infetta ogni essere. Pensi, speri di poter cambiare il mondo… ma non potrai mai cambiare l'uomo, questo animale imperfetto e meschino che venderebbe il proprio fratello pur di risparmiare a se stesso della sofferenza! Chi mai resisterebbe alla tentazione di impadronirsi del potere e di soggiogare gli altri?”

Venne interrotto dalla sua voce adirata, che a causa del tono alterato richiamò anche l'attenzione degli altri avventori: “SBAGLI! Sbagli… tu sbagli. Non posso tollerare che tu parli così! Il mondo non può essere come lo descrivi tu, non lo è! Il tuo cinismo non è il modo giusto per affrontare la vita. Ti compatisco, Grantaire. Ignori perfino cosa sia la fiducia! Sei così debole e meschino da aver paura di credere in qualsiasi cosa per timore di poter venire disingannato, di soffrire a causa delle tue stesse speranze. Del resto” soggiunse poi, riconquistando parte della sua fredda obbiettività “Sei comunque libero di pensarla come credi, anche se non ti approvo… ‘io non la penserò mai come te, ma mi batterò affinché tu possa pensarla diversamente’.

Henri sorrise, riconoscendo la voluta citazione di Voltaire, ma scosse comunque il capo.

“Fino a che punto si estende il tuo concetto di libertà, Duval?”

La domanda era stata fatta su tono leggero. Meglio cercare di scaricare la tensione…

“Lo sai. La libertà del cittadino finisce laddove inizia la libertà di un altro cittadino. La democrazia è l'identico diritto di tutti di partecipare alla vita politica e di essere titolari della sovranità. L'uguaglianza sociale deve coesistere con l'uguaglianza sul piano economico dei beni”

“Belle parole! Mi congratulo per la risposta. Lo sai che ha un vago sentore di libro stampato? La hai recitata come si declamerebbero macchinalmente le prime terzine della ‘Divina Commedia’ o del ‘Roman de la rose’: a memoria. Da dove provengono queste frasi? Dal tuo amico Saint Just?” chiese sprezzante, senza nemmeno tentare di celare l'odio sottile che lo aveva pervaso alla citazione di quel nome dannato.

Saint Just. Il mentore, il compagno di lotta, l’amico di Jean. La persona da tenere in considerazione, la voce da bere con assetata avidità, lo sguardo da sostenere con ammirazione e fiducia.

Jean Duval e Louis Saint Just lavoravano nello stesso giornale clandestino, condividendo le medesime idee ed aspirazioni. Henri non ignorava che quei due erano molto (troppo?) vicini. Tutti erano a conoscenza di quanto Jean apprezzasse, spartisse e seguisse le idee di quel compagno. Certamente Duval provava nei confronti di quel pazzo aspirante rivoluzionario (Saint Just, per intendersi… d’ora in poi, se vi capita di leggere insulti, sappiate che Henri molto probabilmente li riferisce a lui) sensazioni diametralmente opposte a quelle che sentiva nei suoi confronti! Qualcosa gli diceva anche che, se ciò fosse stato possibile, l'unica persona che Jean avrebbe potuto amare… sarebbe stato proprio Saint Just.

Non gli piaceva odiare, era come sentirsi corrodere l'animo dall'interno. Ma, una volta che si è conosciuto l'amore, è quasi impossibile non sperimentare anche l'odio. Una lama a doppio taglio. Avrebbe voluto dannarsi per essersi permesso di provare quei sentimenti sciocchi e quelle patetiche debolezze! Si disprezzava per la facilità con cui si era dato preda del desiderio… ma questo non gli evitava di venirne consumato.

L'amore lo bruciava, l'odio lo arrugginiva. Per quanto sarebbe riuscito a resistere? Era orribile ascoltare di notte la sua anima che gridava, sussurrava, implorava… priva di eco.

Inoltre, lui era certo che Saint Just amasse Jean. Di un amore cieco, folle, assetato ed obliante. Esattamente come il suo. Ed avrebbe potuto lui, Henri Grantaire, cinico e disilluso avvocato senza stabile lavoro, competere con il mito di Jean… con quel dannato bastardo? Era incredibilmente svantaggiato. Quei due condividevano una lotta spirituale, un'aspirazione inseguita, un futuro prostrante. Nulla rinsalda due spiriti come un'affinità di obbiettivi. Era sconfitto in partenza. Ma quel maledetto non poteva ancora dirsi felice: nel cuore di Duval, per il momento, non vi era spazio per l’amore. Tuttavia, in futuro, quando Jean sarebbe stato meno giovane e meno idealista… chissà?

Quel ‘chissà’ era sufficiente a fargli desiderare la pazzia, la morte, l'assenza di sensazione e chissà quali efferati crimini.

Non era bello sentirsi un idiota. Infatti, a cosa l'avrebbero condotto quell’amore e quella sofferenza? A cosa, se non ad un'agonia… se non ad un interminabile stillicidio? Quanto era stupida l'umanità! Talmente breve era il tempo che a ciascun essere veniva concesso di vivere… talmente breve! Eppure, nonostante ciò, nessun animale pari all'uomo era tanto abile nel rovinarsi la sua effimera permanenza sulla terra creandosi sofferenze ed ostacoli. Lui ne era l’esempio più calzante.

“Saint Just? Si può sapere cosa ha a che fare lui con la nostra discussione in questo momento?”

Ovviamente Jean non comprendeva nulla. Non aveva mai capito niente! Non si era mai accorto dell'evidente desiderio con cui Louis Saint Just lo fissava, così come non avrebbe mai notato la passione che suscitava anche in lui, Henri… ma forse era meglio così. Grantaire non gli avrebbe di certo rivelato la verità. L'innocenza di Duval era forse la più sicura arma di difesa che questi possedesse.

Riprese la discussione, rispondendo alle perplessità dell'interlocutore: “Scusami, hai ragione. Non avrei dovuto chiamare in ballo il ‘tuo’ venerato Saint Just. E’ stata una svista che non si ripeterà. Comunque, dimmi: non credo che ti sia sfuggito un particolare… ovvero che l'attuale monarca è Sua Maestà Luigi XVI, il quale sembra anche che ci tenga a giocare a fare il re, trastullandosi fra i suoi innumerevoli impegni mondani… come pensi di effettuare il delicato passaggio da monarchia a repubblica?"

La replica fu immediata, concisa e diretta: “Semplice. Bisogna destituire quel sovrano inetto! Mandare in esilio quel tiranno incapace, cacciarlo dal suolo di Francia che lui si è dimostrato inabile a governare”

“Va bene, ne convengo con te: è l'unico modo. Non credo però che lui si lascerà privare della sua carica con tanta buona volontà ed un sorriso spontaneo fra le labbra. Del resto, tolto di mezzo il re, rimarrebbero anche i nobili a romperti le uova nel paniere! Credi che loro accetterebbero una democrazia, un parlamento, una costituzione, le tasse da pagare, l'esproprio dei beni, l'uguaglianza sociale ed economica?”

“No, non le vorrebbero”

“Ebbene? Giungereste ad una guerra civile, ve ne rendete conto? Centinaia, forse migliaia di morti, figli strappati alle vecchie madri, neonati orfani, vedove prive di cibo e colme di lacrime, miseria, ferite, dolore, urla, maledizioni a Dio… saresti disposto a portare il peso di tutto questo? E per cosa? Per una semplice utopia?”

“Guerra civile? E guerra civile sia! Non ti guardi attorno? Non ti accorgi che già ora il popolo francese sta lentamente agonizzando, che sta morendo di fame e di stenti? Tutti stanno invocando solo una speranza a cui aggrapparsi, il semplice desiderio di un futuro di libertà, futuro da costruire con le proprie mani dalle basi. Darebbero la propria vita per poter combattere per la salvezza! Se il fine è giusto, la guerra talora è un dovere. E ricorda che io non dico loro di ‘andare’ a combattere, ma di ‘seguirmi’ a combattere. Darei la vita per la mia patria, la offrirei senza rimpianti come un dono per il cielo… tu lo sai!”

Già, lo sapeva. Forse sarebbe avvenuto sul serio. Che fosse proprio quello il destino riservato a quell'Adone guerriero, al giovano Apollo intrepido che sapeva lottare per le sue idee pur ignorando totalmente il calore dell'amore? Sarebbe morto schiacciato dalla violenza della vita? La semplice idea colmò Henri di gelo… di terrore, di straziante dolore. E gli fece dire ciò che forse avrebbe dovuto esimersi dal pronunciare.

“Nulla vale quanto la vita di un uomo, Duval. Stai parlando come un semplice assassino pronto ad uccidere chiunque, anche me, per le tue puerili aspettative! La patria è un concetto astratto di cui gli uomini si servono per adescare altri uomini, e tu te ne sei lasciato accecare… patria, libertà, uguaglianza, democrazia… ma non ti rendi conto che sono semplici sogni formulati dalla tua mente di bambino?! Essi sono inconciliabili con la bassezza dell'uomo…”

Un violento pugno si abbatté sul tavolo davanti a lui, rovesciando il suo bicchiere, mentre contemporaneamente Jean si sollevò in piedi con impeto e fierezza, rovesciando la sedia su cui precedentemente era seduto. Lo sguardo era oltraggiato e sfavillante, la fronte marmorea sollevata fieramente, le labbra serrate, il corpo sottile e fremente: l'immagine stessa del disprezzo.

“Tu non sai cosa sia ciò che io sto provando. Tu ignori cosa voglia dire il desiderio di fondersi con un ideale! E' totalmente inutile parlare con te, non so chi me lo faccia fare! Uomini come te sono indegni di respirare, di parlare, di vivere… perfino di morire! Mi fai pena perché ignori cosa voglia dire credere in qualcosa, mi fai pena perché non hai fiducia in nessuno e non ne avrai mai nemmeno in te stesso!”

Queste parole gli si conficcarono nell'anima come mille sferzate appuntite, eppure Henri riuscì a mantenersi impassibile sino al termine di quella valanga di frasi astiose. Alla fine, con voce tranquilla e sguardo calmo, replicò con tremenda freddezza: “Anche tu mi fai pena, perché nonostante le tue aspirazioni la tua vita è priva d'amore… ed un uomo che non sappia cosa sia l'amore non sarà mai un vero uomo”

Quegli occhi azzurri si sbarrarono, come colpiti nel profondo. Rabbia di essere stato compreso o dolore di essere stato mal interpretato?

Il gesto successivo fu velocissimo: Jean afferrò il proprio bicchiere ancora colmo e glielo gettò in viso con un gesto furibondo, poi corse verso l'uscita e sparì nelle tenebre della notte.

Mh… questa volta la lite era stata addirittura peggiore di molte altre!

Si ripulì il volto con un fazzoletto, pagò il conto per entrambi con il poco denaro che ancora vagava nelle sue tasche e si diresse a passi leggeri verso l'esterno, sentendo il suo cuore farsi incredibilmente pesante.

Splendido! Pioveva.

Non se ne era affatto accorto, trovandosi all'interno del locale. Ciò contribuiva a rallegrare la sua vivace e stupenda giornata… ormai fortunatamente finita.

Strano a dirsi, ma il suo primo pensiero nel venire bagnato da quelle gocce fredde fu per Jean: probabilmente quel demente si sarebbe completamente inzuppato! Il suo spirito era forte, ma… appariva così fragile e nervoso di costituzione! Immaginò quel corpo sottile rabbrividire gocciolante in qualche vicolo. Temeva davvero che Duval avrebbe potuto ammalarsi… in un'occasione quel giovane era già stato colto una febbre molto alta ed a lungo si era mantenuto in bilico fra la vita e la morte. Era avvenuto, se non si sbagliava, più o meno un anno e mezzo prima.

Ricordava di esserlo andato a trovare una volta sola durante la sua convalescenza, sebbene avesse voluto visitarlo più di frequente. Il problema che gli aveva impedito di farlo era che loro non erano propriamente ‘amici’, come già è stato detto, perciò sarebbe risultato strana e sconveniente una sua eccessiva assiduità al capezzale di Jean.

Lo rammentava disteso in un ampio letto a baldacchino, le dita pallidissime e sottili, il viso smunto e scavato, quasi cereo, gli occhi vacui. Aveva avuto paura. Una tremenda paura di perderlo! Era cosciente già prima di allora di tenere a lui in modo particolare, ma aveva compreso solo in quel preciso momento quanto effettivamente amasse quella testa cocciuta che aspirava a lottare per poter cambiare il mondo, come se questo fosse realmente stato possibile.

Henri si incamminò fra le tenebre, cercando di mantenersi quanto più possibile rasente ai muri per ripararsi perlomeno minimamente dalla pioggia scrosciante. Quanto era triste Parigi di notte! Sembrava che le stesse speranze del popolo venissero sommerse da un'indifferenza ancora più fredda di quelle gelide gocce che rigavano il suo soprabito consunto. Che brividi… non capiva se tremasse più violentemente il suo corpo o la sua anima.

Avrebbe voluto essere forte e saper credere in un ideale senza abbattersi, esattamente come faceva Duval… forse in questo modo Jean avrebbe almeno imparato a rispettarlo, se non ad amarlo.

Henri si rendeva conto di averlo appena accusato di non essere in grado di provare amore. Era realmente ciò che credeva oppure la sua voce aveva solamente reso palpabili le sue frustrazioni, la sua rabbia di dover desiderare invano una statua di marmo?

Lui non sapeva nulla di Jean. Non sapeva… se amasse qualcuno o meno.

Visto dall'esterno, sembrava che tutto scivolasse sulla sua superficie liscia e priva di appigli… ma all'interno… cosa vi era oltre quell'involucro di freddo difensore dei propri ideali? Era impossibile che lui non potesse davvero provare sentimenti. Non era forse fatto di carne e sangue come ogni altro essere umano? Ma gli appariva così surreale che Duval potesse sentire passione, desiderio… delle sensazioni, insomma, che non gli derivassero dalla sua personale lotta contro l'oppressione. Avrebbe voluto saper leggere nella sua mente… se solo fosse stato possibile, avrebbe voluto scoprire qual era il suo ruolo nella vita di quel angelo vendicatore! E Saint Just? Che posizione occupava Saint Just? Era solamente un compagno clandestino di lotta… oppure la sua parte nel palcoscenico della vita di Jean Duval oltrepassava i semplici confini dell'amicizia? Interrogativi privi di risposta, semplicemente perché non avrebbero mai dovuto essere formulati.

Non doveva provare amore per Jean, non poteva permetterselo. Ma ormai era più appropriato dire che non avrebbe dovuto provare amore per Jean, che non avrebbe dovuto permetterselo.

Gli sembrava che i suoi piedi stessero affondando nelle sabbie mobili. Più tentava di ribellarsi, di agitarsi, di uscirne… più il processo accelerava. L'amore l'aveva colto in fallo in un momento in cui non aveva pensato di innalzare le proprie difese. Ormai non c'era più nulla da fare se non cercare (inutilmente) di ignorare ciò che sentiva. Era l'unica soluzione, dal momento che non riusciva a sopprimere quei sentimenti. Se solo avesse potuto spegnere quelle braci… se solo non si fossero mai accese!

Perché si era innamorato di una statua isolata su un piedistallo?

Giunse in vista della sua dimora, da lui chiamata pomposamente appartamento ma ribattezzata volgarmente dai suoi amici con l’epiteto di catapecchia-solaio. Constava di due semplici, disadorne e squallide stanze poste all’ultimo piano di un cadente caseggiato. Esse gli erano state affittate da un'arzilla e gentile vecchietta, chiamata madame Bourgon, che talora si premurava anche di rigovernare un po’ nel suo abitacolo.

Fatto il suo ingresso nell'edificio giunse a tentoni nel buio sino alle scale, sorreggendosi al muro e cercando con attenzione di non urtare nulla per non svegliare di soprassalto i vicini. Non si trattava di cortesia, ma di semplice istinto di conservazione: il suo vicino sulla sinistra era un tipo piuttosto nerboruto che più di una volta gli aveva ammaccato un occhio per essere stato da lui svegliato nel cuore della notte.

Iniziò a salire i gradini, ascoltando i rintocchi di una campana che battevano la mezzanotte. Erano vagamente inquietanti… parevano il simbolo della sua solitudine.

Si affacciò al corridoio e seguitò a procedere, giungendo fino alla propria porta. La aprì lentamente, premurandosi che non cigolasse. Non era solito chiuderla a chiave, non vi era nulla che qualcuno potesse rubargli… a parte un paio di vecchi stivali malridotti che teneva con sé più per affezione che per qualche motivo oggettivo. Certo, c’era il suo violino… ma nessuno sarebbe andato a cercarlo nel doppiofondo dell’armadio!

Richiuse lentamente l'uscio alle sue spalle e si appoggiò contro di esso, esalando un tremulo sospiro. Non aveva provocato rumori molesti… quindi il suo vicino non l’avrebbe preso a cazzotti e nessun amico cretino gli avrebbe chiesto il giorno dopo se si era messo dell’ombretto attorno all’occhio destro per sembrare più affascinante!

Era totalmente fradicio, tremava in ogni parte del suo corpo e non sentiva quasi più i suoi muscoli: parevano essersi ghiacciati tanto erano insensibili! Se non si fosse sbrigato a liberarsi di quegli abiti zuppi, avrebbe rischiato di diventare la vittima privilegiata di una di quelle polmoniti che si affezionano alla gente così tanto, da non volersene staccare più sino a che il corpo ospite non si decida a staccarsi a sua volta dalla vita. Che splendida simbiosi…

Si liberò in fretta di soprabito e farsetto, li lasciò scivolare a terra ed iniziò a sbottonare con impazienza non dissimulata la camicia, facendo attenzione a non danneggiarne la stoffa. Sarebbe stato un guaio, dato che allora sarebbe rimasto privo di camicia di ricambio! Intento in questa operazione, non si era nemmeno premurato di accendere una candela… cosa di cui si pentì immediatamente.

La luce livida di un lampo illuminò una sagoma scura che si stagliava accanto alla finestra.

Chi poteva essere? Un mendicante, un pezzente, un assassino? Qualcuno che aveva scoperto la sua vera identità di nobile, da lui accuratamente nascosta, e che desiderava rapirlo per ricattare suo padre? Le possibilità erano innumerevoli.

Paura… no, non era paura, ma incertezza. Talora è peggio.

Per un eterno istante Henri rimase immobile, con le mani sollevate a mezz'aria ed il ritmico battito del cuore che gli pulsava nelle tempie. Si dimenticò totalmente non solo di dover respirare, ma addirittura di essere in grado di muoversi. Riuscì solamente a trattenere il fiato ed a fissare paralizzato e fremente quella figura ignota e, sembrava, minacciosa. Ignorava assolutamente chi fosse quel tipo e cosa volesse da lui, eppure riusciva a sentire la pressione di uno sguardo gelido incatenato al suo.

Rimasero ambedue immobili per pochi attimi, che tuttavia sembrarono estendersi ad un’intera esistenza. Improvvisamente un brivido di freddo riscosse Henri, che si diede mentalmente del deficiente per la sua totale assenza di reazioni. Cosa stava aspettando?! Una cometa che gli illuminasse la camera?

Recuperato parzialmente il suo sangue freddo, si rese conto che la persona davanti a lui, di chiunque si trattasse, non pareva avere, almeno per il momento, intenzioni bellicose. Si manteneva in quella posizione, come attendendo che lui facesse la prima mossa per poi decidere come reagire. Realizzò che se quello sconosciuto avesse voluto ucciderlo, probabilmente lo avrebbe già fatto. O forse no? Mh… fare congetture era inutile!

“Chi diamine sei?” interrogò, mascherando la sua agitazione sotto un tono di minaccia.

Il silenzio parve ergersi prepotente fra lui e l’ignoto visitatore, quasi geloso di venire interrotto da quella voce roca.

Grantaire sentì svanire tutto il suo terrore a causa dell'irritazione per la mancata risposta. Il timore che ancora rimaneva in lui si era attenuato sino a mutarsi in una sottile ansia che lo rendeva ancora più ardito. Con la sicurezza di uno che conosce il proprio territorio e che sa come approfittare di questo vantaggio, Henri si avvicinò con passo felino e silenzioso alla propria scalcinata scrivania ed afferrò senza esitazione un candeliere, accendendolo dopo un paio di tentativi infruttuosi. Si voltò con uno scatto verso l'ignoto ospite, pronto ad attaccare o a difendersi… pronto a tutto, insomma! Beh… quasi a tutto! Infatti non era affatto pronto all'attonito stupore che lo assalì alla vista del pallidissimo e tetro viso di Jean che emergeva dalle tenebre della sua stanza.

Jean? A casa sua?!

Fece un inconsapevole passo indietro, sospinto dalla quasi materiale pressione di quegli occhi azzurri, freddi ed impenetrabili che si erano incrociati con i suoi.

“Che cosa vuoi? Che ci fai qui?” mormorò con voce tremante, chiedendosi per caso se non fosse tutto frutto di una grottesca allucinazione… se non si trattasse solo della materializzazione di un suo desiderio! La cupa atmosfera di quella notte di fine marzo contribuiva a fare da sfondo a quello scenario irreale.

Jean prese ad avanzare verso di lui, entrando nel cono di luce emanato dalla tremula fiamma della candela. Un lungo soprabito scuro fasciava quel corpo sottile ed aderiva ad esso, mentre freddi rivoli d'acqua scivolavano dalla stoffa e cadevano sul pavimento di legno producendo piccoli, distinti tonfi secchi.

“Davvero pensi che io non possa provare amore?”

Eh? Oddio… chi dei due era impazzito?

Henri sarebbe forse avvampato, se solo quella domanda fosse stata pronunciata con tono umano, caldo… privo insomma di quella maledetta, perenne freddezza! Ma quello sguardo… quello sguardo sembrava quasi triste, ora… oppure era solo il gioco d’ombre provocato dalla candela?

Si impose di non perdere il controllo. L'amore era forte, però la paura ed il rispetto che Jean riusciva in ogni occasione a suscitargli abbattevano ogni altro desiderio. Non doveva rovinare anche il poco che era riuscito a conquistare… non poteva permettersi di perderlo a causa di qualche gesto sconsiderato.

Avrebbe desiderato urlargli che lo desiderava e che lo voleva… che lo bramava e lo amava… da anni ormai. Sì, da anni. Ma ciò che provava era troppo violento… ne era quasi spaventato. Se avesse permesso a quei sentimenti di emergere, come avrebbe potuto fermarli? Doveva dominarsi.

Prese un lungo sospiro e riguadagnò un tono di voce neutro compiendo un tenace sforzo di volontà.

“Suppongo che sia una tua abitudine autoinvitarti senza avvisare nelle case delle persone che maggiormente detesti! Avrei da discutere su questa tua usanza… comunque, ormai è fatta. Non puoi di certo andartene con una simile bufera! Faresti meglio a spogliarti di quegli abiti fradici. Dormirai qui, ti cedo il mio letto. Purtroppo, come noterai, è sprovvisto di baldacchino e di lenzuola di seta… sto momentaneamente attraversando un periodo di indigenza, quindi ti dovrai adattare”

“Non mi hai risposto!”

Insisteva? E a cosa avrebbe dovuto rispondere? A quel suo interrogativo insensato?

‘Davvero pensi che io non possa provare amore?’

Perché diamine gli aveva rivolto quella domanda? Non conosceva la risposta. Quella domanda… faceva quasi male.

Henri si avvicinò all'armadio e ne estrasse due coperte che era riuscito a recuperare un paio di giorni prima con un'azione non proprio onorevole. Del resto, che altro avrebbe potuto fare? Quelle vecchie erano totalmente sdrucite, sarebbero potute servire solamente come toppe per i pantaloni! Si era fatto allora prestare un abito buono da uno dei suoi amici dei quartieri alti e, senza troppa fatica, anzi assai facilmente, aveva agganciato con squisita galanteria una dama a passeggio nei giardini del Luxembourg, la quale evidentemente soffriva di momentanea solitudine.

Un paio di coperte, fregate come compenso per la compagnia offertole, gli era sembrato il minimo! Arrossiva di vergogna verso se stesso al semplice pensiero… ridursi a quello! Altro che momentanea indigenza…

Certo, avrebbe potuto chiedere del denaro a qualche suo compagno… ma lui per principio non avrebbe mai tollerato di lasciare debiti dietro di sé. Va bene, era conscio che rubare coperte in un appartamento del Marais poteva essere considerato di molto peggiore rispetto all’indebitamento, ma… comunque, non sarebbe successo più. Non avrebbe nemmeno ricercato quella dama se lei, con quei capelli biondi, non gli avesse ricordato così tanto… basta!

Perché sentirsi in colpa? Perché giustificarsi? Lui non aveva nessuno a cui mantenersi fedele. Se per una volta si era concesso un momento di spensieratezza, unendo l’utile al dilettevole, che male poteva esserci?

Con il suo aspetto non avrebbe avuto difficoltà a trovarsi un compagno o, eventualmente, una compagna… il suo sguardo verde e penetrante, la bocca ben disegnata, i lineamenti marcati e simmetrici attiravano sulla sua persona numerosi sguardi ammirati. Tuttavia ad Henri non importava nulla degli apprezzamenti o delle proposte che riceveva… era, purtroppo, troppo innamorato di un'astrazione ideale per potersi curare di qualcun altro.

Talvolta provava desiderio per altre persone, ma si trattava soprattutto di bisogno di calore, provocato dal terrore che la sua avvolgente solitudine si potesse perpetuare all’infinito… nulla di più. Non amore, no. Forse, accettando la corte di qualcuno dotato di una discreta agiatezza, avrebbe potuto vivere in condizioni migliori... ma l'idea lo inorridiva. Non si sarebbe mai fatto mantenere… detestava la dipendenza, quell'obbligo di provare riconoscenza che paralizza i tuoi atti a causa del continuo desiderio di ripagare, lo smarrimento della personalità che ne consegue. E detestava l’idea di doversi sentire legato a qualcuno che non amava!!

Ma non era di certo un asceta! Il suo controllo veniva spesso messo a dura prova…  soprattutto in momenti come quello. Ecco la sua astrazione, il suo amore ideale (Jean insomma…) in piedi davanti a lui in tutta la sua concretezza, che lo esortava a rispondere ai suoi interrogativi quanto mai assurdi!

Si decise ad assecondare il compagno, sapendo per esperienza certa che mai Duval avrebbe arretrato nelle sue pretese finché non gli fossero state fornite risposte per almeno parte di ciò che desiderava sapere.

“Amore? E' strano sentirti parlare d'amore… sembra quasi che questa parola stoni, pronunciata dalla tua voce” Jean lo avrebbe schiaffeggiato per quelle parole? Ma non importava. Decise di continuare: “Esistono diverse sfumature di amore, questo è noto a tutti. Vuoi davvero che te lo dica? Io personalmente ritengo che tu sia in grado di provare solo alcuni dei vari tipi di amore da me conosciuti”

Jean parve irrigidirsi ed impallidire, prima di affermare sarcastico: “Spiegati meglio. Avanti, descrivi ciò che provo e sento! Puoi farlo, evidentemente mi conosci bene… anzi, ritieni addirittura di conoscermi meglio di quanto mi comprenda io stesso!”

Henri finse di non rilevare il sarcasmo e procedette nella sua dichiarazione: “Il tuo amore è sublimazione, purificazione, abnegazione. Tu ami i tuoi ideali e il futuro che hai progettato, li ami come fossero tangibili e daresti te stesso per essi. Forse è questo il tipo d'amore più nobile che ci sia… certamente quello che io maggiormente ammiro. Sai molto bene quanto mi risulti difficile credere in qualunque speranza. In quanto all'amore passionale… non so. Francamente, non penso che tu possa concepirlo”

Che senso aveva questo discorso?

Jean si allontanò da Grantaire per accostarsi lentamente alla finestra. Henri, osservandolo e cercando di interpretare il suo mutismo, si accorse che tremava.

“Duval, ti prego, togliti quegli abiti zuppi. Potresti ammalarti di nuovo ed io… io non lo sopporterei” terminò con un sussurrò riluttante, che fece fatica a farsi strada fra le sue labbra strette.

Gli aveva chiesto di spogliarsi e gli aveva offerto di trascorrere la notte presso di lui, eppure nemmeno per un momento aveva pensato di potersi approfittare della situazione. Lui non avrebbe mai deturpato e calpestato quel giglio di candida, anche se gelida, bellezza.

Se Jean avesse anche solamente aperto i primi bottoni della candida camicia di seta, lui sapeva che avrebbe voltato il viso verso la parete… che avrebbe rifiutato di marchiare quella pelle con il desiderio che stava fiammeggiando nei suoi occhi di smeraldo. Velò lo sguardo con le palpebre, pregando che Duval non si avvedesse di ciò che lo stava turbando.

Lotta del rispetto e dell’eccitazione.

“Dalla tua voce preoccupata si direbbe quasi che tu tenga alla mia salute” osservò Jean “Divertente! Sappi che non devi fingere, che non devi manifestare falsa sollecitudine solo per cercare di non sentirti in colpa per il tuo disinteresse. So che è così… tu in realtà non provi nulla per me. Stai solo sopportando la mia presenza in questo momento… e questo ti fa sentire colpevole. La tua insensibilità nei miei confronti ti fa ribrezzo, nega l’umanità che tu spesso ti vanti di possedere”

“Non hai compreso nulla, stupido presuntuoso! Ricordi quando ti ammalasti ed io venni a trovarti a casa tua? Avrei dato tutto il mio sangue pur di riportarti alla vita!”

Il giovane biondo si voltò verso il compagno con un'espressione incuriosita ed incredula sul viso pallido.

“Perché?”

Perché? Avrebbe veramente potuto rivelargliene il motivo? Avrebbe potuto confessargli il suo amore? Ma Jean… non avrebbe saputo che farsene…

“Non puoi capire” si decise a dire, abbassando il capo e sentendo le ciocche bagnate dei suoi capelli neri ricadergli scomposte lungo il viso.

Se solo avesse trovato l'ardire di guardarlo negli occhi, si sarebbe spaventato per il lampo di autentico furore che aveva deformato quei lineamenti perfetti.

Non posso capire. Naturale… anzi, ovvio! Scontato. Puoi affermarlo senza rimorsi. Tutti quanti potete dirlo! Potete parlare di me come se sapeste chi io sia, cosa voglia realmente, cosa abbia sofferto… sono sufficienti poche frasi per inserirmi in una data categoria di persone, per assegnarmi un abbozzo superficiale di carattere con cui riconoscermi. Tu non vedi altro, in me, che ciò che sembro essere nelle occasioni in cui casualmente ci incontriamo. Non ti interessa nemmeno sapere se potrebbe esserci qualcosa di più, qualcosa di diverso… ma che cretino, perché mi spreco a dirti queste idiozie?”

Henri si sentì frastornato al punto di dimenticarsi totalmente degli abiti bagnati e del clima non propriamente caldo della stanza.

A che scopo quel discorso? Perché la voce del compagno era colma di amarezza? Non ce n’era ragione…

Decise di ribattere: “Cosa intendi dire? Sei tu che per primo rifiuti di farti comprendere da altri. La tua riservatezza, il tuo carattere scostante… tutto questo contribuisce a creare una sorta di barriera di rispetto e di timore attorno a te. Bisognerebbe essere molto intrepidi o molto folli per arrischiarsi ad attraversarla! Tu fai paura, Duval. Non dirmi che non lo sai! Il tuo sguardo gelido incute soggezione. Come puoi pretendere dagli altri il coraggio di cercare di superare le tue apparenze? Potrebbe non esserci nulla, dietro. Perché rischiare di farsi male con la tua freddezza?”

Probabilmente aveva parlato troppo e male… di certo nessuno si era rivolto a Jean con tanta franchezza prima di allora. Sperava che avrebbe apprezzato almeno la sua sincerità, se non le sue frasi.

“Amore…” mormorò Duval con tono pensoso “No, probabilmente non so cosa significhi. Tu lo conosci, Grantaire? Questo sentimento… ne parli con tanta foga… sembra proprio che tu ci conviva. Riesci a credere almeno ad esso, dato che non credi a nient’altro?”

“Lo conosco e so quali sensazioni possa provocare. Ma non credo nell'amore… credo piuttosto nella sofferenza che esso riesce a causare”

Duval si appressò nuovamente alla finestra, appoggiandosi al freddo vetro con le spalle ed incrociando le braccia. Qui rimase immobile a fissare Henri per la durata di molti suoi profondi respiri, prima di decidersi faticosamente a parlare.

“Grantaire… ti andrebbe di ascoltare una storia? Forse… forse non dovrei affatto parlartene. Suppongo di stare per fare una vera e propria assurdità di cui non riesco proprio a capacitarmi. Sicuramente più tardi mi pentirò di aver narrato proprio a te un fatto che non ho mai menzionato a nessun altro. Evidentemente io sono privo di importanza per il tuo mondo… ma vorrei avere un tuo giudizio. Tu proclami che io non so amare… e mi fai incavolare con la tua pretesa di sapere tutto di me. Dichiari che sono insensibile e bastardo. Bene! Dopo che ti avrò raccontato tutto, mi dirai se la tua opinione sarà rimasta immutata…”

Henri rimase immobile con le coperte in mano. Non comprendeva quale ragione spingesse Jean ad usare un tono di voce tanto cupo, non vedeva la cagione di quell'estrema serietà… tutto ciò lo stava mettendo a disagio. Stava per scoprire un lato fino ad allora ignoto del carattere di Duval?

Lasciò cadere quanto aveva in mano e si mise a sedere sulla sua scrivania, incrociando le gambe fasciate dai lunghi pantaloni scuri ed appoggiando la schiena contro il muro.

“Parla. Ti ascolto” asserì, usando un tono basso ed evitando di incrociare quello sguardo azzurro.

Il compagno iniziò a parlare, riferendosi probabilmente ad avvenimenti avvenuti parecchio tempo prima… forse a quando ancora loro non si conoscevano a sufficienza per potersi definire compagni inseparabili di diatribe. La voce… era esitante.

“Tre anni fa… dovevo avere più o meno diciotto anni… mi stavo incamminando verso casa attraverso i vicoli oscuri dalle parti del Montmartre. Si stava appressando il tramonto, ormai le strade non erano più sicure: la Parigi della luce del sole stava lentamente lasciando spazio alla Parigi notturna… e questa lenta mutazione era inquietante. Mi affrettavo lungo le strade buie, lanciando rapide occhiate alle ombre che si profilavano nei crocicchi o alle sagome che si stagliavano dietro le finestre illuminate. Non riuscii ad impedirmi di trasalire stupidamente quando una mano mi toccò delicatamente il braccio…”

Grantaire sospinse con un gesto infastidito i capelli scuri e ribelli dietro la nuca, sollevando lentamente gli occhi verdi e cupi su quel giovane che pareva perso nei ricordi. Duval parve avvedersi di quel gesto, ma lo interpretò erroneamente.

“Scusami, cercherò di essere breve e di non lasciarmi trasportare dalla mia innata propensione ai sermoni interminabili…”

“No, io non intendevo…”

Henri venne immediatamente interrotto da quella voce autorevole che riprese a narrare: “Il mio spavento si dimostrò totalmente immotivato. Ero stato agganciato da un ragazzino magro, disperato e dagli abiti laceri… non pareva un borseggiatore o un assassino: il mio istinto non mi suggeriva alcun pericolo. Lo fissai. Mi sentii stringere il cuore alla vista di quella pelle pallidissima, quasi bluastra, di quegli occhi neri cerchiati di desolazione e di quelle labbra violacee per il freddo. Mio malgrado, la mia voce fu incredibilmente gentile quando gli chiesi cosa volesse. Non credevo di essere capace di usare un tono così cortese… non lo credi nemmeno tu, vero? Eppure prova ad ammettere che io sappia provare almeno pietà, se non amore!”

Lo stupore che Jean aveva provato in quell’occasione era ancora presente nel suo accento mentre narrava. Pareva ancora incapace di capacitarsi delle sue sensazioni… della compassione velata di tenerezza che quello spettacolo di miseria gli aveva suscitato.

“Quel ragazzo mi chiese timidamente se volessi fare sesso con lui. Per denaro, ovviamente! Penso che tu abbia già capito che cosa lui fosse. Puoi immaginare quanto questa proposta mi avesse lasciato allibito e senza parole. Probabilmente era stato attirato dai miei abiti ben confezionati che gli avevano fatto prospettare un buon compenso. Gli chiesi quanti anni avesse. Mi rispose che ne aveva quasi diciassette… eppure la magrezza e la povertà lo facevano sembrare molto più giovane! Gli dissi che no, non volevo fare l'amore con lui. Tentai di allontanarmi, ma mi si aggrappò addosso, mi supplicò, mi chiese di avere pietà, di essere caritatevole… lo avrebbero picchiato se non avesse rimediato nulla! Mi assicurò che lui era bravo nel dare appagamento… mi garantì che mi sarebbe sicuramente piaciuto!” ricordò, con una sfumatura di leggerissimo sarcasmo.

Il tono con cui si esprimeva era appassionato e calmo, eppure gli occhi azzurri erano tremendamente freddi e lontani. L'espressione del suo volto non manifestava alcun sentimento di sorta. Grantaire provava la spiacevole impressione che quella storia quasi non lo riguardasse… ma, in effetti, era solo un’impressione.

“Fissai per un lungo momento quegli occhi neri, ampi e cupi come dei frammenti di carbone. Lo invitai allora a seguirmi e lui si mise alle mie calcagna. Pareva allo stesso tempo lieto e triste, come se fosse soddisfatto di aver perseguito il suo scopo ma allo stesso tempo avesse desiderato che io persistessi con il mio diniego. Con suo immenso stupore io non lo portai a casa mia, bensì in una locanda dove gli ordinai un pasto caldo. Evidentemente doveva essere da molto che non toccava cibo, dato che si tuffò letteralmente su un brodino che era veramente stomachevole. Cercai di instaurare una conversazione con lui, scoprendo parecchie cose sulla sua vita… ma forse sarebbe meglio definirla esistenza

Duval scrutò il volto del suo ascoltatore alla ricerca di una traccia di insofferenza, di un segno indicatore di noia e stanchezza che lo avrebbe costretto ad interrompersi. Henri, notando la sua esitazione, lo esortò: “Continua. Per favore…”

Jean annuì e si rituffò nella narrazione.

Grantaire non comprendeva perché gli stesse confidando quegli avvenimenti, cosa mai volesse comunicargli, quale scopo si nascondesse dietro le sue parole. Intuiva che vi era un nesso, un fine nascosto… ma non ne notava alcuno, per il momento. Comunque sospettava che quella storia fosse importante per il compagno… quindi lo era necessariamente anche per lui.

“Si chiamava Marius Bodin. Batteva la strada da quando aveva quattordici anni. Viveva da solo con un padre che sfruttava i suoi profitti per comprarsi alcolici e che lo picchiava se i guadagni non lo soddisfacevano… aveva una parlata svelta e semplice, piacevole ad udirsi anche se inframmezzata da termini in gergo. Intuii in lui una vivace intelligenza, una capacità di dialogo e di ragionamento che purtroppo erano sprecate nella sua condizione. Alle luci delle lanterne ad olio appariva anche… bello. Una bellezza botticelliana, delicata e quasi efebica. Gli occhi non erano neri, ma verde scuro, i capelli corti e castani. La sua eccessiva magrezza ne sminuiva l'avvenenza, ma forse gli conferiva un aspetto grave e malinconico che lo rendeva più interessante. Dopo aver rilevato questi particolari, mi stupii di me stesso… era la prima volta che mi capitava di badare a cose simili!”

Grantaire continuava ad ascoltare apparentemente impassibile, ma in realtà celando gli effetti dei freddi artigli di una sorda gelosia che si stava aggrappando alla sua anima. Mai avrebbe pensato che Duval potesse parlare in questo modo rivolto ad una persona, ad un ragazzo! Cosa avrebbe potuto significare? Cosa aveva provato per quel giovane che ricordava un dipinto sbiadito in olio su tela? Che poteva esserne stato di lui? Intuiva che il finale di tale storia doveva presentare una situazione non propriamente felice… e non se ne rammaricava, pur sentendosi meschino per questo. Non riusciva né voleva provare simpatia per quel Marius che era inspiegabilmente riuscito a far breccia, a catturare l'attenzione di Jean. Come ci era riuscito? Tramite la commiserazione? Beh… probabilmente anche lui faceva pena a Duval, ma il risultato purtroppo non era lo stesso!

“Alla fine gli dissi che si era fatto tardi e, dopo avergli dato un paio di monete, mi accinsi ad andarmene. Non avevo fatto i conti con la sua cocciutaggine. Lui non accettava carità! Il denaro che riceveva doveva semplicemente essere un compenso per il suo 'lavoro'. Non avrebbe mai potuto prendere quei soldi da me. Si giunse ad un compromesso: lui avrebbe intascato quanto gli avevo dato, ma io gli dovetti promettere che il giorno dopo sarei ritornato da lui per venire ricompensato. Non avrei dovuto presentarmi all'appuntamento convenuto… ma non riuscii a farne a meno. Dovevo rispettare la parola data o, più onestamente, volevo rivederlo. Ovviamente non ci fu nessun atto sessuale fra noi, non lo avrei mai potuto permettere né volere…”

Il respiro di Henri non si fece meno oppresso, dopo aver udito questa rassicurazione… e come avrebbe potuto? Non era il lato fisico quello più importante. Sesso privo di amore o amore privo di sesso? Sicuramente la seconda fra le due opzioni lo ghiacciava molto più profondamente… ed ormai le sue congetture lo avevano inevitabilmente già condotto lì.

“Divenne un’abitudine. Concluse le lezioni e gli impegni della giornata mi recavo in quella locanda, ormai nostro convenuto punto di ritrovo, e trascorrevo del tempo con lui. Mi liberava la mente con la freschezza delle sue idee, la sua ingenuità, l’appassionato desiderio di credere nei suoi sogni, nel suo futuro. Lo aiutavo come potevo, gli portavo dei vestiti decenti, gli donavo del denaro. Suo padre ormai non lo picchiava più, si era convinto che il pargolo si fosse trovato un protettore potente e che questo non potesse che essere un bene. Di ciò io ero molto sollevato: non potevo tollerare che qualcuno gli facesse del male. Nonostante tutto questo, lui riluttava ancora ad accettare i miei doni. Continuava a pensare che io gli stessi semplicemente facendo la carità, che lo stessi compatendo… e non poteva accettarlo. Dovevo costantemente pregarlo di lasciarsi aiutare. Gli dicevo che lui ormai per me era diventato un amico, una persona a cui tenevo, che era normale che volessi fare qualcosa per lui. Ero stanco, stanco di vedergli fare quella vita. La sua vitalità era sprecata in mezzo a tutta quella sofferenza… la sua intelligenza non avrebbe mai potuto brillare in quei vicoli. Stava gettando via la sua esistenza, non lo sopportavo”

Un lungo silenzio calò fra di loro. Un silenzio colmo di interrogativi da un lato, di oppressione dall’altro.

Henri non poteva accettare di doversi tormentare ancora a lungo con quei dubbi, con quelle domande… meglio il baratro che un precario equilibrio di incertezza!

“Duval… cosa provavi per quel ragazzo?”

Il ragazzo biondo sollevò di scatto la testa china, incrociando sorpreso i suoi occhi verdi. Sembrava non si aspettasse quella domanda proprio in quel momento, però si rilassò immediatamente. Era come se avesse saputo di dover affrontare la questione prima o poi, come se un simile interrogativo fosse stato inevitabile…

“Gli volevo bene” rispose banalmente, senza esitazioni.

Ma cosa poteva voler dire? Ci sono innumerevoli modi per voler bene ad una persona! Si tiene ad un amico, ad un fratello, ad un amante… li si ama, ma non allo stesso modo! Quel Marius, cosa era stato per Jean, quale ruolo aveva avuto? Amico, fratello… o amante?

“Marius mi domandò perché mi stessi preoccupando tanto per lui. Risposi che volevo la sua felicità, che la volevo ad ogni costo. Che avevo bisogno di credere di poterlo rendere felice. Mi chiese se lo avrei abbandonato, nel caso fossi riuscito a trovargli una sistemazione accettabile e non avesse più avuto materialmente bisogno di me. Disse che se abbandonare la miseria significava perdere me, allora avrebbe preferito prostituirsi per il resto della sua vita. Accadde in quel momento: con una voce estremamente grave lui confessò di amarmi. Di amarmi! Un ragazzo di diciassette anni! Comprenderai il mio scetticismo, Grantaire. Mi era difficile crederlo… anche se forse avrei voluto riuscirci.

Non volle risposte da me, non accettò nemmeno le mie obiezioni sul fatto che eravamo entrambi giovanissimi, sulla differenza di età, sulla palese assurdità della dichiarazione che aveva mormorato con giovanile ma impetuosa passione. Ripeté testardamente che mi amava e che non voleva nulla in cambio del suo sentimento. Non desiderava nemmeno sapere se io lo ricambiassi o meno. La cosa importante per lui era che io mi rendessi conto di quanto ero diventato importante, che non lo privassi della possibilità di starmi vicino. Sai una cosa? Mi sembrò immensamente più adulto di me dopo quelle parole”

“Ma tu… tu lo ricambiavi?” sussurrò, incapace di trattenere la pena che sgorgava dalla sua anima.

Avrebbe voluto riuscire a suscitare lui quelle sensazioni in Jean! Ora… ora, mentre Duval narrava perso in quei ricordi evidentemente così importanti per lui, non sembrava affatto una statua priva di sentimenti. L’espressività dei suoi occhi chiari manifestava dolore, ma quel dolore era vita! Marius era stato in grado di fargli provare desiderio, compassione, affetto… lui avrebbe mai potuto giungere a questo? Perché, perché poi gli stava raccontando quegli avvenimenti?!

Tutto ciò gli faceva solo comprendere che il suo amore non avrebbe mai trovato una fessura per penetrare in quell’anima e far scorrere a sua volta la vita in quelle vene. Deprimente ed inevitabile.

“Ormai poco importa se lo ricambiassi o meno” riprese Jean “E’ una sciocchezza cercare di quantizzare un sentimento perduto, una futilità tentare di inscaffalettarlo all’interno di limiti definiti da convenzioni. Gli volevo bene, semplicemente, e questa pulsione mi spingeva a volere il suo bene. Che altro c’è da dire? Ormai ci stavamo facendo sempre più vicini… ed io incominciavo a sentire indispensabili i suoi occhi ammiratori che mi fissavano mentre tentavo di spiegargli la vita. Spesso lo seguivo nella stanza dove accoglieva i suoi clienti e lì rimanevamo a discutere di tutto e di nulla, anche semplicemente a fissarci senza parlare. Ascoltare la presenza di un altro essere… cosa può esistere di più sublime? Ero sereno. Forse non felice, ma sereno. Avevo sempre provato il desiderio di avere accanto qualcuno con cui condividere la mia anima… ed ora… ora mi sembrava di averlo trovato…”

“Cosa accadde? Perché qualcosa di… di non lieto avvenne, giusto? Stai parlando usando tempi del passato, riferendoti ad un periodo della tua vita chiuso, perduto… come tu stesso hai asserito. Marius… dov’è ora?”

Un sorriso amaro stirò le labbra del giovane. Amaro come una speranza sconfitta.

“Per chiunque voglia andare a trovarlo, sebbene siano pochi, troppo pochi quelli che di lui hanno conosciuto la sua parte più vera… la sua tomba è ormai ricoperta d’erba al cimitero di Montmartre. Ed è colpa mia. Io sono il responsabile della sua morte”

L’ultima affermazione venne detta su tono lacerato, ma al contempo pacato. La sentenza di un giudice che accusava un assassino privo di qualsiasi attenuante.

Grantaire si sollevò in piedi attonito, cercando di non fare il minimo rumore. I suoi occhi increduli si rifiutarono di accettarlo. Il dolore muto che sconvolgeva i lineamenti del suo amico gli stava strappando il cuore, opprimendogli il respiro. Come poteva riuscire a reggere la sofferenza che Jean stava evidentemente provando? Cosa poteva… cosa poteva fare per lui?

Come poteva dire di aver ucciso quel ragazzo?! Avrebbe voluto credere in un equivoco, in uno scherzo… ma Duval non scherzava mai!

“Cosa intendi dire?” ansimò, cercando di prendere fiato… tentando di controllare il lacerante desiderio di andare accanto a lui e stringerlo, stringerlo fra le sue braccia fino a soffocare il suo passato…

“Iniziò tutto una sera in cui mi trattenni da lui più del solito. Continuava a parlarmi del suo desiderio di entrare in una compagnia di attori per poter recitare… ed io osservavo i suoi sogni scorrermi davanti, facendo attenzione a non spiegazzare le loro ali leggere. Era così giovane, poteva crederci! Avrebbe potuto farcela… avrebbe potuto realizzarli! Avrebbe perlomeno dovuto lottare per questo, e si mostrava disposto a farlo. Amavo il fuoco che c’era nelle sue parole mentre mi descriveva il suo futuro. Al tempo stesso fissavo lo squallore della sua camera, la povertà della suppellettili, quelle lenzuola consunte su cui eseguiva quello che riusciva a chiamare con tutta candidezza ‘il mio lavoro’. Una rabbia profonda per ciò che era costretto a fare mi pervadeva. Ora che vi ripenso, forse devo ammettere che la gelosia ebbe a sua volta un importante ruolo nella mia reazione… ad ogni modo, scattai in piedi e mi avvicinai a lui. Lo scossi per le spalle in modo convulso, attirandomi uno sguardo di incomprensione, poi mi decisi a formulare la mia richiesta. Doveva smettere di prostituirsi. Basta. Non potevo più accettare che lo facesse! La sera successiva sarei passato da lui e lo avrei condotto via con me. Sarebbe rimasto a vivere da me finché non avesse trovato un altro modo per mantenersi. Io lo avrei aiutato in qualsiasi modo avessi potuto. Probabilmente Marius era meno sciocco di me: avvertì il mio amore celato dietro a quelle frasi severe. Mi sorrise e mi abbracciò in silenzio, limitandosi ad annuire.

Non avrei mai dovuto fargli quella richiesta… oppure avrei dovuto condurlo via quella stessa sera. Se lo avessi fatto, non lo avrei perso… ed ora… ora sarebbe ancora con me. Ora potrebbe ancora parlarmi… e prendermi in giro per la mia serietà… potrebbe amarmi ancora… potrebbe vivere, capisci?!”

No, basta! Non poteva, non poteva reggerlo!

Henri strinse i pugni e serrò fortemente la mascella, cercando di controllarsi, di evitare che quell’angoscia sottile lo sommergesse. Riusciva a sopportare il proprio dolore, la rabbia di rendersi conto che il cuore di Duval era in qualche modo appartenuto (e forse apparteneva ancora) ad un altro… ma la vista di quegli occhi azzurri vuoti, asciutti ed allucinati era più di quanto potesse accettare!! Attraversò la stanza con poche, ampie falcate e con irruenza lo prese fra le sue braccia. Senza riflettere. Forzò quel capo biondo ad affondare nella sua spalla, stringendolo con forza, artigliandogli la schiena, serrandolo contro il suo petto.

All’inizio lo sentì irrigidirsi e cercare di divincolarsi, ma alla fine Jean parve rendersi conto dell’inutilità della sua resistenza e  gli si rilasciò contro con un sospiro di resa e di dolore.

Dio, sentirlo così vicino… così fragile… tremante ed abbandonato a sé… desideroso di conforto e di calore… così umano, diverso dal solito aspetto di ghiaccio che mostrava ad ognuno!

Ma la cosa più stravolgente era sentire quel cuore che batteva, batteva e batteva contro il suo… all’unisono con il suo!

Poteva avvertire la sua anima spezzata e tenace, il suo strazio e la sua volontà. Era bello… bello ed orgoglioso, stupendo nel suo essere diverso da ogni altro, superiore ad ogni meschinità.

Lo amava. Lo amava di un sentimento troppo forte per poter essere retto e concepito… gli mozzava il fiato! Da quanto, da quando lo desiderava così ardentemente? Avrebbe voluto prendere tutta quella sofferenza su di sé, solo su di sé… per poterlo vedere sorridere. Sentiva un disperato bisogno del suo sorriso in quel momento…

Dannazione, quanto egoismo nei suoi pensieri! Come avrebbe potuto sorridere, se il suo cuore era spezzato?! Eppure lui ne aveva bisogno… aveva bisogno di vederlo sereno, per potersi sentire meglio. Dio, ma non poteva smettere di parlare?!

Eppure, nonostante quel racconto facesse male ad entrambi, esso ormai doveva venire completato.

“Cosa successe poi, Jean?”

Non sapeva perché l’avesse chiamato per nome. Per la prima volta aveva osato farlo… ma in una situazione come quella che importanza poteva avere la denominazione? Che importanza potevano avere le opinioni politiche, le differenze sociali, i rancori, i litigi? Tutto si infrange e si disperde di fronte ad un vero dolore. Laddove c’è il dolore, il suolo è sacro.

Mai prima di quel momento erano stati più vicini… e mai Grantaire si era sentito più lontano dalla sua felicità.

Stava stringendo fra le braccia il ragazzo che amava mentre quest’ultimo gli stava gettando in faccia i sentimenti provati per un altro. Sofferenza…

“La sera successiva andai da lui, come avevo promesso. Avevamo convenuto di ritrovarci nella solita taverna. Lui non c’era”

Quel mormorio convulso si spezzava, si faceva sempre più disperatamente fioco. Eppure sembrava che, ad ogni interruzione, Duval riuscisse a trovare in sé una nuova forza per proseguire… come se non volesse arrendersi di fronte alla propria debolezza.

“Lo attesi per un po’ di tempo, pensando che fosse in ritardo a causa di qualche contrattempo. I minuti scorrevano. L’attesa era uno stillicidio. Non riuscivo a tollerare la preoccupazione in una simile inattività. Scesi in strada e mi diressi verso la sua stanzetta, cercando di scacciare l’inquietudine e la desolazione che cresceva in me al pensiero che Marius potesse aver cambiato idea, aver deciso che in fondo non voleva venire a vivere con me, che… che non mi amava poi così tanto come assicurava. Giunsi alla porta della sua stanza e bussai con il cuore in gola. Mi rispose… solo un flebile gemito”

Un tremito più forte degli altri scosse quel corpo sottile. Jean sollevò le braccia, che prima teneva abbandonate lungo i fianchi, e con esse incredibilmente si aggrappò ad Henri, come se il calore di quell’abbraccio potesse in qualche modo rendere meno gelidi quei ricordi.

Abbracciati, avvinghiati. Uniti.

Grantaire lottò per un breve attimo contro il nodo che gli stava stringendo la gola, prima di trovare voce sufficiente per mormorare rocamente: “Jean… non è necessario che continui. Non devi dimostrarmi nulla. Non voglio che tu ti faccia male in questo modo, te ne prego. Non esacerbare il tuo dolore…”

Venne interrotto da un sussurro deciso: “No, io… io voglio parlartene, voglio che tu sappia! Vuoi ascoltarmi?”

“Si, voglio ascoltarti. Se questo può farti stare meglio…”

Qualunque cosa per farti stare meglio…

Non era possibile, non era possibile amare qualcuno così disperatamente… ed era solo dolore! Solo dolore.

“Entrai in quella stanza spalancando la porta. Sperai che vi fosse il suo sorriso ad attendermi… lo desiderai ardentemente! Ed invece, solo un viso pallido e sconvolto dalla sofferenza. Giaceva riverso sul letto con il petto insanguinato che si alzava e si abbassava affannosamente, procurandogli continui gemiti che non riusciva a soffocare. Gli fui immediatamente addosso… gelato, terrorizzato, sconvolto, preoccupato. Pazzo di terrore. Lo presi fra le braccia delicatamente, iniziando a piangere come un cretino senza nemmeno accorgermene. Lui tentò di sorridermi per farmi coraggio. Fallì miseramente. Mi chiese di abbracciarlo, di abbracciarlo forte senza preoccuparsi di fargli male. Mi disse che sentire il mio cuore battere lo faceva star meglio… io avrei di gran lunga preferito che continuasse a battere il suo!

“Chi gli aveva fatto questo?”

“Un nobile a cui si era rifiutato di prestare i suoi ‘servizi’… solo per far fede alla dannata promessa di non prostituirsi che mi aveva fatto la sera prima!!” rispose riluttante fra i denti, come se il peso della sua colpa stesse schiacciando le sue parole. Riprese dopo un breve attimo di pausa: “Quel dannato aveva cercato dapprima di persuaderlo, poi di minacciarlo… infine aveva tentato di violentarlo. Marius si era difeso, aveva opposto una resistenza disperata, aveva urlato. Il maledetto allora aveva dovuto farlo tacere per evitare che attirasse l’attenzione di qualche pattuglia. Sarebbe potuto scoppiare uno scandalo, il suo ‘buon nome’ forse ne sarebbe uscito infangato… e non è difficile immaginare in quale modo lo avesse ridotto al silenzio. Io lo indovinai subito: il coltello era ancora lì vicino, a terra”

Henri sospirò profondamente, prima di aiutarlo nell’esposizione con le sue domande: “L’identità di quel nobile… è stata scoperta? Si è capito chi fosse?”

“Sì. Conservo ancora con me il coltello dal quale partì il colpo. La lama tuttora è arrugginita a causa… a causa…”

“… del suo sangue” completò per lui Henri, sentendo su se stesso moltiplicarsi la violenza di ogni singola parola.

“Sì” sospirò Jean con voce soffocata “del sangue di Marius” confermò in fretta, come se gli riuscisse difficile o penoso pronunciare una simile realtà.

Riprese quasi immediatamente: “Sull’impugnatura c’è lo stemma della casata. E’ ancora vivo… nonostante tutto. Avrei voluto ucciderlo, sbranargli le carni… ed invece lui ora si sta godendo la vita mentre Marius è circondato dalla fredda terra! L’assassino banchetta nell’opulenza, l’innocente giace nella bara. Eppure avrei potuto assassinarlo. Ho avuto occasioni per farlo…”

“Perché allora non lo hai fatto?”

“Per Marius. Mi fece giurare che non sarei diventato un assassino a causa sua. Stava morendo fra le mie braccia, eppure stupidamente si preoccupava ancora per me! Ti sembra che io lo meritassi?

Invocai aiuto, mi sollevai per andare a cercare un medico… mi trattenne. Mi disse che era stupido che sbraitassi tanto ora: non lo avevo mai fatto prima, sebbene avessi avuto anche motivi validi. Era quindi inutile che iniziassi a strillare adesso, dato che non vi era più nulla da fare. Volle essere abbracciato di nuovo. Lo strinsi a me mentre la sua vita scivolava via senza che potessi fare altro. Lo supplicavo di tacere ma lui continuava a blaterare come al suo solito… con voce però sempre più debole. Si rendeva conto che fra poco mi avrebbe lasciato e che aveva ancora così tante cose da dirmi, che doveva sforzarsi di condensarle in poche frasi… lui, lui che odiava i discorsi fatti in fretta…”

“E… che cosa ti disse?”

“Che avrebbe voluto venire a vivere con me, che avrebbe voluto davvero che io lo vedessi recitare… che da quando mi aveva incontrato la sua vita era cambiata… che non dovevo rovinare i miei occhi piangendo per lui, perché non ne valeva la pena… che non dovevo dispiacermi per lui. Che mi era grato. Mi ripeté un infinità di volte che mi amava e che mi era grato per aver illuminato la sua vita. Che non avrebbe mai voluto lasciarmi. L’ultima cosa… l’ultima cosa che disse fu che i suoi risparmi erano sotto il materasso del suo letto e che voleva che li avessi io, poiché avevo fatto tanto per lui e lui non era mai riuscito a ripagarmi. Poi… i suoi occhi si chiusero. Rivedo quella scena ancora adesso…”

Jean era gelido, rigido e freddo contro di lui. Respirava affannosamente come se stesse piangendo, eppure Henri non udiva alcun singhiozzo uscire da quelle labbra stupende. Sembrava che stesse cercando di trattenere la sofferenza dentro di sé… ma così si sarebbe soffocato con il suo stesso dolore! La ferita era ancora aperta, lo bruciava e lui non riusciva a sopportarla…

“Jean.. Jean… Jean…” continuò lentamente a ripetere quel nome come se fosse una dolce cantilena, un incantesimo per esorcizzare il male.

Perché aveva dovuto attraversare tutto questo? Perché proprio lui?!

“Strinsi per ore il suo corpo esanime fra le mie braccia. Posai un bacio su quella fronte fredda… e sai una cosa? Quello è l’unico bacio che io gli abbia mai dato”

Come aveva anche solo potuto pensare di poter posare le labbra sulle sue? Sfiorare quella bocca pura sarebbe stato un oltraggio a quanto vi era di più sacro al mondo!

“Da allora intrapresi la mia lotta contro la nobiltà ed il regime monarchico che la favorisce. Marius era morto, il suo assassino invece era vivo e libero. Questo era… era ingiusto! Quell’uomo non avrebbe mai potuto venire punito per quanto aveva fatto perché… perché era un nobile mentre Marius era un pezzente. Aveva avuto quindi pieno diritto di ucciderlo, nessuno dei suoi pari gliene avrebbe fatto una colpa! E purtroppo sono i suoi pari ad esercitare la legge, loro che ritengono che la morte di un plebeo sia un evento di nessuna importanza… come se Marius non fosse un essere umano, come se non avesse avuto un futuro, una vita davanti a sé da plasmare… da trascorrere con me.

Il mio dolore venne forgiato dalla rabbia: mi trasformò.

Quel ragazzino aveva saputo far emergere in me sentimenti umani, la sua perdita me li fece totalmente dimenticare. Volli dimenticarli… non mi serviva provare amore, se non avevo più nessuno su cui riversarlo. Ora dovevo combattere, combattere contro l’ingiustizia per cercare un nuovo senso nella mia vita. Non vi doveva più essere spazio per null’altro. Basta con l’affetto, basta con i sentimenti… basta con il dolore. Dimenticai la mia umanità perché era più semplice vivere senza di essa. All’inizio perseguii da solo la mia lotta, poi Saint Just mi si avvicinò alla fine di una sua orazione e mi propose di unirmi a lui. Accettai, comprendendo che da solo non avrei risolto nulla, ma che forse unito ad altri con il mio stesso obbiettivo… forse avrei potuto realizzare le mie speranze. Eppure talvolta un pensiero mi fa credere che ciò che ho fatto e che sto facendo sia del tutto inutile…”

“Perché?”

“Perché comunque le mie belle parole… la rivoluzione, la giustizia, la vendetta… nulla di tutto questo potrà più riportarlo da me… nulla di tutto ciò potrà darmi la felicità vera, quella che solo un essere umano può regalare ad un altro essere umano”

Rimasero in silenzio a lungo, l’uno fra le braccia dell’altro, senza accennare a voler diminuire l’intensità della stretta. Qualche attimo dopo però Henri si accorse che Jean stava tremando violentemente a causa dei suoi abiti bagnati.

“Tremi… non dovresti rimanere così…” gli fece notare.

Non ricevette alcuna reazione. Si decise allora ad allontanarlo da sé, vincendo la resistenza che l’altro opponeva per mantenere chiuso l’abbraccio. Incontrò degli occhi insicuri, lucidi di incomprensione come a volersi chiedere se aveva fatto qualcosa di male per venire respinto. Gli sorrise ed iniziò lentamente a sfilargli la camicia, rabbrividendo nel sentire la morbidezza di quella pelle gelida. No, non era il momento… non era proprio l’occasione giusta per pensare a ‘quello’… doveva cercare di dimenticare i suoi desideri! Il tocco delle sue mani calde sembrò lentamente riscuotere Duval, che lo fissò come se non comprendesse affatto ciò che aveva intenzione di fare. Captò la sua occhiata preoccupata e sospirò, prima di dare le sue spiegazioni.

“Ti ammalerai se non ti spogli… ti prego, continua da solo”

Al cenno affermativo dell’amico, Henri si voltò immediatamente per fuggire la vista di quel corpo che, inerme, si stava svelando alle sue spalle. Tuttavia l’ombra dei movimenti lenti che Jean stava usando per svestirsi si rifletteva sulla parete che stava fissando… poteva vedere le sue mani che slacciavano la camicia bianca, la camicia stessa che ora scivolava lentamente lungo le sue spalle… i pantaloni che venivano calati con un fruscio leggero e che si adagiavano al suolo, accanto agli stivali…

Strinse i denti ed afferrò una delle coperte prese poco prima, tendendogliela bruscamente senza voltarsi. Quando sentì che Jean vi si era avvolto, si permise finalmente di girarsi e di fissarlo negli occhi. Lo sguardo cadde immediatamente sulla pelle bianca di quel petto, che si intravedeva a malapena fra le ombre create dalla coltre che lo celava. Henri si costrinse a distogliere gli occhi per posarli sui vestiti dell’altro che ora giacevano a terra. Li raccolse e li posò nell’armadio.

“Anche tu… i tuoi pantaloni sono bagnati, dovresti toglierli…” gli fece notare Duval con voce sicura, ormai controllata.

Scrollò le spalle con indifferenza, asserendo: “Non preoccuparti, non ho più freddo… del resto, io non mi ammalo tanto facilmente. Sono più robusto di te. Usa il mio letto se vuoi sederti…”

Jean fece ciò che gli era stato chiesto quasi meccanicamente.

Grantaire lo fissò per qualche secondo con viso scuro, prima di decidersi a formulare la sua domanda: “Perché… perché mi hai raccontato tutto questo?”

Duval si passò stancamente una mano fra i capelli, riflettendo.

“Io… avevo bisogno di parlarne con qualcuno. Non l’avevo mai raccontato prima e… non ce la facevo a tenerlo per me…”

“Perché proprio io?!” lo incalzò.

Doveva sapere… voleva sperare!

Seguì un silenzio lungo e teso, rotto finalmente dalla voce di Jean: “Perché volevo… perché sapevo che tu mi consideravi privo di ogni sentimento umano e volevo distoglierti da quest’idea. Non… non sopportavo che tu mi ritenessi insensibile. Non lo sopporto. Ora credi ancora che io non sia in grado di provare amore verso un’altra persona?” terminò quasi con ironia.

“Mi dispiace. Io… ti avevo giudicato solo dalle apparenze che mi hai mostrato, senza pensare che forse avrebbe potuto esserci dell’altro in te! No, ora so e credo che tu possa amare… ed anche soffrire per questo. Sono stato uno sciocco, non ho mai cercato di andare oltre il tuo comportamento. Perdonami”

Eppure era strano. Come mai aveva permesso proprio a lui di scorgere la sua sofferenza? Come mai non ad un altro? Come mai non… Saint Just, ad esempio?! Sarebbe stato di gran lunga il più indicato…

Doveva chiedere ancora, non poteva farne a meno.

“Perché ti dava fastidio che io ti reputassi insensibile? Non ritenevo che ti importasse dell’opinione degli altri… non credevo soprattutto che ti importasse di cosa pensassi io!”

“Beh, hai sempre sbagliato… anche se non su tutto. E’ vero, non mi interessa ciò che gli altri potrebbero pensare su di me, ma il tuo giudizio, la tua opinione… quella sì. Lo ammetto, è una debolezza che ho scoperto in me: tu sei l’unico che con le sue idee riesca a mettermi in difficoltà, a far vacillare i miei progetti e… a farmi infuriare per questo. Io ti ascolto, sempre. Sei in grado di farmi sentire incerto e di farmi rivedere le mie convinzioni. Non credo che ammetterò mai più una cosa simile, quindi ti conviene rammentarla: io… ti ammiro. Ammiro il tuo modo di pensare, la tua tendenza a non illuderti per nulla, la sicurezza con cui ti avvolgi, la tua capacità di non farti prendere in giro dalle speranze. Contrariamente a quanto tu potresti credere, non ti ho mai disprezzato. Ho tentato di farlo, non ci sono riuscito. Temo i tuoi giudizi. So che mi pensavi freddo, forse crudele… e questo mi faceva male. Non volevo che pensassi questo di me. Avrei voluto che anche tu mi ammirassi come ti ammiravo io” rimase in silenzio per un attimo, poi sorrise con disprezzo e commentò: “Dio, quanto sono stupido…”

“No, non lo sei. Non è stupido chi è in grado di affezionarsi alle persone. Perché dovresti rimproverarti di queste tue parole? Ciò che mi hai confidato non è una vergogna… e non sei l’unico a provarlo. Anche io… ti apprezzo” confessò finalmente. Cosa ammise? Una mezza verità. Per ora, era anche troppo. “Ti ho sempre ammirato e rispettato. Apprezzo la tua grinta, la tua capacità di credere nelle tue idee e di tentare di metterle in pratica. Io non sono come te, eppure vorrei esserlo… perché tu hai i tuoi sogni, io non ho nulla. Una persona come te non merita di soffrire. Io odio vederti soffrire” concluse su tono più sommesso.

“Perché?” lo interrogò stupito Duval.

“Perché il tuo dolore mi fa male…” spiegò semplicemente, andandosi a sedere al suo fianco.

“Credevo che a te non ti importasse affatto di me…”

“Non è vero. Ciò che provi tu… le tue sensazioni… tutto di te è importante per me. Lo è sempre stato” assicurò, facendo un vago gesto nell’aria.

Si stava scoprendo troppo? Forse.

Provò di nuovo l’intenso desiderio di stringerlo. Non cercò di contenersi. Si sporse e delicatamente lo avvolse fra le sue braccia, stupendosi di sentirlo immediatamente rilassare contro di sé. Prese a far scorrere lentamente le mano sulla sua schiena, in lente ed esitanti carezze.

Stava osando troppo? Forse.

Ma quando avrebbe avuto un’altra occasione? Probabilmente mai più.

Quella sensazione… sentire il suo calore così vicino lo stordiva… non avrebbe mai voluto lasciarlo andare…

“Sono contento” lo sentì mormorare “Che tu tenga a me. Tu sei l’amico che io avrei sempre voluto avere”

Henri lo allontanò immediatamente da sé con il cuore in gola. Quelle parole… non aveva mai provato una felicità più intensa! Una felicità più ingenua. Sentirlo dire che teneva a lui lo faceva impazzire! Certo, teneva a lui come ad amico… ma questa semplice ammissione gli aveva fatto tremare le mani. Non si stava prendendo gioco di lui, vero? Se solo avesse saputo quanta gioia, quanto dolore era in grado di procurargli…

Cercò di indagare nei suoi occhi azzurri, riuscendo a fatica a sostenere il suo sguardo. Non vi vide falsità… eppure riuscì con suo grande stupore a scorgervi della paura. Perché?

Immediatamente comprese quale fosse il problema: Duval non aveva mai fatto un discorso del genere con nessuno. Non era abituato ad aprirsi, non era tipo da rivelare i suoi sentimenti, le sue necessità. Doveva essere stato difficile e doloroso… ed ora forse provava il timore che lui lo deridesse ed usasse le sue rivelazioni per fargli del male. Eppure, pur rendendosi conto di questo rischio, aveva accettato comunque di esporsi…

Si decise a ricambiare quella fiducia: “Io vorrei esserti amico. Io l’ho sempre voluto. Ho sempre odiato i litigi, gli insulti, il falso disprezzo… non avrei mai desiderato ricevere questo da te. Mi credi, vero? Sai che non sto mentendo”

Jean annuì e sorrise.

Dio, quel sorriso…

Grantaire notò che sembrava stanco e fece per alzarsi dal letto. Venne però trattenuto per un braccio e non poté evitare di sentirsi turbato, sentendo quella mano sottile e bianca posarsi sulla sua pelle abbronzata.

“Dove stai andando?”

“Beh, penso che tu abbia bisogno di riposare e così…”

“Ma dove dormirai, allora?” interrogò Jean con viso perplesso.

“Non preoccuparti, passo spesso le notti in bianco” spiegò con naturalezza.

“Non se ne parla nemmeno! Rimarrai sul letto assieme a me. Non mi darai fastidio, te lo assicuro”

Ma non comprendeva proprio?!

“Sì, ma…”

Desistette, scorgendo sul viso dell’altro quell’espressione decisa che era la massima manifestazione della sua cocciutaggine. Ovviamente non gli era possibile spiegargli il motivo reale per cui riluttava tanto a condividere con lui lo stesso giaciglio… altro che San Lorenzo sulla graticola!

Si stese al suo fianco dopo aver spento la candela. Un silenzio completo piombò su di loro, interrotto solamente da rumori attutiti provenienti dagli appartamenti adiacenti a quelli di Henri.

“Senti ancora molto la sua mancanza?”

Avrebbe voluto prendersi a schiaffi! Come aveva potuto pensare di fare una simile domanda?

“Sì… più che altro del modo in cui mi faceva sentire…”

Che altra risposta avrebbe dovuto aspettarsi? L’aveva sentito tremare contro di sé, prima!

“… ma ora sto meglio” concluse Duval, con voce decisa e priva di tremiti “Mi sento di nuovo vivo. Mi hai fatto stare meglio… anche se non riesco a capire come tu abbia potuto farlo”

“Sono contento di averlo fatto” rispose semplicemente.

Gli rispose solo un sospiro sommesso.

Il sonno infine parve calare… o almeno su uno di loro.

Henri riusciva a sentire il respiro calmo e profondo di Jean, la sua presenza accanto a sé… e non aveva alcuna intenzione di dormire. Come avrebbe potuto sprecare in tal modo una simile opportunità? Duval gli stava permettendo di condividere la sua vicinanza… e lui voleva essere ben desto, voleva cogliere tutte le proprie emozioni per potersene poi avvolgere le notti seguenti, quando il suo letto sarebbe stato vuoto e la sua solitudine desolante. Si chiese se sarebbe mai riuscito a trovare il coraggio di confessargli che lo amava. Marius vi era riuscito, semplicemente ed innocentemente. Non credeva di potercela fare a sua volta. Probabilmente non aveva forza a sufficienza… la paura di venire allontanato era troppa. Ma avrebbe mai saputo accontentarsi della sua amicizia?

Quante cose erano cambiate in poche ore… e lui era sempre stato sinceramente convinto che Duval lo odiasse e che fosse inumano! Che cieco…

Jean si girò nel sonno e lui riuscì ad avvertire il suo respiro leggero sfiorargli la nuca. Velò gli occhi verdi con le palpebre, emettendo un profondo sospiro.

Dormire… una funzione vitale veramente, veramente stupida…

 

Fine prima parte

 

 

      

  

 


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