Dog Eat Dog
parte XIV
di Hyoga & Snatch
Quando Sonny aprì gli occhi i raggi di luce che entravano nella roulotte
erano ancora fiochi.
Il plexiglas colorato rimandava chiazze verdi e rosse sul tavolino e sul
pavimento. Particolarmente, l'occhio di Sonny cadde sulla pistola, le cui
zone di luce brillavano di un verde asettico, onirico.
Provò ad abbassare le palpebre, scacciare il brutto sogno di svegliarsi
nell'ora in cui solitamente andava a dormire, ma i riflessi verdastri
rimasero impressi, come incisi sulla sua retina, e restare sdraiato
immobile dava l'angosciante sensazione di essere un cadavere.
Alzò una mano, e l'altra, si spinse e si sollevò scoprendo che i suoi
movimenti erano più lenti del normale. Come la pistola che lo guardava dal
tavolo, si sentì inanimato in attesa del colpo che lo smuovesse.
Lanciò un'occhiata in direzione dell'altro letto, e vi fece vacillare lo
sguardo.
Il profilo dello sbirro era appena riconoscibile.
Sbirro.
Rimasticò la parola tra i denti, la sparse sul palato e quando deglutì
rimase appesa sull'ugola.
Ma stava per staccarsi, lo sentiva, l'insetto che aveva stretto le zampe
era ormai rattrappito, e solo un sottile filo di ragnatela lo teneva lì, a
dondolare nella gola.
Nodo alla gola.
Strana sensazione del riscoprire sensazioni che dovrebbero essere
scontate.
Da quanto Sonny non sentiva la sua gola serrarsi in un moto di rifiuto?
Socchiuse gli occhi, percependo nitidamente un ricordo risalire… Sonny
piccolo, dell'età in cui gli anni sono pochi e si confondono, e non è così
strambo nascondersi in un angolo con un nodo alla gola e il pianto che ti
arroventa la faccia.
Tirò un lungo sospiro, allargando le narici.
Sarebbe stato bello come un sogno avere la pistola tra le dita, la canna
verso Reynolds, un nanosecondo prima che l'indice faccia scattare il
grilletto e non avere più il tempo di ripensare. Quel che sarebbe venuto
dopo non importava. Qualsiasi problema può essere risolto, se te lo trovi
davanti. Non se striscia ai lati del tuo campo visivo e s'infila in tutte
le pause tra una sigaretta e l'altra.
In un altro frangente, spostato solo qualche settimana prima, avrebbe
potuto guardare lo stesso scorcio con occhi diversi. Leroy al posto di
Reynolds, Sedgwick a terra nel sacco a pelo, e un paio di altri ragazzi in
fondo alla stanza, seduti contro la parete, i posacenere tra le gambe.
Stantio odore di sigarette, troppe, fumate a porta chiusa; e la coca,
la coca, sempre nello stesso
cassetto.
Sonny mise i piedi nudi sul pavimento, assecondando la lentezza ovattata
che lo attraversava, e raggiunse l'agognato scompartimento.
Mentre la riga si definiva raddrizzata dal pacchetto di sigarette, la
polvere bianca come neve e altrettanto fresca, Sonny cominciò ad annuire.
Continuò, un sorriso amaro sulle labbra, finché non chinò il busto e, a
occhi chiusi, tirò, socchiudendo le labbra per il sollievo.
Il mondo ritornò nitido, una pellicola restaurata in cui ogni colore aveva
corposa luce propria.
Persino i pensieri, così ben definiti da poter essere mandati giù senza
esitazione.
E' solo uno sbirro. Ed è normale che ti
venga di chiamarlo Reynolds, avete convissuto per due giorni. Dopotutto,
una volta ti ha salvato il culo. Dopotutto, se il tuo indice non ha
premuto il grilletto quando avrebbe dovuto c'è un motivo. Reynolds non
meritava di crepare così. L'unico problema è che non sei disposto a farti
sbattere dentro per ringraziarlo. E, se ci pensi, non è un problema così
raro, e non è neanche impossibile da risolvere.
Quante soluzioni potevano esserci? Due, tre? Almeno un paio. Doveva solo
attendere che la carcassa di disagio si staccasse dalla sua gola - era la
paura di prendere una decisione da solo, il non poter credere di esserne
in grado, ci avrebbe scommesso le palle… Ma le cose stavano per cambiare,
Cristo se sarebbero cambiate - e, la voce libera, pianificare mentalmente
la soluzione migliore.
Nessuna fretta.
Erano passati due giorni.
Che cazzo sono due giorni?
Vai a darti una lavata, Sonny.
Lex Reynolds era come sempre sdraiato sul materasso della roulotte, i
polsi assicurati alla rete del letto dalle manette. Dio sa quanto aveva
provato a trovare un punto debole in quella rete, quanto aveva insistito
su quella catena di acciaio inox sperando di riuscire a troncarla in
qualche modo. E non aveva ancora abbandonato la speranza di riuscirci.
O forse era solo uno dei modi che aveva trovato per far sì che la sua
mente rimanesse focalizzata lì senza mettersi a vagare nel territorio
incerto e denso di insidie della speranza e delle supposizioni. Aveva
smesso di chiedersi che cosa sarebbe stato di lui, si era
impedito di farlo.
Altrimenti sarebbe andato fuori di testa. Erano più di due giorni che
stava aspettando che a un delinquente meticcio spuntassero abbastanza
palle da piantargli una pallottola in testa.
D'un tratto, un rumore insolito lo distolse bruscamente dai suoi pensieri:
stava arrivando una macchina. Rimase immobile tendendo l'orecchio. Era
assai improbabile che si trattasse di passanti. Più facile, invece, che
fosse uno dei negri del ghetto venuto a controllare per quale cazzo di
motivo Norton non era ancora tornato indietro con la testa dello sbirro
come trofeo.
La macchina infatti si fermò accanto alla roulotte e spense il motore. Ci
fu un attimo di silenzio irreale, a Reynolds parve che anche gli uccelli
avessero smesso di cantare per una manciata di secondi.
Udì distintamente lo sportello aprirsi e richiudersi. Ai suoi sensi tesi
parve come un tuono.
Il poliziotto percepì i colpi sulla porta - anche quelli così forti da
fargli fare una smorfia di fastidio, come una musica a volume troppo alto.
Per un attimo fu quasi tentato di dire "avanti". In fondo, era da solo in
casa.
Qualche secondo di attesa, e poi ancora due colpi.
Infine la porta si aprì, una mano nera sulla maniglia.
Reynolds alzò la testa per quanto glielo consentiva la posizione. L'uomo
nero delle favole che si usano per spaventare i ragazzini. Alto,
scurissimo, smagrito. Occhi e denti in bell'evidenza. Lo riconobbe, era
quello che aveva sentito chiamare Syd.
Syd, il filosofo del ghetto, quello che gli aveva elargito quasi gratis –
solo un calcio nello stomaco e uno sputo in faccia come pagamento – gli
spunti per profonde meditazioni.
Syd guardò rapidamente l'interno della roulotte in probabile ricerca
dell'amico. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Lex, prima di ogni
traccia di stupore, il suo volto espresse fastidio. Lieve, ma
perfettamente indirizzato.
Dopotutto, Reynolds non doveva
essere vivo.
Reynolds lo fissò sprezzante. Con tono sarcastico, parlò:
-Voglia perdonarmi, signore, ma il padrone di casa è fuori. Farei io gli
onori di casa, ma come vede mi trovo un po' impedito dalla scomoda
posizione...- e rimase a fissarlo negli occhi senza abbassare lo sguardo.
Il nero sostenne lo sguardo abbastanza a lungo da lanciargli, in silenzio,
tutto l'astio che covava in promessa. Poi si sporse indietro e guardò
fuori.
Quando la sua testa ricomparve nella visuale di Reynolds, domandò:
-Dov'è lui?-
-Mi spiace,- rispose scimmiottando il tono di una segretaria d'alto bordo.
-il signore non ha lasciato detto dove andava. Vuole lasciare un
messaggio?-
-Fanculo.- sibilò sordido Syd, ed entrò sbattendosi la porta alle spalle.
Girovagò per la roulotte, guardando la radio sul tavolo, i pacchetti
chiusi sulla sedia, le birre nel cestino.
E Lex nel letto.
Si avvicinò, le sopracciglia aggrottate.
L'altro lo fissò senza parlare, sul volto un'espressione vagamente
provocatoria.
-Ti ha tenuto vivo…- disse Syd, dando voce alla constatazione. –Troppo
scontato dire che dovevo immaginarlo… Ti ha anche fatto mangiare? Bere?-
-Con misura.- fu la laconica risposta.
-Andate d'accordo? Simpatico il mio amico?- domandò con ironia Syd, e si
sedette sul letto di Sonny. Congiunse le mani, si sporse in avanti,
inclinò il viso per osservare meglio Reynolds.
-Che hai da guardare? Non hai mai visto un poliziotto?-
Non aveva più l'aspetto di un poliziotto, per la verità, ma era quello che
sentiva nonostante tutto di essere. Soprattutto nel confronto con quel
delinquente da strada che lo stava scrutando come una bestia rara.
Per un attimo, sentì quasi di avere l'uniforme addosso. E si accorse che
l'uniforme da poliziotto era principalmente uno stato dell'animo, prima
ancora di un paio di pantaloni, una camicia e un distintivo.
-Mai visto un poliziotto morto continuare a dire stronzate… Allora, avete
fatto amicizia?-
-Amicizia? Difficile fare amicizia con uno che sta cercando di racimolare
le palle per spararti e gettare la tua carogna agli alligatori.-
-C'era da immaginarselo, no?-
Syd si alzò, andando ad aprire uno dei pacchetti. Si accese una sigaretta,
e aprì il sacchetto della spazzatura.
Quante bottiglie… O Sonny si è ubriacato o qui stiamo parlando di
un'amicizia fatta e finita con lo sbirro.
-Non sei molto gentile con lui… Dopotutto ti ha concesso altri tre
giorni.- disse, e andò alle ante delle scorte di cibo. Una mela.
-Credi che questa concessione
possa farmi sentire obbligato nei suoi confronti? Tanto poi è lì che si va
a finire, prima o dopo. Ammazzami, se hai le palle per farlo. Così la
smettiamo con tutte questa stronzate.-
Disse tutto questo con voce decisa, non un attimo di esitazione o tremito.
I suoi occhi rimasero fissi in quelli dell'altro, aggressivi e indomiti.
Syd li riabbassò, la sigaretta tra le labbra, per prendere un taglierino
dalla tasca. Con precisione, poggiò la lama e roteò il frutto fino a
denudarlo di tutta la buccia. -Non ti devi preoccupare, sbirro.- disse, e
inspirò un tiro con gola e narici. -La vacanza finisce oggi. Magari con
qualche interesse.-
Reynolds non rispose. Si limitò ad allungarsi un po' sul letto, come per
trovare una posizione più comoda. E ancora una volta si impose di troncare
sul nascere il film dei ricordi lacrimevoli, preparandosi solo a
confrontarsi con il nulla in maniera dignitosa.
Non c’è niente dopo, l'anima è una stronzata per preti e mezze seghe. Di
una persona resta solo come è vissuta - e come è morta.
-Com'è andata?- domandò il nero, atono, e diede un morso mentre il fumo
gli riempiva ancora la bocca.
-Cosa?-
-Quello che sarebbe dovuto andare diversamente.-
-Fattelo raccontare dal tuo amichetto, se ci tieni tanto.-
-Lui avrà tutta la vita per
raccontarmelo.-
-Bene, così potrà raccontarti anche i particolari.-
Syd mise via il taglierino, sgranocchiando il torsolo. -Ti ha fatto il
culo?-
-Prego?-
Syd si leccò le dita appiccicose, il picciolo tra i denti. -Prego? Ti ha
messo a pecorina, sbirro?-
-Negativo, non l'ha fatto.-
Gli occhi gelidi di Reynolds rimasero impassibili anche di fronte a quelle
domande. Il poliziotto si era imposto di rispondere come avrebbe fatto col
suo sergente istruttore nei berretti verdi. Freddo, impersonale, come se
stesse parlando di tutt'altra cosa.
-Cristo, questo è amore…- commentò
Syd, e rise. Il picciolo ancora stretto tra i denti, smosso dalla lingua,
andò verso l'entrata. -E quand'è che se n'è andato?-
-Non ho l'orologio, mi spiace.-
-Allora comincia a contare quanto ci mette a tornare…- concluse Syd, e
accese la radio.
L’acqua era ghiaccio bollente sulla pelle, e ringraziò per questo.
Tutto il torpore del dormiveglia ne fu spazzato via, guizzando come il
serpente che si era nascosto tra i sassi quando Sonny era arrivato ai
lavatoi.
Ma dietro, nascosto oltre quel velo annebbiato, Sonny aveva scoperto una
specie di riverbero. Non poteva chiamarlo disperazione, era troppo tenue
il suono con cui giungeva alle sue orecchie; ne era piuttosto l’eco, lenta
e irreale come il mondo dopo l’hashish.
Ehy, ma lo sai che “assassino”
viene da “hashish”? Quando il mondo è fuori fase, e procedi a
blocchi.
Ora sei a quello che hai fatto tre minuti fa, ora sei tre minuti dopo
un’azione che non ricordi d’aver compiuto.
Avrebbe dovuto alzarsi, scrollarsi l’acqua di dosso in fretta anziché
godersi quel masochistico risveglio, e stanare la serpe. Non avrebbe
neanche dovuto entrare in acqua, con una serpe che si è nascosta a un
metro da te.
Ma tanto ormai… Meglio aspettare che ti
cada in testa anziché tirare fuori le palle e concentrare i riflessi per
cacciarla, vero, Sonny? E te ne stai qui, a sperare che se ne sbatta di te
e vada altrove… Perché, tanto ormai ci sei, non la inviti per una birra e
non fate amicizia?
Cosa mi combini, Sonny, ti fai seghe pensando a una serpe?
-Fanculo…!-
Sentì dei ciottoli rotolare, di fianco alla vasca, e vide il rapido
guizzare del rettile, probabilmente allertato dallo scatto con cui Sonny
aveva imprecato.
Gli piaceva l’acqua fredda, cristo se gli piaceva. Con tutta la buona
volontà del mondo neanche un attore porno sarebbe riuscito ad avere
un’erezione a quella temperatura, e la cosa lo rinfrancava terribilmente.
Avesse potuto, avrebbe attaccato i propri testicoli fuori dalla porta come
un fucile che al momento non serve.
Sonny, non ti si può rizzare per uno
sbirro! E’ fottuta merda!
Era stato solo un breve attimo, la sera prima…
Un'immagine comparsa per la durata di una scritta subliminale, ti passa
davanti e ci metti un po' a ricomporre i pezzi del puzzle che la tua mente
ha registrato separatamente.
Un frammento, tra frammenti di corpi, seni e gambe rubate a playboy.
Attimi di sesso passati. Insomma, il solito variegato armamentario da
riportare alla mente mentre ti fai una sega.
E lì, cazzo, l'immagine dello sbirro nudo.
Niente di che, come immagine a sé. Una catastrofe, ripensando a quale
esatto fottuto momento la mente di Sonny avesse scelto per riportarla a
galla.
Ehy Sonny, non dirmi che adesso ti fai
seghe pensando agli uomini.
No, quello mai.
Puoi fare sesso con un fratello, perché è un fratello. Perché capita, e
basta, e ha lo stesso significato di una sega:
qualche movimento per darsi piacere.
Puoi condividerlo come condividi una canna, con di base la stessa fiducia
che ti permette di mostrarti inerme senza temere
coltellate tra le scapole.
Ma qualsiasi sbirro sarà sempre
pronto a darti una coltellata tra le scapole.
L'hai dimenticato, Sonny? Sbirro sbirro
sbirro. Lascia ai filosofi stronzate come "ogni persona è un mondo a sé".
Stronzate. Uno sbirro è uno sbirro sbirro sbirro.
Non puoi dare fiducia a uno sbirro.
Perché, Sonny lo sa, se qualcuno entra nelle sue fantasie erotiche ci sono
solo due possibilità.
O ha un bel paio di tette.
Oppure gli ispira fiducia.
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