DREAMS 5

 

Niels piegò il capo in a vanti, il mento sul petto.

 

Qualcosa gli tremava dentro: il fiato.

 

O il cuore.

 

Paura, gelida.

 

“No, ti prego..

 

Un singhiozzo a spezzargli le parole.

 

___

 

Dario fissò lo schermo per altri cinque minuti. E poi per altri cinque. E altri cinque ancora.

 

Un sospiro.

 

“Sarà meglio che ti offra un caffè.”

 

Michele: come dire di no? A Michele, o a un caffè offerto, era lo stesso. Anche se il caffè della macchinetta in fondo al corridoio era schifoso, e Michele.. bhè, era Michele.

 

Mhm. Così è successo.”

 

Gliel’aveva raccontato, ovvio; Michele non era solo il suo responsabile.

 

L’aveva conosciuto un anno e mezzo prima, appena trasferito a Milano. Come stagista gli era stato affiancato, per un atto di pura crudeltà: Michele era famoso per come riusciva a distruggere l’autostima di tutti quei ragazzini boriosi, inviati lì dall’università, gonfi di ego e aria tiepida e assolutamente inetti.

 

Dario, per qualche strana alchimia di cui non aveva idea, gli era piaciuto, ed era stato lui in persona ad andare a domandare al capo del personale di fargli firmare un contratto serio.

 

E’ in gamba, sa quanto vale e ha voglia di imparare. Assimila in fretta e non fa storie. E’ uno da tenere.’

 

Due giorni dopo Dario era stato assunto.

 

Michele era stato un maestro, per lui. Quasi un fratello maggiore, visti i dieci anni di differenza.

 

‘Qua dentro puoi trovare di tutto. Gente seria, e gente che, per tirarsi su si fa di qualsiasi cosa.- ricordava bene il discorso, il tono con cui era stato pronunciato, e soprattutto il suo sguardo. Terrorizzante. - Tu sei maggiorenne e vaccinato, ma se mi viene anche solo lontanamente il dubbio che ti fai, ti giuro che ti appendo fuori dalla finestra, chiaro? Non lavoro con sfigati che per essere produttivi hanno bisogno di drogarsi!’

 

Michele era un commerciale fin nel midollo. Gli bastava guardarti negli occhi per due secondi per capire che persona fossi.

 

Con i clienti era uno spettacolo.

 

E anche con Dario non ci aveva messo di più a capire che fosse gay.

 

La sua reazione? Come tutto di lui: diretta, semplice, quasi brutale.

 

‘Che vuoi che mi freghi chi ti porti a letto? Purché sia maggiorenne e consenziente non fai niente di illegale.’

 

Dario si era sentito sollevato, e grato.

 

Erano diventati amici in quel momento? Forse lo erano da prima, anche, ma Dario se ne era accorto solamente quando Michele stava divorziando, quando si era accorto di preoccuparsi per lui, quando si era scoperto a fare di tutto per cercare di aiutarlo, per quanto poco avesse potuto.

 

Adesso Dario non provava alcun timore a dirgli che si era innamorato come uno scemo, anche se era chiaro come il sole. E Michele non si faceva scrupoli a dirgli che si comportava come un cretino. Ma rideva.

 

Gli aveva pure offerto il caffè anche se non toccava a lui.

 

“Vuol dire che oggi non renderai un accidente! Potevi prendere un giorno di ferie!”

 

Dario aveva sbuffato, sedendosi alla sua scrivania, Michele gli aveva voltato la schiena, guardando fuori dall’ampia finestra del loro ufficio, che dava sul cortile d’ingresso della ditta. Poco più avanti, al di là della cancellata bassa, il traffico solito e caotico di Milano li sfiorava come brusio grigio e indistinto di motori e clacson.

 

A Dario non importava un accidente.

 

Dario camminava fra le nuvole.

 

Michele l’aveva messo in guardia, e Dario lo ricordava, nebulosamente. Aveva riposto con cura quel discorso in un cassettino remoto della sua memoria, forse per tenere una specie di promemoria sul cosa rischiasse, o forse per provare più piacere nel fingere di non sapere, di non dubitare di nulla.

 

‘Un accompagnatore, come dici tu, non sta via tutto il fine settimana e non lo portano chissà dove.

 

Michele aveva ragione, lui lo sapeva, ma non gli importava. Non voleva che gli importasse.

 

In fondo anche se Niels gli avesse detto una qualche piccola bugia che importava? Lo sguardo serio di Michele riusciva a farlo sentire in colpa anche solo a pensarlo.

 

Niels non era ancora tornato dal suo fine settimana. Come al solito, partenza al venerdì pomeriggio, rientro.. quello non si sapeva. Aveva detto ‘presto’, e Dario aveva addirittura sognato che, nel tornare dal lavoro, venerdì sera, lo avrebbe trovato lì.

 

Perché non voleva stare senza di lui, perché voleva stare lì, perché..

 

Ovviamente Niels non era a casa, e non era tornato sabato, né domenica.

 

Poteva essere tornato pochi minuti dopo che lui era sceso in metro.

 

E ora si sarebbe fatto una doccia e si sarebbe riposato, e avrebbe aspettato che lui ritornasse e..

 

Lo stridio delle ruote sull’asfalto divenne improvvisamente più alto. 

 

Michele si sporse appena, un movimento condizionato più che, forse, vera curiosità

 

Tutti sapevano, in ditta, di chi fosse quella macchina.

 

“Arriva il grande capo.”

 

Disse sbuffando, si voltò a buttare il bicchiere del caffè nel cestino.

 

Il grande capo era la creatura più chiacchierata di tutta l’azienda.

 

Si parlava dei suoi festini tenuti in piena notte, party innominabili e sfrenati, addirittura messe nere nelle cantine della ditta!  Le solite cazzate, insomma.

 

I meno eccessivi sussurravano che si portasse sempre appresso una delle sue puttane. Di solito giovanissime, bellissime, truccatissime, da infarto.

 

A parte quando erano giovanissimi, bellissimi, elegantissimi, da orgasmo.

 

Dario si mise più comodo alla scrivania: doveva assolutamente finire quel lavoro, capo o non capo, oppure..

 

Stefania si piantò sulla soglia della loro porta, sorridente e maliziosa.

 

“Avete visto che schianto si è portato appresso oggi?!”

 

Michele si era stretto nelle spalle, ma per una frazione di secondo c’era stata una ruga profonda, sulla sua fronte.

 

Dario l’aveva veduta, e,curioso, si alzò avvicinandosi alla finestra.

 

La macchina, lunghissima, e nera, con l’autista che teneva la portiera aperta.

 

L’uomo con i capelli brizzolati che portava sulle spalle uno splendido cappotto cammello.

 

E una figura accanto a lui.

 

Un ragazzo. Sottile.

 

Riconobbe i capelli? I ricci mossi e caldi, un po’ lunghi, a coprire appena le orecchie?

 

O il passo? Le mani che si erano mosse nell’aria? Il gesto che aveva fatto col busto, uno scatto rapido, impercettibile quasi, che gli era solito?

 

Per un attimo ebbe l’impressione che avesse sollevato gli occhi, verso di lui, e che l’avesse visto, riconosciuto.

 

Per un attimo ne fu così certo che non importavano i vetri a specchio, la distanza, la grandezza della superficie a vetro, il numero degli uffici.. non importava niente.

 

Per un attimo ebbe un capogiro.

 

Appoggiò i palmi sul vetro, premendoli con forza.

 

Michele gli afferrò un braccio, in un gesto rapido, e forte. Se non ci fosse stato quello avrebbe urlato, o si sarebbe messo a piangere.

 

Forse entrambe le cose: e sarebbe corso giù e ..

 

Non fece nulla.

 

La figura sottile scomparve nell’atrio principale, ridendo.

 

Stefania era così emozionata che corse immediatamente in un altro ufficio, solo per scoprire che tutti avevano visto, che tanto lo sapevano che quello era uno schifoso e che si faceva i ragazzini, e che sai cosa si dice, no?

 

I soldi, le ville, le frequentazioni, gli amici. Una ragazza via l’altra, anche ragazzini: sempre uno più bello dell’altro.

 

Sempre uno diverso ogni volta.

 

Messe nere? Figurarsi se ci faceva messe nere con uno così.. e quello che, l’anno prima, avevano trovato morto in un parco?

 

Overdose, c’era scritto sul giornale.

 

Le malelingue dell’azienda non ci avrebbero mai creduto, neppure se fossero state presenti a vedere.

 

Dario non riusciva a staccare gli occhi dal cemento del cortile.

 

Solo la mano di Michele sul suo braccio sembrava tenerlo insieme.