DREAMS 7
Niels si sentiva gelato, intirizzito.
Forse era stata la pioggia sottile come aghi che era entrata sottopelle e che scavava sempre più a fondo. Forse era la tristezza, la solitudine, o quel cellulare dimenticato chissà dove perché non avrebbe sopportato di sentire quella voce, ora.
Forse era un sogno, un desiderio. Tornare a casa e non fermarsi di fronte alla propria porta, ma proseguire lungo il corridoio, e bussare da Dario.
Bussare e chiedere di .. parlargli. Anche solo di stare con lui, in silenzio.
Al suo fianco il silenzio era sopportabile, il buio non faceva paura e il freddo non mordeva dentro.
Non era abituato ad essere vittima di sentimenti simili.
Desiderato, sì, bramato, e anche considerato indegno o appena sopportato, ma non.. non si ricordava di aver mai suscitato in qualcuno una reazione simile.
Avrebbe voluto ricordare come si teneva in mano un pennello per cercare di raccontare con i colori quello che aveva visto esplodere nello sguardo di Dario, il cangiare della sua espressione, il calore della sua rabbia, l’aspettativa sfumata, il modo in cui si era mostrato ferito, colpito, da lui.. lui che un tempo sapeva fare anche cose belle.
Aveva voglia di piangere.
Piangere tanto, fino a sentirsi svuotato e stanchissimo.
Si sentiva già stanco, e vuoto, ma quello che avrebbe voluto provare era una sensazione del tutto differente da quella che sentiva dentro.
I suoi passi lo avevano portato in strade strette e antiche dove non avrebbe più voluto metter piede. Solo vederle risvegliava in lui ricordi vecchi, aprivano ferite mai del tutto rimarginate. E quello era proprio il periodo peggiore per mettersi a scendere a patti con il passato.
Con le scelte fatte, con i compromessi accettati.
Con il tempo gettato via nel rincorrere qualcosa di cui non importava nulla, e nel tentare di dimenticare quello che si voleva davvero.
Niels voltò sui tacchi, sollevò una mano nel chiamare un taxi.
Dopo pochi minuti era uno dei tanti imbottigliati nel solito traffico serale di via Manzoni, il tergicristallo che si muoveva ticchettando sul vetro e confondeva le luci che provenivano dalla strada, mentre l’autoradio suonava una melodia banale.
Il freddo, dentro, divenne bisogno. Divenne dolore che scava, e brama. Qualcosa che bruciava più forte della volontà, più forte di tutto.
Il taxi si fermò di fronte al portone.
Niels aveva ora un’unica cosa in mente, un unico pensiero che, forse, sarebbe servito per fargli trovare il coraggio di andare da Dario e dirgli.. domandargli..
Niels osservò con lieve disinteresse la porta del proprio appartamento aprirsi non appena vi ebbe appoggiato sopra una mano.
Le luci accese.
Riccardo, nella sua divisa scura, elegante ed impassibile.
Il Conte, seduto sul divano. Silenzioso. Le mani sul pomello d’argento del suo bastone da passeggio, sulle dita l’anello con il grosso granato che portava inciso lo stemma di famiglia.
La sua espressione.
La sua presenza, lì.
Il freddo continuò a diffondersi, premendo sulle ossa.
Niels si obbligò a sorridere.
”Pensavo proprio a te..”
Il Conte non parlò. Mosse una mano, Riccardo si scostò, portandosi dietro le due porte che davano sulla sala, solitamente aperte, tagliandosi discreto fuori dalla vista.
“Cosa c’è di tuo in questa casa?”
Niels scosse appena il capo. Sapeva bene come essere.. seduttivo, era il suo lavoro, ma in quel momento non riuscì a togliersi l’espressione di pacato terrore che aveva addosso.
Una strana rassegnazione lo prese.
“Ni.. niente Conte. Qualche cosa.. poco.. di là..”
In risposta continuò a fissarlo freddo.
“Tutte cose di nessun valore, proprio come te.”
Silenzio.
“Conte..”
“Te l’ho detto.. quando è stato? Pochi giorni fa. Te l‘ho ripetuto gentilmente. Ti ho ricordato che tutto quel che hai, quel che se, lo devi a me. Questa casa, – si alzò lentamente – tutto quello che c’è dentro. – sollevò un piccolo soprammobile di cristallo, per poi farlo cadere a terra. Il suono, quel suono purissimo si propagò come onde concentriche in un lago placido- Quello che hai indosso. Tu. Tutto è mio. Cosa ti ho detto?”
Niels ora tremava incontrollabilmente. Il suo organismo urlava, smaniando per quel qualcosa di cui sapeva, il Conte era di sicuro fornito.
Certo, di solito gliela portava lui, gliela pagava. Come tutto.
“Sono tuo.”
“Mio, sì. – si avvicinò- E io decido come ti vesti, cosa mangi, dove vivi. Io decido con chi scopi, con chi fai la troia. Io decido con chi passi il tempo e in che modo.”
Niels lo fissò terrorizzato.
“No. Dario non centra..”
“Dario? Ah, si chiama Dario..”
Non sembrava curioso, né stupito.
Non sembrava arrabbiato, né ferito nel sollevare il bastone. Solo concentrato nel calarlo con forza: una, due, tre volte.
Una violenza spaventosa che il braccio di Niels non riuscì ad arginare.
Gemette soffocando le parole, scivolando sul pavimento.
Forse urlò, non se ne accorse.
Pregò solo finisse in fretta.