Disclaimer: i personaggi di questa storia li ho creati io, quindi mi appartengono.

Note: tra # # c’è il corsivo, sono le parti nel passato


Dragon and Warrior

di Bombay

Parte 1/2

 

Osservo dall’alto il villaggio in fiamme. Ne ho visti tanti nella mia lunga esistenza, oramai questo spettacolo non mi fa più nessun effetto.

Uomini. Sciocche creature, che si affannano per vivere una misera vita, costellata di sofferenze. Non li capisco, non li ho mai capiti e non li capirò mai.

Mi abbassò un po’ per osservare meglio. Un ragazzo: avrà ad occhio e croce quindici anni forse anche meno, sta piangendo sul corpo immobile di una fanciulla poco più grande di lui.

La mia ombra lo sovrasta. Alza la testa dorata e mi fissa con due occhi azzurri colmi d’odio verso di me, ma soprattutto verso la mia razza. Afferra un sasso e lo scaglia contro di me. Che sciocco, non può farmi nulla.

Ho ucciso per molto meno, potrei incenerirlo con un soffio, ma non lo faccio c’è qualcosa in lui che mi frena dal colpirlo e dal mettere fine alla sua piccola ed insignificante vita.

Restiamo a fissarci per lunghi secondi, ignorando il fragore delle fiamme e le urla intorno a noi.

Si alza in piedi furente “Maledetto, un giorno ucciderò te e tutti quelli della tua razza” minaccia, nei suoi occhi brilla odio e determinazione.

Atterrò leggero, un bagliore mi avvolge, si scherma gli occhi con un braccio. Sono di nuovo davanti a lui, nella mia forma umana, lo studio più da vicino, è uno scricciolo coperto di stracci, fango e sangue.

“Se sopravvivi” lo sfido con un sorriso.

Estrae un pugnale, si scaglia contro di me con un grido. Scuoto la testa divertito, con un movimento lo evito, gli afferro il polso, dove tiene il pugnale e stringo. Lascia cadere l’arma, con un altro movimento lo atterro, cade nel fango, si alza e mi fronteggia nuovamente: fa un passo verso di me, ma le gambe non lo reggono e cade in ginocchio.

Mi avvicino a lui lo afferro per i capelli, gli sollevo testa. E’ veramente molto bello, ringhia come un cucciolo in trappola. Sorrido, ha coraggio il ragazzino: ho visto uomini grossi quattro volte lui morire di paura od implorare pietà. Lo lascio andare spingendolo a terra, gli volto le spalle faccio qualche passo allargo le braccia ed assumo il mio aspetto di Drago.

Un Drago Nero. Siamo i più temuti, ma se ci lasciassero in pace, noi perderemmo il nostro interesse per loro, ma l’avidità degli Uomini non ha limiti: è risaputo!

Così vengono a caccia dei nostri tesori, distruggono le nostre tane, uccidono i nostri cuccioli e pretendono che non ci vendichiamo: stolti!

Con un poderoso colpo d’ali mi libro di nuovo nel cielo e mi allontano da questo luogo di morte e devastazione. Richiamo gli altri draghi che si affiancano a me, insieme torniamo alle nostre tane, alle nostre dimore a molte miglia da qui.

Atterro in un vecchio castello diroccato dove vivo solo, lontano dal branco con pochi fedeli al mio fianco.

Sono il capo, preferisco la solitudine di questo luogo, con solo i ricordi a farmi compagnia.

 

Il tempo.

Una misura relativa per chi, come me, vive un periodo così lungo che si avvicina quasi all’eternità, mentre gli Uomini vivono così poco, una manciata d’anni, piccoli essere mortali.

Mi chiedo perché gli Dei li abbiano posti nel mondo ed a quale scopo.

I giorni passano in un susseguirsi di tenebre e luce creando le settimane, i mesi, gli anni.

Sono stato alla città di Zayan, nella mia forma umana, pare che ci siano dei cacciatori di draghi in cerca di denaro e gloria.

Sciocchi, troveranno solo paura e morte, verranno uccisi ancor prima di poter sollevare le loro armi o castare i loro incantesimi.

E’ notte fonda quando ci attaccano; mi alzo subito in volo, raggiungo il branco, mi viene quasi da ridere quando vedo uno sparuto gruppetto di avventurieri, da quello che avevo sentito sembrava avessero mobilitato l’esercito del Regno ed invece sono solo in cinque: un Nano con la sua fedele ascia, un Elfo che imbraccia un arco, una maga e due guerrieri Umani, uno massiccio e robusto, l’altro più slanciato e snello, deve essere molto giovane.

Resto ad osservare appollaiandomi su uno spuntone di roccia, seguo con lo sguardo il guerriero più giovane, indossa un’armatura leggera, ha il capo coperto da un elmo e impugna una lunga spada.

Uno dei miei compagni lo scaraventa a terra con un colpo di coda, nel rotolare a terra perde l’elmo, ma con un balzo è già in piedi.

Solleva la testa, i capelli gli ricadono sulle spalle in una morbida cascata color del grano maturo, gli occhi azzurrissimi e colmi di determinazione. Brandisce la spada ed attacca il Drago davanti a sé ed ovviamente non gli fa quasi nulla.

Con un balzo lascio la sporgenza di roccia ed atterro davanti al giovane “Me ne occupo io.”

I suoi occhi si dilatano come io ho riconosciuto lui, lui ha riconosciuto me.

“Tu… tu sei, quel Drago…” grida.

“Ci incontriamo di nuovo”

Non mi ero sbagliato, è sopravvissuto ed è venuto a cercarmi.

“Tu hai attaccato il mio villaggio dieci anni fa” urla attaccandomi con la spada alzata sopra la testa. Lo fermo con una fiammata, la evita rotolando di lato, si rialza e mi attacca di nuovo, con un colpo di coda lo scaravento contro la parete di roccia, l’impatto è tanto violento che si accascia a terra privo di sensi; lo fisso, poi mi allontano, gli altri membri del branco hanno eliminato gli avventurieri rimasti.

“Portalo nella mia dimora, vivo!” ordino a Ridas che è il Drago più vicino a me.

 

Fermo davanti a lui, nella mia forma umana, lo osservo.

E’ incatenato al muro, addosso ha solo dei pantaloni di tela grezza, ha qualche piccola ferita all’altezza della clavicola, ma nulla di grave.

Dieci anni: molto tempo per lui, assai poco per me. Non credevo che sarebbe vissuto, era poco più che un bambino, orfano in un mondo ostile, eppure l’odio che provava nei miei confronti e la sete di vendetta lo ha portato fino a qui. Notevole.

Sono quasi impressionato.

Si sta riprendendo, è disorientato. Ovvio!

“Dove sono? Dove sono i miei compagni? Cosa vuoi da me?”

“Sei nella mia dimora, i tuoi compagni sono tutti morti e… voglio te…” rispondo avvicinandomi a lui. E’ così infatti: dal momento in cui l’ho veduto, non ho smesso un momento di pensare a lui. E’ per questo che l’ho risparmiato.

Inveisce contro di me con i peggiori insulti che conosce, ma lo ascolto appena. E’ proteso verso di me i suoi muscoli guizzano sotto la pelle abbronzata.

Gli afferro il mento con la mano, mettendo fine al fiume di parole ed improperi che escono dalla sua bocca.

“Come ti chiami?” domando scrutandolo.

Non risponde cerca di voltare la testa, ma non glielo permetto.

“Come ti chiami?” ripeto sfiorandogli le labbra con il pollice, avvicino il mio viso al suo.

“Allora, vuoi dirmi il tuo nome o devo estorcercelo con la tortura?”

Abbassa lo sguardo.

“Willard” sussurra sconfitto.

“Willard” mormoro accarezzandogli una guancia.

“Dovrai abituarti a questo posto perché ci rimarrai a lungo”

“Perché non mi uccidi, Drago?” domanda calcando con disprezzo l’ultima parola.

Gli volto le spalle e lo lascio da solo.

Parecchie ore dopo gli porto qualcosa da mangiare. Non è certo mio proposito farlo morire di fame, non ho intenzione di imboccarlo quindi l’unica soluzione è slegarlo, tanto non può fuggire.

Lo libero ed all'istante si scaglia contro di me; perdo l’equilibrio e cadiamo entrambi a terra, immediatamente riesco a portare la situazione a mio favore. Lo inchiodo sotto di me tenendolo fermo con il mio peso, gli blocco le mani ai lati della testa, non ha ancora capito chi comanda qui, si dibatte e scalcia cercando di liberarsi, ma con scarso successo.

Gli lego insieme i polsi con la catena, che pende dal muro. Gli strappo di dosso i pantaloni e lui si immobilizza, spalanca gli occhi e capisce.

Ci fissiamo per interminabili istanti. La ragione mi dice di fermarmi, di andarmene da qui prima di fare qualcosa di estremamente stupido, ma il mio istinto è più forte.

Il desiderio è cresciuto rapidamente in maniera incontrollata, lo desidero, lo voglio, adesso!

Lui è qui davanti a me, nudo ed indifeso, la cosa mi eccita tantissimo.

Mi calo i pantaloni quel tanto che basta per far uscire il mio sesso, gli allargo le gambe e mi spingo dentro con un'unica mossa. Si tende cercando di ritrarsi, ma i suoi movimenti sono limitati, affondo in lui completamente. E’ stretto e bollente, sono sicuramente il primo, questo pensiero mi infiamma ancora di più.

Esco quasi del tutto e mi immergo ancora in quel canale caldo e pulsante.

La mia mente sta annegando nel piacere che l’entrare e l’uscire da questo corpo mi procura.

Spingo con forza il bacino in avanti affondando un’ultima volta svuotandomi in lui, abbandono il suo corpo, ansimo pesantemente fissandolo.

Willard non ha emesso un suono, un rivolo di sangue gli scivola lungo il mento: si è morso le labbra fino a ferirsi. Apre gli occhi, sono lucidi e colmi d’odio, sto prendendo coscienza di quello che ho fatto.

Ora mi odierà più di prima.

 

I giorni passano, ma la situazione tra Willard e me è sempre la stessa, l’unica differenza è che ora non è più rinchiuso nelle segrete, ma è nel mio letto.

Entro in quella che è la mia stanza quando assumo la forma umana: Willard è lì, steso sul letto, nudo ed addormentato, le mani legate alla testiera del letto, l’ho fatto ancora. Quando sono con lui perdo il controllo, non mi era mai successo o meglio non mi era più successo da quando lui non c’è più. La differenza sostanziale però è che noi ci amavamo alla follia, Willard mi odia ed io? Cosa provo per lui, attrazione? O qualcos’altro?

Mi spoglio, poso i vestiti sul baule, salgo sul letto. Resto a guardarlo dormire. E’ bello, ha un fisico snello e muscoloso, ma non troppo.

Ha il viso voltato dalla mia parte, i capelli biondi sparsi sul cuscino, le labbra socchiuse, il suo petto si alza e si abbassa lentamente al ritmo del suo respiro. E’ giovane e lo sembra ancora di più quando dorme ed il suo viso si addolcisce distendendosi nel sonno, scompare quel cipiglio battagliero e colmo di disprezzo verso di me.

Lo bacio.

Non mi ha mai permesso di toccare le sue labbra, ma questa volta voglio che vada in maniera diversa, voglio sentire la sua voce sciogliersi in gemiti di piacere.

Succhio le sue labbra morbide e piene, si sveglia e le serra con forza, non mi arrendo, continuo a torturarle fino a quando non le schiude. La mia lingua si fa strada nella sua bocca, la esploro piano senza fretta. Lo accarezzo lentamente, prima con le mani, poi con le labbra.

Willard reclina il capo di lato e sospira, torno a baciargli le labbra. Timidamente risponde al mio bacio, la sua lingua curiosa gioca con la mia, solleva le braccia, ma le corde lo bloccano, le percorro con le mani senza smettere di baciarlo, raggiungo i suoi polsi e li slego. Abbassa le braccia lungo i fianchi, non mi sfiora nemmeno. Abbandono la sua bocca e scendo fino a raggiungere un capezzolo, lo prendo tra le labbra lo succhio, lo mordicchiò.

Il suo respiro accelera, trema leggermente, mi prendo cura dell’altro allo stesso modo mentre con la mano scendo tra le sue gambe e massaggio piano il sesso facendolo inturgidire.

Le sue mani salgono timide ad accarezzarmi lievi la schiena, rabbrividisco a mia volta, ma mi concentro su di lui. Allontano la mano ed emette un sibilo di disappunto. Sorrido, cerca di toccarsi, ma lo fermo baciandogli i polsi segnati.

“Ti prego” sussurra, lo tocco appena. Geme piano, spingendo il bacino verso la mia mano.

“Per favore” bisbiglia tanto piano, che se non ci fosse questo silenzio assoluto, non lo sentirei.

“C-continua”

Sorrido, lo accarezzo con forza e lentezza spingendolo inesorabilmente verso l’orgasmo, con un tremito viene nella mia mano, mi pulisco sul lenzuolo, mi sdraio accanto a lui coprendolo. Gli circondo la vita con un braccio e resto in ascolto del suo respiro che torna regolare.

“Non conosco nemmeno il tuo nome” sussurra.

“Mi chiamo Arek”

Il suo respiro si fa regolare e profondo, si è addormentato, dovrei legarlo, o potrei trovarmi con un pugnale piantato nel cuore, ma sto così bene in questo momento e, se voglio conquistare la sua fiducia, questo potrebbe essere un buon modo per iniziare.

 

Il sonno mi abbandona lentamente, apro gli occhi sbadigliando, giro il capo, il lato di Willard è vuoto, mi metto a sedere, mi guardo intorno; è rannicchiato in un angolo avvolto nel lenzuolo. Mi fissa come un animale in gabbia, ha i capelli arruffati ed i suoi occhi scintillano di rabbia: non sembra nemmeno la stessa persona che questa notte gemeva e si contorceva alle mie cure.

Mi alzo, mi vesto. Sento il suo sguardo fisso sulla mia schiena, sta studiando le mie mosse.

Non ha provato a fuggire: saggia decisione.

Mi avvicino a lui con cautela, ho come l’impressione che potrebbe mordermi, resto fermo davanti a lui.

“Cosa mi hai fatto?” ringhia.

Reclino la testa di lato non capendo a cosa si stia riferendo.

“Che sorta di incantesimo hai usato?” mi accusa stringendosi nel lenzuolo.

Scuoto la testa sempre più confuso “Non capisco a cosa tu ti stia dicendo”

“A quello che mi hai fatto questa notte. E’ stato diverso, è stato…” corruga la fronte combattuto.

Mi accuccio davanti a lui “Bello” finisco per lui.

Distoglie lo sguardo, arrossisce confermando le mie parole.

“Io ti odio! Devo odiarti”

Allungo una mano per sfiorargli il viso, si ritrae. Sospiro alzandomi in piedi mi allontano di qualche passo.

“Chiedimi qualunque cosa, tranne di lasciarti andare, ed io la farò” propongo.

Riflette un momento “Un bagno, dei vestiti…” sussurra mi volto verso di lui annuendo

“E non voglio più che tu mi tocchi in nessun modo, mai più” lo dice fissandomi negli occhi.

“D’accordo, non ti mi avvicinerò più, fino a quando non sarai tu a chiedermelo”

Scuote la testa “Non accadrà mai” afferma risoluto, una luce vittoriosa brilla nei suoi occhi azzurri.

 

Ho dato a Willard la possibilità di muoversi liberamente in alcune sale del castello, non può stare sempre chiuso nella mia.

L’altro giorno l’osservavo mentre con un bastone si esercitava a tirar di spada; da qualche giorno cerca la mia compagnia, anche per stare semplicemente nella stessa stanza.

Una sera siamo entrambi nella biblioteca, dove passo molto del mio tempo a leggere e studiare, amo questa luogo saturo dell’odore di libri ed inchiostro.

Willard è seduto sul davanzale della finestra e contempla le stelle, dopo un po’ mi si avvicina.

“Di cosa parla quel libro?” domanda interessato.

Sollevo il testo, mostrandogli la copertina dove spicca, in caratteri dorati, il titolo nella lingua comune.

Abbassa lo sguardo arrossendo “Non so leggere” mormora imbarazzato.

“Se vuoi posso insegnarti” propongo chiudendo il libro.

“Lo faresti?”

“Certo”

“Vorrei imparare, ma comunque di cosa parla quel libro?”

“Narra la storia di un eroe, in groppa ad un Drago Bianco, che si reca a salvare una bellissima principessa, dalla torre del mago malvagio” riassumo, porgendogli il testo.

Sfoglia le pagine lentamente accarezzando piano la carta ed osservano le figure sparse qua e là.

“Siedi qui” lo invito indicando la sedia al mio fianco, prendo una penna, l’inchiostro ed una pergamena bianca.

Traccio alcune lettere nella lingua comune.

“Ecco, cominciamo con queste, prova a copiarle sotto, tieni…” gli porgo la penna e lo osservo macchiarsi di inchiostro le dita.

“Devi tenerla così…” mormoro chiudendo la mia mano sulla sua.

“E poi fai così”

Le nostre mani unite tracciano la prima lettera, lo lascio e lui continua da solo concentrandosi sulla pergamena che ha davanti, quindi osserva il suo lavoro.

“E’ orribile!” esclama “Le tue sono perfette, le mie invece…” borbotta avvilito.

“Sono ben fatte per essere la prima volta, con il tempo migliorerai” lo rassicuro sorridendo.

Continuiamo ancora per un po’, poi Willard posa la penna “Mi fa male la mano” protesta.

“Basta così per oggi” sistemo le penne e le pergamene quindi torno a sedermi sulla poltrona.

“Puoi leggermi qualcosa?” sussurra a capo chino, i capelli gli adombrano il viso.

“Volentieri”

Ci sistemiamo davanti al camino, sollevo il libro ed inizio a leggere. Molte pagine dopo, alzo lo sguardo. Willard si è addormentato appollaiato sulla poltrona. Poso il libro mi avvicino a lui, lo chiamo più volte, non risponde. Allora lo sollevo tra le braccia e lo porto nella sua stanza, lo deposito su letto, mi chino su di lui, gli scosto i capelli dal viso, vorrei baciarlo, sfiorare le sue labbra con le mie in un bacio dolce e sensuale come quella notte lontana.

Apre gli occhi, siamo molto vicini. Si irrigidisce, non si allontana, non mi allontano. Rimaniamo sospesi per attimi che sembrano ore, mi avvicino un poco reclina la testa di lato.

Faccio qualche passo indietro “Ti sei addormentato” spiego voltandogli le spalle.

Fruscii sommessi, si sta cambiando, quando mi volto indossa la veste da notte.

“La storia che mi hai letto era molto bella” sussurra coricandosi “Però è solo una favola: Uomini e Draghi non potranno mai vivere in pace”

“Questo non è vero. C’è stato un tempo in cui tutte le razze del nostro mondo convivevano pacificamente, rispettandosi…”

“E’ colpa vostra, che attaccate i nostri villaggi ed uccidete la mia gente…” esclama Willard mettendosi a sedere.

“Ti sei mai chiesto perché lo facciamo?” domando, risentito dalle sue parole.

“Perché siete malvagi” sentenzia fissandomi negli occhi.

Sostengo il suo sguardo inquisitore per un lungo istante, abbasso la testa scuotendola lentamente.

“Forse per te sarà inconcepibile, ma furono gli Uomini ad attaccare i Draghi per primi, molti secoli fa, scatenando la Prima Grande Guerra tra Razze. Solo per impossessarsi delle scaglie, delle zanne ed altro” spiego mentre un lungo brivido mi percorre la schiena.

“I Draghi si sono vendicati e dopo la Seconda Grande Guerra sono sempre stati mal visti soprattutto noi Neri, abbiamo accumulato ricchezze che l’avarizia degli Uomini ha spinto a conquistare”

“Voi devastate i nostri villaggi ed uccidete le nostre famiglie” esclama Willard infervorandosi e stringendo il lenzuolo tra le dita.

“Anche noi abbiamo delle famiglie, dei piccoli da proteggere e nutrire. Il mondo è crudele tanto per voi quanto per noi” spiego quasi gridando sedendomi sul bordo del letto, poi traggo un profondo respiro e mi calmo.

“Il tempo in cui tutte le razze convivevano pacificamente io non l’ho vissuto, nonostante abbia molti anni, ma c’è chi crede che possa ancora accadere. Chi ci ha creduto e chi è morto per questo: io ci credevo” sussurrò stringendo i pugni, mentre i ricordi affollano dolorosamente la mia mente.

“Forse hai ragione tu, stando qui ho visto cose che ritenevo impossibili per dei Draghi, ma non credo che tutte le razze potrebbero stare insieme pacificamente. Gli Uomini si fanno la guerra tra loro per una manciata di terra in più, i Nani sono nascosti nelle loro montagne dediti al lavoro nelle miniere, gli Elfi vivono nei loro boschi, indifferenti a quello che accade se non turba la loro tranquillità” mormora Willard posando una mano sulla mia.

“Sarebbe bello un mondo senza più guerre, senza più miserie, senza timore per qualcuno di razza diversa, ma la realtà è molto differente”

Le sue parole mi sorprendono, ma al tempo stesso mi riempiono di tristezza.

“Perché, dieci anni fa, hai attaccato il mio villaggio?” domanda serrando con forza la mia mano nella sua.

Mi stringo nelle spalle non mi aspettavo questo quesito, corrugo la fronte cercando di ricordare.

“Il capo, credo, del vostro villaggio ed un gruppo di uomini sono venuti qui. Non ci hanno attaccato, hanno rubato le nostre uova, non ricordo quante. Uno dei Draghi più giovani li ha seguiti ed il mattino seguente siamo partiti alla volta del tuo villaggio. Ho cercato di trattare, ma gli Uomini non hanno voluto sentir ragioni, hanno distrutto tutte le uova davanti ai miei occhi, diedi l’ordine di radere al suolo quel posto” sussurro e sento Willard tremare.

“Non rammento molto di quel giorno, solo che mia madre ci disse di fuggire, mia sorella mi prese per mano ed uscimmo dalla casa, faceva molto caldo. Il fuoco ricordo il fuoco, poi mia sorella è caduta e non si è più rialzata. Stavo piangendo quando la tua ombra mi ha sovrastato. Vi odiavo e non sapevo nemmeno perché”

Restiamo in silenzio per lungo tempo mi alzo e mi avvicino alla porta.

“Aspetta…”

Mi volto ed attendo.

“N-niente, buonanotte”

“Buonanotte”

 

Percorro i corridoi semi bui del castello, incrocio mia sorella Mairim.

“Sai non ti facevo così romantico” mi canzona.

La guardo in cagnesco, si para di fronte a me con le mani puntate sui fianchi.

“Quell’umano non è Sotros” esclama.

Chiudo gli occhi un terribile fitta mi attraversa il cuore.

“Lo so” mormoro, voleva ferirmi e ci è riuscita, non si arrende e prosegue “Sono strati proprio gli Uomini ad ucciderlo, tu hai giurato vendetta verso la loro razza che ha sempre perseguitato e sterminato la nostra. Ora, invece, pare che tu abbia dimenticato la sofferenza per la perdita di Sotros, tra le braccia di quel ragazzino…”

Resto in silenzio, in parte ha ragione, in parte no, ma se glielo spiegassi non capirebbe e non vorrebbe capire quindi è inutile sprecare del fiato.

Mairim mi fissa “Ti sei innamorato di quell’insignificante essere umano! Sei patetico!” mi accusa.

Scuoto piano la testa mi allontano da lei esco, riprendo le mie sembianze da Drago e volo in questa notte senza luna. Volo ed i miei pensieri tornano ad un tempo lontano, felice, trascorso, che non tornerà mai più.

 

#”Areck, guarda che splendido tramonto”

Sorrido socchiudendo gli occhi, gli ultimi raggi di sole mi accarezzano la pelle, mentre Sotros mi sfiora lieve i capelli. Ho la testa appoggiata alle sue gambe, da questo promontorio si gode di una splendida vista. Mi volto un po’, Sotros ha lo sguardo rivolto al sole, che da sfumature rossastre al suo viso affilato ed ai suoi corti capelli scuri e lisci.

“Sotros!” lo chiamo e lui pare tornare alla realtà, intreccia la sua mano con la mia.

“Arek, perché non ce ne andiamo? Lasciamo il branco” propone.

“Potrebbe essere pericoloso. Ci sono parecchi cacciatori di draghi in giro”

“Hai paura?” domanda sorridendo.

Non rispondo, non lo so nemmeno io, ho solo un brutto presentimento.

“C’è stato un tempo in cui tutte le razze convivevano, Uomini, Elfi, Nani e Draghi, come vorrei che fosse ora. Niente più guerre, niente più vittime” fa una pausa mi guarda e sorride.

“Ti sto tediando con i miei discorsi?”

Scuoto la testa “No, tu non mi annoi mai, potrei stare ad ascoltarti per ore e lo sai!”

Attiro il suo viso al mio, le sue dolci labbra sulle mie in un bacio appassionato.

“Facciamo l’amore qui…” sussurro la voce resa bassa dal desiderio di fondermi con lui.

Sorride posandomi delicatamente sull’erba profumata. Mi apre la tunica accarezza la mia pelle con le labbra e con le man facendomi gemere e sospirare.

Affondo le mani nei suoi corti capelli neri, mi spoglia, lo svesto a mia volta, divarico le gambe ed inarco la schiena facilitando la sua entrata in me.

Entra ed esce con spinte regolari. Gemo quando afferra il mio membro teso e lo massaggia con forza. Viene dentro di me e pochi istanti dopo vengo su di noi.

Crolla al mio fianco, il sole è tramontato, ma non è ancora completamente buio, mi abbraccia e mi stringe forte a sé.

“Ti amo, Arek”#

 

Una lacrima sfugge al mio controllo, senza accorgermene sono tornato in quel luogo, è quasi l’alba ormai, devo tornare indietro, con il cuore colmo di tristezza mi dirigo verso quella che è la mia dimora.

 

I giorni trascorrono pigri, Willard impara velocemente: è sveglio ed intelligente, anche se preferisce che sia io a leggere per lui, da quella sera ormai e diventata un’abitudine. Di tanto in tanto cerca il contatto con me, e questa sera mi ha sorriso. Sono rimasto incantato da quel sorriso dolce e luminoso.

“Cosa c’è?” chiede incuriosito.

“E’ la prima volta che ti vedo sorridere da quando sei qui”

Allungo una mano per posarla sul suo viso, ma a pochi centimetri dalla sua pelle mi fermo, ricordando la promessa fatta. Resto con la mano sospesa. Willard posa il suo volto sulla mia mano.

Accarezzo quella guancia morbida mi avvicino piano a lui, i nostri sguardi sono incatenati l’un l’altro.

Mairim entra di corsa nella biblioteca spezzando l’incantesimo che si è creato.

Willard abbassa lo sguardo, io, invece, la fulmino con un’occhiataccia.

“Ci attaccano!” mi informa.

“Quanti sono?”

“Una trentina: tutti Umani” calca sull’ultima parola e guarda storto Willard.

“Saranno venuti sicuramente per lui” afferma con decisione.

“Non credo. Alzatevi in volo tu, Ridas e Domarak, circondateli, ma non uccideteli”

“Cosa?” sbotta incredula.

“Fa come ti ho detto!” ordino secco.

Mairim si allontana furibonda, mi avvicino a Willard che per tutto il tempo ha tenuto lo sguardo fisso sulla copertina rossa del libro che ha di fronte.

“Qualunque cosa accada, resta qui. Non allontanarti, non costringermi ad incatenarti” lo ammonisco severo.

“Resterò qui” mi assicura in un sussurro.

Corro all’aperto e riacquisto la mia forma, Mairim mi affianca “Non hanno intenzione di negoziare, non vogliono i nostri tesori, vogliono le nostre vite”

Guardo tristemente il gruppo di Uomini che combattono contro Ridas e Domarak.

“Uccideteli, niente prigionieri”

Mi volto per tornare indietro, un dolore lancinante mi toglie il fiato. Una lancia mi ha colpito tra la spalla e l’ala, un colpo preciso non c’è che dire. Non riesco a volare l’impatto con il terreno è violento.

Sono semi cosciente, afferro la lancia e la estraggo aggiungendo altro dolore. Con un grande sforzo di volontà riacquisisco la forma umana, la sofferenza mi stordisce e mi nausea, ho la vista appannata. Qualcuno mi viene incontro brandendo una spada, ma non mi raggiunge. Un esile figura si frappone tra me ed il mio aggressore.

“Arek”

Socchiudo gli occhi cerco di mettere a fuoco il volto chino su di me.

“Arek”

I capelli biondi gli incorniciano il viso, due occhi azzurri mi fissano preoccupati. Mormora qualcos’altro, ma non capisco il buio mi trascina giù.

 

#”Arek sei sveglio?”

Mi rigiro nel letto voltando le spalle a Sotros.

“Lo sai che il sole è già alto?” domanda, il suo fiato calo mi solletica l’orecchio.

Non gli rispondo, non mi ha fatto dormire molto questa notte, non che mi sia dispiaciuto anzi, però ora ho sonno, voglio dormire ancora un po’.

Le dita di Sotros mi accarezzano la schiena facendomi rabbrividire, conosce bene i miei punti più sensibili e li sfrutta per farmi capitolare, mugolo un protesta poco convinta.

“Non dirmi che non ti piace perché non ti credo” sussurra al mio orecchio, mentre la sua mano percorre il mio fianco e mi accarezza il membro a riposo, ancora per poco se continua così.

“Uffa, cosa vuoi?” borbotto da finto offeso voltando la testa verso di lui.

“Tutto” sussurra catturando le mie labbra con le sue.

“Abbiamo fatto l’amore tutta la notte”

“Non mi vuoi?” domanda strusciando contro di me la sua eccitazione.

Lo sospingo sul materasso, sono sopra di lui, con un movimento fluido dei fianchi lo penetro, mi afferra i glutei e mi spinge ancora più verso di sé come se si volesse fondere con me.

Mi muovo lentamente ci baciamo, le nostre lingue fanno l’amore tra loro. Ci muoviamo e gemiamo l’uno dentro la bocca dell’altro, sfamandoci con la nostra passione. Sotros viene sul mio ventre ed io dentro di lui. Esco dal suo corpo, ma resto sdraiato su di lui, mi piace farmi coccolare dopo aver fatto l’amore.

“Posso dormire adesso?”

“Sì, Arek, dormi” mormora accarezzandomi i capelli.#

 

“Arek”

Chi mi chiama? Sono stanco, voglio dormire.

“Arek”

Lasciami dormire, Sotros, ti prego, lasciami dormire.

“Arek”

Con uno sforzo immenso apro gli occhi, la stanza è buia. No, la pallida luce di una candela.

Mi muovo un dolore terribile mi trafigge la spalla, ora ricordo sono stato ferito. Che stupido ho voltato le spalle al nemico.

“Arek”

Volto la testa.

“Sotros”

E’ qui lo vedo, allungo una mano e gli sfioro il viso, chiudo gli occhi li riapro. I capelli sono fili d’oro, non più neri, ma gli occhi sono azzurri e limpidi.

“Arek”

“Willard”

“E’ voluto rimanere sempre qui non si è mai allontanato” volto la testa Mairim mi fissa, i suoi occhi sono duri, avrebbe una gran voglia di farmi la predica, ma si trattiene viste le mie condizioni.

“Cosa è successo?”

Scrolla le spalle “Non è rimasto nessuno del gruppo che ci ha attaccati, sei stato ferito, il ragazzino ti ha protetto uccidendo un guerriero che ti stava attaccando. Hai avuto la febbre per due giorni”

Volto la testa verso Willard, è arrossito alle parole di Mairim.

“Non capisco perché ti sia ritrasformato in umano, mantenendo la tua forma la ferita si sarebbe rimarginata molto più in fretta. Non fare movimenti bruschi o la ferita si riaprirà, vado a dormire”

La guardo allontanarsi mi volto nuovamente verso Willard, solo ora noto che è pallido e stanco, mi porge una coppa piena d’acqua, con un gemito cerco di mettermi a sedere, Willard mi sostiene, bevo avidamente.

“Grazie” sussurro adagiandomi sui cuscini.

“Non sei arrabbiato con me?” domanda preoccupato.

Socchiudo gli occhi troppo stanco per pensare “Dovrei?”

“Non sono rimasto all’interno come mi hai ordinato” sussurra timidamente.

Scuoto la testa “Non ha importanza, mi hai salvato la vita da quel che ha detto Mairim”

Annuisce scostandosi i capelli dal viso.

“Vado a riposare anch’io” sussurra alzandosi dalla poltrona.

Batto una mano sul materasso “Resta con me”

Titubante sale sul letto e si stende al mio fianco “Ero preoccupato” sussurra.

“Non devi, non è così facile farmi fuori” mormoro posando la testa sulla sua spalla. Non mi scaccia, ho le palpebre pesanti non riesco a tenere gli occhi aperti.

“Sono stanco” sussurrò.

“Dormi, Arek” mormora accarezzandomi i capelli, trattengo il respiro per un istante, poi sfinito dal dolore mi addormento.

Quando mi risveglio è giorno, la luce del sole entra dalle finestre aperte, Willard dorme girato su un fianco la sua mano stringe la mia.

Resto ad osservarlo, nella chiara luce del mattino. Le sue palpebre tremano, si muove po’ ed apre gli occhi, mette a fuoco il mio viso e mi sorride.

“Quanti anni hai, Willard?” fino ad ora non gliel’hp mai chiesto, sono curioso.

“Ventitré, perché me lo chiedi?”

“Quando dormi sembri più giovane” spiego scostandogli i capelli dal viso.

Bussano alla porta con decisone, sospiro. Willard scende dal letto e, quando Mairim entra, esce.

 

La ferita si è rimarginata rapidamente, fa ancora un po’ male, ma non molto.

E’ pomeriggio, Willard è venuto nella mia stanza a fare i suoi esercizi di scrittura, ripone la penna e mi fa vedere il suo lavoro “Molto bene” lo lodo facendolo arrossire.

Si siede sul letto a gambe incrociate, mi porge un libro.

“Leggilo tu per me questa volta” mormoro accomodandomi semiseduto.

“No, io non sono ancora bravo come te” borbotta “Mi intartaglio”

“Solo qualche pagina” lo esorto, annuisce aprendo il libro, inizia a leggere, fa ancora fatica, ma è migliorato molto, ha la fronte corrucciata e le guance arrossate. La camicia che indossa è troppo grande per lui e gli ricade in avanti lasciando scoperta la spalla e lascia intravedere il suo petto glabro, i pantaloni neri gli modellano le gambe, si ferma “Cosa c’è scritto qui?” domanda indicandomi un punto sulla pagina.

“Lacerato” leggo “Strappato” spiego.

Chiude il libro “Basta per oggi”

Allungo una mano e lui vi possa la guancia, lo attiro verso di me.

“Posso baciarti?” bisbiglio a pochi centimetri dalle sue labbra, la mia voce vibra di un desiderio trattenuto troppo a lungo.

“Sì…”

Le nostre bocche si sfiorano, si cercano, si catturano, in un bacio lungo e tanto atteso, ci separiamo fissandoci, Willard si toglie la camicia, prende la mia mano e se la posa sul petto all’altezza del cuore “Toccami” bisbiglia arrossendo, infrangendo il divieto che mi aveva imposto.

Gli accarezzo il petto, risalgo lungo il collo scendo ancora, sospira reclinando il viso di lato, schiude le labbra, ci baciamo ancora, le sue mani percorrono la mia pelle, sfiora le fasce che avvolgono la mia spalla ferita.

Si siede su di me, muove i fianchi, entrambi gemiamo, si sposta sbarazzandosi dei pantaloni, poi libera anche me, si sistema sopra di me, gli sfioro la schiena con la punta delle dita, facendolo rabbrividire, la sua bocca è nuovamente sulla mia in un bacio bollente ed umido, massaggio le sue natiche sode le separo, mi insinuo tra esse, mi spingo nel suo orifizio con un dito; lascia la mia bocca, posa la fronte sulla mia spalla e si muove su e giù, con cautela ne introduco un secondo, li muovo dentro di lui preparandolo, Willard geme spingendosi con forza sulle mie dita. Provo ad aggiungerne un terzo, ma Willard mi ferma.

“Voglio te…” sussurra guidandomi nel suo corpo caldo ed accogliente, con un’unica spinta si impala sul mio fallo eretto. E’ meravigliosamente stretto: come la prima volta.

Resta immobile, ansimante contro di me, prende a muoversi con regolarità imponendomi il suo ritmo.

Lo aiuto nei suoi movimenti tenendolo per i fianchi. Afferro il suo sesso, il quale fa bella mostra di sé fra i chiari peli pubici.

Willard continua a muoversi portandomi sempre più vicino all’apice del piacere, mi tendo con uno spasimo venendo dentro di lui.

Willard non si muove posa la sua mano sulla mia imponendomi il ritmo giusto per raggiungere l’orgasmo.

Butta la testa indietro ed apre la bocca in un grido muto, il suo seme si sparge sulle nostre mani unite e sul mio petto.

Si solleva facendomi uscire dal suo corpo, si sdraia al mio fianco a pancia in giù. Restiamo in silenzio per un po’, poi Willard parla con voce bassa ed incerta “Ho sognato per molte notti di fare l’amore con te. Mi svegliavo eccitato e dovevo porre rimedio da solo alla cosa. E’ sbagliato. Io dovrei odiarti, non…” scuote piano la testa, confuso, nascondendola nel cuscino, gli poso una mano tra i capelli dorati scendo a sfiorargli la schiena, sospira ed un gemito soddisfatto gli sfugge dalle labbra.

Poso tanti piccoli baci sulla sua pelle lungo la spina dorsale, scendo fino al sedere, glielo mordicchio, ride sommessamente, gli separo i lombi vi passo la lingua più volte, lo ripulisco dal mio seme.

“Arek…” geme.

Mi sposto e gli permetto di voltarsi.

Lo bacio con passione selvaggia.

“Toccati” gli ordino, sorride passandosi una mano sul petto scendendo inesorabilmente verso il basso.

L’eccitazione riprende a scorrere nelle mie vene mentre lo osservo accarezzasi il membro con una mano, il petto con l’altra, stuzzicandosi i capezzoli, si passa più volte la lingua sulle labbra: è bello, sensuale, eccitante, poso la mano sulla sua, mi chino su di lui e lo prendo tra le labbra lo succhio con lentezza beandomi dei gemiti e dei mugolii che escono dalla sua bocca, lo penetro con due dita aggiungendo anche questo stimolo.

Grida il mio nome, le sue mani tra i miei capelli, il suo liquido caldo si riversa nella mia bocca.

Gli sorrido posando la testa vicino alla sua, apre gli occhi, sembra confuso.

“E’ stato travolgente” sussurra passandomi una mano tra i capelli.

Si inginocchia al mio fianco e sorride fissando il mio sesso nuovamente eretto, muove la sua mano su di me, chiudo gli occhi, con una mano continua ad accarezzarmi, con l’altra mi fa divaricare un poco le gambe, capisco quello che vuole fare, sollevo un po’ le gambe, sfiora la mia apertura.

“Arek?” mi chiama punto i miei occhi scuri nei suoi.

“Vuoi?” domanda, spingendo il dito un poco dentro di me.

“Sì…” sussurrò.

Mi penetra completamente, mentre la sua bocca mi accoglie.

Muovo un poco i fianchi cercano maggior contatto con quella dolce tortura, un altro dito nel mio corpo. Sorrido, ha paura di farmi male, poso le mani sulla sua testa, i suoi capelli mi accarezzano il ventre e l’inguine.

“Ancora…” sussurro e temo che Willard non mi abbia udito, invece poco dopo un terzo dito si unisce agli altri due, gemo e Willard si ferma per un istante, ma i movimenti del mio bacino la convincono a continuare, spinge con forza le dita dentro di me, toccando un punto magico.

Una scarica di piacere si unisce alle altre facendomi venire con un gemito appagato.

Willard risale sdraiandosi su di me le nostre labbra si cercano ancora i nostri sapori si mischiano, gemo quando Willard sfiora la mia spalla ferita.

“Scusa…” mormora sollevandosi di scatto.

Scuoto la testa ripensando alle parole di Mairim, le bende sono macchiate di sangue.

“Va tutto bene” lo rassicuro, ma lui mi fissa preoccupato.

“Fidati, ho fatto solo un po’ troppo movimento” sussurro facendo l’occhiolino.

Willard diventa paonazzo “Stupido”

Si accoccola al mio fianco dandomi le spalle “Abbracciami” sussurra.

Gli circondo la vita attirandolo a me, i nostri corpi si incastrano alla perfezione, senza accorgercene ci addormentiamo.

 

Quando mi risveglio, Willard mi sta fissando avvilito.

“Che tipo di rapporto c’è tra te e Mairim?”

Sorrido “Siamo fratelli”

“Oh…” esclama abbassando il capo, resta a lungo in silenzio, allungo una mano gli sfioro i capelli, mi guarda negli occhi.

“Chi è Sotros?” mormora con voce infinitamente triste.

Lo stomaco mi si contrae dolorosamente, impallidisco, non mi aspettavo certo una domanda del genere da lui.

“Come?”

“Quando eri in preda alla febbre spesso chiamavi quel nome ed anche prima nel sonno.

Resto in silenzio per un lungo istante.

“Sotros era il mio compagno. Il capo del branco prima di me” sussurro con un filo di voce.

“Era?” mi fa eco Willard.

“Sì. E’ stato catturato e trucidato dagli Uomini, non ho potuto fare nulla per salvarlo, ho solo potuto guardarlo morire, nascosto nell’ombra, è da lì che ho cominciato ad odiare gli Uomini, la vendetta, per un lungo periodo della mia vita, è diventata il mio scopo, il tempo ha lenito la mia sofferenza e la mia sete di sangue Umano” mormoro rabbrividendo, non credevo potesse fare ancora così male.

Socchiude gli occhi e reclina il capo.

“Lo amavi molto”

“Sì, lo amavo molto, avrei fatto qualunque cosa per lui”

Annuisce, si riveste in fretta e lascia la stanza.

 

Le giornate diventano via via più calde con l’avanzare dell’estate e gli occhi di Willard sono velati di tristezza e malinconia.

Mi affaccio alla finestra, l’aria è satura dell’odore della pioggia, i lampi illuminano il cielo nero della notte, il brontolio dei tuoni si fa via via più vicino, le prime gocce di pioggia cominciano a cadere, producendo un lieve rumore su terreno arido, via via si intensificano e lo scrosciare dell’acqua è continuo; il cielo è quasi costantemente illuminato dai lampi ed il rombo dei tuoni è continuo ed assordante.

La natura si sta scatenando in tutta la sua forza e bellezza, chiudo gli occhi ed inspiro l’aria umida.

La porta cigola, quando viene aperta, mi volto, scorgo una figura che avanza nella stanza.

Si avvicina a me, si ferma a pochi passi.

“Hai paura del temporale?” domando ironico, sapendo bene che non è così.

Scuote la testa dorata, i lampi mi permettono di intravedere il suo profilo. I temporali hanno uno stano effetto su di me, soprattutto quelli molto violenti come questo, senza una parola Willard lascia cedere la veste da notte che indossa, distinguo chiaramente le sue forme, posa le mani sul mio petto nudo le fa scorrere, con le labbra cerca la mia bocca, il nostro bacio diventa subito infuocato e violento.

Trova il laccio che tiene chiusi i mie pantaloni, lo snoda e me li fa scivolare lungo i fianchi, con un calcio me ne libero del tutto.

Lo sospingo verso il letto, lo faccio sdraiare, ma non mi distendo su di lui al contrario resto in piedi.

I tuoni riecheggiano sulle pareti, nella mia testa, nel mio sangue, lo penetro con un poderoso colpo di reni, il grido di Willard si confonde con il rumore della pioggia; mi muovo dentro di lui, incurante dei sui gemiti di dolore. Mi muovo con violenza raggiungendo l’apice, svuotandomi in lui, mi riprendo dal mio torpore, scivolo fuori da Willard con cautela, un singhiozzo gli scuote il petto, il temporale si sta placando.

Sfioro le guance di Willard con le labbra, sono umide e salate.

“Scusa, scusami, non volevo…” sussurro baciandogli le labbra, timidamente risponde al mio bacio, abbandono le sue labbra e percorro il suo corpo lentamente assaggiandolo come fosse un frutto raro.

Mi inginocchio a terra, sfioro il suo sesso con le labbra, lo lecco dalla base alla punta, gli accarezzo i testicoli poi lo prendo tra le labbra e lo succhio con vigore, le sue mani sono tra i miei capelli, mormora a fior di labbra il mio nome,muove i fianchi verso la mia bocca, viene con un gemito, non mi lascio sfuggire nemmeno una goccia del suo nettare bianco.

Lo sollevo tra le braccia e lo ridistendo sul letto, lo avvolgo nel lenzuolo, la sua mano sul mio viso mi attira a sé e mi bacia con dolcezza, mi sdraio al suo fianco lo stringo a me; sta ancora piovendo, qualche lampo illumina questa densa oscurità rivelando il corpo sinuoso accanto al mio, chiudo gli occhi, ma non mi addormento i ricordi di una situazione analoga a questa affollano la mia mente.

 

#”Accidenti, fra poco si scatenerà una tempesta” esclamo seguendo Sotros lungo il sentiero.

“Non riusciremo mai a tornare a casa. Ehi, ma mi stai ascoltando?”

Sotros si volta verso di me e sorride, il dolce e rassicurante sorriso che riserva solo a me.

“Hai ragione, sta già iniziando a piovere” dice sollevandomi il cappuccio del mantello sopra la testa e facendo altrettanto con il proprio “Guarda laggiù” esclama prendendomi per mano trascinandomi letteralmente. Aguzzo lo sguardo: una casa, o meglio, una capanna; quando la raggiungiamo siamo completamente fradici, mi guardo intorno, questo posto deve essere abbandonato, però è stranamente pulito ed in ordine, mi tolgo il mantello e lo appendo sulla porta.

Sotros si china sul caminetto ed accende il fuoco, l’odore acre della legna umida mi pervade le narici, un tuono violentissimo mi fa sobbalzare, Sotros si volta e ride, arrossisco, continua a ridere mentre si toglie il mantello e la camicia fradicia.

Mi avvicino al fuoco e tendo le mani sospirando grato di quel tepore, Sotros mi è dietro, mi circonda le spalle con le braccia, mi fa aderire al suo petto, le sue mani percorrono il mio torace avvolto nel tessuto bagnato della camicia, le sue labbra succhiano il mio collo, sollevo le braccia, mi sfila la camicia, poi i pantaloni, resto immobile completamente nudo, davanti al camino con gli occhi chiusi, il rombo dei tuoni, il ticchettio della pioggia ed il respiro di Sotros che si riaccosta a me nudo anche lui, sento il suo sesso rigido sfiorarmi i glutei.

Mi abbraccia e mi tira a terra con sé, mi inginocchio, mi piego in avanti, carponi davanti a lui, che mi bacia la schiena, mi accarezza, mi possiede così in modo violento e selvaggio.

Io grido per il dolore prima per il piacere dopo.

Il nostro amplesso è impetuoso e travolgente come il diluvio fuori dalla capanna. La sua mano su di me mi massaggia con urgenza vengo con un singhiozzo mentre Sotros si muove ancora dentro di me, ora non c’è più piacere per me solo dolore; le lacrime mi appannano la vista, non ho il coraggio di dirgli di smettere. Affonda ancora, ancora, ancora… poi, finalmente, raggiunge l’orgasmo sciogliendosi dentro di me.

Esce dal mio corpo, mi lascia andare, come se fossi un oggetto, mi rannicchio su me stesso singhiozzando debolmente. Non mi tocca, mi raggomitolo ancora di più poco distante da lui. Ho paura di lui.

Si riveste ed esce nella pioggia senza chiudere la porta alle sue spalle.

Libero di sfogarmi comincio a piangere disperatamente. Perché mi ha trattato così? Non lo aveva mai fatto, mi muovo un poco. Fa enormemente male, con titubanza mi tocco: brucia terribilmente. Mi fisso le dita sono sporche di bianco e rosso: il suo sperma, il mio sangue.

Sto tremando per il freddo che entra dalla porta aperta, credo. La testa mi gira nonostante sia sdraiato tutto diventa buio e silenzioso.

Mi sveglio di soprassalto, mi guardo intorno sono ancora nella capanna, ma sono steso sul giaciglio di paglia, avvolto un mantello. Sotros è seduto al tavolo al centro della stanza, si volta verso di me mi sorride tristemente, si alza e si avvicina.

Mi rannicchio strettamente nel manto addossandomi al muro, allunga una mano per sfiorarmi il viso.

“Non toccarmi, non farmi male” lo prego, la voce incrinata miseramente dalla paura e l’angoscia. Chiudo strettamente gli occhi, ma la sua mano mi sfiora leggera.

“Scusami, non volevo farti del male, credimi” sussurra sfiorandomi la fronte con le labbra “Perdonami” la sua voce è colma di tristezza, i suoi occhi sono lucidi, sembra che abbia pianto.

Sto tremando come una foglia, mi solleva un poco ed io mi irrigidisco, mi abbraccia accarezzandomi i capelli, il mantello scivola giù dalle mie spalle, Sotros mi adagia sul giaciglio si allontana da me per poi riavvicinarsi con una bacinella tra le mani ed una pezza.

Apre i lembi della coppa scura, mi copro istintivamente con le mani me le scosta dolcemente.

“Non voglio farti del male, ma riparare solo a ciò che ho fatto”

Immerge il pezzo di stoffa, divarica gentilmente le mie gambe e mi sfiora il più delicatamente possibile.

“Brucia” gemo voltando il viso, osservo la ciotola nell’acqua galleggiano delle erbe, lascio la sua mano chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi anche se non è facile.

Mi deterge lentamente, facendo attenzione a non farmi troppo male, quando finisce mi riavvolge nel mantello e si stende la mio fianco.

“Ti prometto che non accadrà più una cosa del genere, non ti tratterò mai più in questo modo” sussurra scostandomi una ciocca scura dal viso.

Mi avvicino a lui, mi accoccolo tra le sue braccia, mi bacia i capelli e mi culla dolcemente.#

 

Sbatto le palpebre. La tenue luce dell’alba mi desta dai miei ricordi, scosto Willard e lo adagio sui cuscini, scendo dal letto, indosso i pantaloni, tiro le tende.

Esco all’aperto, l’erba è bagnata sotto i miei piedi nudi, un silenzio irreale circonda queste rovine.

“Come mai fuori a quest’ora?” la voce di mia sorella mi fa sobbalzare.

“Potrei farti la stessa domanda”

Mairim mi affianca “Notte infuocata?” insinua.

“Non sono fatti tuoi” sbotto.

“A volte mi chiedo cosa trovasse, Sotros, in te”

Sospiro, non mi va di litigare “Ti rode solo il fatto che abbia scelto me e non te” sibilo cattivo.

Si volta e mi assesta uno schiaffo in pieno viso “Non rivolgerti a me con questo tono, dopotutto sono la maggiore e poi io lo amavo”

“Lo so” mormoro posando la mano sulla guancia colpita.

“Ma lui amava te” mormora “E’ morto per te, per permetterti di fuggire, se fosse stato da solo si sarebbe salvato” mi accusa.

“Zitta, sta zitta!” grido, non voglio ricordare è troppo doloroso.

“E’ inutile che tu non voglia sentire, è la verità solo la verità

“Io non ho potuto fare nulla, NULLA” grido.

La disperazione mi coglie come allora, Mairim comprende il mio turbamento “Scusa” sussurra abbracciandomi “Scusami”

Mi stringo a lei: è tutto quello che rimane della mia famiglia.

 

Un altro giorno è trascorso, il sole sta tramontando e Willard siede su una roccia e fissa l’astro sparire e tingere di rosso, rosa e viola il cielo.

I suoi occhi sono tristi e lontani, la leggera brezza sfiora i suoi capelli come la mano di un’amante.

Mi avvicino a lui, ho preso una decisione, non posso legarlo a me se lui non vuole. Il piacere fisico è nulla se alla base non ci sono dei sentimenti.

Si volta verso di me, nei suoi occhi azzurri leggo sempre la stessa preghiera – lasciami andare -

“Puoi andartene se vuoi” sussurro mestamente, queste poche parole mi sono costate un sforzo incredibile.

I suoi occhi si allargano per lo stupore sembra non crede a ciò che gli ho detto.

“Se lo desideri puoi lasciare questo luogo, nessuno ti fermerà” aggiungo, sperando che lui non se ne vada.

Si alza in piedi, avanza verso di me, mi oltrepassa. Chiudo gli occhi, si ferma.

“Grazie” bisbiglia e si allontana uscendo dalla mia vita.

 

Sono nella mia stanza seduto sul davanzale della finestra quando Mairim entra come una furia.

“Sei pazzo o solo stolto?” grida “Hai lasciato andare l’Umano. Sa come arrivare qui, conosce troppe cose di noi, dagli il tempo di radunare un po’ di forze e tornerà per distruggerci” grida fuori di sé per la rabbia.

Sollevo un sopracciglio “Non lo farà” replico per nulla impressionato dalla sua ira.

“Come fai ad esserne tanto sicuro, ha visto le nostre ricchezze, non è diverso dagli altri”

“Ti ripeto che non lo farà” ribatto con voce annoiata.

Mairim non sa cosa ribadire così lascia la stanza sbattendo la porta alle sue spalle.

Sospiro, non è passato che un giorno da quando se ne è andato e già mi manca.

Sfoglio distrattamente un libro, che mi sia innamorato di lui? Nel mio cuore e nella mia mente c’è ancora Sotros, inoltre Willard è un Umano il suo tempo è breve, il mio, invece, ancora molto lungo. Se fosse stato innamorato di me, non se ne sarebbe andato, sarebbe rimasto, invece, non ha esitato un attimo a lasciare questo luogo.

 
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