Dog Eat Dog
parte IV
di Hyoga & Snatch
Quando Sonny si svegliò, Reynolds stava fissando l'orologio appeso alla
parete, di fianco alla finestra.
17:40 e un'approssimata manciata di secondi, lento e metodico.
Gli scatti con cui il ragazzo sbatté le palpebre erano stranamente
sincronizzati con le lancette.
Un pensiero ininfluente, che volò via subito.
Reynolds osservò Norton muoversi debolmente. Pensò che si era ripreso
anche in fretta, considerando quello che gli era successo.
Valutò l'eventualità di comunicare l'accaduto alla famiglia del ragazzo.
Questi voltò lo sguardo verso di lui, scevro di ogni espressione.
Il poliziotto lo fissò attento, osservando il suo viso pesto e tumefatto.
Non era la prima volta che quel ragazzo veniva pestato, probabilmente.
L'atteggiamento di caparbia accettazione dell'accaduto parlava chiaro.
La legge della giungla: i più forti picchiano i più deboli.
E questa volta era capitato a Sonny Norton di essere il più debole.
Sospirò distogliendo lo sguardo. L'agente di polizia sarebbe dovuto essere
colui che impediva la legge della giungla, colui che tutelava il debole…
Che cazzo era successo invece?
Sonny boccheggiò, probabilmente cercando di parlare.
Qualche parola muta, e chiuse gli occhi deglutendo.
Li riaprì, contraddetto.
-Cazzo, sbirro, ancora tu…- disse in un sibilo, l'ombra della sua voce.
-Risparmia il fiato.-
Tacque per qualche secondo, poi aggiunse: -E' inutile che protesti, ho
l'ordine di piantonarti, non ti libererai di me.-
Sonny si voltò, sorridendo scocciato verso il soffitto.
Una crosta profonda gli attraversava irregolarmente il labbro inferiore,
mentre la tempia destra era un’irregolare superficie di abrasioni.
Una crosta tra le due sopracciglia.
E un’altra abrasione lungo la mascella.
Reynolds sospirò infastidito. Ora sarebbe arrivato il medico. Arrivava
sempre un medico. Il poliziotto lo immaginò elencargli tutte le lesioni
del detenuto, comprese quelle che non
possono assolutamente essere prodotte da una caduta accidentale.
Nessuna caduta accidentale lascia sperma nel culo.
La cosa che lo infastidiva di più era che sarebbe stato lui il bersaglio
del risentimento del medico.
Che le tirate sulla polizia brutale sarebbero toccate a lui.
Fanculo.
-Fammi indovinare…- cominciò Sonny. -Tra qui e il gabbio c'è stata
un'ambulanza… Cazzo, questa mi mancava…-
Il sorriso permase, una stonatura d'amarezza.
Reynolds mantenne il silenzio, accomodandosi meglio sulla sedia. Osservò
la sistemazione di Norton: lo colpì la pompa di morfina.
Ecco perché è così tranquillo, pensò.
Come Reynolds aveva previsto, un camice bianco svolazzante di sdegno gli
si fece incontro dal corridoio.
-Agente, devo assolutamente parlarle!- disse in tono perentorio una
dottoressa giovane, una che probabilmente non aveva ancora realizzato
quanto fosse merdosa la vita.
Sonny rivolse lo sguardo alla ragazza in bianco, le sopracciglia
aggrottate.
Reynolds si alzò in piedi. -Posso esserle utile, signora?- la frase di
prammatica del poliziotto educato.
-Quello che è successo è scandaloso. Scan-da-lo-so!- disse la dottoressa,
scandendo accuratamente la parola.
Il ricoverato sbuffò, voltando la testa dall'altra parte.
Ecco, questa parte inutile se la sarebbe evitata.
Che cazzo sarebbe cambiato dopo una ramanzina alla persona sbagliata?
Fottuta, umiliante impotenza.
-Vuole spiegarsi meglio?- la frenò Reynolds. Solo un po' di tempo per
prepararsi al fuoco di fila sulla brutalità delle forze dell'ordine. Se
era particolarmente sfortunato, si sarebbe beccato anche la tirata sulla
società che genera disagio e criminalità.
E magari quella sulla comprensione e il perdono. Quello era un cavallo di
battaglia di certi borghesi cresciuti nella bambagia e infarciti di
buonismo del cazzo.
Si faccia un giro di pattuglia nel
quartiere dei negri, signora, avrebbe avuto voglia di dirle. Se lo
faccia, così prova l'ebbrezza di sentirsi sparare addosso, o di essere
pestata e lasciata per terra nel suo sangue, o quella di sentirsi
insultare tutti i giorni da bastardi delinquenti che dovrebbero stare in
galera a pagare per i loro crimini e si comportano invece come se fossero
i padroni del mondo.
La giovane dottoressa, in effetti, apparteneva alla categoria nella quale
Reynolds l'aveva acutamente collocata.
Aggredì l’agente investendolo con tutto lo sdegno di cui era capace
-Quello che è successo è inqualificabile! Io mi chiedo come sia stato
possibile!- Pausa. La voce assunse un tono sarcastico: -Teoricamente, la
polizia dovrebbe tutelare gli esponenti più deboli della società, non
malmenarli e costringerli a rapporti sessuali…-
-Basta!-
La voce di Sonny coprì quella della donna.
Si era sollevato, di poco, appoggiato agli avambracci.
Non era il massimo della dignità, ma era quello che poteva fare.
-Basta stronzate inutili.- ripeté, fermo.
Gli esponenti più deboli della società. Reynolds avrebbe voluto ridere.
Quella povera vittima aveva castrato un collega con un coccio di
bottiglia.
-Va tutto bene, Sonny.- disse accorata la ragazza in camice.
Gli controllò le fasciature.
Aprì un po' di più la pompa di morfina.
-Lo so che va tutto bene, senza puttanate!- rispose alzando di nuovo la
voce, che si ruppe sul finale facendolo tossire, e scostò il braccio in
uno scatto irato.
Un lungo respiro, e tornò a guardare il soffitto.
-Silenzio, maledizione!- intervenne Reynolds. Il richiamo era diretto a
Norton: non doveva usare quel linguaggio con la dottoressa.
Tornò a voltarsi verso la donna, che lo fissò severamente e tenne a fargli
sapere che disapprovava la sua condotta troppo dura.
Sonny dilatò le narici, serrando le labbra.
-Se dice puttanate non è colpa mia. Io sto bene.- concluse.
Reynolds alzò appena un sopracciglio. Un lievissimo sorriso, quasi
impercettibile, gli increspò le labbra quando fissò nuovamente la
dottoressa. Quel linguaggio da ghetto capitava a fagiolo. Così la
crocerossina del cazzo si sarebbe fatta una mezza idea della povera
vittima della società.
-Smetti di fare casino, Norton.- disse comunque perentorio.
-Non preoccuparti, sbirro, non rompo i coglioni se qualcuno non li rompe a
me.- aggiunse Sonny.
Filosofia dell'avere l'ultima parola.
Reynolds lo ignorò per rivolgere la sua attenzione alla donna. -Cosa stava
dicendo, signora?-
La dottoressa riprese l'aria severa che aveva abbandonato nell'occuparsi
di Sonny. -Questo ragazzo ha subito un pestaggio. Ha il setto nasale
fratturato, due costole incrinate, sublussazione del polso destro, tagli
superficiali e contusioni sul viso e sul corpo, un principio di commozione
cerebrale, ma soprattutto...- si interruppe. Troppo il fiero sdegno per
proseguire.
-Soprattutto...?- fece eco Reynolds.
A che pro portare avanti quella farsa idiota? Dì che è stato inculato e fa
meno storie.
-Soprattutto un cazzo!- s'intromise Sonny, animandosi.
-Sta un po' zitto, stronzo, non mi dice niente che io non sappia già.- gli
disse brusco il poliziotto. Poi tornò a rivolgersi alla dottoressa.
-Stavamo dicendo, signora?-
La dottoressa deglutì, evidentemente turbata dal linguaggio e dal tono
dell'agente, tuttavia rispose: -Si tratta di .. ehm... rapporti sessuali
non consensuali.-
-Si spieghi meglio, signora.-
Nessuno sconto, stronza. Non sperare che
ti faciliti la cosa.
-NO!- urlò Sonny, e sollevandosi strattonò la flebo della morfina. -Non
c'è nessun cazzo di bisogno! Non è abbastanza?! Non c'è un cazzo da
spiegare!-
-Zitto, porca troia! Lascia parlare la dottoressa! Te lo ripeto: non mi
dice nulla che io non sappia già, ma visto che ci tiene...-
L’altra lo fissò con rabbia. Le sue idee sulla brutalità della polizia si
fecero ancora più radicate.
Brutalità ed insensibilità, certo.
-Non me ne fotte un cazzo di quello a cui tiene!- sbottò il ragazzo,
sollevando le ginocchia malamente. -Può starsene zitta e tenersi le sue
fottute diagnosi!!!-
Saggiamente, la dottoressa aprì al massimo la pompa della morfina. Sonny
di colpo smise di agitarsi per assumere un'espressione quasi trasognata.
La dottoressa, non più interrotta, spiegò per filo e per segno all'agente
che Sonny, come lei maternamente lo chiamava, aveva subito una violenza
sessuale da parte di uomini che gli avevano
eiaculato nel retto e gli avevano
prodotto lesioni alla mucosa interna.
Spiegò che erano già stati presi tutti i provvedimenti del caso ed auspicò
che gli agenti responsabili fossero puniti severamente.
-Un momento,- la interruppe Reynolds altrettanto severamente. -prima di
accusare degli agenti di polizia non crede che sarebbe il caso di fare
delle indagini?-
Certo che erano stati Meyers e il suo amichetto, ma gli dava fastidio il
sacro fervore di quella suffragetta degli emarginati.
Di fronte al cipiglio dell'agente, la dottoressa ebbe un attimo di
esitazione e la sua tirata sulla brutalità della polizia fu meno vibrante
del previsto.
Se ne andò comunque sempre più sdegnata, il camice svolazzante più che
mai.
Reynolds rimase da solo. Da solo con un negro fatto di morfina.
Il suddetto riaprì gli occhi quaranta minuti dopo.
Ancora vacui, ancora si posarono sullo sbirro, senza espressività.
Mosse le dita della mano destra, stringendo e lasciando il lenzuolo.
Dopo aver strizzato le palpebre un paio di volte, e ruotato la testa per
riconoscere una seconda volta il posto in cui si trovava, si fissò sulla
porta.
-Se n'è andata la troia…- sussurrò, forse a sé stesso, e come rinfrancato
sistemò meglio la testa sul cuscino.
-Avevi tanta voglia di sentire i particolari, sbirro?- domandò, e si leccò
le labbra.
Bocca impastata.
Di solito si coniugava a situazioni più piacevoli.
-I particolari li conoscevo. Quella tipa aveva voglia di dirli a qualcuno,
meglio a me che al giornale dal tuo punto di vista, no?-
E anche dal punto di vista del distretto di polizia, pensò senza dirlo a
voce alta.
Sonny annuì, lentamente, cominciando a muovere la testa prima che lo
sbirro terminasse la frase.
-Dì, ma… Ci credi veramente a quelle cose che dici? O il paparino era
cattivo quando eri piccolo?-
Reynolds non rispose. Non era certo lì per scambiarsi frecciate con un
detenuto negro.
Sonny chiuse un occhio, e chinò il volto lasciandolo cadere in modo da
avere lo sbirro in perfetta visuale.
-E' una domanda seria, la mia.- scandì, la voce che pian piano riacquisiva
tono benché rimanesse calma.
-E cosa te ne importa?-
-Non abbiamo niente da fare, giusto? E no, non ho un cazzo di sonno.-
-Non sono qui per intrattenerti. Devo solo piantonarti.-
-Ti piace quella parola, eh?-
Il ragazzo sbuffò, incrociando le braccia sul petto, rallentando
all’ultimo per una fitta che gli risalì dal polso destro.
Niente seghe, ahah…
Nottata di merda.
E le merdosa sensazione che ci sarebbe rimasto invischiato ancora a lungo.
Reynolds si sedette di nuovo, appoggiandosi all'indietro. Guardò
l'orologio calcolando quante ore mancavano al cambio.
Sonny tirò una lunga, disturbata boccata d'aria.
Aveva la maledetta sensazione di avere qualcosa in gola.
E non voleva neanche testare come stesse messo dalla cintura in giù.
Si schiarì la voce, inutilmente, e parlò:
-Puoi anche rispondermi, sbirro. Non contagio con le parole.-
-Cosa vuoi sapere?- la voce suonò fredda e impersonale, senza nessuna
coloritura affettiva.
-Decidi tu. O perché fai questo lavoro o perché paparino beveva. Quale
preferisci?-
-Perché supponi che mio padre bevesse?-
E si stupì di aver fatto quella domanda. Come se gli fosse mai importato
di sapere il perché degli insulti che gli rivolgevano i delinquenti.
-Io suppongo che se non c'è una
risposta alla prima domanda allora ci sarà alla seconda, tutto qui.-
Sbirro troppo ligio al dovere.
Sonny sorrise mordendosi un labbro.
-Allora?- rincalzò la domanda cercando lo sguardo dello sbirro.
Chissà se il poliziotto aveva le palle di reggere il suo sguardo.
Reynolds si voltò verso di lui. Lo sguardo era freddo, distaccato. Ma
fermo.
-Mio padre non beveva, Norton. Era astemio.-
In risposta Norton annuì, d'assenso.
Più per il tono, che le parole.
Le parole sono di chiunque.
Le palle di usarle no.
-E immagino che lo sia anche tu, azzecco?-
-No. Io non lo sono.-
Di nuovo lo sguardo del poliziotto. Fermo e impassibile.
Il ragazzo socchiuse gli occhi, senza staccarsene.
-E allora perché faresti questo lavoro di merda?-
La sua domanda, senza tono.
-Non credo che la cosa ti riguardi.- rispose Reynolds asciutto.
Non era lì per fungere da intrattenimento a quel delinquentello annoiato.
Che ne sapeva lui del significato del suo lavoro? Come avrebbe potuto
capirlo?
Fare il poliziotto credendoci, e continuando a crederci con tutta la merda
che vedeva ogni giorno, era una cosa che non si può spiegare a un Sonny
Norton qualsiasi.
-Non ti capiterà spesso un detenuto con il culo spaccato e la morfina in
vena che te lo chiede gentilmente… Sarà la combinazione delle due cose a
rendermi così, eh?-
Altra domanda, stesso tono.
Un contegno torbido, stagnante.
Non si arrendeva.
Reynolds fece un sospiro infastidito. Lentamente disse: -Norton, ci sono
cose delle quali non intendo discutere con te. Il motivo per cui faccio il
poliziotto non ti riguarda, fine della trasmissione.-
-E allora perché non mi zittisci e basta?-
La domanda uscì con un ringhio sibilato.
-Sì, potrei zittirti. servirebbe a qualcosa?- rispose il poliziotto.
-Lo sbirro sei tu, le risposte sono tue.- pronunciò a mezza voce Sonny.
Prima o poi avrebbe trovato il coraggio di muovere il bacino. -Se non vuoi
zittirmi allora rispondi, che cazzo ti costa? Mi porterò le risposte in
gabbio.-
-Le risposte non le otterrai certo così. Non si ottengono le cose
semplicemente pestando i piedi a terra, Norton. Certe questioni sono
affari miei, fattene una ragione.-
-Non sono io che ho pestato i piedi, Cristo!-
L'esclamazione uscì a metà, diventando un sibilo sfocato.
La testa, sollevata nell'impeto, gli girò.
Cazzo, avrebbe dovuto saperlo: mai contrastare un trip rilassante.
Reynolds non rispose. Distolse lo sguardo e fissò ancora una volta
l'orologio.
-Facile difendervi tra di voi e poi stare zitti quando bisogna
giustificare la cazzata, vero?- sputò Sonny, il labbro che tirava. Fottuta
ferita, gli avrebbe ricordato quelle maledette ore per un altro paio d
giorni.
Per quanto potesse capire il risentimento del ragazzo, Reynolds si sentì
in dovere di chiarirgli un paio di cose. -Non ho difeso chi ti ha fatto
questo, si tratta di una grave violazione delle procedure. Tu sei un
delinquente, ma hai dei diritti.-
Fare il poliziotto significa passare sopra ai sentimenti personali a
favore di cose più importanti, pensò Lex Reynolds, e si costrinse ad
astrarsi dalla situazione contingente per fluttuare nell'empireo dei
principi assoluti.
La Legge.
I diritti.
Grandi alate parole, araldi del mondo ideale.
Cristo quanto era difficile scovarle in quella situazione del cazzo…
Sonny aveva cominciato a constatare con le dita le ferite che aveva sul
viso.
Abrasioni sulla fronte, su zigomo, mascella e mento. Più il naso rotto, ma
non era la prima volta che gli accadeva, era soltanto questione di
cartilagine…
Sembrava infastidito dal dover portare in volto quei segni.
Strofinò il dorso della mano sinistra sul labbro rotto, rabbiosamente, e
serrò con forza gli occhi.
Poteva finire peggio, e lo sapeva. Forse la tranquillità che ammorbidiva
le sue reazioni non era dovuta soltanto alla morfina.
Forse - riportò gli occhi che non volevano saperne di stare aperti sul
poliziotto - sulla merda in cui era aveva ricevuto un piccolo sconto.
Parlò, il rancore più sopito:
-Non ho un cazzo contro di te, sbirro, a parte per la razza a cui
appartieni. Ma non cercare di farmi credere che tutto è rose e fiori e
trovarmi in questo letto è uno sbaglio. Che le cose sono andate male ma di
solito vanno bene. Fiabe per bambini.-
-Le cose sono andate come non sarebbero dovute andare.- ammise l'altro con
voce pacata. -Ma è compito del singolo impegnarsi affinché le cose vadano
come devono andare. Io cerco di fare la mia parte, di rispettare le
procedure, di fare questo mestiere come secondo me andrebbe fatto. Del
resto non posso dirti altro.-
Sonny annuì, facendo seguire un lungo silenzio.
Contrasse i muscoli delle gambe, sentendo le prime avvisaglie dei lividi
che aveva sulle ginocchia.
Senza sapersi spiegare il perché, non se la sentiva di appurare del tutto
come stesse il suo corpo. Sapeva di non avere lesioni irreparabili (o
perlomeno nulla che non si potesse riparare con una dovuta vendetta), ma
tentennò al pensiero di doversi abituare a una diversa concezione del
proprio corpo.
Spaccato.
Senza troppi giri di parole.
Non voleva capire come doveva sentirsi una puttana da strada.
-Quante volte hai visto questa scena?- domandò, decidendo che non si
sarebbe addormentato prima di aver fatto il punto della situazione.
-Perché continui a farmi domande? Dove stai cercando di arrivare?- gli
chiese infastidito il poliziotto.
-A chi devo farle, al muro? Io non mi faccio le notti in centrale, non
sono abituato a parlare da solo.-
-Beh, io non sono abituato ad intrattenere i delinquenti piantonati con
disquisizioni sulla brutalità della polizia.-
Il ragazzo piantò la nuca nel cuscino.
-Ti hanno dato il tempo di prendere il tuo libro?-
-Negativo.-
-E che cazzo vuoi fare, passare la nottata a guardarmi?- domandò Sonny
aggrottando le sopracciglia.
Gli venne il dubbio che ne sarebbe stato capace, o che addirittura fosse
accettata routine.
-Non passerò qui la nottata, verrà Mead a darmi il cambio alle 20.00.-
-Oh cazzo…- si lasciò sfuggire Sonny, la voce esasperata.
Ci poteva scommettere, anche Mead avrebbe detto la sua, soprattutto dopo
che lo stomaco di quello sbirro aveva incontrato le nocche di Sonny.
L'altro rimase in silenzio. Una statua di sbirro accanto al letto del
ragazzo.
-Almeno fuma? Così dopo essere stato angariato avrò la mia dose di
nicotina…-
-In ospedale non si può fumare.-
-Nella concezione di uno sbirro ci sono anche cose che si possono fare o
solo divieti, eh?- provocò Sonny, gli occhi sempre più rossi e assonnati.
Reynolds lo fissò attento, come al solito valutando accuratamente le sue
condizioni. Il ragazzo stava per crollare, continuava a parlare sostenuto
unicamente dalla tensione nervosa. Valutò l'ipotesi di intervenire
nuovamente sulla pompa di morfina, ma decise di lasciare il compito al
soccorrevole angelo delle corsie.
-Dormi, dai. Non c'è bisogno che mi rompi le palle finché non finisce il
mio turno.-
-Ah no? Cazzo, pensavo che altrimenti ti annoiassi -
Detto questo, il ragazzo si puntellò sui gomiti.
Aveva la strana sensazione che se si fosse addormentato, al risveglio non
avrebbe avuto mobilità nelle gambe.
Era una cazzata, ma doveva constatare subito che fosse tutto ok, ogni
singolo maledetto muscolo compresi quelli che stava scoprendo avere solo
ora per le fitte sordide che il cervello gli rimandava.
Fece scivolare rigidamente la gamba sinistra verso il bordo del letto,
dalla parte opposta rispetto allo sbirro.
Reynolds intervenne immediatamente. Lo afferrò per una spalla e lo
rovesciò di nuovo all’indietro. -Ma che cazzo credi di fare?- ringhiò.
-Sta fermo e non rompere!-
Non sarebbe stata neppure competenza sua, in realtà. Avrebbe dovuto
chiamare il personale e basta. Ma sapeva bene come i delinquenti
cercassero sempre di approfittarsi di chi ancora non li conosceva.
Un'infermierina idiota ci sarebbe cascata come un pollo.
Non che Sonny avesse la possibilità di ottenere chissà che, ma non gli
piaceva l'idea di lasciarlo libero di agire in quel modo
Sonny strizzò gli occhi, quando la contrazione della schiena gli fece
riassaporare la deliziosasensazione
di avere l'intestino annodato su sé stesso e trafitto da uno spiedo.
-Voglio solo alzarmi in piedi, niente di più, niente di meno.- ribatté,
risollevando il busto. -Non rompo i coglioni a te, puoi anche startene lì
a controllare che il bravo negretto non scappi.-
-Sta fermo, cazzo!- La mano di Reynolds non gli abbandonava la spalla,
solida come una morsa. -Tu stai fermo come ti hanno ordinato.-
-Nessuna fottuta persona mi ha detto che devo starmene fermo!- urlò
l'altro, tendendo la spalla. -E toglimi le tue cazzo di mani di dosso!-
Reynolds si alzò in piedi, lo afferrò con entrambe le mani per le spalle,
lo sbatté contro il materasso. Fissandolo diritto negli occhi, lentamente
disse: -Calma, bello. Il fatto che ti abbia portato qui non significa che
ti lasci fare quello che ti pare. Ora te ne stai buono, abbassi la voce e
se ti va tanto di alzarti chiedi alla dottoressa se puoi farlo. Fine della
trasmissione.-
Rimase fermo su di lui, senza lasciargli le spalle
-Non vedo nessuna dottoressa a cui chiederlo, solo la faccia di un bianco
scassacoglioni.-
-Suona quel campanello del cazzo, negro. La dottoressa non è qui al tuo
cospetto ventiquattro ore, non è come noi sbirri.-
Già, la dottoressa sta dove le pare, non è costretta a passare la giornata
e la notte a contemplare un detenuto negro come i re magi nei quadri di
natività.
Lo Stato mi paga per stare a contemplare
un negro pestato, pensò Reynolds con una sorta di brivido.
-Adesso puoi anche mollarmi, stronzo.- rispose Sonny digrignano i denti,
gli occhi secchi ormai chiusi a due fessure.
A denti stretti, Reynolds allentò lentamente la presa e tornò a sedersi.
Sonny si voltò verso la parete, goffamente, e premette il dito medio sul
campanello.
Lo lasciò lì, diversi secondi, mentre si riaccomodava sul cuscino.
Un lungo respiro, bloccato sul finire.
Non poteva rilassarsi e rischiare di addormentarsi.
La porta si aprì pochi attimi dopo, la dottoressa entrò a passi rapidi.
Degnò il poliziotto di un rapido sguardo carico di riprovazione e si chinò
tutta uggiolante sul ragazzo.
-Che cosa c'è, Sonny?- si informò, materna e sollecita.
Il ragazzo sorrise soddisfatto, dandosi qualche secondo di compiacimento
per le attenzioni della donna. Se non ci fosse stato bisogno di finire
nelle mani di quattro stronzi poliziotti, avrebbe riconsiderato la
permanenza in ospedale.
-Voglio muovermi.- disse, e indicò con lo sguardo Reynolds. -Ma a quanto
pare devo avere l'ok sia da mamma che da papà.-
-E' ancora troppo presto, Sonny.- cinguettò la donna carezzandogli la
fronte. -Domattina verrò personalmente per farti alzare.-
Sonny tese le labbra in un sorriso largo.
Andasse a farsi fottere la ferita che tirava la pelle ai lati della bocca.
E anche tutte le altre.
-Allora non mi alzerò finché non torni tu…- rispose, riappoggiando la
testa sul cuscino.
Decise di aver compreso come fosse una brava dottoressa.
Tranquillizzante, e con una sana voglia di sesso.
La dottoressa sorrise compiaciuta nel sentirsi dare del tu. Ritenne di
essere riuscita ad instaurare un contatto umano con poche gentili parole
laddove i poliziotti non erano riusciti ad ottenere nulla coi loro modi
bruschi. Si sentì estremamente psicologa.
Il piccolo fraintendimento riguardo alle intenzioni del ragazzo non passò
neanche per la sua mente.
Né per quella di Sonny che la bruna potesse essere semplicemente gentile e
dedita al lavoro.
Lei rialzò lo sguardo fissando Reynolds con l'ormai consueta riprovazione.
-Domattina ti alzerai, Sonny.- disse, ma lo sguardo non abbandonava
l'agente. -Ci saranno ancora questi... signori, domattina?-
-Rispondo io se permette, signora.-
ribatté Reynolds con un sorrisetto sardonico sulle labbra sottili. -Questi
signori ci saranno per tutta la
durata della permanenza di Sonny
in ospedale.-
-E' la procedura.- concluse.
Sonny fece spallucce.
-E se la vostra presenza mi facesse aggravare? E' una fottuta violenza
psicologica.-
Reynolds non si diede neppure la pena di rispondere. Distolse lo sguardo
dalla dottoressa e si sedette ancora una volta.
-Non voglio questi stronzi qui quando dormo. Come cazzo faccio a dormire
con di fianco uno della stessa razza di quegli stronzi?-
Guardò la dottoressa, serio.
Il ragionamento filava, nella sua testa.
E se fosse stato un senzapalle veramente non sarebbe riuscito a dormire
con un agente di fianco al letto.
-Ferma tutto, bello,- intervenne bruscamente Reynolds. -la dottoressa,
qui, potrà anche essere un asso a farti punture e carezzine, ma sul
piantonamento non decide un cazzo. E' una procedura di polizia su cui non
ha alcuna autorità.-
Calcò l'ultima frase guardando negli occhi la donna. -Quindi, questo
significa che ti rassegni a dormire con uno
stronzo accanto al letto. Fine
della trasmissione.-
Sonny portò gli occhi al cielo, stringendo le braccia sul petto.
Un fottuto agente che non conoscesse la procedura? Dove cazzo era finita
quella mandria di deficienti che non sanno neanche enumerare le capitali
degli Stati Uniti?
Si rispose da solo contraendo i lombi, e voltò il viso verso la finestra.
La serata trascorse lenta.
La dottoressa se n'era andata, tanto per cambiare, sdegnata dalla
brutalità della polizia, Norton aveva continuato a ciarlare vanamente
tentando di attirare l’attenzione di Reynolds e tutto era rimasto come
prima. Il poliziotto aveva solo una gran voglia di andarsene a casa.
Scrutò l'orologio alla parete: 20.00. Fine del turno.
Pochi secondi dopo si udì bussare alla porta. Comparve un altro agente, un
po' più basso di lui; magro, capelli scuri.
-Ah, Mead,- lo salutò Reynolds. -Cristo, sono contento di vederti.-
Sonny si voltò di scatto, riconoscendo l'agente, e cercando nel suo
sguardo quanto rancore avrebbe dovuto subire in pagamento.
Chissà per quanto gli aveva fatto male lo stomaco.
-Io un po' meno.- grugnì l'altro. -Immagina che voglia posso avere di fare
da baby sitter a questo stronzo.-
Tanto, a quanto pareva.
-Non è colpa mia se vi mettete in mezzo al momento sbagliato…- disse a
voce alta Sonny, sorridendo sarcasticamente.
Altro che sorridere, si sentiva come se fosse sveglio da tre giorni.
-Vaffanculo, negro.- ribatté Mead con un ringhio rabbioso.
-Ma prendono solo poliziotti daltonici? Sono mulatto, stronzo.-
Reynolds attirò l'attenzione di Mead prima che lo scambio di battute
degenerasse in un battibecco da lavandaie. Erano agenti di polizia, cazzo,
non comari al mercato.
Gli passò le consegne, gli spiegò della dottoressina trepidante e gli
raccomandò di non abbandonare mai il detenuto, ma di non dargli corda
quando cercava di provocare.
-Ah, finalmente posso dormire tranquillo… Con questo non devo aver paura
di prenderle.-
Sonny si distese comodamente tra le lenzuola.
Avrebbe voluto farlo da che si era svegliato, ma c'era qualcosa nella sua
gola che non voleva saperne di andarsene.
Come avere un ragno accucciato sulle tue tonsille.
Aveva sperato che sputando un po' di merda su Reynolds il fottuto
animaletto si sarebbe staccato, ma invece era sempre lì, tenace, assieme a
un paio di consapevolezze di troppo.
Finire in gabbio, veramente.
Non era uno scherzo, gli sbirri non bluffano così a lungo.
A quale fottuto agente era saltato in testa di cominciare a processare
veramente le persone? Non era gente come Sonny il vero problema di
Huntsville, non era mettendo lui a marcire che le cose si sarebbero
risolte. Né dal punto di vista del governo, né dal punto di vista dei
cittadini.
Finire in gabbio dopo essere diventato l'ennesima X tra i
delinquentelli passati sotto la
giurisdizione privata di un paio
di sbirri frustrati, ed accrescere la triste fama sulla cruenta sbirraglia
dell'Alabama.
Maiali da sgozzare.
Figli di troia da rivoltare come guanti e imbastire di sterco.
Si addormentò con il cervello in routine su tutte le bestemmie che avrebbe
potuto dire a riguardo…
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