Disclaimer: I personaggi non sono miei... ç.ç
Attenzione: la fic si colloca idealmente alla fine
21esimo
numero.
Drago
Bianco Occhi Blu II
di Naika
Capelli neri
striati da appuntite ciocche bionde.
Una fiammata
di tenebra e luce, tesa verso il cielo.
Occhi viola.
Due abissi di
ombre ametista e sfaccettature arcane.
Pelle candida.
Raso pallido
dalle sfumature nivee.
Un visetto dai
lineamenti morbidi, da fanciullo.
Un corpo
sottile, delicato, quasi efebico.
Un esistenza
pura, un’innocenza inviolata.
Candido quanto
sensuale.
Dolce quanto
ingenuo.
Gentile quanto
testardo.
In due parole?
Yugi Muto.
L’unica persona
dopo Mokuba che fosse riuscita ad infilarsi tra i suoi pensieri per più di
qualche minuto.
Un ragazzino
come tanti altri, con degli amici che presumeva si potessero definire ‘normali’,
una famiglia normale, dei voti normali.
Insomma: la saga
della banalità.
Almeno questo
aveva pensato Seto prima di scontrarsi, nel gioco, contro di lui.
Ma Muto l’aveva
battuto.
Lui, il signore
indiscusso di Magic e Wizard, sconfitto da un ragazzetto insignificante!
La rabbia e la
sete di vendetta avevano dominato ogni suo pensiero per giorni, settimane, mesi!
Finchè il
death-T non era stato completato.
Era ad un passo
dal trionfo, ad un soffio dalla vittoria, si era procurato addirittura tre
Draghi bianchi occhi blu, era certo che l’avrebbe schiacciato come l’insetto che
era ma... Yugi l’aveva sconfitto.
Di nuovo.
Quando l’altro
gli aveva mandato in pezzi l’anima Seto aveva davvero creduto che tutto sarebbe
terminato così.
Aveva perso.
Era stato
battuto.
Era finita.
E invece quel
ragazzino gli aveva regalato un nuovo inizio, gli aveva dato un’altra
possibilità.
Quella sua
anima, ormai troppo corrotta, che lo aveva indissolubilmente inglobato nei suoi
soffocanti tentacoli di tenebra condannandolo ad un destino di silenzio ed odio,
ed ad una fine, probabilmente prematura, non molto diversa da quella del suo
patrigno, era andata in frantumi.
Solo mentre la
ricostruiva, lentamente, Seto aveva compreso quale dono gli era stato fatto.
Perchè?
Aveva tentato di
ucciderlo.
Invece Yugi lo
aveva liberato.
E non l’aveva
fatto solo allora.
Anche sull’isola
dei duellanti gli aveva salvato la vita.
Due volte.
Una rinunciando
al combattimento, l’altra combattendo anche per lui.
Perchè?
Gentilezza?
Stupidità?
Un
incomprensibile bontà?
Lui non avrebbe
mai fatto una cosa simile.
Per un
avversario.
Un nemico.
Qualcuno che
aveva messo a repentaglio la vita delle persone a lui più care.
Perchè?!
Quando aveva
riabbracciato Mokuba, quando quel lungo incubo d’incoscienza e buio si era
infranto, quando l’ultimo pezzo della sua rinata anima era andata al suo posto
Seto Kaiba si era ritrovato a fissare l’artefice della sua rinascita con occhi
nuovi.
E seppure il
giovane presidente avesse inizialmente cercato di negarlo con tutte le sue forze
da quel giorno aveva cominciato a fare tutta una piccola serie di cose che il
‘vecchio Seto’ non si sarebbe, mai e poi mai, nemmeno sognato.
Come dare un
passaggio in elicottero a Yugi e ai suoi amici.
Come trovare
scuse assurde per ritardare la sua uscita dalla classe o per ritornarvi solo per
‘controllare’ che costa stava facendo lui.
Come uscire con
una serie di ragazzini dal corpo sottile e dal viso da bambino.
Aveva sempre
preferito le donne.
Avevano curve
morbide e lunghe chiome in cui affondare le dita.
Erano più
semplici da raggirare e soprattutto non rischiavano di ledere all’immagine
aziendale, non più di tanto almeno.
Ma da quando era
tornato dall’Isola dei Duellanti aveva cominciato a collezionare una serie di
piccoli efebi dagli occhi enormi.
Perchè?
Seto Kaiba non
era così stupido da non comprenderlo da solo e non era nemmeno così codardo da
non volerlo ammettere.
Aveva preso una
sbandata per il piccolo deficiente.
Proprio lui.
Yugi Muto.
Di tutti quelli
che potevano catturare il suo interesse, di tutti quelli che poteva avere, era
andato ad infatuarsi proprio dell’unico che gli avrebbe detto un ‘no’ secco.
Senza contare
quei suoi amici/guardie del corpo che non lo lasciavano solo neanche quando
andava in bagno.
La frustrazione
lo aveva reso così nervoso da farlo diventare incauto con il risultato che un
paparazzo l’aveva beccato con la sua ultima fiamma.
Fortunatamente
il loro era un paese decisamente tollerante da quel punto di vista e, da quando
due anni prima era passata la legge che consentiva i matrimoni omosessuali, non
era poi così raro vedere una coppietta di ragazzi.
Pertanto la cosa
era stata accolta più con curiosità che con disgusto e le vendite dei suoi
prodotti non avevano risentito dello ‘scandalo’.
Tutto a posto
dunque?
Assolutamente
no.
Perchè Seto
Kaiba continuava a fare sogni in cui il suo acerrimo rivale compariva in tutte
le salse, a volte letteralmente, e in cui, di carte, non c’era nemmeno l’ombra.
Gli era già
successo di svegliarsi ansimante dopo aver sognato Yugi, in passato, quando per
la prima volta l’altro l’aveva battuto, ma QUESTI sogni erano di tutt’altro
genere!
Anche sfogarsi
con qualche sostituto non era che un palliativo temporaneo che non serviva ad
eliminare il problema di base.
E Seto stava
decisamente ponderando le conseguenze di un rapimento quando l’aveva scorto al
bar del suo locale preferito.
Abbandonato sul
bancone, il capo negligentemente appoggiato ad una mano, il corpo fasciato in un
paio di pantaloni, che definire indecenti sarebbe stato riduttivo, e una maglia
che gli disegnava il petto e la schiena come una languida carezza.
E stava facendo
lo scemo con il barista!!
Aveva liquidato
l’inserviente con la sua peggiore occhiata prima di voltarsi verso di lui e
rischiare seriamente di dissanguarsi.
Era un invito
allo stupro!
Non poteva
starsene così, mezzo sdraiato contro il bancone, con quegli occhi dannatamente
viola e quel sorriso birichino.
Insomma c’era un
limite anche al sangue freddo!
Ma quello era
stato solo l’inizio.
Il Yugi che
aveva visto quella sera era... era...
Innocenza
sensuale.
Purezza
maliziosa.
Una delicata,
candida, tentazione.
Il barista lo
aveva chiamato ‘micetto’.
E sebbene quel
vezzeggiativo gli sarebbe costato il posto, Seto non poteva che dichiararsi
d’accordo.
Quel suo corpo
sottile, armonioso, quella sua grazia naturale, quel suo modo di muoversi
elegantemente languido e quella sua aria dolcemente arruffata lo facevano
assomigliare in tutto e per tutto ad un piccolo felino.
Un gattino nero.
Un bel gattino
nero che avrebbe miagolato di piacere tra le sue braccia.
Quello aveva
pensato guardandolo.
Almeno finchè
Yugi non aveva tanto innocentemente constatato quanto facesse caldo quella sera
e si era infilato un dito sotto la vita dei pantaloni.
Oh sì.
Faceva un caldo
INFERNALE quella sera.
E la piccola
pantera che aveva davanti ne aveva approfittato impunemente, lasciando che
l’aria sfiorasse la sua pelle umida lambendolo come una carezza vogliosa,
permettendo alla luce di scivolare, malandrina, ad infilarsi laddove soltanto
lui doveva poter arrivare.
Era così liscia
e candida la sua carne.
Sembrava così
morbida.
Così pura.
Kaiba aveva
provato l’irresistibile desiderio di stringerla tra le dita fino a farla
arrossire per lui o magari di succhiarla tra le labbra e mordicchiarla con i
denti.
Doveva essere
deliziosa...
Il barista aveva
salvato l’inconsapevole Yugi dall’essere brutalmente sbattuto sul bancone ma se
n’era uscito di nuovo con quel nomignolo e per di più aveva portato un cocktail
alcolico ad un ragazzino.
E che cocktail
poi!
Avrebbero dovuto
vietare la vendita di una bevanda simile!!
La crema al
wisky densa, perlacea, sulle labbra di Yugi...
Pensieri
proibiti e immagini infuocate avevano dilaniato la mente del giovane presidente
come l’artigliata della sua carta preferita.
Tutti i suoni
attorno a lui, la musica assordante, il chiacchiericcio, erano sfumati in un
debole ronzio in confronto al ruggito del sangue nelle sue vene.
E poi... quel
piccolo demonio dagli occhi abissali, aveva leccato la ciliegia.
L’aveva leccata
con una tale, candida, deliziata, soddisfazione...
Solo il suo
incredibile sangue freddo gli aveva permesso di non boccheggiare come un pesce
fuor d’acqua.
Aveva pensato
che il peggio era passato.
Che sarebbe
riuscito a concludere la serata senza compromettersi.
Che non poteva
esistere qualcuno in grado di fargli perdere completamente la testa.
Un po’... forse.
Ma non del
tutto.
Infondo lui era
Seto Kaiba!
Il re del
ghiaccio.
Bhe... si era
sbagliato.
Perchè Yugi
aveva morso la ciliegia e il liquido candido di cui era pregna gli era scivolato
sulle labbra e sul mento.
Come in una
scena al rallentatore Seto lo aveva guardato raccogliere quella gocciolina
traditrice con un polpastrello e poi... poi... quel piccolo angelo della
lussuria, quella pantera travestita da gattino, se l’era infilato in bocca e
l’aveva succhiato.
L’aveva
succhiato!!
L’aveva
osservato farlo entrare e uscire, tra le labbra, quel dito lungo, pallido, nella
sua bocca umida e calda.
Quei due petali
rossi si erano schiusi con tale abbandono per permettere all’indice di violarle,
di affondare in loro, così dannatamente allusivo, così incredibilmente
innocente.
E non si era
accontentato.
Oh no signori!!
Yugi aveva
emesso quel piccolo suono oscenamente soddisfatto.
Quel miagolio di
candido appagamento.
Era troppo.
Troppo per
chiunque.
L’aveva baciato.
Lì.
In un locale
pubblico.
Di fronte a
tutti.
Incapace di
pensare a qualsiasi cosa che non fosse stringerlo a se fino a fonderselo
addosso.
Aveva spinto la
lingua nella sua bocca e, per tutte le carte di Magic, era stato...
bellissimo.
Ne aveva baciati
tanti di ragazzi ma mai il fuoco era divampato in quel modo nelle sue vene.
Mai la tenerezza
gli era colata, nel sangue, così, inaspettata e calda.
Già.
Seto Kaiba:
mister menefreghismo, il re della crudeltà, il signore assoluto
dell’indifferenza, si era ritrovato con un ragazzino impacciato e spaventato tra
le braccia e aveva cominciato ad accarezzarlo, con naturalezza, al solo scopo di
tranquillizzarlo.
Quando Yugi si
era staccato da lui con quel suo soffice, sorpreso: “Oh” e gli occhi enormi,
sgranati, piantati nei suoi, la prima cosa che Kaiba aveva pensato era stata:
bellissimo.
Così
innocentemente puro.
Così
magnificamente candido.
Così dolcemente
fragile.
Nella sua mente
l’imperativo: “fattelo” era andato in frantumi per lasciare posto ad un enorme,
gigantesco, pericolosissimo: “proteggilo”.
Aveva provato
l’incomprensibile desiderio di stringere tra le braccia quella creaturina
tremante, dalle guance in fiamme e dagli occhi liquidi, per rassicurarla che
andava tutto bene.
Ma non ne aveva
avuto il tempo.
Perchè Yugi gli
era sgusciato tra le braccia e, prima ancora che avesse modo di comprendere che
diamine stava succedendo, era scappato.
Gli era
scappato!!
L’aveva avuto
tra le braccia!
L’aveva baciato!
Per la prima,
dannata, volta in vita sua, il cuore gli aveva fatto le capriole in petto e...
... Yugi era
fuggito!!
Seto lanciò la
giacca sulla poltrona, poco distante dal grande letto matrimoniale che
troneggiava nella sua camera, con un verso a metà tra l’imprecazione e il
ringhio.
Se Yugi credeva
di cavarsela così si sbagliava di grosso!
Scappare non gli
avrebbe giovato.
Che cosa pensava
di fare?
Di presentarsi a
scuola il lunedì mattina fingendo che non fosse accaduto nulla?
Dopo che aveva
potuto assaggiarlo.
Dopo che si era
abbandonato così tra le sue braccia.
Dopo che aveva
così bruscamente rimesso in moto il suo cuore, credeva di potersela cavare
semplicemente fuggendo?
Seto s’impose un
paio di profondi respiri per recuperare la calma e poi si diresse verso il pc
che occupava un angolo della sua scrivania.
Le dita volarono
rapide sui tasti, digitando codici, aprendo documenti, cercando file finchè il
presidente non trovò quello che cercava.
Un lento,
ferino, sorriso arcuò le belle labbra del ragazzo mentre questi faceva scorrere
velocemente una lunga lista di cifre.
Quei numeri
apparentemente anonimi avrebbero trascinato, volente o nolente, il piccolo Yugi
tra le lenzuola del suo letto.
Kaiba allungò le
braccia, stiracchiando i muscoli indolenziti, soddisfatto.
“La partita è
appena cominciata...” mormorò alla stanza silenziosa “...e questa volta vincerò
io!”
continua...
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