Dog Eat Dog

parte VII

di Hyoga & Snatch



Puzza di gomma bruciata e metallo rimasto al freddo, il tutto condito da un'ammorbante retrogusto di hashish stantio.
Il gusto di sangue in bocca, ancora caldo.
All'udito, voci.
Tante voci, non troppe. Più di due… Più di tre.
Un tono basso ma concitato. Colpevole. Il panico stretto tra i denti assieme alle parole.
-Quindi, la macchina rimane lì.-
-Chissenefotte della macchina!-
-Dicevo per capire.-
-La macchina rimane lì e qualcuno… Sedgwick, mia madre e mia sorella, ci devi andare tu.-
La consapevolezza arriva di colpo, come quando si accende una videocamera. Prima buio - ora coscienza.
Ma è solo il primo passo. Ora registra, si rende conto delle cose, ma deve capire dov'è, cosa sta succedendo.
-La pistola…- inizia una voce, sottile, più delle altre in questo momento.
-La pistola va con Sonny.- risponde un'altra, più baritonale, ferma. Segue qualche secondo di rispettoso silenzio.
-… E Sonny va alla roulotte.- Ecco, questa è la voce di Sonny, stranamente ferma.
Reynolds si guarda intorno. Certo, ci sono delle voci. Quelle dopo. Ora vuole capire dove si trova.
Sembra una sala di registrazione, con pannelli fonoassorbenti. Niente finestre.
Prova a muoversi, ma scopre di essere ammanettato con le braccia dietro la schiena e riverso per terra.
Ora le voci. Stanno parlando di lui. Si concentra su di esse.
-Ma prima la pistola va scaricata.- conclude la voce sottile, e Reynolds sente l'aria fermarsi per un attimo.
Uno dei quattro, un tizio con la pelle nera come ebano, un tizio sottile e nervoso come la voce che esce da lui, gli mostra la pistola d’ordinanza dall'angolazione sbagliata.
-Aspetta.- lo ferma la voce baritonale, che da un corpo baritonale esce. Alto più di Reynolds, proporzionato, i movimenti lenti e calmi.
La pistola rimane ferma ma non sparerà.
Reynolds rivolge lo sguardo al negro che gli sta puntando l’arma. -Avanti, spara, muso nero. O te la fai sotto?-
Lo fissa gelido, le labbra strette, il volto pallido e rigato di sangue.
La mano del baritono, da fabbro (se uno di questi quattro saprà mai cos'è un fabbro), afferra il polso che regge la pistola.
E Pelle d'Ebano stringe i denti, ma la abbassa.
-Prima o poi bisogna farti fuori comunque.- sibila.
-Non spari a uno che non si rende conto, Syd.-
-Vaffanculo, negro- intervenne Reynolds -Credi di farmi paura? Ti do una notizia, bello: l'uomo nero ha smesso di farmi paura quando avevo tre anni.-
Pelle d'Ebano, Syd, abbassa la canna quando l'altro gli molla il polso.
-Ma ha ragione, bisogna farti fuori.- dice questo. Guarda Reynolds negli occhi, calmo. Tacito rispetto per la vita, di chiunque sia. E della morte, di chiunque sia. Deve averlo guadagnato con la maturità sugli altri, dimostra trentacinque anni mal portati. -Quindi, se vuoi, lo facciamo adesso.-
Il poliziotto rimane con lo sguardo ostinatamente fisso nel suo. Occhi azzurri e gelidi in quelli neri di Syd.
-Si, Sedgwick, lo vuole adesso. Ma ha le parole in gola.- risponde Pelle d'Ebano, tirando un largo sorriso, e fa per rialzare la pistola.
-Aspetta, cazzo!- si alza la voce di Sonny.
Dallo scatolone su cui era seduto, si tira in piedi, gli sguardi degli altri puntati addosso.
Se ha un perché, ce l'ha subito, altrimenti deve delle spiegazioni.
Deglutisce, il panico o il perché incerto, ma risponde in fretta alla domanda che aleggia.
-Non mi porto uno sbirro morto nel cofano per due ore…-
Reynolds ha un ringhio sprezzante. -Uno sbirro morto nel cofano?- ripete, scimmiottando la voce di Sonny. -Ma vi sentite quando parlate, negri del cazzo? E come lo giustificherete uno sbirro morto quando vi beccheranno? Perché vi beccheranno e questo lo sapete.-
Ha parlato con brutale sicurezza. Non le farneticazioni balbettanti del moribondo con le spalle al muro, che cerca di inventarsi qualsiasi cosa per campare una manciata di secondi in più. Piuttosto una fredda analisi della situazione. Distaccata come quella di un computer.
Syd ha uno scatto, ma l'arma rimane giù.
Se la risolleva, glielo si legge negli occhi e nelle dita strette sul calcio, è per sparare.
-Uno sbirro vivo e sanguinante come un maiale per due ore nel cofano.- dice, sgranando gli occhi per riempirsi le pupille della sua immagine.
-In una palude.- dice Sonny, secco, a singhiozzo. Un concetto, secco, per volta, per scandire i secondi e mantenere il filo teso ma non romperlo. -Se ammazzo uno sbirro e mi prendono io mi prendo la pena capitale.-
Il baritono, Sedgwick, annuisce.
E riprende il controllo sugli altri facendo un passo verso Reynolds.
-Gli sparo nella palude.- continua Sonny. Cerca l'approvazione, l'ok definitivo. La soluzione deve andare bene per tutti, il pericolo è pericolo se è per tutti, e se beccano lui con lo sbirro morto il quartiere diventa cenere.
Reynolds cerca di raddrizzarsi. Male d'inferno dappertutto, ma non vuole dare ai negri la soddisfazione di vederlo soffrire.
Li guata sprezzante, lo stesso sguardo che si potrebbe far scorrere su una discarica abusiva di rifiuti tossici.
-Finirete tutti nella merda. I miei rivolteranno il quartiere per trovarmi e lo sapete.-
-Era da solo.- dice Sonny.
-Ha ragione.- dice Syd, senza spostare i bulbi irrorati di rosso dalla figura di Reynolds. -Ormai la cazzata l'hai fatta, Sonny, e quelli verranno a romperci i coglioni. Ma se lo trovano qui… E se lo trovano qui vivo…- la frase finisce in una risata.
-Finisce nella palude e in qualche giorno non ce n'è più nulla. Ricordate la zona degli alligatori?- continua Sonny, guardando gli altri due.
Il quarto, un ragazzo che avrà l'età di Sonny, pelle scura, capelli a rasta e vestiti troppo larghi anche per essere larghi, comincia ad avvicinarsi a Reynolds, guardandolo incuriosito come si guarderebbe un leone narcotizzato.
Reynolds gli restituisce lo sguardo. -Che cazzo hai da guardare, negretto di merda?- sibila.
-Leroy, sta buono.- dice Sedgwick, quasi fosse un intercalare, e Leroy arretra di qualche passo, lo sguardo ancora incuriosito, come se le parole del poliziotto fossero in una lingua sconosciuta di cui può recepire solo il tono e il volume. -Ok per la palude.- continua il baritono, e si rivolge a Sonny. -Subito, e in fretta. Chiamiamo gli altri ragazzi per montare la roba sull'auto.-
Va verso la porta del garage, la apre.
Fuori, il silenzio, ovattato nella luce gialla del pomeriggio.
-Syd, Leroy, qui.-
E Syd e Leroy rimangono esattamente dov'erano, mentre Sedgwick e Sonny escono e richiudono il garage nel buio.
Reynolds continua a fissarli con disprezzo, non abbassa lo sguardo e mantiene l’aria di sfida.
-Soli soletti, sbirro…- lo canzona Syd, alzandosi. Come se avesse dimenticato la presenza di Leroy lo guarda, infastidito. –Vai. Non serve che stiamo qui in due.-
Leroy, annuisce, assorto.
Ora Reynolds capisce.
Leroy non ha mai visto uno sbirro così da vicino, e si sta portando avanti sul lavoro.
Cammina, all'indietro, e apre la saracinesca di poco, per poi farla sbattere quando è uscito.
-Lex Reynolds…- sillaba Syd, tante piccole rughe sulla pelle tirata della fronte.
-Mi conosci, stronzo?-
-Si, Lex Reynolds…- ripete, ed estrae dalla propria tasca un documento. Carta d'identità, coperta dal distintivo. Quello lo rimette in tasca. -Niente moglie, niente segni particolari… Niente di niente.-
Syd si avvicina.
Con calma, si accuccia a terra, i gomiti sulle ginocchia, e guarda Reynolds.
-Vuoi lasciare qualche messaggio alla mamma, Lex? Glielo porto personalmente…-
-Vaffanculo, negro di merda.-
Una frase sbattuta in faccia come un pugno, senza un tremito, senza un'ombra di soggezione.
Syd scuote la testa, in riprovazione.
-Alla tua mamma, non a me. So già cosa pensi di me, sbirro.- il tono s'acuisce di rancore parola dopo parola, e sull'ultima, sputata come una bestemmia mai consumata, Syd gli sputa in faccia.
Poi, sorride di un soave sorriso soddisfatto, continuando a guardarlo, gli occhi neri e rossi.
Lo sguardo di Reynolds è omicida. Stringe i denti reprimendo un fremito di rabbia e disgusto.
-Che bella prodezza, eh, negro?- ringhia. -Chissà come ti senti soddisfatto. Toglimi queste manette e fallo di nuovo, se vuoi provare un'esperienza.-
Syd dondola la testa in un no.
Senza fretta.
-No, Lex. Non sarebbe equo. Impara a sopportare e non reagire. Impara…-
Mano ancora in tasca, il distintivo. Lo infila nel taschino della divisa, lentamente.
-Impara prima di crepare, ti risparmio un girone.-
Reynolds rimane immobile. Non fargli vedere che sei incazzato, lo faresti godere e basta. Negro di merda.
-Tornerai alle origini, sbirro.-
Syd si alza, uno scatto con le gambe.
-Chissà con che cazzo di sogno affonderai…-
Un calcio alla bocca dello stomaco, freddo e diretto.
Fulmineo, così millimetrico e glaciale che sembra essere la prima dopo prove generali di anni.
Deve essere così perfetto da non avere bis, sentire la punta della scarpa salda colpire e tornare al suo posto.
Il poliziotto stringe i denti, emettendo a mala pena un gemito soffocato.
Quel figlio di puttana di un negro li sa dare i calci.
Il colpo gli ha mozzato il respiro, rimanere approssimativamente impassibile ha richiesto tutto il suo autocontrollo.
Quando riapre del tutto gli occhi, Syd è già voltato.
Non è rimasto a guardare.
Torna a sedersi, su una delle casse, e si passa l'accendino su indice e pollice.
No, sta ammorbidendo dell'hashish.
Con spirali di fumo che salgono dalle sue dita, e subito svaniscono, si sporge verso Reynolds.
-Sigaretta del condannato?-
-Non fumo.-