Due

di Francine


 

Dove sei e come stai?

È difficile, lo so lo sai

 

Passeggio, o meglio, cammino immerso nella folla che invade le strade sotto Natale: ma che avranno da festeggiare tanto? Infondo, per noi giapponesi non è che una festa commerciale, consumistica, priva di qualsiasi spessore tradizionale.

Io, ad esempio, non l’ho mai festeggiato con luci, alberi e festoni vari; non parliamo, poi, del vischio e delle ghirlande!

No, decisamente non mi piace addobbare la casa con tremila cose che finiranno in una scatola in soffitta tre giorni dopo il 25 Dicembre, per lasciare il posto alle decorazioni per il Capodanno.

Ma a te piaceva quest’aria frizzante e quest’atmosfera così carica e ricca di significato, vero?

Doveva esserci qualcosa di importante e solenne per costringere uno come te ad uscire di casa e a tuffarsi nelle strade brulicanti di persone.

“ Ma dove se ne sta la gente per il resto dell’anno?” mi chiedesti una volta, quando andammo insieme a scegliere il regalo per tua madre.

Mi viene da sorridere, nonostante il fatto che tentino di montarmi sopra pur di vedere una vetrina!

Eppure, non c’è niente da ridere, sai ? Mi manchi, amore. Ti penso ogni sacrosanto giorno che nasce, ed ogni sacrosanta notte che passo da solo, stringendo un cuscino e carezzando il posto, nel mio letto, che hai lasciato vacante.

Kaede, dove cazzo sei?

 

Fremo al rosso di un semaforo

Sei tu che cerco nella gente

A piedi, in taxi o dentro gli autobus

 

Non ce la faccio più: ti cerco continuamente, ovunque. Mi sembra di star impazzendo, sento la tua voce chiamarmi, mentre sono in casa, dicendomi che è pronta la cena, o chiedendomi dove diamine avessi messo il trapano.

Ed è perfettamente inutile cercare di uscire in strada.

I miei piedi mi portano sistematicamente al campetto dietro il SevenEleven, quello che si affaccia sul mare, lo stesso dove la sorella di Akagi mi ha insegnato il terzo tempo.

Buffo, sai che non avrei mai e poi mai immaginato che tu mi stessi spiando da dietro un cespuglio?  Ricordo ancora come me lo dicesti, mentre stavamo lavando i piatti, in una fredda e piovosa sera di Novembre.

Ecco, il mio cervello mi rimanda in continuazione ricordi, frammenti di te: tu che palleggi, tu che mi guardi con fare perplesso, tu che dormi, riverso sul tavolo della cucina, tu che ti stropicci gli occhi svegliandoti, tu che ascolti un cd guardando la pioggia cadere.

Tu che mi svegli depositando una serie di dolcissimi baci sul mio collo.

Tu che mi guardi disgustato svuotare il frigorifero.

Tu che voli a canestro con la delicatezza di un angelo.

Il mio angelo dai capelli d’ebano e la pelle di porcellana.

Sai, non avrei mai pensato che saresti uscito dalla mia vita in punta dei piedi.

Mai!

Infatti, da bravo romantico ottimista quale sono, ti cerco ovunque.

Tra la gente, a scuola, al cinema, in metropolitana. Sono persino arrivato a sbirciare nelle automobili in fila al semaforo.

Io sto impazzendo, Kaede, Impazzendo per te  e per i tuoi occhi.

 

Due occhi che ti guardano e poi via

Come forti raffiche

Perdersi nel traffico

E un clacson dopo l’altro chissà

 

I tuoi meravigliosi occhi blu.

Quante volte mi sono perso dentro di loro!

Sanno essere calmi, come due ruscelli di montagna o come il vasto Oceano, ma anche impetuosi, come il mare battuto dalla tempesta.

Una volta ho visto un ragazzo con il tuo stesso taglio di capelli e un paio di occhi pericolosamente simile ai tuoi. Ma erano spenti. Non c’era la tua scintilla, quel fuoco che arde silenziosamente in fondo alla tua anima.

E osservo milioni e milioni di occhi, sperando di incrociare i tuoi e perdermi in essi.

Per il momento, però, mi sono solo perso nel frenetico viavai di Shinjuku.

Il bello è che Yohei me l’aveva detto che ci si sente più soli in mezzo alla folla, che fra le quattro mura di casa. Per quale dannatissimo motivo non gli ho dato retta?

Odio ammetterlo, ma ha più sale in zucca di me e di te messi assieme: se solo avessi seguito il suo consiglio, adesso non saremmo a questo punto.

Ma no! No!

Io sono un genio, figuriamoci se posso pensare che il mio gelosissimo ragazzo possa soffrire per il mio modo di fare… io So che a lui non dispiace che esca con i miei amici, che lo trascuri per stare assieme alla sorella di Akagi.

Maledettissima presunzione!

Quanto tempo è passato, amore?

Tre anni, e in tutto questo tempo non abbiamo fatto altro che lasciare che la frattura esistente fra di noi dilagasse senza porvi alcun rimedio.

Io aspettavo che tu facessi la prima mossa.

Tu aspettavi che io facessi la prima mossa.

E aspetta, aspetta… ormai non ci frequentiamo più, io lavoro e tu… tu ti sarai sicuramente iscritto ad una prestigiosa università statunitense.

Lo so, c’è l’Oceano Pacifico tra di noi… ma allora perché ad ogni colpo di clacson, mi giro pregando che sia tu che mi stia chiamando?

 

Dove sei?

Come stai?

Cambierò se cambierai

 

Kaede dove sei?

Stai bene?

Kaede, lo so, sono stato un coglione, ma anche tu, perché non mi hai detto cosa non andava?

Abbiamo anche litigato per questo. Il nostro ultimo litigio, proprio l’ultimo giorno che trascorrevamo insieme al club di basket.

Buffo, iniziammo a litigare per via di Haruko e abbiamo finito sempre per causa sua.

Ricordi cosa ti dissi prima di uscire dallo spogliatoio con il diploma sotto il braccio?

“ IO dovrei cambiare? Benissimo, Kaede; allora ti dico che cambierò solo quando anche tu cambierai il tuo carattere di merda!”

Cambiare carattere… una bella pretesa!

Sei sicuro che ti piacerei ugualmente, se fossi diverso da quello che sono?

O forse, intendevi dire che dovrei cambiare il mio modo di comportarmi, di relazionarmi con gli altri? Avrei dovuto dare maggiore importanza al nostro rapporto, lo so.

Ma ero un ragazzino di sedici anni!!

Dio, Kaede, se solo potessi dimostrarti che ho imparato sulla mia pelle cosa significa assaporare la tua assenza!

Aiutami a dimostrarti quanto io ti ami!

 

Due perché siamo noi

Due lottatori

Due reduci

 

 

Anche qui in Giappone l’atmosfera pre-natalizia si può toccare con mano, tanto è il fermento che c’è nell’aria in questi giorni di Dicembre.

Ma perché devo andare a scegliere il regalo che i miei mi daranno stasera? Che senso ha?

Vedo che il significato del Natale non ha intaccato il cuore dei pratici giapponesi; d’altro canto, se non l’ha fatto con gli occidentali…

L’unica cosa che accomuna Yokohama a Chicago, in questo periodo dell’anno, sono le vetrine luccicanti, ricche di paillettes e lustrini bianchi e rossi, e babbi natale improvvisati davanti ai Grandi Magazzini. Cammino da stamattina e non ne posso più: ogni passo che faccio spero che mi conduca verso una persona che ha incassato la mia assenza senza colpo ferire? Come poteva essere altrimenti?

Pensavo che partire per gli States fosse la cosa migliore da fare; avrei messo l’Oceano tra me e quel mentecatto dalla testa rossa che mi ha spezzato il cuore.

Ho fatto a pugni con me stesso per accettare la mia omosessualità, non è stato affatto facile, anche considerato il fatto di riscuotere un certo successo con le donne. Eppure ho avuto il coraggio di ammettere a me stesso che ti amavo, Hanamichi, amavo colui che mi aveva eletto come nemico giurato, dio solo sa poi il perché. Anzi, il perché ha un nome ed un cognome: Haruko Akagi.

Lo stesso motivo apparente per cui abbiamo rotto.

Ma io non ti ho lasciato perché tu eri uscito con lei, a comperare delle scarpe, invece che stare con me per il nostro primo anniversario. Ti ho lascito perché tu fossi libero.

Libero di scegliere se e come vivere la tua vita, quale spazio io dovessi occupare all’interno di essa.

Ma credo che tu non abbia capito, vero, Hanamichi? Scommetto dieci contro uno che tu pensi che la mia decisione sia stata mossa solo ed esclusivamente dalla gelosia verso quella ragazza…

Idiota!

Però, forse, hai ragione, in fondo… dopotutto, tu non hai ancora il potere di leggere nella mia mente, certe cose si acquisiscono dopo anni e anni di vita in comune, non certo dopo soli dodici mesi.

Stramaledetto carattere di merda!

Calcio una lattina, decidendo di entrare in un caffè per sottrarmi, almeno per un poco, a quest’orda assatanata di pedoni.

Hanamichi, mi manchi da pazzi!

 

Due canzoni d’amore

Comunque io e te

Con le stesse parole

Seduti a un caffè

 

Ha ancora senso parlare di “noi”? Ne ha mai avuto?

Come vorrei che la tazza di caffè che stringo tra le mani potesse rispondermi!

Fisso la gente che passa davanti alla vetrina del locale in cui mi sono rifugiato: tutti sorridono, beati, felici.

Mamme con bambini al seguito, casalinghe con il cesto della spesa pieno, comitive di ragazzi che hanno saltato le lezioni per rifugiarsi al pachinko…

Fidanzatini, che si stringono in un’unica sciarpa, come quei due che si sono appena avviati per la strada, dopo essersi fermati a bere qualcosa qui.

Come li invidio!

Come vorrei poter anche io, anche IO camminare per strada abbracciato al mio Kaede, avvolti in una calda sciarpa…

Sicuramente mi avrebbe dato dell’idiota romantico, ma non me ne sarebbe importato! Sono certo che, alla fine, l’avrei spuntata io e ci saremmo coperti con quell’indumento anche solo per osservare la neve ammantare i tetti della città.

Sorrido, tra me e me, giocando con il cucchiaino d’argento tra le mie dita quadrate.

Tu sei dentro di me, Kaede.

Qualsiasi cosa io veda, dica, faccia, non riesco a non rapportarla a noi, a te, a chiedermi come avresti agito tu… ma tanto, in cuor mio, so che è inutile e dannoso illudersi di poter ascoltare, un giorno, risposta da te.

A volte ho l’impulso di prendere il primo aereo per gli USA e di correre da te, per dirti tutto in faccia.

Ma poi, la paura che tu abbia qualcun altro accanto a te, mi blocca: so che morirei, sapendoti insieme a qualcuno che non sono io.

Mi alzo, lascio i soldi sul tavolino  e prendo la giacca accanto a me, quando… ho l’allucinazione più realistica di tutta la mia vita.

Tu sei accanto a me, in piedi sulla soglia del caffè, cercando in giro un posto dove sederti.

Mi scorgi: i tuoi occhi si illuminano, mentre lo stupore s’impossessa del tuo viso meraviglioso. Se è un sogno, non svegliatemi!

 

E vorrei solo dirti ora che te ne vai

Che Amore, Amore ,vedrai,

Di un amore vivrai

 

Accade tutto in un istante.

Giri sui tacchi ed esci dal locale, tuffandoti nel mare di carne umana che popola le strade. Ti corro dietro, cercando di non perdere di vista la tua testa che svetta tra la folla.

Avrà pure qualche vantaggio essere alti un metro e novanta, no?

Entri in un Grande magazzino, dove perdo le tue tracce.

Ma se c’è una cosa, UNA sola che ho imparato di te, è che agisci automaticamente, senza pensare.

Allora, penso io: dove mai si rifugerà un fissato cronico del basket se non nel reparto di articoli sportivi?

Salgo sulla scala mobile cercando di non travolgere le persone in coda e di raggiungerti.

O forse dovrei dire ‘precederti’?

Non sei così scemo da andare immediatamente al reparto sportivo, lo so. Allora, mi apposto io, dietro allo scaffale delle scarpe giusto in tempo per vederti arrivare ansante e trafelato.

Sei stupendo: hai la frangia leggermente appiccicata alla fronte, respiri a fatica e ti guardi intorno cercandomi tra la folla.

Respiri a bocca aperta, hai caldo vero? Correre come un pazzo, imbacuccato per una missione al Polo Nord non aiuta di certo…

La tua bocca… Kaede non sai cosa darei per poter affondare in quel caldo e dolce anfratto, per stringerti tra le mie braccia, per recuperare tutto il tempo sprecato! Vorrei tanto correre da te e placcarti per benino, ma mi sono appostato dietro a questo scaffale e cascasse il mondo riuscirò a coglierti di sorpresa!

Mi passi così vicino, talmente vicino che posso toccarti con un dito, e allora esco dal mio nascondiglio e ti afferro per la manica della giacca.

Ovviamente, afferro uno che non sei tu, ma che ha il tuo stesso giubbotto blu, saltando fuori e divellendo la scaffalatura; mentre quaranta modelli di scarpe da basket atterrano sul pavimento del reparto, rimango come un merluzzo a fissare quell’insignificante ometto mezzo morto di paura. Poi ti scorgo mentre, sempre correndo, imbocchi la scala mobile e ti eclissi al mio sguardo.

Faccio per raggiungerti, ma due forti spalle mi placcano da dietro.

Qualcosa mi dice che dovrò sistemare tutte le scarpe una per una, ma non demordo: adesso che so che sei rientrato in città non mi scappi!

 

Ma stasera che cosa fai?

Io che ti telefono

Tu che non sei in casa

 

Riesco a sottrarmi al tizio della sicurezza solo dopo aver sistemato una per una tutte le scarpe sulla scaffalatura. Quando rientro a casa sono le sette di sera; probabilmente starai cenando, o sarai uscito con i tuoi, ma non mi importa. Non mi posso arrendere proprio ora che so che tu sei qui. Che sei vicino a me. Che posso camminare per strada e ‘rischiare’ d’incontrarti.

Mi tolgo le scarpe e sprofondo sul letto a due piazze della mia camera da letto: è lo stesso modello che avevamo visto insieme, quello foderato di stoffa blu notte, come il colore dei tuoi occhi. Compongo il tuo numero  a memoria, le dita che scorrono sui tasti come se fosse un’azione che compiono quotidianamente. E aspetto.

Di vivere o di morire.

“Questa è casa Rukawa. Lasciate un messaggio, specificando il vostro nome e cognome e sarete richiamati al più presto”.

Ovviamente, c’è la segreteria telefonica inserita: la voce di tua madre è sempre elegante come la ricordavo.

Che faccio?

Lascio che la segreteria registri la mia confessione amorosa? No, devo dirtelo io, a quattr’occhi.

Riaggancio la cornetta e mi sdraio sul letto sotto di me.

Ho i piedi a pezzi, la schiena pure e un mal di testa che mi martella da stamattina.

Che faccio?

Mi presento adesso sotto casa tua o domani?

Sì, ma che cosa ti dico?

Buffo, sono tre anni che provo questo discorso tra me e me e adesso che è finalmente arrivato il momento di usarlo, è come se nella mia testa ci fosse il vuoto più completo.

Stringo tra le mani la cornetta del cordless.

Forse è ora che io chiami Yohei e mi lasci consigliare.

Probabilmente mi dirà di aspettarti anche sotto casa e di costringerti ad ascoltarmi, ad ascoltare quello che ho da dire, quello che aspetto di dirti da tre anni.

Già vedo la sua faccia allargarsi in un sorriso: sempre ottimista, Yohei. Sono sicuro che vedrà un motivo recondito dietro questa tua improvvisa apparizione a Yokohama.

Il semplice fatto che i tuoi vivano ancora qui non credo che basti, almeno per lui.

 

“Lasciatemi un messaggio”

Ma è molto più veloce il nastro di me

Che non so mai che dire

E allora proverò ad uscire

Stasera io ti trovo lo sai

 

Come da copione, Yohei mi ha caldamente consigliato di piazzarmi sotto casa tua, previo appuntamento, e di parlarti. Di dirti tutto. Di spiattellarti in faccia il mio cuore, ignorando, almeno per ora, che le cose possano essere cambiate.

“Hana, adesso pensa a te! Digli tutto, senza aver paura che possa essere successo chissà che. Lo devi  e te stesso e a Rukawa. Poi, sentirai che cosa ha da dire lui, poi ti preoccuperai se sta con un altro, se ti odia ancora, se è tornato per te oppure no.”

Le parole di Yohei risuonano ancora nella mia mente: a malincuore, ma mi tocca dargli ragione.

Non ha senso, adesso come adesso spararsi mille paranoie su ciò che forse, e sottolineo forse, sarà successo in questo lasso di tempo. In effetti, sarebbe troppo ottimista da parte mia, sperare che non sia cambiato nulla o che tu non aspettavi altro che rivedermi; il tuo comportamento di oggi pomeriggio attesta l’esatto contrario.

Yohei la fa facile.

“Ok, è scappato: ma prova a metterti nei suoi panni! Tu non fai altro che sperare di incontrarlo da un giorno all’altro, magari per lui non è così! O magari, gli brucia ancora per come è finita tra di voi…Comunque sia, lui non si aspettava di vederti, questo è evidente. Tu dagli un po’ di tempo: un conto è sapere che potrai fare un determinato incontro; trovarselo davanti, beh, è tutto un altro paio di maniche, no? L’unica cosa che puoi fare è parlargli. Probabilmente all’inizio ti dirà di no, ma tu insisti e parlaci, fosse anche solo per telefono!”

 Kaede… richiamo alla mente la tua figura, così come mi sei apparso oggi pomeriggio: non sei cambiato di una virgola, anzi, sei ancora più bello. I tuoi occhi sono più sottili, più profondi più belli.

Perché per un istante, prima che tu ti dessi alla fuga, mi è sembrato che un lampo di gioia li attraversasse?

Sono impazzito, oppure è quello che spero che tu stia provando?

Sospiro.

Stringo i pugni, afferro la cornetta e compongo il numero.

Ancora la segreteria.

Bene: adesso ti lascio il messaggio, sperando di riuscire a fregare il nastro.

“Sono Hanamichi Sakuragi. Se senti questo messaggio, Kaede, lasciami un messaggio sulla segreteria di casa. Ciao!”

Riaggancio, pregando di esser riuscito a registrare tutto il messaggio.

Poso il ricevitore sul basamento e lo fisso per qualche minuto, sicuro del fatto che tu stessi ascoltando la mia telefonata.

Sicuro che prenderai in mano il telefono e mi affronterai.

Sicuro che quell’aggeggio infernale squillerà tra qualche minuto.

Cosa che non accade.

Aspetto per quasi mezz’ora, dicendomi che starai sicuramente prendendo del tempo per decidere, che non è giusto metterti fretta; poi non ce a faccio più e mi alzo.

Esco di casa, per non spaccare tutto, tanta è la frustrazione che provo.

Ma perché?

Perché mi va buca proprio adesso che sono ad un passo dall’afferrare ciò che rincorro da anni?

Decido di uscire: fosse l’ultima cosa che faccio, ti vengo a cercare!

E ti troverò, Kaede, parola mia!

 

Dove sei?

Come stai?

Non ci sei

Ma dove vai?

 

Dove sei, maledizione!

Sto scandagliando tutti i posti che frequentavi di solito.

I dintorni di casa tua, ma niente.

I dintorni di casa mia, ma niente.

Il palazzetto dello sport, anche se è chiuso a quest’ora.

Prendo il cellulare e mando degli sms a Ryota, Micchi, il Gorilla, Ayako e Kogure.

Qualcuno ti avrà pur visto, no?

Santo dio, uno bello come il sole, che sembra appena uscito da un gruppo rock per studentesse isteriche non passa di certo inosservato!

In un attimo la mia povera scheda è tempestata da messaggi di risposta, tutti dello stesso tenore.

“Rukawa? Ma non stava in America?”

“ Ma che per caso Rukawa è tornato?”

“ Rukawa? Ma se non lo vedo da tre anni?”

Inutile, probabilmente non sapevano ancora che tu fossi tornato, Kacchan.

Anzi, quasi sicuramente non volevi che sapessero…tornerai in America, vero?

Ma che mi ero illuso…la tua vita è lì, vero?

Sarai sicuramente tornato per rivedere i tuoi, e presentargli, magari, il/la tuo/a compagno/a …

Mi dirigo verso il teatro del nostro amore, il campo da basket dietro al SevenEleven.

Cammino avvolto nella sciarpa a righe, uno dei regali che mi feci tu, dicendo che s’intonava alla perfezione con i miei capelli. Il vento mi sferza la faccia, ma non lo sento, né percepisco le lacrime scendermi sul viso finché non mi arrivano in bocca. Caccio una mano fuori dalla tasca della giacca e me le asciugo strofinandomi gli occhi, come se fossi un bambino.

Il cellulare squilla: lo estraggo dai pantaloni e mi decido a guardare il display, su cui campeggia un vecchio numero di telefono.

Il tuo.

Deglutisco a vuoto un paio di volte, poi mi faccio coraggio e rispondo.

“Dove sei?”

“Sotto al canestro…”

 

Io sono qui

Come te

 

Ascolto il messaggio lasciato sulla segreteria.

“Sono Hanamichi Sakuragi. Se senti questo messaggio, Kaede, lasciami un messaggio sulla segreteria di casa. Ciao!”

Un groppo in gola m’impedisce di respirare correttamente, mentre ricaccio con fatica le lacrime che fanno capolino dai miei occhi: mai mi sarei aspettato di ritrovarti.

E mai come oggi pomeriggio: cavoli, sembrava una scena di un film di Frank Capra! Non ce l’ho fatta, il mio cuore ha iniziato a battere come un forsennato, assordandomi e irrorando il mio cervello come se stessi giocando la finale dei play off.

O scappavo o morivo.

Morivo trafitto dai tuoi bellissimi occhi nocciola, che ho visto chiaramente allargarsi ed illuminarsi di mille riflessi dorati.

Non so perché tu mi sia corso dietro, né perché tu abbia fatto quell’agguato ridicolo ai Grandi Magazzini; beh, per essere onesti, un’idea ce l’ho, ma è troppo bello per sperare che sia vero!

Dopotutto, in questi tre anni non mi hai mandato né una cartolina, né due righe, niente di niente. Come posso sperare che tu abbia cambiato idea?

Come posso sperare che tu abbia capito i motivi che mi hanno spinto a scegliere di lasciarti?

Ma allora perché tutto questo?

Forse non sbaglio a sperare che ci sia una possibilità, forse anche una sola su un milione di variabili impazzite.

Ho sempre pensato che, in un universo parallelo, la nostra relazione sarebbe ripresa e non ci saremmo più lasciati.

Che male c’è se spero, bramo, prego che sia questo?

Ho solo un modo per saperlo.

Prendo il telefono e compongo il numero di casa tua. Squilla a vuoto, finché non entra in funzione la segreteria.

Riaggancio e apro un cassetto, da cui estraggo un’anonima scatola di legno levigato, un po’ impolverata. Apro, rovisto e trovo la vecchia tessera telefonica.

Provo a chiamarti, ma è sempre occupato.

Con chi stai parlando, Hacchan?

Dio, ti prego, fa che non parli con lei, non con Haruko Akagi!

Mi alzo, m’infilo la giacca, la sciarpa ed esco a cercarti!

Mi porto anche il cellulare, casomai ti decidessi ad attaccare una buona volta!

Dopo pochi passi fuori casa, mi accorgo che non so dove venirti a cercare!

L’indirizzo è rimasto lo stesso, dato che anche il numero di telefono è sempre uguale; però, tu non sei a casa, altrimenti avresti risposto! Almeno spero.

Mentre mi lambicco il cervello, cercando di capire dove diavolo tu possa essere andato, i miei piedi iniziano  a muoversi da soli, come se conoscessero il luogo in cui trovarti.

Ma certo! Certo!

Il campo da basket dietro al SevenEleven! Metto le ali ai piedi, ma quando arrivo non c’è nessuno, solo un grosso gattone rosso che mi guarda perplesso, la testa di lato, come se avesse visto un pazzo; probabilmente è così che devo sembrare: uno appena scappato da una clinica psichiatrica.

Scorgo un’ombra al di là della recinzione, una sagoma terribilmente familiare sfregarsi il viso come fanno i bambini.

Prendo al volo il cellulare e ti chiamo.

“Dove sei?”

“Sotto al canestro…”

 

Con questa paura di amare per

Due minuti

Due ore

Un’eternità

 

Ci fissiamo a lungo, in un’aria carica di promesse, promesse che abbiamo paura che si avverino.

“Pazzesco” faccio io mentre vedo gli occhi di Kaede allargarsi preoccupati.

“Cosa?” mi chiede lui con il suo solito tono di voce assente. Certe cose non cambiano mai!

“ Tutto questo, Kacchan- azzardo mentre mi avvicino e la luce di un lampione illumina il volto del mio meraviglioso angelo- Ritrovarsi così, per caso…”

“ I miei abitano ancora qui…” mi risponde, le mani lungo il corpo e gli occhi fissi su di me.

Mi avvicino sempre più verso di lui, solo un passo a dividerci.

“Ti ho cercato tanto…”

“Ho visto i messaggi in segreteria..” mi dice come se non lo riguardasse. Che sia davvero tutto perduto? Sta’ calmo, Hanamichi, sta’ calmo e prosegui con il piano!

“ Io non mi riferivo solo ad oggi…” inizio mentre scorgo un chiaro fremito scuotere il viso impassibile di Kaede; sta a vedere che forse Yohei aveva ragione?

Annuisce, lasciando che il profumo dei suoi capelli arrivi fino  a me: devo riuscire a riaverlo! Devo farcela!

“Kaede, non ci girerò troppo attorno, non ce la faccio! Io ti amo. Da sempre. Non ho mai smesso di amarti, non ti ho mai dimenticato, per me è come se tu fossi accanto a me sempre. Sei tu il primo pensiero al risveglio e l’ultimo al giungere del sonno. Forse, forse non credo sia tardi per capire cosa non è andato bene fra di noi. Io ho bisogno di sapere tante cose, Kaede; ho bisogno di parlarti, di spiegarmi, di dirti ciò che provo al solo vederti qui davanti ai miei occhi…”

Abbassa la testa, e alza una mano, intimandomi gentilmente di tacere.

Tremo.

Il mio cuore cessa di battere, tanto è grande l’attesa che provo per quello che sta per dirmi.

Da quella bocca meravigliosa, che tanto amo, che tanto bramo di poter baciare e torturare ancora, stanno per uscire le parole che decreteranno la mia vita.

Sentenza d’assoluzione o di morte?

“ Non ci posso credere…” dice balbettando e portandosi una mano sulle tempie.

Resto in silenzio, il fiato sospeso: che sta dicendo?

“Hana- mi fa prendendomi una mano tra le sue- Neppure io ti ho dimenticato…credo che dovremo farci una lunga chiacchierata circa i nostri sentimenti, sai?”

Non ci posso credere!

Non mi hai gettato le braccia al collo, ma almeno è un inizio positivo!

Colmo la distanza tra di noi e sussurro un invito casto al tuo dolce orecchio.

“Parliamone da me…senza alcun doppio fine…”

Il sorriso che mi fai fuga ogni mio recondito dubbio.

 

Due lampi nel mare

Di questa città

Dove tutti han bisogno d’amore

Proprio come noi due

 

Ti accomodi sul divano di casa mia, mentre fuori ha iniziato a nevicare.

Rimaniamo in silenzio per  minuti che sembrano ore, l’uno che aspetta che sia l’altro a parlare per primo.

“Senti…” diciamo nello stesso momento, unendo le nostre voci in una sola.

“Dimmi…” e la cosa sarebbe alquanto buffa, se solo non fossimo entrambi tesi come due corde di violino.

“No, prima tu…”

Adesso inizio ad irritarmi sul serio!

Prendo il tuo mento tra le dita e ti fisso dritto dritto negli occhi.

“Allora, inizio io, o non la finiamo più!”

Annuisci, docile come una pecorella.

“ Kaede, se ho sbagliato… ecco non so come farmi perdonare. Mi spiace averti fatto soffrire, mi spiace averti trascurato, quando avrei dovuto mettere te al centro della mia vita…”

“ ‘avrei’?” ripeti con fare interrogativo.

“Sì…ma non per obbligo; avrei dovuto farlo perché era giusto così, dato che tu eri sempre e comunque al centro dei miei pensieri. Forse avrei dovuto sottolinearlo con le azioni, più che con le sole parole…”

Che aspetti, Kacchan?

Mi guardi, ma non muovi un solo muscolo della tua meravigliosa faccia.

“Io ti amo ancora, Kacchan. Ancora, dopo tutto questo tempo. Come un imbecille, ho aspettato che fossi tu a dover fare il primo passo, convinto di essere dalla parte della ragione, solo che…”

“Solo che a furia di aspettare la frattura fra noi è divenuta insanabile…” completi  con la tua voce bassa e vibrante.

Annuisco, che altro potrei fare?

Ti accomodi per bene contro lo schienale del divano e scoppi a ridere.

Sei impazzito?

“Kacchan, mi spieghi che ci trovi da ridere?” chiedo inarcando un sopracciglio, anche se so che a te riesce meglio.

Per tutta risposta, ti porti una mano sugli occhi, mentre le tue labbra si aprono in un meraviglioso sorriso.

Adesso m’incazzo sul serio!

“KAEDE!!!!!” tuono balzando in piedi e strappandoti le mani da davanti gli occhi.

“Siamo due coglioni, Hana, due emeriti coglioni!”

“Sarebbe?” chiedo tenendo stretto tra le mie mani le tue. Sono ghiacciate, devo ricordarmi di regalarti dei guanti per Natale…

“ Io ti ho piantato...in un modo becero e crudele, lo so. Ma se l’ho fatto…- inizia a dire la mia volpacchiotta, non lesinando alcuno sforzo alle sue corde vocali-  è stato perché tu fossi libero…”

“LIBERO?!!!” chiedo alzando un po’ troppo la voce: ma sei scemo o cosa?

“So che il mio era un ragionamento contorto, e so anche di averti fatto stare da cani… ma credevo che tu avessi capito…credevo che dovessi ancora decidere…” cerchi di spiegarti fissandomi negli occhi.

“Kacchan…- ti dico espirando lentamente e scandendo il più possibile le parole- io non so leggere nel pensiero…”

“Hana...eravamo due ragazzini di sedici anni…” mi dici sconsolato, come se questa constatazione non facesse altro che mettere il luce tutto il tempo sprecato.

“Ma sapevamo farci male, però…” commento lasciandoti le mani e portandomi le mie sui fianchi.

So che mi stai guardando, Kaede: siamo stati due idioti. Se solo sapessi che non servirebbe a nulla, mi riempirei la faccia di pugni!

Fuori, intanto, la neve ha lasciato il posto alla pioggia: si profila un bel temporale all’orizzonte, con tanto di lampi e tuoni.

 

E vorrei solo dirti ora che te ne vai

Se amore, amore vedrai

Di un amore vivrai

 

Guardo Hanamichi fissare il nero della notte oltre la finestra.

Abbiamo sprecato un sacco di tempo.

Ci siamo fatti del male gratuitamente.

E ci siamo andati giù pesante.

Adesso ci siamo chiariti…ma allora perché, dannazione, perché non mi guardi?

Hana, è forse troppo tardi?

Dio, se fosse così, che senso avrebbe tutto ciò?

Come se avessi sentito i miei pensieri, ti volti verso di me e mi sorridi.

“Kaede, che cosa provi per me?”

Ti raggiungo alla finestra e mi metto di rimpetto a te: sei cresciuto ancora, a quanto vedo…

“ Io ti amo Hanamichi; ti amo da pazzi, ma credo che qualcosa sia cambiato. Io sono cresciuto, sono diventato un altro Kaede, non so se potrebbe funzionare ancora…ma vorrei lo stesso provare!”

Riacquisti colore, sentendo la parte conclusiva del mio discorso.

“Kaede…vorrei tanto provare anch’io…” mi sussurri ad un istante dal mio viso.

Ci incolliamo l’uno all’altro, mentre fuori i lampi squarciano il nero della notte; il nostro bacio, da casto e dolce, si trasforma in urgenza.

Di recuperare il tempo perso.

Di abbattere tutte le barriere che noi stessi abbiamo eretto per paura.

Ma si può essere così cretini da aver paura d’amare?

Ringrazio tutti gli dei che mi hanno concesso questa seconda opportunità, che non voglio assolutamente lasciarmi scappare.

Tra di noi c’è L’Oceano, ma non lo temo!

Fra poco dovremo separarci, ma per adesso non voglio ascoltare questa vocina invidiosa che mi ronza nel cervello.

Troveremo una soluzione, so che ce la faremo. Adesso che ho di nuovo il mio scimmione, non credo proprio che sarò disponibile a separarmi di nuovo da lui!

Scendiamo sul pavimento, avvinghiati l’uno all’altro. Non riesco a capire dove inizi Hanamichi e dove finisca Kaede, siamo un unico individuo pulsante.

Chissà che faccia farebbero le mie fan sfegatate se mi vedessero in questo momento!

Sorrido: forse sarei costretto a commettere un omicidio, visto che starebbero guardando la mia scimmietta rossa.

“Che c’è da ridere, amore?” mi chiedi con voce rotta dal desiderio.

“ Sono felice…”rispondo perdendomi nell’ennesimo bacio.

 

Io e te

Sempre o mai

Siamo noi

Siamo in

Due

 

 




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