Disclaimers: il titolo viene dal titolo
di un libro di Edward Bunker, per
l’appunto Dog Eat Dog (in
Italia: Cane Mangia Cane).
Nato nel 1933 a Hollywood, fin da ragazzino conosce il disagio sociale e
le difficoltà di inserimento nella società: dopo ripetute fughe, in
seguito al divorzio dei genitori, viene affidato al servizio sociale. Poco
dopo entra in ospedale psichiatrico e poi in riformatorio. In carcere
inizia a scrivere racconti e romanzi.
“Ho trascorso metà della mia vita a
raccogliere materiale e l’altra metà a descriverlo, a parlare di
esperienze che molti scrittori non sarebbero mai stati in grado di provare
in prima persona. Ho parlato con i condannati nel Braccio della Morte
prima dell’ esecuzione, ho partecipato a rapine e sparatorie con la
polizia. So esattamente cosa pensa una persona coinvolta in quel genere di
cose, e come ci si comporta in quel genere di situazioni. Si fa qualsiasi
cosa pur di non tornare dentro.”
Successivamente, decretato il successo, collabora con grandi nomi del
cinema, sia per la trasposizione cinematografica di alcuni suoi libri, sia
come collaboratore e attore in altre pellicole (storica la collaborazione
con Tarantino in Le Iene,
in cui appare nei panni di Mr Blue).
(Per chi vuole approfondire:
Bunker by Wikipedia,
Intervista a Bunker)
Morto quest’estate, il 19 luglio, a Los Angeles.
Questa fic è dedicata a lui.
Respect, Eddie!
Ringraziamenti.
Snatch: Si può ringraziare il
co-autore?
Grazie, Hyo. Dall’inizio alla fine di questa fic, e oltre.
E Grazie Snatch, davvero.
Dog Eat Dog
parte I
di Hyoga & Snatch
-Cazzo, sbirro! Almeno le sigarette
me le puoi lasciare.-
-Qui non si fuma.-
Sonny, aggrappato alle sbarre della minuscola cella (la chiamavano cella,
due metri per due e neanche un materasso), sbatté il piede a terra. Quello
sbirro aveva tanta voglia di farsi odiare. -Ci lasciano sempre le
sigarette, e noi in cambio non rompiamo i coglioni.-
Il poliziotto lo squadrò in silenzio per alcuni secondi. Aveva l'aria a
metà tra lo stupore e la curiosità, come se l'altro avesse parlato in una
lingua sconosciuta.
-E' contro il regolamento.- rispose. Poi tornò a dedicarsi alla
compilazione del rapporto.
-Il regolamento non è la Bibbia.- ribatté Sonny secco, serrando i denti.
Tirò un altro calcio alle sbarre e andò a sedersi sul metallo freddo e
patinato che avrebbe dovuto essere il suo letto per la nottata.
-Reynolds, eh? Ecco perché ne dicono tante su di te… Vuoi vendicarti per
il servizio che ho fatto al tuo collega?-
Reynolds serrò le labbra soffocando l'impulso di prendere quello
stronzetto per il bavero e fargli sputare tutti i denti. Sonny Norton, un
eroe, tra i negri del suo quartiere, da quando aveva evirato un collega
con un coccio di bottiglia.
Motivo in più per rispettare alla lettera il regolamento.
Il ragazzo lo squadrò, le iridi nocciola fisse sul suo secondino.
Lex Reynolds.
Tre parole: sbirro, bianco e nazi.
Detto tutto.
Che uno fosse negro o un meticcio, come Sonny era con la sua pelle color
caramello, i tratti una equa mescolanza con l’etnia caucasica, per sbirri
come Reynolds l'affare non cambiava.
Ottusi come un accendino scarico.
-E' solo una cazzo di sigaretta, e io me ne sto buono.-
-E' solo un cazzo di regolamento.-
Il poliziotto lo squadrò con occhi gelidi. Non aveva nessun motivo per
essere gentile con quel ragazzo. Non era una fottuta assistente sociale e
quando l'aveva arrestato per spaccio di stupefacenti lo stronzo aveva
steso Mead con un cazzotto alla bocca dello stomaco.
E avrebbe steso anche lui se avesse potuto.
-E' solo un cazzo di regolamento. E te ne stai buono anche senza la tua
sigaretta, te lo garantisco.-
-Figlio di troia…- sibilò Sonny, e con uno scatto voltò la testa
dall'altra parte.
Lo sbirro era stato ferito nel sacro onore di vedere un proprio collega
andare giù come un sacco vuoto.
Sonny avrebbe dovuto stendere anche lui.
-Ti piace stare dall'altra parte del gabbio, vero? Quanti anni di nonnismo
hai subito per prenderti questa soddisfazione?-
Il poliziotto - un biondo algido dai lineamenti squadrati, trent’anni
giovani sul viso - continuò a compilare il suo rapporto come se gli
insulti di Sonny fossero un banale rumore di fondo. Non reagire alle
provocazioni dei detenuti, regola numero uno. Forse non proprio la numero
uno, ma una delle prime che si imparavano.
Bevve un sorso di caffè da una tazza con lo stemma della polizia.
-E il caffè me lo offri, eh?- riprese Sonny, ancora troppo carico di
energie per desistere.
La colluttazione fuori dal locale lo aveva spompato, ma l'adrenalina gli
faceva ancora formicolare le dita.
-Il caffè è gratis ovunque, quello almeno me lo puoi passare…-
Reynolds si voltò lentamente verso di lui, con un sospiro infastidito. -Ti
pare che io sia la cameriera di un McDonald's?-
Poi riprese a scrivere.
-No, lì il personale lo scelgono meglio.-
Sonny cominciò a frugare sotto la branda.
A volte qualche santo dimenticava lì le sigarette, e le celle venivano
pulite, se andava bene, una volta al mese.
Difatti, vi trovò tanti pacchetti, vuoti. Tutti inesorabilmente vuoti.
Vaffanculo…
-Su, poliziotto, allungo la manina fuori dalle sbarre per non farti
faticare…-
-Figliolo, non rompere i coglioni. E' tardi e non ho nessuna voglia di
passare il turno a discutere con te. Scordati le sigarette, scordati il
caffè. Per tua sfortuna sono uno che rispetta il regolamento.-
Reynolds si era accorto delle manovre del ragazzo, alla ricerca delle
sigarette sotto la branda. Sarebbe stato facile passargli da fumare,
alcuni colleghi lo facevano. Ma il suo parere era che i delinquenti non
meritassero nessuno sconto.
Seguire il regolamento.
Il massimo della correttezza, sempre.
Sonny con uno scatto irato scagliò il cumulo di pacchetti nella cella, una
bestemmia stretta tra le labbra.
-Come ci sei finito qui? Intendo…- cominciò, seduto a braccia conserte.
Una qualche soddisfazione doveva pur prendersela. -Che cazzo ti hanno
fatto da piccolo? Paparino beveva troppo?-
Lex Reynolds si voltò di nuovo verso di lui con un sospiro infastidito.
Decisamente, quel ragazzo aveva voglia di fargliela pagare per averlo
arrestato. Se non gli piaceva stare in cella, forse avrebbe dovuto
pensarci prima di violare la legge.
-Dì quello che vuoi, tanto di lì non esci.- gli rispose con un sorrisetto.
Riordinò le tre copie del rapporto e radunò tutto ciò che era uscito dalle
tasche del ragazzo per l'inventario.
-Oh si che esco… Non avete abbastanza spazio per un delinquentello come
me. Avrei dovuto almeno spaccare la faccia al tuo collega. Che dici, la
prossima volta lo faccio?-
-Delinquentello? Figlio di puttana bastardo, vorrai dire. Tu che protesti
tanto per il mio regolamento, dovresti ringraziarlo invece, perché è la
sola cosa che mi impedisce di entrare lì dentro e spaccarti la faccia come
meriteresti.-
L’espressione dello sbirro, la voce gelida mentre pronunciava quelle
parole, era rimasta impassibile.
Continuò a dedicarsi alle sue occupazioni. Come se avesse parlato
semplicemente del tempo, riprese da dove aveva interrotto.
-Ehy, siamo arrivati ai complimenti!- esclamò Sonny con un sorriso largo,
e scalciò verso un angolo uno dei pacchetti disseminati sul pavimento. -Dì
la verità, sbirro. In queste celle non ci entrate perché fate il turno
sempre da soli, e da soli non potete ammanettarci.-
-Per ammanettare te non ci vuole certo un plotone di marines. Sei il tipo
che fa un sacco di chiacchiere ma al momento buono se la fa addosso.-
Si alzò in piedi, raccolse gli effetti personali di Sonny ed il relativo
inventario in una scatola di cartone, la chiuse e vi attaccò l'apposita
etichetta.
-Perché non vieni qui a provare?!- urlò il ragazzo aggrappandosi alle
sbarre.
Lex uscì con la scatola sotto il braccio. Alto, spalle larghe, uniforme
impeccabile. Si diresse a passi misurati verso il deposito.
-Almeno mi lasci il tabacco…!- sibilò Sonny ormai rimasto solo, e appoggiò
la fronte sul freddo metallo.
Poliziotto rottinculo.
La stanza sulla quale si affacciavano le celle rimase vuota.
Passò qualche minuto, poi Sonny cominciò a sentire dei passi nel
corridoio. Più persone. La porta si aprì ed entrarono quattro agenti.
Meyers, Pickett, van Kempen e Lewinsky. I quattro dell’Ave Maria della
provocazione al sospettato.
Con ovvio consequenziale pestaggio.
-Ma cos'abbiamo qui?- disse il più vecchio, Meyers, guardandolo.
-Un fottuto negretto spacciatore.- rispose un altro, una specie di mastino
da guardia in dimensioni umane, Lewinsky.
Bramosi come lupi affamati attorno ad un agnello.
Sonny, le dita ancora strette alle sbarre, aggrottò le sopracciglia.
Ok, doveva starci attento.
La parola sbagliata e gli sbirri l'avrebbero usata come scusante. Non si
va in quattro in una cella, neanche per un pluriomicida.
-Perché non ve ne tornate a casa? So cavarmela benissimo da solo, non
preoccupatevi.- pronunciò con una stonata ironia.
Sangue freddo, questi qua non aspettano
altro che sentire un accenno di paura.
-Te la sai cavare da solo, negro figlio di puttana? Come hai fatto con
Mead? Sei bravo a stendere la gente a tradimento, eh?- disse il terzo, van
Kempen, uno smilzo alto dai tratti fini e allungati, profonde rughe
attorno alla bocca.
-Gliela faremo pagare.- soggiunse il vecchio, mentre dietro di lui il
quarto, Pickett, il più mingherlino (palesemente lo sbirro che si trova
sempre nella situazione sbagliata al momento sbagliato), faceva saettare
lo sguardo sui compagni, come memorizzando le loro battute.
Il mastino lo scrutò attentamente, poi disse, rivelatore: -Ehi, ma io ti
conosco, bastardo. Tu sei quello che ha fatto il servizio a Dobson!- Poi,
rivolto agli altri: -Ragazzi, è quel figlio di una troia che ha castrato
Dobson!-
Lo fissò con un sorrisetto compiaciuto e a bassa voce soggiunse: -Sei in
un mare di merda, negro...-
Sonny arretrò di due passi, prima che il suo cervello potesse ricordargli
che non doveva mostrare debolezza.
Cazzo…
Rispose con un sorriso. Che servisse a convincerli a lasciarlo in pace (ma
ci contava poco, conosceva quella razza) o meno, non avrebbe dato la
soddisfazione di mostrare il benché minimo timore. Poco importava che
sentisse già il sudore freddo appiccicargli la maglietta alla schiena. E
che quattro sbirri mai, veramente mai, se li era trovati davanti
contemporaneamente.
Il vecchio, Meyers, staccò dal muro le chiavi della cella. Era un uomo
alto e corpulento, la camicia si tendeva sul suo torace massiccio. Strinse
il pugno e le giunture crocchiarono minacciosamente. -Ho proprio voglia di
spaccare la faccia a questo figlio di puttana.- sogghignò.
Gli altri gli si sistemarono alle spalle, compatti. Era gente vecchia del
mestiere, non sarebbe stato possibile coglierli alla sprovvista con
qualche azione improvvisata.
Sonny arretrò fino alla parete opposta.
Oggetti contundenti, tutti in mano agli sbirri.
Protezioni, nessuna.
Possibilità di fuga, men che meno.
Doveva solo stringere i denti, e lo fece, e imporsi di non dare a vedere
nulla.
Né le ipotesi che pian piano si stavano arrampicando sulla sua testa, e ce
n'erano troppe, e troppe che non voleva considerare, né i colpi che
avrebbe ricevuto, sperando che i poliziotti si stancassero in fretta.
Né, soprattutto, l'adrenalina che gli stava risalendo per il collo, dritta
al cervello.
Successe tutto molto in fretta. Con la disarmante e rigorosa semplicità
delle cose fatte centinaia di volte.
Entrarono, in due lo afferrarono per le braccia, uno gli passò dietro e
gli mise un braccio intorno al collo. L'altro prese a picchiarlo. Era
Meyers, le cui mani erano come badili, alto una spanna più di lui. Colpi
come calci di mulo, preciso come un metronomo.
Si incitarono a vicenda, alternandosi, la frenesia rimbalzante dall’uno
all’altro come una palla da ping pong.
O un flipper.
Duri colpi rabbiosi alla macchina per farle emettere il suono giusto.
Fu van Kempen che propose, una vena gonfia sulla mano nodosa per un colpo
tirato malamente: -Ragazzi, e se gli facessimo anche noi un bel servizio?-
Gli altri si bloccarono un attimo, rinsaldando la presa sul ragazzo.
Van Kempen estrasse lentamente lo sfollagente nero, lo soppesò sulla mano.
-Io dico che se glielo ficchiamo su si eccita...-
Sonny sollevò il viso, fitte dal collo contratto percosso fino a poco
prima dagli spasmi delle botte.
E sbarrò gli occhi.
-Voi siete…- pronunciò, biascicò, la bocca metallica del sangue che usciva
dalla ferita alla guancia. -Siete dei pervertiti!-
Doveva essere un'offesa, ma ne uscì solo stupore.
Cercò di strattonare, inutilmente, per liberarsi dalla presa, e il
sentirsi impotente contro quella stretta provocò il panico.
Continuò a strattonare, furiosamente, i muscoli della schiena ormai
brucianti.
-Che state facendo?-
Una voce fredda si udì di colpo fuori dalla cella. Tutti si girarono. Era
Lex Reynolds, impossibile non riconoscere quel tono.
Dritto, impeccabile, severo; un contrasto stridente coi quattro cinghiali
sudati che stavano ammazzando di botte il ragazzo.
-Cazzo, Reynolds, non rompere!- grugnì uno dei quattro.
-Sempre a rompere i coglioni, Reynolds, che palle! Ma perché non ti cerchi
una puttana, così ti rilassi un po'?-
L'altro li fissò impassibile, facendo un passo verso di loro. -Quello che
state facendo è proibito dal regolamento.- disse con voce tranquilla. Il
suo sguardo non abbandonava la scena, percorrendola come uno scanner.
Ci fu un attimo di silenzio plumbeo, poi uno dei quattro ringhiò: -E se
noi non ce ne volessimo andare, Lex?-
Sonny, che finalmente riuscì a spostare gli occhi dallo sfollagente,
guardò Reynolds in cagnesco.
No, non sarebbe passato per la sorellina di turno che aspetta di essere
salvata.
Raccolse il sangue che gli riempiva la bocca e, anziché ingoiarlo, lo
sputò in direzione del braccio di Van Kempen.
Centro!
-Allora vuoi crepare, figlio di puttana!- gridò il poliziotto
allentandogli nel contempo un potente manrovescio.
Anche gli altri ripresero a picchiarlo, dimenticandosi per un attimo di
Reynolds.
Questi strinse i denti contrariato. Ora sarebbe stato
molto più arduo distogliere i suoi
colleghi dal pestaggio.
Li osservò un attimo accanirsi a calci sul ragazzo riverso al suolo.
-Fermi!- ordinò con voce severa, le braccia sempre tese lungo i fianchi.
Il comando risultò talmente carico di autorità da farli esitare per un
attimo.
-Meyers, richiama i ragazzi.- aggiunse poi, quando ebbe l’attenzione del
vecchio.
-E se io non li volessi richiamare?- ribatté lentamente l'altro, ansimando
leggermente. -Che mi fai, eh, rottinculo maniaco del regolamento?-
Sonny, ormai retto soltanto dalle braccia dei due uomini, cercò per
l'ennesima volta di alzare il viso, ma un colpo, un avvertimento, lo
schiantò di nuovo verso il basso.
Utile, Reynolds.
Ma gli sbirri in branco perdono ogni facoltà di pensare.
Forse non avrebbe dovuto dar loro una possibilità di continuare, si disse,
ma ormai era fatta, anche se non aveva neanche la forza di piegare i
muscoli del viso per sorridere a sé stesso.
-Fuori tutti quanti,- ordinò Reynolds. -non voglio ripeterlo.-
Poi, rivolto a Meyers: -Tu sai che ho i mezzi per farti obbedire. E che
non ho paura di usarli.-
Dopo un'esitazione, i quattro lasciarono andare il loro fardello ed
uscirono sibilando imprecazioni all'indirizzo del collega.
Sonny, disteso a terra, un lato del volto contro il pavimento ruvido,
respirava affannosamente.
Con o senza adrenalina, gli ci sarebbe voluto un bel po' per riprendere
forze.
Evitò di chiedersi, per una volta, se ne era valsa la pena…
La porta della cella si aprì di nuovo. Reynolds si avvicinò a lui, si
chinò.
A distanza di sicurezza, non era un idiota, ma stava controllando le sue
condizioni.
-… Puoi…- biascicò Sonny, da terra, ma un violento conato di vomito lo
interruppe a metà.
Quanto sangue puoi deglutire prima di
vomitare?
La mano di Reynolds lo rivoltò sulla schiena, gli toccò il viso. Non era
delicata né gentile, ma non era neppure violenta. -Come ti senti, Norton?-
chiese, atono.
Il ragazzo rise, facendo tremare le labbra.
Era un gorgoglio alla gola, che lo fece tossire.
-… Stato meglio.- concluse tirando le labbra, e scoprendo che il labbro
inferiore doleva bruciante.
Sarebbe stato molto meglio, dopo,
appena lo sbirro gli avesse dato il tempo di riprendersi.
Reynolds si rialzò in piedi; aveva già valutato i danni del ragazzo,
escludendo lesioni di eccessiva gravità, e quindi decise di tornare alle
sue occupazioni. Era corretto con i delinquenti, ma non aveva nessuna
intenzione di essere tenero con
loro. Non meritavano niente. E anche la sua correttezza era solo dedizione
al regolamento, non certo afflato da crocerossina frustrata.
Pian piano, man mano che il respiro si faceva meno affannato, Sonny si
sollevò dal pavimento.
Non aveva fretta, aveva tutta la notte, ma rimanere faccia a terra non era
il massimo delle sue aspettative. Meglio farsi un altro po' di male e
mettersi sul giaciglio.
Quando fu seduto, la testa appoggiata al muro, le gambe ancora
anestetizzate dai colpi, chiuse gli occhi.
-Per quel che vale… Grazie.- disse, e una fitta gli prese la testa.
Ringraziare uno sbirro fa dannatamente male.
-Dovere. Sei un delinquente bastardo, ma erano in quattro contro te solo.
Non era giusto.-
Lo fissò ancora una volta come per valutare i suoi danni, poi gli chiese:
-Vuoi dell'acqua?-
-Cazzo, allora non sei del tutto ingenuo… Sai che
dopo viene sete…-
Sonny sorrise, benché il dolore stesse arrivando.
Come una sbronza, cominci a percepire tutto quel che dovrai pagare. Ma non
aveva mai ammontato così tanti debiti da far scontare al suo corpo.
-Si, un po' di acqua non sarebbe per niente male…-
Reynolds uscì un attimo, rientrò con una bottiglia di plastica, gliela
porse.
Sonny annuì, concentrando le forze per prenderla senza tremare, e bevve,
il mento tremante.
Deglutì a forza, la gola secca.
-Credo proprio dovrai buttarla…- ironizzò guardando la plastica arrossata
di sangue.
-Non intendevo metterci i fiori, sta tranquillo.- gli rispose il
poliziotto, poi si sedette nuovamente alla scrivania.
Sonny si tolse la camicia madida, su cui piccole chiazze di intonaco
caduto si erano incollate.
Avrebbe voluto pulirsi, dio sapeva quanto avrebbe voluto pulirsi di quel
sudiciume e del panico che gli aveva stretto le membra qualche minuto
prima.
-Raccontami un po' quali mezzi hai per far cagare sotto quattro sbirri
grufolanti.-
-Non sono cose che ti riguardano. Sono procedure interne di polizia.-
Reynolds tirò fuori dal cassetto un libro e si dispose a leggerlo:
la manutenzione delle armi a canna lunga.
-Ehy sbirro, così mi togli il gioco.- replicò Sonny continuando a
sorridere, le fossette ai lati della bocca ormai scolpite. Un buon modo
per sentirsi a posto è mostrarsi a posto. -Non sono capace di starmene
zitto e buono.-
-Vedi di dormire, ne hai bisogno.- rispose calmo l’altro, poi si immerse
nella lettura
“Ma si, questa gliela devo.”, si disse il ragazzo, e stese la testa
sull'alluminio.
Se la fortuna l'avesse aiutato, sarebbe crollato prima che il dolore
cominciasse a farsi sentire.
-Buona lettura, sbirro.- lo congedò, e chiuse gli occhi ancora caldi e
arrossati.
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