Dog Eat Dog
parte XI
di Hyoga & Snatch
Reynolds si stava dirigendo verso
l'ufficio del tenente Campbell, quello che sarebbe stato il suo nuovo
capo. Abbassò gli occhi sulla propria uniforme. Blu. Ci si sarebbe dovuto
abituare. Dopo una vita passata in mimetica fa uno strano effetto.
Si fermò davanti alla porta in fondo al corridoio e bussò.
-Avanti.- gli giunse dall'interno.
Aprì ed entrò risolutamente. fece qualche passo e si fermò sull'attenti
davanti alla scrivania. Seduto dalla parte opposta del mobile c'era un
capo della polizia come quelli che di solito uno vede nei telefilm.
Capelli grigi, faccia da duro, espressione cinica, e l'aria di quello che
apre la bocca solo per urlare.
-Agente Lex Reynolds a rapporto, signore.- annunciò con voce chiara, lo
sguardo fisso dietro le spalle del tenente.
-Che cosa sei, un fottuto militare?- ringhiò Campbell rivolgendogli
un'occhiata di fastidio. Quello che aveva davanti sembrava un dannato
sbirro da manifesto di propaganda della polizia, con l'aria da nazista e
il regolamento sempre in tasca.
"I peggiori," pensò. "di solito rompono i coglioni e non durano neanche il
tempo di uscire a bere la prima birra coi colleghi.”
-Negativo, signore.- rispose Reynolds, come se la provocazione del tenente
fosse stata una domanda qualsiasi.
Lo sguardo del poliziotto non si spostò dal punto nell'infinito alle
spalle di Campbell.
-Leggo qui che ti sei diplomato primo del tuo corso all'Accademia di
Polizia.-
-Affermativo, signore.-
Lo disse cercando di mantenere il tono neutro. Altrimenti avrebbe
rischiato di far trasparire il proprio disprezzo. Dopo aver fatto il corso
per diventare un berretto verde, l'accademia di polizia era stata una
scampagnata.
"Fottuto manichino con la puzza sotto il naso.", pensò di rimando Campbell.
E anche lui fece di tutto per nascondere il proprio fastidio.
Ci fu un mezzo minuto di silenzio, scandito solo dall'orologio a parete.
Il tenente guardava le carte che aveva sulla scrivania - le note personali
del nuovo arrivato - e di tanto in tanto alzava lo sguardo
sull'inquietante personaggio immobile di fronte a lui.
"I peggiori," si ripeté, "regolamento e basta. Si farà ammazzare entro un
mese.", e rinunciò ad indagare il senso di sollievo che tale constatazione
gli comunicava.
Guardò di nuovo le carte. -E così eri nei berretti verdi?- chiese. Ecco
che si spiegavano un sacco di cose. Quelli dei corpi speciali diventavano
dei fottuti robot.
-Affermativo, signore.-
Campbell si mosse sulla sedia vagamente a disagio.
Poi chiuse il fascicolo con un gesto deciso e alzò lo sguardo sull'altro.
-E come mai non sei più nei berretti verdi? Stanco della vita militare?-
La domanda aveva una vaga intonazione provocatoria.
-Motivi personali, signore.- fu la laconica risposta.
I motivi personali si riassumevano
tutti in un ricordo che non la voleva smettere di tormentarlo, che l'aveva
assillato dal giorno del congedo in avanti.
La prima scena che compariva nella mente di Lex quando rievocava
l'episodio era la palestra vuota. E subito dopo compariva il capitano
Christopher Kowalsky che si sfilava la canottiera sudata dopo un
pomeriggio di allenamento.
Si trovava ad un corso di perfezionamento sulle tecniche corpo a corpo
alla base dei Navy Seals di Coronado, e il capitano Kowalsky era il suo
istruttore.
Aveva ammirato sconfinatamente il capitano Kowalsky dal primo momento che
l'aveva visto: sempre il migliore, sempre inappuntabile. Dotato di una
naturale autorità. Gli uomini si sarebbero buttati nel fuoco per lui.
Il soldato perfetto. Il militare nella sua accezione più pura.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere come lui.
Si era buttato a capofitto nelle sue lezioni, divenendo ben presto il
migliore del corso. Avrebbe fatto di tutto per la scintilla d'orgoglio che
a volte intravedeva nei suoi occhi durante gli addestramenti, quando lo
guardava.
Quella sera erano rimasti in palestra solo lui e il capitano, gli altri
erano già andati alle docce.
Lex si mosse irresoluto, forse avrebbe dovuto seguirli, ma restò fermo.
-Signor capitano...- disse con tono vagamente esitante. E subito dopo si
sentì assolutamente sfacciato: stava disturbando l’istruttore dopo la fine
delle lezioni.
Ma era troppo forte il desiderio di vederlo ancora impegnato nelle mosse
di lotta, per cercare di carpire la precisione con cui colpiva sicuro. E
troppo forte la speranza di poter apprendere ancora da lui, ancora e
ancora, per poter infine diventare come lui. Un soldato perfetto.
Kowalsky si stava infilando una canottiera scura sui pantaloni della
mimetica. Voltò la testa nella direzione della voce. -Ah, Reynolds.- disse
accennando un vago sorriso. -Che cosa c'è?-
Esitò ancora un istante, poi finalmente disse: -Signore, io... ci terrei a
rivedere la tecnica del sankaku-jime, quella che ha spiegato oggi.-
Rimase fermo sull'attenti col dubbio di essersi preso una libertà
eccessiva.
Aveva ancora davanti agli occhi la fluidità e la precisione dei movimenti
del capitano, la perfezione delle tecniche eseguite da lui, come se
fossero stata la cosa più facile del mondo.
E non solo. Aveva notato anche la fluidità del gesto con cui si era
sfilato la canottiera. Un inspiegabile brivido gli era corso lungo la
spina dorsale a quella vista. E una strana inquietudine serpeggiò fra i
suoi pensieri, sottile ed apparentemente inspiegabile. Per un attimo si
trovò quasi a sperare che l’istruttore gli dicesse che non aveva tempo.
Ma l'ufficiale accennò ad un sorriso e sembrò addirittura compiaciuto.
-Facciamo gli straordinari. Molto bene.- disse andando a chiudere la porta
che era rimasta aperta dopo l'uscita degli allievi. Il movimento, carico
di un'energia animale a stento trattenuta, mise in evidenza la poderosa
struttura della sua schiena ampia, dalla pelle liscia e compatta
Poi il capitano si diresse verso il centro del tappeto e disse: -Vediamo
un po’ cosa hai capito della lezione.-
Reynolds avanzò lentamente.
L’altro rimase in piedi davanti a lui, scrutandolo negli occhi mentre si
avvicinava. La sua posa - dapprima perfettamente rilassata - assunse le
linee rigide della posizione d'attacco con uno scatto immediato non appena
Reynolds gli fu di fronte. Gli sorrise, ma il sorriso era ora quasi
predatorio, sebbene i suoi occhi apparissero ancora giocosi.
Lex aveva imparato a riconoscere quell'espressione nelle due settimane da
che era arrivato a Coronado. Persino nello sforzo fisico più intenso il
Capitano sembrava non perdere mai uno spigolo di ironia. Sembrava sempre
divertirsi in quello che faceva - trarre piacere persino dalle cose
apparentemente più problematiche. Ma Lex sapeva quanto potesse diventare
mortalmente serio.
-Vienimi sotto.-
Si avvicinò con cautela, cercando di individuare un varco nella difesa
dell'istruttore. Si muoveva attento, intenzionato anche a dimostrargli che
aveva fatto tesoro dei suoi insegnamenti .
Un pensiero gli attraversò la mente come un lampo: che fisico muscoloso. E
si chiese quanto anni di sport, arti marziali ed esercitazioni fossero
stati necessari per costruire una così perfetta scultura di carne.
Si obbligò a distogliere ancora una volta il pensiero, dirigendolo invece
sulla stima che nutriva nei confronti del suo superiore.
-Ricorda, Lex.- gli disse questi - un brivido nel sentirsi chiamare per
nome. -Non perdere mai il contatto visivo col tuo avversario. Ma questo
non significa fissarsi sulla parte con la quale pensi che attaccherà.
Mantieni la visione d'insieme. Sempre.-
Scattò fulmineo. –Così.- e colpì rapido e preciso il suo stinco col
calcagno.
In qualche modo Lex riuscì ad intuirlo ed il capitano lo prese solo di
striscio. Si sentì orgoglioso: gli aveva fatto male, certo, ma era ancora
in piedi.
-Bene.- disse infatti l'altro. -Molto bene.-
Reynolds strinse i denti. Un male d'inferno, ma praticamente non aveva
neppure mutato espressione.
Il capitano alzò un sopracciglio, Lex vide che sembrava soddisfatto e
subito dopo notò come il sudore gli luccicava sul petto e sui bicipiti
poderosi.
-Adesso ti mostro una cosa a proposito di quella tecnica.- disse.
Le sue labbra si arricciarono in un sorriso affascinante ed egli lo guardò
con occhi scurissimi.
-Avanti, soldato, vienimi sotto.-
Lex scattò in una frazione di secondo. Avrebbe colto di sorpresa chiunque
altro del suo corso, ma non il capitano, ovviamente, che comunque riuscì a
bloccarlo e a proiettarlo a terra.
Ciononostante riuscì a scorgere una scintilla di stupore nei suoi occhi.
Ma fu appena un istante. Subito dopo si trovarono a terra, Lex
immobilizzato con sicurezza dall'istruttore. Il volto era vicinissimo al
suo. Poteva avvertire il suo respiro caldo, appena accelerato, sfiorargli
le labbra.
-Non male soldato,- e il sorriso rivelò il bianco dei denti, -non male
davvero.-
Reynolds rimase immobile, solo leggermente ansante. -Grazie, signore. Ma
devo ancora migliorare, mi ha messo al tappeto facilmente.-
E si sentì un inetto.
Il capitano si mosse su di lui inchiodandolo a terra più saldamente.
Aggrottò appena le sopracciglia. -Dove hai sbagliato?- Il volto era a
pochi centimetri dal suo. -La visione d'insieme. Eri troppo concentrato
sulle mie braccia, per renderti conto di dove sono scattate le gambe. Per
questo sei finito a terra, Lex.-
Reynolds annuì, ma faceva fatica a concentrarsi, il corpo del suo
superiore sul proprio gli stava facendo venire i brividi. Si mosse a
disagio sotto di lui, vagamente imbarazzato dal suo volto così vicino
-Sei veloce, Reynolds.- gli disse Kowalsky, a bassa voce nonostante
fossero soli. il suo alito sulle labbra era caldo. -Puoi fare molto.-
Si staccò appena da lui, sempre guardandolo negli occhi, e proseguì: -Ma
non devi mai, ripeto mai -
lasciare che qualcosa distolga la tua attenzione in un combattimento.-
L'altro accennò di sì con la testa e rispose "Sissignore", considerando
che sarebbe stato impossibile non lasciarsi distogliere avendo davanti il
capitano Kowalsky.
Passò qualche secondo, poi l’ufficiale lo lasciò andare lentamente.
-E ora,- disse dopo un attimo, -venendo a quella tecnica...- Reynolds non
fece in tempo a rialzarsi che si trovò nuovamente a terra, il collo e un
braccio imprigionati tra le gambe del capitano in una morsa d'acciaio.
Cercò di resistere, ma si rese conto che era impossibile, quelle cosce
poderose lo bloccavano impedendogli di respirare.
-Sbatti a terra il tuo avversario.- gli diceva intanto l’altro, stringendo
maggiormente la presa. -E mantieni l'attenzione. E' quello il momento in
cui puoi agire. L'unico.- Continuò a stringere. Poi lo lasciò di colpo.
-Chiaro?-
Lex crollò annaspando. Poi si sollevò lentamente, puntellandosi con una
mano a terra, mentre teneva l’altra intorno alla gola.
Subito, l’istruttore gli si avvicinò quasi premuroso, gli pose una mano
sulla spalla e disse: -Ok. Va tutto bene, ora passa. Respira, usa il
diaframma.-
-Non… non è niente, signore.- ansimò Lex. -Ora mi riprendo. Mi scusi,
signore.-
Per un attimo, il capitano apparve quasi imbarazzato. Lasciò la presa
sulla spalla dell’altro rimettendosi in piedi.
-Per oggi è sufficiente, Reynolds.- disse, di nuovo col consueto tono
sbrigativo e professionale. -Ora andiamo a fare la doccia. Il resto lo
rimandiamo a domani.-
-Signorsì.-
Si alzò lentamente, con la sensazione di aver disgustato l’istruttore con
la sua imperizia. Ritenne un atto di presunzione l’aver pensato di potersi
allenare da solo con lui. Andò agli spogliatoi.
Una volta là cominciò a togliersi lentamente l’uniforme, ancora un po’
indolenzito. Mosse la testa massaggiandosi il collo e rievocando con una
sorta di colpevole imbarazzo la sensazione che gli aveva comunicato il
corpo del suo istruttore che lo immobilizzava.
Quando entrò nel locale delle docce – nudo, se non per un asciugamano
intorno ai fianchi – si trovò davanti il suo superiore che si stava
lavando girato di spalle.
Rimase immobile a fissarlo come ipnotizzato, senza riuscire a staccare gli
occhi dalla sua schiena muscolosa, dalle cosce forti, ora leggermente
divaricate e dall’acqua che scorreva su quelle forme perfette.
Distolse con fatica lo sguardo passandosi una mano sul viso. Aprì la bocca
come per dire qualcosa, ma rimase in silenzio, gli occhi incollati a
quell’immagine di virilità armoniosa e possente.
L’ufficiale si passò una mano fra i capelli e nel movimento il bicipite si
flesse gonfiandosi. Fece un passo e gambe e glutei guizzarono. Una statua
in movimento.
Lex arretrò come colpito da un pugno in piena faccia, ed il respiro gli si
bloccò a metà. Fissò il corpo possente che aveva di fronte e tutto il
resto sembrò scomparire.
Passarono così alcuni secondi. Poi deglutì a vuoto e si impose di
avanzare. Ogni passo era uno sforzo sovrumano, come se avvicinarsi al
corpo esposto del suo superiore lo stesse inesorabilmente avvicinando ad
un punto di non ritorno.
La tensione era palpabile mentre Reynolds elaborava la consapevolezza che
sarebbe stato meglio per lui andarsene
finché era ancora in tempo.
Poi il capitano si voltò e rimase immobile a fissarlo.
L’altro si fermò come se fosse andato a sbattere contro un muro. Si sentì
colto in flagrante, colpevole, sporco.
-S-signore?- balbettò.
Altri secondi scorsero via. -Lex,- disse l’ufficiale a bassa voce,
continuando a fissarlo con intensità, -va tutto bene?-
Poi si mosse verso di lui ed egli poté avvertire il calore del suo corpo e
della sua virilità.
Esitò un attimo prima di rispondere. Il corpo del suo superiore era
talmente vicino che gli stava facendo girare la testa. Aveva cercato di
ignorarlo, di far finta di niente, ma infine era arrivato a capire che
esso era l’origine della sua inquietudine.
-Signorsì.- mormorò.
Deglutì ancora, ondeggiò appena, con aria irresoluta.
La mano del capitano Kowalsky scattò verso la sua spalla, l’afferrò. -Ehi,
attento.- disse l’ufficiale.
Lex rabbrividì a quel tocco, di colpo teso come una corda. Si accorse di
ansimare leggermente, e non era per il calore delle docce.
La mano risalì lentamente lungo la spalla, fermandosi sul collo.
-Lex.-
Infine si posò sulla guancia, accarezzandola appena. C’era tenerezza nel
gesto – nessuna frenesia, nessuna lussuria.
-Lex.- ripeté Kowalsky.
-La… la prego signore… mi lasci…- balbettò Reynolds con un filo di voce,
mentre fissava come ipnotizzato il suo superiore.
La mano lo sfiorò ancora – gentile, calda – mentre il capitano inclinava
il volto come per studiarlo meglio, fissandolo a fondo negli occhi.
-E’ così?- chiese, e la sua voce era bassa e rauca, una carezza persino
più calda di quella lieve delle dita. -E’ quello che vuoi davvero? Che ti
lasci?-
Reynolds fremette mentre un terrore panico lo invadeva. Si rese conto di
essere attratto dall’uomo che
aveva di fronte. Si stava eccitando per lui come con gli era mai capitato
di eccitarsi.
-Io… io non lo so, signore…-
Stava tremando.
La carezza si fece più lenta, più sensuale. –Lex.- mormorò ancora una
volta il capitano. -Non avere paura di me, non potrei mai farti del male.
Mai.-
Fece un passo verso di lui, fermandosi così vicino da sfiorarlo.
-Va tutto bene, davvero, Lex.- gli sussurrò rassicurante.
Farmi del male? Pensò Reynolds
angosciato. Il male me lo sto facendo da
solo. Pensò che stava cedendo a degli impulsi sbagliati, perversi,
quando invece sarebbe dovuto semplicemente scappare via. Ma si rese conto
che non ce la faceva, non riusciva a voltarsi e fuggire.
Chinò la testa mordendosi il labbro inferiore. Se mi vedesse mio padre,
pensava, se mi vedessero i miei fratelli…
Il capitano fece un sospiro e la sua mano, che stava ancora
accarezzandogli il viso, scese a chiudersi intorno al suo polso.
-Vieni qui.-
Lo fece voltare di colpo, spingendolo con la schiena contro le piastrelle
ed imprigionandolo col suo corpo. L’asciugamano scivolò giù.
A Lex sfuggì un gemito mentre cercava di sottrarsi alla presa, e subito
dopo un gemito più forte, quando per la prima volta sentì il contatto del
proprio cazzo col cazzo di un altro uomo. Carne calda e turgida, un tocco
così intimo non l’aveva mai sperimentato nemmeno con una donna.
-Lex, guardami.- si fece nuovamente udire la voce del suo superiore.
Reynolds era tra le piastrelle ed il suo corpo bollente, ma non vi era
costrizione, avrebbe potuto liberarsi in qualsiasi momento.
-Ora guardami negli occhi e dimmi che davvero non è quello che desideri.-
Di nuovo quell’alito caldo sul viso. E non era l’unica cosa che lo stava
sfiorando. Il petto sfregava appena contro i suoi capezzoli, l’erezione si
allungava contro la sua, le cosce si toccavano.
-Io non devo.- ansimò Lex. -Questo
è sbagliato, signore…-
Ma nonostante tutto non riusciva a muoversi, a sottrarsi come secondo lui
sarebbe stato opportuno fare.
-Dici che non devi…- Una mano di Kowalsky si staccò dal suo polso e gli
prese il mento fra le dita sollevandogli il volto. Le labbra quasi si
sfioravano. -Ma non che è quello che non vuoi. Ora stringimi, Lex,
avanti.- Nel dire ciò si mosse appena e le virilità di nuovo scorsero
l’una sull’altra, entrambe gonfie ed eccitate.
-Non avere paura di me… non avere paura di
questo.-
Lex ebbe un brivido e socchiuse suo malgrado le labbra. Kowalsky era
sempre stato il suo sogno, il suo ideale di soldato. Avrebbe voluto essere
come lui.
Il capitano premette il corpo contro il suo con maggiore decisione.
Nonostante tutto, a Lex parve una cosa intima, piacevole, in un certo
senso giusta e naturale.
La mano dell’altro gli scorse dal mento sul petto e poi scese ad
accarezzargli una spalla.
-Lex.-
Poi le labbra furono sulle sue.
Dapprima solo uno sfregare leggero, col volto che oscillava lentamente a
destra e a sinistra, poi pian piano il movimento schiuse lentamente le
labbra serrate di Lex, facendosi strada, aprendole a poco a poco. Una mano
gli scattò improvvisa al fianco, attirandolo in avanti fino a che il
bacino non fu contro il suo così intimamente da fargli mancare per un
attimo il respiro.
Aprì la bocca e la lingua del suo superiore lo invase.
Gemette sussultando contro di lui. Per un attimo ebbe un moto di
ribellione, fremette cercando di sottrarsi. Ma il movimento divenne sempre
meno energico fino a cessare del tutto. Sentì di avere gli occhi umidi.
Andò incontro alla lingua dell’altro cedendogli con un misto di
disperazione e smarrimento, consapevole comunque che non sarebbe stato in
grado di sottrarsi.
Il capitano probabilmente percepì il suo turbamento. Si staccò appena da
lui, rimanendo con la bocca sulla sua. Dolcemente, gli sussurrò: -Non c’è
nulla di cui tu debba avere paura. Credimi, fidati di me.- Poi lo baciò di
nuovo, stavolta facendo penetrare più lentamente la lingua e cominciando a
toccare le sua, a giocarci con lenti movimenti sensuali.
Lex sentiva il cuore battergli nel petto come se avesse voluto
scoppiargli. Si accorse di ansimare. Con un movimento quasi involontario
inarcò la schiena aderendo al capitano.
In risposta al gesto, sentì la mano dell’altro chiuderglisi su un gluteo e
stringere appena – poi rilasciare – poi stringere ancora. Una carezza che
quasi gli tolse il fiato per il senso di possesso e la sensualità che
emanava.
Gli circondò il collo con un braccio. Sempre con la sensazione di stare
facendo una cosa profondamente sbagliata, sempre incapace di sottrarsi. La
mano sul gluteo lo stava facendo impazzire. Mugolò spingendosi ancora una
volta contro di lui.
Il capitano staccò le labbra dalle sue soffocando un gemito.
-Ah, Lex…- mormorò, poi si avventò sul suo collo, ricoprendolo di baci
caldi e umidi, mordicchiandolo, passandoci sopra la lingua.
La mano si spostò verso il basso, lungo la coscia, fino ad afferrare
l’altro sotto il ginocchio. Gli sollevò la gamba di scatto, tirandosela
attorno al fianco forte, facendosi ancora più spazio contro di lui. Mentre
lo baciava, cominciò a muoversi piano – piccole spinte decise ed esperte –
il cazzo grosso che sfregava contro il suo, sapendo esattamente dove
andare a colpire per farlo impazzire.
La stanza era invasa dal vapore e dallo scoscio dell’acqua, che copriva
solo parzialmente il rumore dei baci di Kowalsky e i gemiti di Reynolds,
intervallati dai sospiri profondi di entrambi.
Il bacino continuava a muoversi senza sosta, sufficiente ad eccitare Lex
come mai era stato in vita sua.
-Oh, sì… sì…- gli sfuggì infatti.
Il movimento lo stava facendo letteralmente impazzire. Chiuse gli occhi
lasciando l’altro libero di fare ciò che voleva, assecondandolo. Aveva
abbandonato l’idea di sottrarsi da solo a quello che stava succedendo,
aveva capito che non ce l’avrebbe fatta.
Ad ogni spinta dell’ufficiale gemeva come se questi lo stesse penetrando.
L’altro tornò sulle sue labbra, il respiro ora accelerato, la mano di
nuovo sui glutei a spingerselo contro, portandolo ad allargare sempre più
le cosce.
-Lex…- ansimò appena. -Ti piace questo, vero?-
-S-sissignore…- balbettò Reynolds.
-Niente di così bello può essere sbagliato.- fu la risposta. Poi il
capitano gli afferrò la testa, gliela tirò indietro con un piccolo
strattone – senza fargli male – e aggiunse: -E adesso ti voglio.-
A quelle parole, Reynolds fu attraversato da un brivido a metà fra paura e
desiderio.
Ansimante, con le labbra socchiuse, gli occhi azzurri e trasparenti, aveva
un’espressione disperatamente intensa, nella quale coesistevano abbandono
e disperazione.
-Lex…-
Kowalsky gli passò una mano di taglio sul collo, poi sulla guancia.
-Sei bello, sai?- gli mormorò dolcemente. -Vorrei che tu ti vedessi in
questo momento.-
Lo sollevò da terra, la mano sotto l’altro ginocchio, allargandogli le
cosce e i glutei.
Ci fu un attimo di immobilità carica di aspettativa, poi dall’esterno si
udì una voce: -Capitano Kowalsky? È qui, signore?-
Si sentirono dei passi avvicinarsi.
L’ufficiale lasciò andare Reynolds soffocando un’imprecazione.
L’altro si trovò di colpo libero, attonito.
Bastò un istante. Cristo d’un dio, ma che cazzo stavo per fare? Si chiese
sconvolto. Raccolse l’asciugamano ed uscì dalle docce di corsa, senza
neppure rivolgere un’ultima occhiata al suo superiore.
Raggiunse le camerate ansimante, tremante, sconvolto.
Io non sono omosessuale, andava
ripetendosi, non lo sono, dannazione. Ho
ceduto solo perché Kowalsky è il mio superiore, solo perché ho stima di
lui come militare…
Passò la notte in bianco, gli occhi fissi sul soffitto, la mente a
dibattersi nella vana ricerca di giustificazioni, di
scuse plausibili.
Il giorno dopo inoltrò la domanda di congedo.
-E allora- chiese il capo spazientito. -Quali sarebbero questi motivi
personali?-
Reynolds strinse i denti, reprimendo il brivido che provava ogni volta che
rievocava l'episodio.
-Motivi personali, signore.- ripeté con voce neutra.
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