Challenge: “30 fic in 30 giorni. Gli altri ti dicono cosa scrivere e tu scrivi.” Questa è la 16°, Ragazzi. Ce la farò forse in 30 MESI????


Cosa ha chiesto: “Il primo bacio. Quello con la B maiuscola. Ci deve essere Spike che adoro, e un altro personaggio a tuo piacere fra Xander, Angel e Andrew. Tanto lo so chi finirai per scegliere.”
Per Giovanna: Perché mi piace risultare imprevedibile. Ogni tanto.

Cosa ha chiesto: Un AU. Tutti umani. E mettici dentro qualche tua fantasia.
Per Blackmambagirl: Perché è stata la prima a chiedere le MIE fantasie. Non le sue.





 


 

 

Dream a Little Dream

 

di Carmilla

 



Conosceva il suo quartiere.
Sette isolati fra casa e il drugstore che percorreva tre sere a settimana, quattro se suo fratello Tucker decideva di avere bisogno improvvisamente di Fuzzy-Cola o di Cheerios.

Conosceva la strada come il palmo della sua mano. O meglio ancora.

Come la parete accanto al letto con il poster di Darth Vader e quello di Lex Luthor dove una sottile crepa nell’intonaco scendeva dal soffitto insinuandosi fra i suoi due eroi,- Due perdenti. Come te, scemo.-, e finiva per nascondersi dietro l’armadio. Quando Andrew sentiva le urla del padre e il pianto sottile della madre spesso desiderava che la crepa si allargasse come un buco nero e lo inghiottisse.
Intero.

Come le crepe sul soffitto degli spogliatoi della palestra scolastica, cemento e luci crudeli, con i giocatori di football che gli passavano accanto ridendo oppure mormorando “checca”abbastanza forte che l’eco rimaneva per giorni, anni e Andrew desiderava che la crepa si allargasse e li divorasse come Blob o come la Cosa della Laguna Verde e si chiedeva se loro avevano ragione.

Come la particolare qualità della voce di sua madre, distante e velata, simile ad un segnale trasmesso al di là di un tunnel spaziale, che lo chiamava Tucker, sempre Tucker, solo Tucker, -Sono Andrew, Mamma.- - Non importa. Fa lo stesso.-, e gli chiedeva di fare il bravo ed andare al supermercato per fare un po’ di spesa.

Spesa che gli veniva consegnata ogni volta in sacchetti sigillati.

I commessi del supermercato sapevano chi era.
Conoscevano sua madre.
Apprezzavano un cliente fedele.
Non lo guardavano mai in faccia.


Conosceva bene la strada.
La percorreva ormai tre sere a settimana, da quattro anni, da quando ne aveva dodici.

La strada non era mai stata molto illuminata e da un po’ di tempo era peggio, molti negozi avevano chiuso, ma non era mai stata vuota.
Donne in minigonne e top, dai tacchi altissimi e dai rossetti troppo accesi, con il fondotinta che incideva crepe nel loro viso. Crepe simili a quelle della sua camera da letto o a quelle del soffitto dello spogliatoio.

Qualche mese fa qualcosa era cambiato.

Ora era popolata da ragazze che non avevano bisogno di trucco per apparire giovani, di quella particolare magrezza che solo cattiva eroina e vita di strada possono dare.

E ragazzi.

Ragazzi più carini della ragazze, con labbra imbronciate e lunghe ciglia scurite dall’eyeliner. Ragazzi con piercings sulle orecchie, sulle sopracciglia, sulla lingua.
Ragazzi magri e nervosi in sottili t-shirt, jeans stracciati, pelle e argento, che non esitavano ad illustrare i loro servizi ai potenziali acquirenti.

Dettagliatamente.

Lo avevano chiamato un paio di volte, con voci ironiche e irridenti, ma solitamente lo ignoravano.
Andrew stringeva sempre i pugni nelle tasche della giacca troppo leggera mentre tentava di tenere la testa bassa, gli occhi sulle sneakers piuttosto malconce e rattoppate ma….
Ma c’era un ragazzo che attraeva il suo sguardo come un magnete.
Un ragazzo in nero, con i capelli biondi quasi bianchi, labbra pallide, zigomi scolpiti e penetranti occhi azzurri.

Un ragazzo che gli altri chiamavano Spike

Spike era tutto ciò che Andrew avrebbe voluto essere. Con il suo modo di appoggiarsi al palo della luce e la sua postura e il corpo di un atleta, di un vero atleta, non come quegli scimmioni ipertrofizzati che circolavano nella sua scuola e si divertivano a ficcare i ragazzi come Andrew nei bidoni della spazzatura o a legargli le palle con del nastro adesivo.

Perfetto.

Non la strana, informe massa di braccia a gambe che Andrew si trascinava dietro dalla nascita.
Qualche volta si chiedeva se non fosse come il protagonista della Mosca, parte insetto.
E, dieci minuti prima, Andrew aveva oltrepassato Spike e gli aveva lanciato uno sguardo timido,obliquo e, solo per un breve attimo, l’altro aveva ricambiato il suo sguardo sollevando un angolo della bocca a formare l’abbozzo di un sorriso ed Andrew aveva sentito qualcosa premere dentro il petto fino quasi a impedirgli di respirare, di camminare.
E questo qualcosa, questa costrizione, si era poi diffusa in tutto il corpo e lo aveva bloccato di fronte al vetro del mini-market, senza vedere nulla, senza sentire nulla ma con il bisogno fisico, tangibile, di sapere.

Ora.

Andrew non entrò nel negozio ma mise una mano nella tasca posteriore dei jeans e tirò fuori i venti dollari che sua madre gli aveva dato. Li strinse nel pugno e fece dietro-front.

Lui era ancora lì, il volto metà illuminato dalla luce del lampione, metà in ombra, appoggiato ad un muro vicino ad un vicolo.
La brace della sigaretta si spostava dalla bocca alle dita e Andrew seguì il movimento quasi ipnotico senza perdere un singolo fotogramma.

Trenta metri, ora. Venti. Dieci. Cinque

Due.

Andrew aprì il pugno e Spike guardò in basso, aspirò la sigaretta e gli soffiò il fumo in faccia.
-Con venti dollari a malapena ci compri uno sguardo, pet.-

La voce. L’accento. Non aveva mai sentito nulla di simile. Gli inviò brividi lungo la schiena.
-E’ tutto…Io volevo….Per favore.-
Spike non rispose ed Andrew avrebbe voluto voltarsi e correre, correre, correre ma le sue gambe erano pezzi di legno o forse era stato assimilato dai Borg e non avesse più controllo del suo corpo.

-Spikey, dai. Non fare il bastardo.-
Andrew si girò. Una ragazza bruna, in pantaloni di pelle e con l’aria da dura gli sorrise.- Come ti chiami, ragazzo?-

-Andrew.-

-Faith ha ragione, Spike.-Una biondina, in top, stivali e minigonna era apparsa alla destra di Andrew. – Con un ventone bè…almeno un bacio, che ne pensi Willow?-
Andrew sobbalzò quando due braccia lo circondarono da dietro, un corpo morbido gli si strinse contro e un respiro caldo gli solleticò l’orecchio.
-Mmmmm. Perfetto per coccole. Due minuti interi, direi.-

Spike sembrò realizzare allora di essere stato accerchiato e messo in minoranza. Aspirò un’ultima boccata di fumo e buttò via il mozzicone.

-Datti una mossa, Andrew.-
E Andrew pensò che ne era valsa la pena solo per sentire Spike dire il suo nome, quando l’altro lo prese per la maglietta e lo allontanò dalle ragazze verso il vicolo dove l’oscurità era più fitta.

-Inizia a contare-, fu tutto l’avvertimento che ricevette e improvvisamente Spike stava aprendosi strada nella sua bocca e le sue labbra erano morbide ma allo stesso tempo ferme come Andrew aveva immaginato. E insistenti. E gentili e tutte le contraddizioni che rendevano la cosa fantastica.
Paradisiaca, quasi.
C’era la lingua poi, calda ed umida che si intrecciava con la sua, provocando, seducendo, insegnando

-Tempo.-

Ma Spike si allontanò lentamente, mordicchiando il labbro inferiore di Andrew ed Andrew seppe che questo era stato il più grande errore della sua vita passata, presente e futura, perché ora aveva sì la certezza di essere gay, molto gay grazie, ma anche quella di essere ormai inservibile per qualsiasi altro ragazzo.

Solo Spike.

Ma non era importante.

Andrew si rendeva conto delle risatine delle ragazze e del fatto che avevano guardato per tutto il tempo.

Ma non era importante.

Andrew sapeva pure cosa lo avrebbe aspettato a casa, quando fosse ritornato senza spesa e senza soldi.

Ma Andrew aveva deciso che nulla era importante.

Perché quando aveva stretto le braccia intorno a Spike aveva capito che l’unica cosa che contava era che la notte non finisse mai.

Mai.



FINE