Dog Eat Dog

parte XI

di Hyoga & Snatch




Reynolds si stava dirigendo verso l'ufficio del tenente Campbell, quello che sarebbe stato il suo nuovo capo. Abbassò gli occhi sulla propria uniforme. Blu. Ci si sarebbe dovuto abituare. Dopo una vita passata in mimetica fa uno strano effetto.
Si fermò davanti alla porta in fondo al corridoio e bussò.
-Avanti.- gli giunse dall'interno.
Aprì ed entrò risolutamente. fece qualche passo e si fermò sull'attenti davanti alla scrivania. Seduto dalla parte opposta del mobile c'era un capo della polizia come quelli che di solito uno vede nei telefilm. Capelli grigi, faccia da duro, espressione cinica, e l'aria di quello che apre la bocca solo per urlare.
-Agente Lex Reynolds a rapporto, signore.- annunciò con voce chiara, lo sguardo fisso dietro le spalle del tenente.
-Che cosa sei, un fottuto militare?- ringhiò Campbell rivolgendogli un'occhiata di fastidio. Quello che aveva davanti sembrava un dannato sbirro da manifesto di propaganda della polizia, con l'aria da nazista e il regolamento sempre in tasca.
"I peggiori," pensò. "di solito rompono i coglioni e non durano neanche il tempo di uscire a bere la prima birra coi colleghi.”
-Negativo, signore.- rispose Reynolds, come se la provocazione del tenente fosse stata una domanda qualsiasi.
Lo sguardo del poliziotto non si spostò dal punto nell'infinito alle spalle di Campbell.
-Leggo qui che ti sei diplomato primo del tuo corso all'Accademia di Polizia.-
-Affermativo, signore.-
Lo disse cercando di mantenere il tono neutro. Altrimenti avrebbe rischiato di far trasparire il proprio disprezzo. Dopo aver fatto il corso per diventare un berretto verde, l'accademia di polizia era stata una scampagnata.
"Fottuto manichino con la puzza sotto il naso.", pensò di rimando Campbell. E anche lui fece di tutto per nascondere il proprio fastidio.
Ci fu un mezzo minuto di silenzio, scandito solo dall'orologio a parete. Il tenente guardava le carte che aveva sulla scrivania - le note personali del nuovo arrivato - e di tanto in tanto alzava lo sguardo sull'inquietante personaggio immobile di fronte a lui.
"I peggiori," si ripeté, "regolamento e basta. Si farà ammazzare entro un mese.", e rinunciò ad indagare il senso di sollievo che tale constatazione gli comunicava.
Guardò di nuovo le carte. -E così eri nei berretti verdi?- chiese. Ecco che si spiegavano un sacco di cose. Quelli dei corpi speciali diventavano dei fottuti robot.
-Affermativo, signore.-
Campbell si mosse sulla sedia vagamente a disagio.
Poi chiuse il fascicolo con un gesto deciso e alzò lo sguardo sull'altro. -E come mai non sei più nei berretti verdi? Stanco della vita militare?- La domanda aveva una vaga intonazione provocatoria.
-Motivi personali, signore.- fu la laconica risposta.

I motivi personali si riassumevano tutti in un ricordo che non la voleva smettere di tormentarlo, che l'aveva assillato dal giorno del congedo in avanti.

La prima scena che compariva nella mente di Lex quando rievocava l'episodio era la palestra vuota. E subito dopo compariva il capitano Christopher Kowalsky che si sfilava la canottiera sudata dopo un pomeriggio di allenamento.
Si trovava ad un corso di perfezionamento sulle tecniche corpo a corpo alla base dei Navy Seals di Coronado, e il capitano Kowalsky era il suo istruttore.
Aveva ammirato sconfinatamente il capitano Kowalsky dal primo momento che l'aveva visto: sempre il migliore, sempre inappuntabile. Dotato di una naturale autorità. Gli uomini si sarebbero buttati nel fuoco per lui.
Il soldato perfetto. Il militare nella sua accezione più pura.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere come lui.
Si era buttato a capofitto nelle sue lezioni, divenendo ben presto il migliore del corso. Avrebbe fatto di tutto per la scintilla d'orgoglio che a volte intravedeva nei suoi occhi durante gli addestramenti, quando lo guardava.
Quella sera erano rimasti in palestra solo lui e il capitano, gli altri erano già andati alle docce.
Lex si mosse irresoluto, forse avrebbe dovuto seguirli, ma restò fermo.
-Signor capitano...- disse con tono vagamente esitante. E subito dopo si sentì assolutamente sfacciato: stava disturbando l’istruttore dopo la fine delle lezioni.
Ma era troppo forte il desiderio di vederlo ancora impegnato nelle mosse di lotta, per cercare di carpire la precisione con cui colpiva sicuro. E troppo forte la speranza di poter apprendere ancora da lui, ancora e ancora, per poter infine diventare come lui. Un soldato perfetto.
Kowalsky si stava infilando una canottiera scura sui pantaloni della mimetica. Voltò la testa nella direzione della voce. -Ah, Reynolds.- disse accennando un vago sorriso. -Che cosa c'è?-
Esitò ancora un istante, poi finalmente disse: -Signore, io... ci terrei a rivedere la tecnica del sankaku-jime, quella che ha spiegato oggi.-
Rimase fermo sull'attenti col dubbio di essersi preso una libertà eccessiva.
Aveva ancora davanti agli occhi la fluidità e la precisione dei movimenti del capitano, la perfezione delle tecniche eseguite da lui, come se fossero stata la cosa più facile del mondo.
E non solo. Aveva notato anche la fluidità del gesto con cui si era sfilato la canottiera. Un inspiegabile brivido gli era corso lungo la spina dorsale a quella vista. E una strana inquietudine serpeggiò fra i suoi pensieri, sottile ed apparentemente inspiegabile. Per un attimo si trovò quasi a sperare che l’istruttore gli dicesse che non aveva tempo.
Ma l'ufficiale accennò ad un sorriso e sembrò addirittura compiaciuto. -Facciamo gli straordinari. Molto bene.- disse andando a chiudere la porta che era rimasta aperta dopo l'uscita degli allievi. Il movimento, carico di un'energia animale a stento trattenuta, mise in evidenza la poderosa struttura della sua schiena ampia, dalla pelle liscia e compatta
Poi il capitano si diresse verso il centro del tappeto e disse: -Vediamo un po’ cosa hai capito della lezione.-
Reynolds avanzò lentamente.
L’altro rimase in piedi davanti a lui, scrutandolo negli occhi mentre si avvicinava. La sua posa - dapprima perfettamente rilassata - assunse le linee rigide della posizione d'attacco con uno scatto immediato non appena Reynolds gli fu di fronte. Gli sorrise, ma il sorriso era ora quasi predatorio, sebbene i suoi occhi apparissero ancora giocosi.
Lex aveva imparato a riconoscere quell'espressione nelle due settimane da che era arrivato a Coronado. Persino nello sforzo fisico più intenso il Capitano sembrava non perdere mai uno spigolo di ironia. Sembrava sempre divertirsi in quello che faceva - trarre piacere persino dalle cose apparentemente più problematiche. Ma Lex sapeva quanto potesse diventare mortalmente serio.
-Vienimi sotto.-
Si avvicinò con cautela, cercando di individuare un varco nella difesa dell'istruttore. Si muoveva attento, intenzionato anche a dimostrargli che aveva fatto tesoro dei suoi insegnamenti .
Un pensiero gli attraversò la mente come un lampo: che fisico muscoloso. E si chiese quanto anni di sport, arti marziali ed esercitazioni fossero stati necessari per costruire una così perfetta scultura di carne.
Si obbligò a distogliere ancora una volta il pensiero, dirigendolo invece sulla stima che nutriva nei confronti del suo superiore.
-Ricorda, Lex.- gli disse questi - un brivido nel sentirsi chiamare per nome. -Non perdere mai il contatto visivo col tuo avversario. Ma questo non significa fissarsi sulla parte con la quale pensi che attaccherà. Mantieni la visione d'insieme. Sempre.-
Scattò fulmineo. –Così.- e colpì rapido e preciso il suo stinco col calcagno.
In qualche modo Lex riuscì ad intuirlo ed il capitano lo prese solo di striscio. Si sentì orgoglioso: gli aveva fatto male, certo, ma era ancora in piedi.
-Bene.- disse infatti l'altro. -Molto bene.-
Reynolds strinse i denti. Un male d'inferno, ma praticamente non aveva neppure mutato espressione.
Il capitano alzò un sopracciglio, Lex vide che sembrava soddisfatto e subito dopo notò come il sudore gli luccicava sul petto e sui bicipiti poderosi.
-Adesso ti mostro una cosa a proposito di quella tecnica.- disse.
Le sue labbra si arricciarono in un sorriso affascinante ed egli lo guardò con occhi scurissimi.
-Avanti, soldato, vienimi sotto.-
Lex scattò in una frazione di secondo. Avrebbe colto di sorpresa chiunque altro del suo corso, ma non il capitano, ovviamente, che comunque riuscì a bloccarlo e a proiettarlo a terra.
Ciononostante riuscì a scorgere una scintilla di stupore nei suoi occhi.
Ma fu appena un istante. Subito dopo si trovarono a terra, Lex immobilizzato con sicurezza dall'istruttore. Il volto era vicinissimo al suo. Poteva avvertire il suo respiro caldo, appena accelerato, sfiorargli le labbra.
-Non male soldato,- e il sorriso rivelò il bianco dei denti, -non male davvero.-
Reynolds rimase immobile, solo leggermente ansante. -Grazie, signore. Ma devo ancora migliorare, mi ha messo al tappeto facilmente.-
E si sentì un inetto.
Il capitano si mosse su di lui inchiodandolo a terra più saldamente.
Aggrottò appena le sopracciglia. -Dove hai sbagliato?- Il volto era a pochi centimetri dal suo. -La visione d'insieme. Eri troppo concentrato sulle mie braccia, per renderti conto di dove sono scattate le gambe. Per questo sei finito a terra, Lex.-
Reynolds annuì, ma faceva fatica a concentrarsi, il corpo del suo superiore sul proprio gli stava facendo venire i brividi. Si mosse a disagio sotto di lui, vagamente imbarazzato dal suo volto così vicino
-Sei veloce, Reynolds.- gli disse Kowalsky, a bassa voce nonostante fossero soli. il suo alito sulle labbra era caldo. -Puoi fare molto.-
Si staccò appena da lui, sempre guardandolo negli occhi, e proseguì: -Ma non devi mai, ripeto mai - lasciare che qualcosa distolga la tua attenzione in un combattimento.-
L'altro accennò di sì con la testa e rispose "Sissignore", considerando che sarebbe stato impossibile non lasciarsi distogliere avendo davanti il capitano Kowalsky.
Passò qualche secondo, poi l’ufficiale lo lasciò andare lentamente.
-E ora,- disse dopo un attimo, -venendo a quella tecnica...- Reynolds non fece in tempo a rialzarsi che si trovò nuovamente a terra, il collo e un braccio imprigionati tra le gambe del capitano in una morsa d'acciaio.
Cercò di resistere, ma si rese conto che era impossibile, quelle cosce poderose lo bloccavano impedendogli di respirare.
-Sbatti a terra il tuo avversario.- gli diceva intanto l’altro, stringendo maggiormente la presa. -E mantieni l'attenzione. E' quello il momento in cui puoi agire. L'unico.- Continuò a stringere. Poi lo lasciò di colpo. -Chiaro?-
Lex crollò annaspando. Poi si sollevò lentamente, puntellandosi con una mano a terra, mentre teneva l’altra intorno alla gola.
Subito, l’istruttore gli si avvicinò quasi premuroso, gli pose una mano sulla spalla e disse: -Ok. Va tutto bene, ora passa. Respira, usa il diaframma.-
-Non… non è niente, signore.- ansimò Lex. -Ora mi riprendo. Mi scusi, signore.-
Per un attimo, il capitano apparve quasi imbarazzato. Lasciò la presa sulla spalla dell’altro rimettendosi in piedi.
-Per oggi è sufficiente, Reynolds.- disse, di nuovo col consueto tono sbrigativo e professionale. -Ora andiamo a fare la doccia. Il resto lo rimandiamo a domani.-
-Signorsì.-
Si alzò lentamente, con la sensazione di aver disgustato l’istruttore con la sua imperizia. Ritenne un atto di presunzione l’aver pensato di potersi allenare da solo con lui. Andò agli spogliatoi.
Una volta là cominciò a togliersi lentamente l’uniforme, ancora un po’ indolenzito. Mosse la testa massaggiandosi il collo e rievocando con una sorta di colpevole imbarazzo la sensazione che gli aveva comunicato il corpo del suo istruttore che lo immobilizzava.
Quando entrò nel locale delle docce – nudo, se non per un asciugamano intorno ai fianchi – si trovò davanti il suo superiore che si stava lavando girato di spalle.
Rimase immobile a fissarlo come ipnotizzato, senza riuscire a staccare gli occhi dalla sua schiena muscolosa, dalle cosce forti, ora leggermente divaricate e dall’acqua che scorreva su quelle forme perfette.
Distolse con fatica lo sguardo passandosi una mano sul viso. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma rimase in silenzio, gli occhi incollati a quell’immagine di virilità armoniosa e possente.
L’ufficiale si passò una mano fra i capelli e nel movimento il bicipite si flesse gonfiandosi. Fece un passo e gambe e glutei guizzarono. Una statua in movimento.
Lex arretrò come colpito da un pugno in piena faccia, ed il respiro gli si bloccò a metà. Fissò il corpo possente che aveva di fronte e tutto il resto sembrò scomparire.
Passarono così alcuni secondi. Poi deglutì a vuoto e si impose di avanzare. Ogni passo era uno sforzo sovrumano, come se avvicinarsi al corpo esposto del suo superiore lo stesse inesorabilmente avvicinando ad un punto di non ritorno.
La tensione era palpabile mentre Reynolds elaborava la consapevolezza che sarebbe stato meglio per lui andarsene finché era ancora in tempo.
Poi il capitano si voltò e rimase immobile a fissarlo.
L’altro si fermò come se fosse andato a sbattere contro un muro. Si sentì colto in flagrante, colpevole, sporco.
-S-signore?- balbettò.
Altri secondi scorsero via. -Lex,- disse l’ufficiale a bassa voce, continuando a fissarlo con intensità, -va tutto bene?-
Poi si mosse verso di lui ed egli poté avvertire il calore del suo corpo e della sua virilità.
Esitò un attimo prima di rispondere. Il corpo del suo superiore era talmente vicino che gli stava facendo girare la testa. Aveva cercato di ignorarlo, di far finta di niente, ma infine era arrivato a capire che esso era l’origine della sua inquietudine.
-Signorsì.- mormorò.
Deglutì ancora, ondeggiò appena, con aria irresoluta.
La mano del capitano Kowalsky scattò verso la sua spalla, l’afferrò. -Ehi, attento.- disse l’ufficiale.
Lex rabbrividì a quel tocco, di colpo teso come una corda. Si accorse di ansimare leggermente, e non era per il calore delle docce.
La mano risalì lentamente lungo la spalla, fermandosi sul collo.
-Lex.-
Infine si posò sulla guancia, accarezzandola appena. C’era tenerezza nel gesto – nessuna frenesia, nessuna lussuria.
-Lex.- ripeté Kowalsky.
-La… la prego signore… mi lasci…- balbettò Reynolds con un filo di voce, mentre fissava come ipnotizzato il suo superiore.
La mano lo sfiorò ancora – gentile, calda – mentre il capitano inclinava il volto come per studiarlo meglio, fissandolo a fondo negli occhi.
-E’ così?- chiese, e la sua voce era bassa e rauca, una carezza persino più calda di quella lieve delle dita. -E’ quello che vuoi davvero? Che ti lasci?-
Reynolds fremette mentre un terrore panico lo invadeva. Si rese conto di essere attratto dall’uomo che aveva di fronte. Si stava eccitando per lui come con gli era mai capitato di eccitarsi.
-Io… io non lo so, signore…-
Stava tremando.
La carezza si fece più lenta, più sensuale. –Lex.- mormorò ancora una volta il capitano. -Non avere paura di me, non potrei mai farti del male. Mai.-
Fece un passo verso di lui, fermandosi così vicino da sfiorarlo.
-Va tutto bene, davvero, Lex.- gli sussurrò rassicurante.
Farmi del male? Pensò Reynolds angosciato. Il male me lo sto facendo da solo. Pensò che stava cedendo a degli impulsi sbagliati, perversi, quando invece sarebbe dovuto semplicemente scappare via. Ma si rese conto che non ce la faceva, non riusciva a voltarsi e fuggire.
Chinò la testa mordendosi il labbro inferiore. Se mi vedesse mio padre, pensava, se mi vedessero i miei fratelli…
Il capitano fece un sospiro e la sua mano, che stava ancora accarezzandogli il viso, scese a chiudersi intorno al suo polso.
-Vieni qui.-
Lo fece voltare di colpo, spingendolo con la schiena contro le piastrelle ed imprigionandolo col suo corpo. L’asciugamano scivolò giù.
A Lex sfuggì un gemito mentre cercava di sottrarsi alla presa, e subito dopo un gemito più forte, quando per la prima volta sentì il contatto del proprio cazzo col cazzo di un altro uomo. Carne calda e turgida, un tocco così intimo non l’aveva mai sperimentato nemmeno con una donna.
-Lex, guardami.- si fece nuovamente udire la voce del suo superiore.
Reynolds era tra le piastrelle ed il suo corpo bollente, ma non vi era costrizione, avrebbe potuto liberarsi in qualsiasi momento.
-Ora guardami negli occhi e dimmi che davvero non è quello che desideri.-
Di nuovo quell’alito caldo sul viso. E non era l’unica cosa che lo stava sfiorando. Il petto sfregava appena contro i suoi capezzoli, l’erezione si allungava contro la sua, le cosce si toccavano.
-Io non devo.- ansimò Lex. -Questo è sbagliato, signore…-
Ma nonostante tutto non riusciva a muoversi, a sottrarsi come secondo lui sarebbe stato opportuno fare.
-Dici che non devi…- Una mano di Kowalsky si staccò dal suo polso e gli prese il mento fra le dita sollevandogli il volto. Le labbra quasi si sfioravano. -Ma non che è quello che non vuoi. Ora stringimi, Lex, avanti.- Nel dire ciò si mosse appena e le virilità di nuovo scorsero l’una sull’altra, entrambe gonfie ed eccitate.
-Non avere paura di me… non avere paura di questo.-
Lex ebbe un brivido e socchiuse suo malgrado le labbra. Kowalsky era sempre stato il suo sogno, il suo ideale di soldato. Avrebbe voluto essere come lui.
Il capitano premette il corpo contro il suo con maggiore decisione. Nonostante tutto, a Lex parve una cosa intima, piacevole, in un certo senso giusta e naturale.
La mano dell’altro gli scorse dal mento sul petto e poi scese ad accarezzargli una spalla.
-Lex.-
Poi le labbra furono sulle sue.
Dapprima solo uno sfregare leggero, col volto che oscillava lentamente a destra e a sinistra, poi pian piano il movimento schiuse lentamente le labbra serrate di Lex, facendosi strada, aprendole a poco a poco. Una mano gli scattò improvvisa al fianco, attirandolo in avanti fino a che il bacino non fu contro il suo così intimamente da fargli mancare per un attimo il respiro.
Aprì la bocca e la lingua del suo superiore lo invase.
Gemette sussultando contro di lui. Per un attimo ebbe un moto di ribellione, fremette cercando di sottrarsi. Ma il movimento divenne sempre meno energico fino a cessare del tutto. Sentì di avere gli occhi umidi. Andò incontro alla lingua dell’altro cedendogli con un misto di disperazione e smarrimento, consapevole comunque che non sarebbe stato in grado di sottrarsi.
Il capitano probabilmente percepì il suo turbamento. Si staccò appena da lui, rimanendo con la bocca sulla sua. Dolcemente, gli sussurrò: -Non c’è nulla di cui tu debba avere paura. Credimi, fidati di me.- Poi lo baciò di nuovo, stavolta facendo penetrare più lentamente la lingua e cominciando a toccare le sua, a giocarci con lenti movimenti sensuali.
Lex sentiva il cuore battergli nel petto come se avesse voluto scoppiargli. Si accorse di ansimare. Con un movimento quasi involontario inarcò la schiena aderendo al capitano.
In risposta al gesto, sentì la mano dell’altro chiuderglisi su un gluteo e stringere appena – poi rilasciare – poi stringere ancora. Una carezza che quasi gli tolse il fiato per il senso di possesso e la sensualità che emanava.
Gli circondò il collo con un braccio. Sempre con la sensazione di stare facendo una cosa profondamente sbagliata, sempre incapace di sottrarsi. La mano sul gluteo lo stava facendo impazzire. Mugolò spingendosi ancora una volta contro di lui.
Il capitano staccò le labbra dalle sue soffocando un gemito.
-Ah, Lex…- mormorò, poi si avventò sul suo collo, ricoprendolo di baci caldi e umidi, mordicchiandolo, passandoci sopra la lingua.
La mano si spostò verso il basso, lungo la coscia, fino ad afferrare l’altro sotto il ginocchio. Gli sollevò la gamba di scatto, tirandosela attorno al fianco forte, facendosi ancora più spazio contro di lui. Mentre lo baciava, cominciò a muoversi piano – piccole spinte decise ed esperte – il cazzo grosso che sfregava contro il suo, sapendo esattamente dove andare a colpire per farlo impazzire.
La stanza era invasa dal vapore e dallo scoscio dell’acqua, che copriva solo parzialmente il rumore dei baci di Kowalsky e i gemiti di Reynolds, intervallati dai sospiri profondi di entrambi.
Il bacino continuava a muoversi senza sosta, sufficiente ad eccitare Lex come mai era stato in vita sua.
-Oh, sì… sì…- gli sfuggì infatti.
Il movimento lo stava facendo letteralmente impazzire. Chiuse gli occhi lasciando l’altro libero di fare ciò che voleva, assecondandolo. Aveva abbandonato l’idea di sottrarsi da solo a quello che stava succedendo, aveva capito che non ce l’avrebbe fatta.
Ad ogni spinta dell’ufficiale gemeva come se questi lo stesse penetrando.
L’altro tornò sulle sue labbra, il respiro ora accelerato, la mano di nuovo sui glutei a spingerselo contro, portandolo ad allargare sempre più le cosce.
-Lex…- ansimò appena. -Ti piace questo, vero?-
-S-sissignore…- balbettò Reynolds.
-Niente di così bello può essere sbagliato.- fu la risposta. Poi il capitano gli afferrò la testa, gliela tirò indietro con un piccolo strattone – senza fargli male – e aggiunse: -E adesso ti voglio.-
A quelle parole, Reynolds fu attraversato da un brivido a metà fra paura e desiderio.
Ansimante, con le labbra socchiuse, gli occhi azzurri e trasparenti, aveva un’espressione disperatamente intensa, nella quale coesistevano abbandono e disperazione.
-Lex…-
Kowalsky gli passò una mano di taglio sul collo, poi sulla guancia.
-Sei bello, sai?- gli mormorò dolcemente. -Vorrei che tu ti vedessi in questo momento.-
Lo sollevò da terra, la mano sotto l’altro ginocchio, allargandogli le cosce e i glutei.
Ci fu un attimo di immobilità carica di aspettativa, poi dall’esterno si udì una voce: -Capitano Kowalsky? È qui, signore?-
Si sentirono dei passi avvicinarsi.
L’ufficiale lasciò andare Reynolds soffocando un’imprecazione.
L’altro si trovò di colpo libero, attonito.
Bastò un istante. Cristo d’un dio, ma che cazzo stavo per fare? Si chiese sconvolto. Raccolse l’asciugamano ed uscì dalle docce di corsa, senza neppure rivolgere un’ultima occhiata al suo superiore.
Raggiunse le camerate ansimante, tremante, sconvolto. Io non sono omosessuale, andava ripetendosi, non lo sono, dannazione. Ho ceduto solo perché Kowalsky è il mio superiore, solo perché ho stima di lui come militare…
Passò la notte in bianco, gli occhi fissi sul soffitto, la mente a dibattersi nella vana ricerca di giustificazioni, di scuse plausibili.
Il giorno dopo inoltrò la domanda di congedo.

-E allora- chiese il capo spazientito. -Quali sarebbero questi motivi personali?-
Reynolds strinse i denti, reprimendo il brivido che provava ogni volta che rievocava l'episodio.
-Motivi personali, signore.- ripeté con voce neutra.