DREAMS 6
La pioggia cadeva fitta e sottile.
Fuori dalla grande vetrina del caffè si vedeva la città scolorare lentamente nella malinconia.
Dario non riusciva a voltarsi e guardare Niels al suo fianco. Non sapeva se sarebbe riuscito a reggere il suo sguardo: avrebbe suscitato troppe domande, a cui ora non avrebbe saputo dar voce, né tantomeno udire le risposte.
Si sentiva spossato, come svuotato. Non sapeva decidersi tra gelosia e preoccupazione: c’erano entrambe, e forti, e lo dilaniavano, lasciandolo svuotato, confuso.
Concentrarsi fuori di sé, in quel frangente, gli sembrò l’unica cosa possibile. Da fare e da sopportare.
L’insegna della palestra, al di là del vetro, per un attimo parve tremolare nella pioggia. Poche persone correvano con gli ombrelli fra le mani, evitando il più possibile le pozzanghere sull’asfalto e gli schizzi sollevate dalle macchine.
C’era un ragazzo sotto la pioggia.
Passò lentamente accanto alla vetrina, stretto in una giacca nera, attraversò la strada girando attorno ad un paio di auto in coda, e rimase immobile sul marciapiede di fronte. Aveva l’ombrello scuro appoggiato ad una spalla e la sua espressione era seria, quasi dura se non fosse stato per i lineamenti chiari, delicati. Portava i capelli lunghi, biondissimi, appena spettinati oltre le spalle che stavano stranamente bene in contrasto con gli abiti scuri, piuttosto formali, e portava un paio di occhiali da vista, leggeri, sul naso elegante.
Poi quel viso serio esplose di luce in un sorriso stupefacente e inaspettato. Un altro ragazzo uscì correndo dalla palestra, una sacca sportiva sulle spalle, lo guardò come se avesse appena visto il suo dio: gli si avvicinò in fretta, rise a una battuta dell’altro. Aveva un sorriso scintillante che fioriva splendente sul suo viso leggermente abbronzato, vitale, forte, aperto ed assolutamente espressivo; le sue mani si mossero nell’aria, si sollevarono per scostare una ciocca di riccioli d’ebano dalla fronte, poi un braccio si intrecciò a quello dell’altro che teneva l’ombrello.
Le labbra toccarono le labbra. Gli occhi di entrambi socchiusi, un leggero sorriso a piegare i loro visi, in un gesto leggero, sempre uguale a se stesso e sempre meraviglioso. Loro due, i loro volti, i loro movimenti e tutto quello che in essi si poteva leggere: non seppe cosa, ma Dario si sentì colpito.
La strada fu improvvisamente oscurata da un camioncino, quando fu passato i due non c’erano più.
“Li conoscevi?”
Dario fissò l’attenzione sulla tazzina di caffè vuota che aveva di fronte.
“No.”
Sentì Niels sorridere. “Era bello guardarli. Sembravano così felici.”
Annuì.
“Ghiaccio e fuoco.”
Era un pensiero, non sapeva perché l’aveva detto ad alta voce.
Le mani di Niels si avvolsero attorno alla tazza da tè.
“Balle. –brusco. Quella era la prima volta che lo sentiva con un tono simile tra le labbra.. Dario sollevò il viso di scatto: anche la sua espressione era stupefacente. – queste cose succedono solo nei romanzetti rosa. E in quelli che finiscono in tragedia, per di più. Ghiaccio e fuoco, insieme si annientano. Loro, invece, li hai visti? Si deve essere fatti di una materia simile per divenire una cosa sola. Come la luce e il fuoco.” sussurrò.
Luce e fuoco: qualcosa brillò sul fondo del suo sguardo. Il castano caldo dei suoi occhi fiammeggiò, per una volta, senza sembrare caldo, avvolgente e affascinante. Era, per una volta, uno sguardo assolutamente umano, non più quello di un angelo, o di un sogno, ma pieno di luci pallide e ombre opache.
Dario di nuovo abbassò lo sguardo.
Voleva dirglielo, voleva chiederglielo.
Ma non ne aveva il coraggio, non ne aveva la forza.
Niels sorrise.
“L’autunno a Milano è sempre così.. speciale..”
Dario avrebbe voluto dirgli che lui lo adorava, l’autunno a Milano. Che il suo primo ottobre in città era stato un sogno: i colori, il freddo, quella pioggerella fine, incessante.
L’idea di una mano a stringere la sua, in quella stagione, era un sogno che sapeva scaldare il cuore, il pensiero di un corpo caldo sotto la trapunta leggera nella luce cinerea di una domenica mattina suscitava qualcosa di inesprimibile a chiunque fosse vissuto ad un’altra latitudine.
Non c’era tristezza, o almeno, non la tristezza senza speranza di cui a volte si parlava. Era invece una malinconia leggera, un sentimento indistinto che portava con se una pacata tranquillità, un silenzio irreale, anche in un pomeriggio come quello, con la gente che correva a schivare le pozzanghere e le macchine che schizzavano e frenavano stridendo contro l’asfalto.
“Già.”
C’era qualcosa d’altro, da dire, ma non ne aveva il coraggio.
Niels lo fissò per la prima volta acutamente consapevole di qualcosa di cui forse prima non era a conoscenza.
“Cosa è successo? Non me lo vuoi dire? Credevo fossimo.. amici.”
Amici.
Dario non avrebbe usato quel termine.
Non più almeno.
Come se poi, davvero, scopare con qualcuno significasse qualcosa oltre l’atto stesso.
Non era mai stato così ..stupido. Mai.
Neppure quando gli aveva sorriso quello che sarebbe stato il suo primo ragazzo. Neppure quando aveva dato il suo primo bacio. Neppure dopo la sua prima scopata.
Non si era mai sentito così male, dopo un tradimento.
Era stato tradito, sì, come tutti. Gli avevano mentito. L’avevano ingannato. Gli avevano taciuto tante cose. Ma lui si era sempre sentito così forte, sicuro, forse arrogante, da non aver mai voluto dare soddisfazione di mostrare che era stato ferito.
Ora non ci riusciva.
Stava male e non riusciva a negarlo.
Era stato solo.. piacere. Da dare e da prendere: niente promesse, niente giuramenti. Niente futuro, niente progetti, niente di niente.
Eppure guardava Niels e si sentiva .. furioso.
Talmente tanto che l’idea di fargli male era quasi consolante.
“Lavoro alla V.G.I.”
Niels sobbalzò. La tazza tremò tanto nelle sue mani da doverla appoggiare di fretta, prima di farla cadere.
“Non.. non me l’avevi detto!”
“Non credevo fosse importante. – una durezza nuova, nata non sapeva dove, il dolore che divenne fame di sofferenza altrui – Non abbiamo mai parlato di dove lavoriamo, mi pare.”
Gli occhi di Niels si allargarono, feriti, e improvvisamente, sfuggirono al contatto con i suoi.
“Non..”
“Non servono scuse. Non ne servono a me.”
Niels non riuscì ad aggiungere nulla.
Fissò Dario alzarsi, lasciando sul tavolo quanto necessario per pagare la consumazione, ed uscire sotto la pioggia.
Lasciandolo lì, solo.
Gli euro lucidi brillavano gelidi sulla superficie asettica del tavolino.
Un brivido gli percorse la schiena, sprofondò il viso fra le mani, sospirando.
Nella tasca della giacca il cellulare, silenzioso, iniziò a vibrare.