Dog Eat Dog
parte IX
di Hyoga & Snatch
Reynolds fu svegliato da un rumore di
metallo che cozzava contro metallo.
Assordante, stridente, vicinissimo al suo orecchio.
E, a seguire, un familiare tono nella parola:
-Sbirro!-
Si svegliò con un sussulto, un braccio strattonò la catena delle manette e
lui piantò in faccia al ragazzo i consueti occhi gelidi e furenti.
-Cominci a puzzare di vacca scuoiata…-
Sonny era in piedi davanti a lui, una felpa con le maniche arrotolate,
sorridente e i capelli corti bagnati che ricadevano sulla fronte.
Era sveglio da quattro ore, e aveva già fatto la maggior parte delle cose
che erano in elenco.
La benzina nel motore per l'elettricità, scaricare le scorte di acqua e
cibo (e sigarette, e quel poco di coca che Sedgwick era riuscito a
racimolare), tirare fuori le lenzuola meno sporche e andare al lavatoio
per lavarle…
-Almeno non puzzo di negro.-
… Non in ultimo, lavare sé stesso.
-Simpatico anche quando quello ammanettato sei tu, eh?-
Sonny andò al tavolino, di fianco alla radio, ora spenta, e prese la
pistola.
Si riavvicinò al letto e spinse il ginocchio tra le scapole di Reynolds.
-Come ieri, ok?-
Il poliziotto fece un ringhio soffocato quando il peso gli si piantò nella
schiena, per il resto rimase in silenzio.
La chiave entrò nella serratura di una delle due manette, Sonny la
districò dall'intelaiatura del letto e la chiuse su sé stessa.
Poi balzò indietro, i due metri di distanza di norma, la pistola puntata.
-Libero come uno schiavo negro. Alzati.-
Reynolds si alzò in piedi. Tralasciò di dare una risposta adeguata. Aveva
mal di testa e di certo il botta e risposta con un negro armato non era il
suo ideale di mattinata tranquilla.
-Adesso esci passo passo dalla roulotte, e io ti sto dietro.
Regolare, sbirro?-
Sonny si mise in un angolo, la luce del mattino che filtrava dalle
finestre piccole illuminava esattamente la mano armata.
L'altro scese in silenzio. Si sentiva indolenzito e spossato, ma la rabbia
- una gelida e determinata furia - era ben lungi dall'essere sopita.
Il ragazzo lo seguì, aumentando le distanze.
Quanto bastava per sporgere una mano sul cofano della macchina, dove
attendeva il ricambio.
-Adesso dritto dritto dove indica il tuo ferro.-
La strada che proseguiva oltre la roulotte, in direzione opposta dalla
strada da cui erano arrivati in macchina.
Reynolds si incamminò nella direzione che il negro gli aveva indicato
Forse era il ciak numero 2. Ammazzamento
dello sbirro 2 – azione!
Pochi minuti dopo arrivarono ai lavatoi, tre vasche di pietra di cui solo
nella centrale scorreva acqua.
Pulita, e al solo sguardo gelida.
-Adesso sai cosa devi fare, vero?- domandò Sonny guardando prima l'acqua e
poi Reynolds.
Ma se il negro pensava di fargli un dispetto aveva sbagliato di grosso i
suoi calcoli. Se c'era una cosa che Reynolds stava desiderando era proprio
di lavarsi, e aveva alle spalle un nutrito curriculum di volte in cui
aveva rotto il ghiaccio e si era lavato con l’acqua gelida, quando ancora
stava nei berretti verdi.
Non che la cercasse apposta gelida, ma se non c'era altro anche quella
andava bene.
Lex si avvicinò all'abbeveratoio. L'acqua era fredda e tersa, quasi
invitante. Dava un'idea di pulizia, di nitore, di purezza. Sul fondo della
vasca di pietra c'era solo qualche foglia caduta dagli alberi vicini.
Un feroce contrasto col marciume e il disfacimento della palude fetida che
c'era tutt'intorno.
Si sfilò la cravatta, si sbottonò la camicia; sotto aveva una T-shirt
bianca.
Non più così bianca, ormai. Il sangue secco, color ruggine scuro, era un
po' dappertutto.
-Quelli buttali da parte, vanno bruciati.- disse Sonny indicando con la
pistola un punto esterno alla vasca.
Reynolds lo fissò per un attimo con un'ombra di stupore. “E che cazzo,
vuole farmi girare nudo?”, pensò.
Ma una pistola puntata rende inclini alla condiscendenza. Buttò i vestiti
dove l'altro aveva detto.
Gli abiti si ammucchiarono uno dopo l'altro, rivelando un corpo solido e
muscoloso, modellato da una vita di sport.
Si potevano nitidamente vedere i segni lividi del pestaggio, le
escoriazioni sulle costole.
Si denudò completamente, indifferente come se si fosse trovato nello
spogliatoio di una palestra. Neppure un'occhiata fugace a Sonny, o un
accenno di pudore vittoriano.
Entrò nella vasca con un sospiro di soddisfazione, si immerse nell’acqua,
se la gettò sulla testa.
Neanche il sapone, negri del cazzo. Ecco perché puzzano, pensò Reynolds
strofinandosi nell'acqua gelida.
Mentre lo sbirro si lavava, senza dar segno di soffrire il minimo freddo,
Sonny lo guardò, sopra il mirino.
Big Jim fino in fondo, il corpo scolpito benché avesse… Quanti, trent'anni?
Di solito gli sbirri a quell'età mostravano un ventre prominente. A ogni
anno, un centimetro in più.
E il non soffrire il freddo…
-Hai sempre fatto lo sbirro?- domandò.
-Ero un berretto verde prima.-
Reynolds rispose meccanicamente, con una sorta di pilota automatico. Non
gli andava di perdere tempo con quel negro, in quel momento voleva solo
togliersi di dosso il sangue secco e il sudore.
Le ferite facevano meno male nell'acqua gelida.
-Ecco perché sei così…- uscì a Sonny, frase inconcludente, il tono di un
intercalare.
La prima che non fosse un ordine; quasi, anzi, decisamente
colloquiale.
Si zittì concentrandosi sul mirino, sfocando l'immagine dello sbirro.
-Così come?-
Deformazione professionale da sbirro, mai lasciar cadere una frase
inconsueta.
-Così come sei, sbirro. Punto.-
Reynolds si lavò accuratamente, poi si alzò in piedi, i capelli
gocciolanti, il corpo imperlato di gocce d'acqua.
-I vestiti.- disse Sonny, e gli lanciò il mucchio che aveva sotto braccio,
facendo cadere la stoffa nella vasca vuota a sinistra.
Reynolds raccolse lentamente i vestiti, li indossò.
Stranamente gli andavano bene. Si chiese a chi fossero appartenuti prima.
Un rasoio in plastica gli arrivò subito dopo.
-Facciamo festa, sbirro…- commentò sarcasticamente Sonny.
Reynolds si servì con attenzione del rasoio. Odiava essere trasandato.
Quando il volto fu perfettamente liscio, guardò la divisa blu
ammonticchiata a terra.
-Quella tirala su.-
La raccolse senza parlare.
La soppesò assorto. Poi abbassò gli occhi sui vestiti che aveva addosso.
Infine, li rialzò su Norton.
-Adesso si torna indietro. Sto morendo di fame.- lo incitò il ragazzo
spostandosi lateralmente, e così spezzando lo sguardo, per farlo tornare
davanti a sé.
Reynolds si mosse nella direzione indicata, e cominciarono a camminare.
Si sentiva in una specie di limbo. Un morto che cammina, un vivo che ha
già preso commiato col mondo.
Strana sensazione, essere dei morti ancora caldi.
Quando arrivarono alla roulotte, Sonny gli fece buttare la divisa sul
cofano della macchina, poi lo fece risalire nell'"abitazione”.
E, come la sera prima, gli indicò il letto.
Reynolds si avvicinò con calma al materasso lurido.
L'acqua fredda lo aveva svegliato, ora si sentiva pronto a tentare una
ribellione.
-Faccia in giù, sbirro, ti sei già dimenticato come si fa?- sputò Sonny in
fretta, le parole espletate freneticamente.
Reynolds si attardò apparentemente indolente.
Avvicinati, stronzetto. Vieni a darmi una
manata sulla spalla per spingermi più avanti...
-Muovi quel cazzo di culo!- gli urlò Sonny, impugnando l'arma con entrambe
le mani e alzandola.
Un attimo.
Reynolds si abbassò, gli afferrò un braccio spostandogli la mira e con una
spazzata alle gambe gli fece perdere l'equilibrio. Durata del tutto, un
decimo di secondo.
Partì un colpo, e senza attendere oltre il poliziotto scavalcò Sonny per
uscire.
Un passo, e al secondo il ragazzo gli artigliò la caviglia con la mano
libera.
Reynolds cadde a terra malamente, travolgendo le poche masserizie
all'interno della roulotte.
Con l'equilibrio ancora frastornato, Sonny gli saltò sopra.
Colpo alla nuca, visto tante volte, mai fatto.
Lo fece, colpendo con il calcio della pistola stretto tra le dita.
Anche questo durò lo spazio di un attimo. Poi Sonny rimase ansimante,
chino sul corpo immobile di Lex privo di sensi.
Respirò fino a stabilizzare i battiti del cuore.
Cristo.
Era stato un attimo, ma per quel fottuto attimo gli si erano rivoltate le
budella.
Ora era tutto, quasi, a posto.
Bastava sistemare.
Sistemare.
Sollevò il corpo di Reynolds, e sentire lo sbirro, il nemico, impotente a
peso morto gli diede un brivido d'angoscia.
Lo mise sul letto, prono e assicurò le manette.
Cristo.
Pragmatismo, ora. Gli piaceva
quella parola difficile. Pragmatismo
e andare a bruciare i vestiti.
E dopo i vestiti, mentre la puzza è ancora nell'aria, il cibo.
In scatola, come i cani, ma cibo.
E poi ci sarà da sistemare uno dei finestrini, per evitare gli spifferi di
notte.
Poi avrebbe cercato i teli di plastica per il pavimento.
E poi, e poi… E continuò a programmare, seduto al tavolo mentre mangiava e
buttava giù nervosi sorsi di birra.
Lex riemerse poco dopo dal torpore. La prima cosa di cui si rese conto fu
il dolore alla testa. Lancinante.
Provò a muoversi, si accorse di essere sul materasso della sera prima e di
avere i polsi ammanettati. Avrebbe giurato di essere ancora alla sera
prima, se non fosse stato per gli abiti civili che si vide addosso.
Sonny si voltò di scatto al tintinnare delle manette.
Gli riservò uno sguardo breve, mentre masticava, poi tornò a guardare il
nulla di un angolo.
Avrebbe dovuto dire qualcosa per affermare la sconfitta di Reynolds.
Ma stette in silenzio.
L'agente cercò ancora di muoversi, soffocò un'imprecazione.
Ora trovare un'altra occasione sarebbe stato difficile.
Il ragazzo finì di mangiare, finì la birra, lasciò tutto sul tavolo.
E andò alle ante della cucina, plexiglas, forbici da giardiniere e un
breve armamentario del fai-da-te. Prese una lastra di plexiglas, un
righello pieghevole e un taglierino, e tornò al tavolo cominciando a
lavorare alla nuova finestra.
Reynolds riuscì a girarsi supino. Le catene tiravano, ma non era il male
peggiore che sentiva in quel momento.
Il ragazzo continuò a lavorare al plexiglas, premendo le dita sul righello
e ripassando più volte il taglierino fino a tagliare la plastica
perfettamente.
Mai lavorato con tanta precisione.
Sorrise soddisfatto e fece quattro buchi per fissarvi il fil di ferro.
L'agente rimase in silenzio, fissando il soffitto basso e macchiato.
Macchie stratificate, chissà di cosa.
Quando il ragazzo finì la finestra, l'applicò all'altra rotta nel centro,
e buttò questa sul tavolo.
E fu il turno di una delle ante del mobile della cucina, staccata e messa
da parte, che aggiustò cambiando i cardini e smussandola per far si che si
chiudesse perfettamente.
Poi passò alle lenzuola del letto a destra, sostituite con quelle pulite
(lo sbirro avrebbe aspettato); quindi alla plastica stesa sul pavimento,
per isolare dalle travi di legno umide che qualche deficiente un giorno
aveva deciso di mettere.
E, lavoro dopo lavoro, i pensieri di Sonny cominciarono a risalire.
Tutte domande, nessuna risposta.
Che fare dello sbirro?
Lasciarlo ammanettato al letto era l'unica soluzione plausibile, ma non
era veramente risolutiva.
Lo stronzo non si sarebbe trasformato come un rospo in principessa.
Anzi, Sonny lo sapeva, più tempo passava costretto su quel letto marcio
più la situazione sarebbe peggiorata.
Sonny aveva rapito una persona.
Ma la sensazione era che Sonny stava
rapendo una persona, con un'aggravante a ogni ora che passava.
Una persona che ti fissa per tutto il tempo.
Mentre Sonny era chino sul tavolo, mentre stendeva i rotoli di plastica
per terra, mentre segava il legno appoggiato al mobile; in ogni secondo
sapeva e sentiva di non essere
solo.
Sempre qualcuno alle spalle.
Anche se legato e impossibilitato a muoversi, ma le paranoie cominciarono
a risalire.
Un berretto verde, aveva detto? Chissà, veramente, come cazzo li
addestrano. Di sicuro a disarmare una persona in un decimo di secondo.
Cercò di sfogare la tensione lanciando bestemmie per ogni minima cazzata.
Le zanzare, la sedia umida, l'acqua che risaliva dalla palude nella terra
fredda. Tutto. Fino a…
-Adesso devi alzare il culo. E se non vuoi una botta in testa ogni volta,
collabora.-
Lo disse, e cercò lo sguardo di Reynolds.
E lo trovò dove se l'aspettava. A fissarlo immobile.
Prese l'arma dal tavolo, umida e scivolosa come tutto il resto.
E si avvicinò.
-Colpo in testa o collabori?-
Non aveva più l'energia per unirvi del sarcasmo.
-Sparami in testa, stronzo. Se ne hai il coraggio, ovviamente.-
Detto con un tono che sembrava uno schiaffo in piena faccia.
-No.- sibilò Sonny, più per esasperazione che per intento. -Se devo
sparare ti sparo ai coglioni, e poi muori lentamente. Ma non ti sparo, ora
decido io.-
Prese fiato, socchiudendo e riaprendo gli occhi. -Colpo in testa o
collabori?-
-Vaffanculo, negro.-
Sonny abbassò la pistola, e si sedette sull'altro letto.
-Rimarrai qui, vivo.- cominciò, ascoltando le proprie parole. Non se le
era ancora dette, dopotutto, e il colpo fu notevole. -Ma dovrai pisciare,
prima o poi, e se te la fai addosso a me tocca legarti fuori, ai tubi più
saldi della roulotte, con le sanguisughe attaccate ai coglioni. Quale
preferisci? "Vaffanculo" significa fuori.-
Morire lentamente? Un'ora in più di vita, e subito dopo più nessuna
coscienza della stessa. Ammazzami, negro
del cazzo, ammanettami fuori. Tanto, per quel che mi frega.
-Vaffanculo.- ripeté Reynolds scandendo bene la parola. -Io non scendo a
compromessi con te, negro.-
-Come ti pare.- rispose Sonny, increspando le labbra, e appoggiò la
pistola sul tavolo.
La tensione gli aveva svuotato lo stomaco, e l'orgoglio di ferro dello
sbirro non aiutava.
Aprì un'altra scatola di carne, un'altra birra.
Il sole stava scendendo, davanti a lui il paesaggio che solitamente
precedeva un'uscita serale. Una bevuta con gli amici, qualche stronzata
per far passare il tempo… Il solito. Guardò il sole filtrato dal plexiglas
verde, livido.
Solo stanchezza. Totale, come l'umidità che arrivava fino alle ossa. La
sensazione che anche il cervello pesasse, premendo sulle tempie.
Non si sentiva così stanco da quando era bambino.
Reynolds intanto scrutava la sbarra alla quale erano fissate le manette,
cercava di scoprirvi un punto debole, una cedevolezza.
Strinse i denti. Nei berretti verdi gli avevano insegnato a sopportare la
fame e la sete. E meno male, perché adesso le aveva entrambe, notevolmente
intense.
Certo, il cibo non era dei migliori, ma il ragazzo finì due scatole con la
stessa intensità che avrebbe usato se avesse dovuto pubblicizzarle.
Reynolds sarebbe morto prima di cedere. Molto meglio morire, sì. Tanto
comunque non aveva più nulla da perdere, quella era la sua ultima mano di
carte. E allora, tanto valeva giocarla alla grande.
Le due scatole vuote finirono nell'improvvisato sacchetto-spazzatura sotto
al tavolo.
Poi Sonny si alzò, gli occhi due fessure, e si diresse al letto sulla
destra.
Lanciò via le scarpe e la felpa, rimanendo in maglietta sopra alle
lenzuola pulite.
Guardò il soffitto.
Poi lo sbirro.
Poi di nuovo il soffitto.
Il poliziotto si limitò a restituirgli uno sguardo che esprimeva il più
totale disprezzo.
Sonny strinse i denti.
Se fosse stato uno sbirro, uno di quei viscidi figli di puttana, avrebbe
restituito il favore a Reynolds a nome dei due bastardi che lo avevano
mandato in ospedale.
Lo stronzo orgoglioso aveva anche un bel corpo, e con uno straccio in
bocca e il culo nudo sarebbe stata la degna conclusione della serata.
Impersonale, veloce, e la mente vuota.
Tutti i buchi sono magicamente buchi, senza un volto che ti guarda.
Ma Sonny non era un fottuto sbirro.
-Mi spiace stronzo, ma devo farmi una sega…-
Sbatterlo sul letto e ricacciargli a colpi tutto il disprezzo per i
negri di merda.
No, Sonny non lo avrebbe fatto.
Ma di una sega aveva proprio bisogno…
-Una sega? Scimmia subumana, vattene fuori a fare i tuoi comodi.- Una
pausa sdegnata. -Cristo santo, ma non sapete proprio come comportarvi
voialtri?-
-Non dire cazzate!- sbottò Sonny, bloccando la mano che stava slacciando i
jeans. -L'ultima cazzo di cosa che puoi rinfacciarmi con i tuoi fottuti
discorsi da nazi è questa…-
Fece un lungo sospiro.
Che cazzo s'incazzava a fare?
Lo sbirro sarebbe stato zitto dopo tre battute.
Reynolds si voltò ostentatamente verso la parete.
Sonny cominciò a muovere la mano.
Aveva sempre adorato la sensazione di totale annullamento della roulotte.
Ti si rizza, e non c'è nessun rumore fuori campo a rompere i coglioni.
Sei tutto nella tua testa.
Come farsi la migliore canna mentre ricevi un pompino.
Il poliziotto, lo sguardo fisso sulla parete a pochi pollici dal suo naso,
si soffermò a pensare all'assurdità della situazione. Legato a un letto in
una roulotte con un negro che si faceva una sega a due metri di distanza.
Avrebbe quasi potuto essere comico.
Ma c'era troppo silenzio perché si potesse creare una qualsiasi atmosfera.
C'erano solo i fatti, che si muovevano come la mano di Sonny, in silenzio
e con calma.
Il ragazzo contrasse le spalle, stringendo la presa.
Reynolds continuò a fissare la parete sporca e coperta di scritte, mentre
la puzza del materasso sudicio gli aderiva addosso come un lenzuolo
bagnato.
Era furente. Il gesto di Norton gli dava l'idea di una pura e semplice
provocazione. Con tutti i posti che avrebbe avuto per masturbarsi, quel
negro del cazzo lo faceva proprio lì accanto, ansimando come una puttana,
facendo cigolare ritmicamente il letto sgangherato.
E lo faceva perché lo sapeva inerme, forse in un'infantile ansia di
rivalsa nei suoi confronti.
Che bel divertimento, eh, negro del cazzo?
Rimase voltato senza muoversi, sebbene le manette gli si stessero
piantando nella pelle dei polsi, scavandovi due solchi violacei.
Strinse i denti caparbio, costringendosi ad ignorare il proprio soma, che
gli stava a gran voce elencando tutte le necessità pressanti che aveva.
Cibo, acqua, movimento. Tanto per citare le principali.
Con un sospiro infastidito si dispose ad aspettare che l'altro finisse di
fare i propri comodi. Gli sembrava di avere accanto un animale, che si
soddisfa inconsapevole. Un cavallo che caga durante una parata. E chi
glielo fa capire a quei ronzini che non si fa? Sono bestie.
Il ragazzo venne, alle sua spalle, "avvisandolo" con un piccolo gemito
strozzato, e poi il silenzio ansimante.
L'altro si rivoltò lentamente fino a trovarsi supino, i polsi
ringraziarono affranti. Tenne gli occhi fissi sul soffitto.
Il letto accanto al suo cigolò, la sagoma di Sonny si alzò e andò fino
alla spazzatura improvvisata.
Poi un sorso di birra.
Poi di nuovo nel letto, in silenzio.
Reynolds non disse nulla, superfluo ogni commento. Sospirò imponendosi di
non lasciarsi andare.
Oscillava tra un senso di orgogliosa rassegnazione alla morte e un impulso
a tentare qualsiasi cosa per fuggire e tornare dai suoi, possibilmente col
negro appresso.
Doveva tenere duro, non permettere alla rassegnazione di fargli perdere di
vista il suo obiettivo.
Stessa cosa che aveva fatto un sacco di volte nei berretti verdi.
E nessuna delle due opzioni contemplava l'accettazione di quanto stava
succedendo.
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