DREAMS 8

 

Quando il suo telefono aveva suonato, quel pomeriggio, Michele non si stupì. Si stava aspettando una chiamata da Dario.

 

In un modo o in un altro era certo che quei due avessero avuto un incontro risolutivo.

 

Non si era aspettato però la voce di Dario, dall’altro capo, ansiosa, scheggiata di paura pura, profonda, e lacrime vere di rabbia e orrore. Una qualche spiegazione concitata era venuta, ma non era stato quello a spingerlo a precipitarsi in macchina da lui, e poi a correre in ospedale.

 

A pregare i medici di fare in fretta anche se no, la sua tessera sanitaria non ce l’avevano, e sì, lo vedeva che c’era anche altra gente al pronto soccorso, e ‘dovevate chiamare il 118’.

 

Alla fine della visita un dottore era venuto loro incontro. Dario era pallido come un cencio, tremava un poco, aggrappato al suo braccio.

 

Frattura multipla del radio.

 

Lieve commozione cerebrale.

 

Tracce di stupefacenti nel sangue.

 

Cos’era, domandò senza mezzi termini, violenza domestica o un giochino finito male? E, senza aspettare una risposta, sorrise acido nell’indicare due poliziotti comparsi da una porta in fondo al corridoio.

 

A Dario non importava nulla dall’interrogatorio, dei due che, in divisa, chiedevano di nuovo e di nuovo cosa fosse successo, e lui che non sapeva: aveva visto due uomini uscire dal suo appartamento ed era corso dentro e l’aveva trovato sul pavimento.

 

Il sangue.

 

Il dolore.

 

Era tutto confuso.

 

Voleva solo vederlo: sarebbe stato bene? Quando sarebbe uscito? Cos’aveva? Chi.. perché?!

 

Gli uomini in divisa non rispondevano, Michele sembrava l’unica cosa che gli permettesse di non crollare.

Fecero domande su domande anche a lui fino a che si definirono soddisfatti.

 

Li lasciarono andare, e Michele dovette trascinare Dario di peso a casa. Gli fece ingoiare un paio di quelle pastiglie che la sua ex moglie prendeva per dormire e si addormentò a sua volta, steso sul divano.

 

Al risveglio, dopo ore, erano entrambi sconvolti, ma almeno Dario non sembrava più sotto shock, con al prospettiva molto concreta di cadere in frantumi da un minuto all’altro.

 

“Starà bene?” si chiedeva Dario.

 

E Michele annuiva in risposta, cercando di obbligarlo di mandare giù qualcosa, e a ragionare, a non farsi prendere dal panico, che avrebbero risolto tutto, che..

 

Verso mezzogiorno non riuscì più a tenerlo calmo, e si decise a ritornare in ospedale.

 

Usciti in corridoio si immobilizzarono lì.

 

Sembrava uno scherzo: crudele, terribile, assurdo.

 

Un operaio aveva appena appoggiato una borsa di lavoro di fronte all’appartamento di Niels, altri sembravano star lavorando al suo interno, e all’avvicinarsi di Dario aveva appena sollevato lo sguardo su di lui, neppure troppo interessato.

 

Cosa state facendo?”

 

L’uomo anziano, con un pesante accento, si strinse nelle spalle.

 

“Cambio la serratura.”

 

La risposta più logica, così banale da essere perfino inutile dirlo.

 

Sulla porta, improvvisamente, comparve un uomo alto, elegante, appena brizzolato sulle tempie, con un gessato perfetto, addosso.

 

Dario lo fissò, stupito.

 

“Tu.. io ti conosco..”

 

Lo disse senza fiato, il cuore nello stomaco che batteva impazzito, pesandogli dentro.

 

L’altro si limitò a fissare lui in risposta, e poi Michele.

 

Si voltò verso una signora che aveva appoggiato uno scatolone accanto alla porta d’ingresso, e il suo viso si piegò in una sorta di sorriso.

 

“Quelle sono le sue cose.”

 

Dario si sentiva svuotato. Sapeva di dover provare rabbia, furia. Sapeva di.. ma di fronte a quell’uomo si sentiva come se fosse stato svuotato di energia , di tutto. Si piegò sullo scatolone, gli occhi accarezzarono una strana scatola di legno, un cilindro di plastica trasparente dentro cui si intravedevano dei pennelli. Alcuni libri sul fondo. Quelli che sembravano degli stracci macchiati di colore.

 

“Come potete fare questo? E’ la casa di Niels..

 

L’uomo sorrise.

 

“No, non è sua. Il proprietario ha deciso di.. destinarla ad altri usi.”

 

Michele, rapido, posò una mano sulla spalla di Dario per trattenerlo.

 

“Io vi denuncio, vi ho visti!”

 

“Sì? Tu dovresti essere grato che qualcuno, qui, è un uomo di grandi passioni che si spengono in fretta. Che non farà denunce, che metterà in salvo la reputazione vostra e di Niels. Che farà come se non fosse successo nulla..

 

Ma è una menzogna! Voi l’avete..

 

Michele lo trattenne, brusco, indicando lo scatolone.

 

“Portalo dentro!”

 

Dario sembrava sconvolto, più bisognoso di un modo per scaricare la tensione che altro. Obbedì per il semplice fatto di non essere certo di prendere decisioni da sé.

 

Rimase Michele, in piedi di fronte a Riccardo: era quest’ultimo ad aver annientato la rabbia di Dario. Era il suo sguardo, caldo e sprezzante insieme, era il linguaggio del suo corpo, la sua espressione, quello che spirava da lui.

 

Michele, però, non aveva bisogno che qualcuno lo aiutasse a tenere sotto controllo i suoi sentimenti. Si limitò a fissarlo pragmatico, un po’ disgustato, più gelido che altro.

 

“Niente denunce?”

 

“Niente di niente.- poi si frugò in una tasca, ne tolse una busta e gliela porse – Questi sono i suoi risparmi. Quello che ha guadagnato in questi anni.”

 

“La casa era.. una specie di fringe benefit?”

 

Riccardo rise.

 

“Voi uomini d’affari, immagino, lo definireste così, dottor Drava.

 

Michele si diede dello scemo ad essersi stupito. Quello lì davanti sembrava in tutto e per tutto uno che sapesse fare il suo lavoro.

 

“Perché lo dai a me?”

 

Perché il suo amico rifiuterebbe: sono ragazzini emotivi, c’è da capirli. Lei invece mi sembra più ragionevole. Sono di Niels, e potranno servirgli.”

 

Michele annuì prendendo la busta fra le dita.

 

“E’ così che.. liquidate i dipendenti?”

 

“A volte siamo anche meno magnanimi.”

 

Un sorriso.

 

Michele fece per voltarsi, andare a recuperare Dario che sentivo singhiozzare quando: “Aspetti!- l’uomo gli porse una sacca, sportiva, un po’ usurata – Prenda anche questa.