Due poliziotti... modello!

di Kieran

Capitolo 4

L’elegante orologio a pendolo, posto all’entrata del ristorante, indicava che mancavano pochi minuti all’una; Mark entrò quasi correndo, affannato e spettinato, e si fermò di fronte ad una cameriera graziosa, che lo guardava con un sorriso chiaramente divertito.
- Posso aiutarla? – gli chiese con intonazione gentile ed il poliziotto annuì, cercando di riprendere fiato.
- Sì… c’è una prenotazione a nome McCaine.
- Oh, sì, la sua ospite è già arrivata, mi segua. – disse la ragazza, entrando nella sala da pranzo; Mark la seguì, cercando di darsi un contegno, riavviandosi i capelli che vedeva scompigliati nei riflessi sui mobili lucidi. Si era alzato dal letto meno di un’ora prima, non aveva ovviamente fatto colazione, stava morendo di fame e la sua mente era un turbine incontrollato di pensieri che avevano un solo nome: Flaney. Fortunatamente era arrivato puntuale all’appuntamento con Karen! Maledisse il suo collega, che era sparito nel nulla e non si era preoccupato di svegliarlo, maledisse se stesso per essersi dimenticato di puntare la sveglia… poi maledisse nuovamente Bryan che, con quell’ultima frase pronunciata, gli aveva impedito di prendere sonno per buona parte della notte! Non gli aveva mai detto di essere etero… era vero! Aveva cercato di ricordare le parole che si erano scambiati ed effettivamente non ricordava che il suo partner avesse mai accennato ai suoi orientamenti sessuali: lui da solo si era fatto l’idea che non fosse gay, ma chiunque l’avrebbe fatto, visto il modo in cui parlava! La cameriera si fermò all’improvviso e lui per poco non le finì addosso; vide immediatamente il tavolo al quale era seduta Karen, ma la ragazza al suo fianco gli parlò con voce gentile ed un po’ meno formale.
- Se vuole posso avvisare la sua ospite che è arrivato, mentre si sistema…
Ancora con il fiatone, Mark la guardò per un attimo, prima di abbozzare un sorriso.
- Sono conciato così male?
Lei gli rivolse un sorriso altrettanto divertito.
- Se si accomodasse starebbe meglio!
Mark annuì e la ringraziò, poi si diresse alla toilette seguendo le indicazioni della cameriera; entrò e si fermò di fronte allo specchio, cercando inutilmente di riordinarsi i capelli che sembravano aver vita propria. Imprecò sottovoce, mentre cercava almeno di aggiustarsi la cravatta ed infilarsi bene la camicia nei pantaloni, ma in quel momento una voce alle sue spalle lo fece sussultare.
- Non si fanno aspettare le donne, McCaine! – esclamò un ragazzo uscendo da uno dei bagni; il moro si voltò con uno scatto, sgranando gli occhi.
- Flaney?! Cosa ci fai qui?
- Copro le spalle al mio collega, no? – ridacchiò il biondo, andando a lavarsi le mani; come il partner, anche lui indossava un completo elegante, necessario per entrare in quel ristorante di lusso. L’unica differenza era che il suo era completamente nero, camicia compresa, e la cravatta era bianca, mentre quello di Mark era grigio.
- Dove diavolo eri, stamattina?! – sbottò allora il moro e l’altro lo guardò attraverso lo specchio.
- Ho fatto qualche indagine, ho seguito Karen… Cos’hai fatto ai capelli?
- Non cambiare discorso! Perché non mi hai svegliato?
Bryan gli rivolse un sorriso senza rispondere, poi si raddrizzò e lo fronteggiò allungando le mani bagnate verso di lui; Mark indietreggiò di un passo, temendo un qualche attacco dell’altro.
- Che fai?
- Stai fermo, ti aggiusto i capelli… non devi presentarti ad una donna come se fossi appena uscito dalla lavatrice.
Infilò le dita fra le ciocche seriche, lisciandole con attenzione, un’espressione deliziosamente concentrata sul suo bel viso; Mark trattenne il respiro per un attimo, poi parlò senza quasi accorgersene.
- Cosa volevi dire, ieri sera?
- Mm? – domandò l’altro spostando gli occhi nei suoi e, avendo ormai parlato, Mark continuò.
- Quell’ultima frase… che significava?
- Beh… mi pareva chiara, no? – chiese invece di rispondere, sghignazzando, ed il moro scosse il capo.
- Per niente!
- Stai fermo, altrimenti faccio un macello! – borbottò Bryan bagnandosi ancora le mani e prendendosi nuovamente cura dei suoi capelli; Mark sospirò, accalorandosi.
- Allora, vuoi rispondere? Cosa significa: “Non ho mai detto di essere etero”?
Bryan inarcò un sopracciglio, l’espressione sempre più divertita.
- Cosa c’è che non capisci della frase?
- Flaney! – esplose l’altro, esasperato, ed il biondo lo guardò, lasciando le dita fra i suoi capelli umidi.
- Ho compreso di essere gay quando sono stato con una ragazza, all’età di quattordici anni.
Mark sgranò gli occhi.
- E… perché diavolo mi prendevi in giro?
- Beh, se non ci sfottiamo fra di noi… - mormorò il biondo di rimando. Rimasero a guardarsi con i corpi vicinissimi, gli occhi incatenati e Mark cercò di capire qualcosa di quell’assurda situazione, giungendo alla conclusione che Bryan si stava prendendo gioco di lui per l’ennesima volta! Gli stava mentendo! Non voleva neppure prendere in considerazione l’idea che si era dato tanta pena per quell’imbecille di un collega, che si comportava come un etero, lo faceva soffrire perché non aveva speranza… e poi se ne usciva candidamente sostenendo d’essere gay!
- Stai dicendo un mucchio di stronzate! – sibilò muovendo un passo indietro ed il biondo inarcò un sopracciglio, sorpreso ma non risentito.
- Non mi credi?
- Per niente!
Bryan socchiuse gli occhi, poi si mosse con uno scatto: gli afferrò il viso con entrambe le mani ed appoggiò con forza le labbra sulle sue; Mark sentì il respiro morirgli nel petto, mentre sgranava tanto gli occhi da rischiare di farli schizzare dalle orbite. Si aggrappò alle braccia dell’altro, senza però riuscire ad allontanarlo: il contatto con le sue labbra era troppo soffocante, troppo intossicante, per potersene sottrarre. Sentì la sua lingua percorrere le proprie labbra, premere per avere l’accesso alla sua bocca, ma una parte della sua mente gli diceva di non permetterglielo, di ricordarsi che Flaney era un tipo cui piaceva un po’ troppo giocare con gli altri. Visto che Mark non cedeva, Bryan si ritrasse e lo guardò duramente negli occhi, come qualcuno che è stato respinto senza motivo; il moro lo fissò senza dire nulla, cercando ancora di mettere ordine nella propria mente, ma il partner approfittò di quel momento di distrazione per spingerlo con violenza contro il muro del bagno. I polmoni di Mark si svuotarono in un colpo solo ed il ragazzo cominciò a boccheggiare per riappropriarsi dell’aria che gli era stata sottratta bruscamente; Bryan lasciò che traesse un paio di respiri, poi si schiacciò contro il suo corpo infilandogli direttamente la lingua in bocca. Mark si ritrovò coinvolto, senza neppure rendersene conto, in un bacio infuocato, in uno sfiorarsi di lingue ed un’intrecciarsi di gemiti; chiuse le dita sulla sua giacca, serrando gli occhi per concentrarsi sui movimenti che avvertiva contro il palato e lungo i denti, poi decise di lasciarsi andare: forse Bryan lo stava veramente prendendo in giro, ma si sarebbe preso il suo bel contentino. Si sollevò dal muro e con un braccio si strinse il corpo magro dell’altro contro il proprio, mentre con la mano libera gli afferrò i capelli sulla nuca costringendolo a piegare indietro il capo. Ricacciò la lingua indietro nella sua bocca, assumendo il controllo indiscusso di quel bacio strano ma incandescente e Bryan oppose una debole resistenza iniziale, prima di abbandonarsi completamente, accettandolo come dominatore. Si separarono dopo qualche istante, ansimanti ma con gli occhi brillanti; rimasero a guardarsi senza dire nulla e Mark si accorse dell’eccitazione nei pantaloni, così si tirò indietro di un poco, per non farsi scoprire. Bryan rimase a guardarlo con le braccia ancora a circondargli la schiena, infilate sotto la sua giacca, cercando di regolarizzare il respiro; nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare per primo. Fu Bryan che, improvvisamente, arrossì e mosse un passo indietro, sciogliendosi dall’abbraccio, abbassando lo sguardo e cominciando a balbettare.
- Ah… Karen ti sta aspettando, meglio se la raggiungi…
Mark socchiuse gli occhi, sorpreso da quella reazione, e prese una decisione improvvisa.
- Ora vado… ma non scappare, Flaney, questo discorso non è ancora chiuso!
Si guardò nello specchio per assicurarsi di essere a posto e lo oltrepassò lasciandolo da solo nella toilette.

Karen lo accolse con un sorriso smagliante, senza fargli pesare il lieve ritardo; Mark aveva scoperto solo una volta uscito dal bagno che ci era rimasto per dieci minuti. Il viso arrossato di Bryan tornò prepotentemente a farsi strada davanti ai suoi occhi, ma cercò di ricacciarlo: maledizione, il solo pensare a quello che era appena successo, gli procurava un bel problema all’altezza della patta dei pantaloni e, purtroppo, non indossava jeans che potessero contenere in modo decente la sua erezione! Doveva calmarsi, concentrarsi sulla donna che aveva di fronte ed in meno di un minuto il suo amico sarebbe tornato a riposo! Karen ordinò un pranzo leggero, mentre Mark decise che era meglio sfogarsi con il cibo; la ragazza aspettò che il cameriere si allontanasse, prima di avvicinarsi un poco con la sedia.
- Non dovresti mangiare tanto! – disse seria – Poi dovrai fare un mucchio d’esercizi per smaltire tutto quanto.
- Non importa… - borbottò il moro cercando di calarsi nella parte da recitare; lei sembrò capire quel comportamento, perché scosse il capo assumendo un’aria quasi materna.
- E’ per colpa sua che t’ingozzi, vero? Vuoi sfogarti con il cibo!
Mark inarcò un sopracciglio, chiedendosi come diavolo avesse fatto quella ragazza a scoprire tutto e lei gli sorrise sempre di più.
- L’ho capito, che tu sei ancora innamorato di lui… d’altronde sarebbe strano se da un giorno all’altro tu lo dimenticassi; però non devi rovinarti per colpa sua!
Il poliziotto intuì che lei aveva frainteso e che credeva s’ingozzasse per dimenticare i tradimenti dell’altro, così annuì.
- Lo so… ma non riesco a non pensare a lui. – confessò, completamente sincero; Karen si tirò indietro per permettere al cameriere di versarle da bere poi, una volta di nuovo soli, allungò una mano a sfiorare la sua.
- Senti, perché non andiamo a divertirci da qualche parte, questo pomeriggio?
Mark la guardò con faccia dubbiosa.
- Non ne ho molta voglia… - mormorò, ben sapendo che non si sarebbe arresa così facilmente, e Karen, infatti, scosse il capo.
- Capisco, ma è meglio se ti svaghi un po’! Vieni con me, ti farò conoscere qualcuno che sa come divertirsi!
Un campanello suonò nella mente del poliziotto, che capì che si stava avvicinando alla soluzione del caso: se Karen aveva dato la roba a Paul Kilye, il suo concetto di divertimento poteva essere uno solo.
- E cosa dovremmo fare?
- Ah, ah… questa è una sorpresa! Ma ti assicuro che ti divertirai un mondo!
Mark annuì con il capo, sorridendole; la ragazza gli strinse la mano, felice di averlo convinto, ed in quel momento un cameriere portò loro gli antipasti. Mark cercò di non gettarsi sul cibo come un miserabile, pur sentendo lo stomaco reclamare come un dannato, e cominciò a mangiare in modo educato.
- Facciamo in questo modo: mi porti al mio appartamento così che possa cambiarmi e farmi una doccia, poi ci rivediamo alle quattro. Cosa ne dici? – propose la modella spiluccando la sua insalata; Mark annuì.
- Bene, così ho il tempo di cambiarmi anche io. Resteremo fuori a cena?
- Sì, ma niente di troppo raffinato, i miei amici sono gente alla moda, ma non sono degli elegantoni!
- Bene, sono proprio i miei tipi! – esclamò il poliziotto, allegro; da quel momento cambiarono argomento, parlando del lavoro e della loro vita privata. Uscirono dal ristorante verso le due e mezza e Mark scoprì che l’appartamento della ragazza era pericolosamente vicino a quello che lui divideva con Bryan; da quel momento era meglio se fossero stati attenti, perché se dovevano fingere di aver rotto, rivelare che abitavano insieme era controproducente.
Entrò nel palazzo nel quale viveva e salì all’attico, cercando di restare calmo: stava per ritrovarsi di fronte al suo collega e non sapeva se esserne contento oppure no! Mentre lui si era dovuto concentrare su Karen, Bryan aveva avuto tutto il tempo di riflettere su quello che era accaduto e d’inventarsi una scusa qualsiasi per negare i fatti… l’unica cosa che Mark aveva deciso, invece, era che quel ragazzino sarebbe stato suo. Ora che sapeva con certezza di avere una possibilità, non aveva alcuna intenzione di lasciarsela scappare! Entrò usando le chiavi e si guardò intorno, intuendo immediatamente che l’appartamento era vuoto; borbottò un paio d’imprecazioni riguardanti la codardia dell’altro, però decise di darsi una bella calmata e di prepararsi per l’appuntamento con Karen. Erano solo le tre ed aveva tutto il tempo che voleva, così si rilassò sotto il caldo getto dell’acqua, per un tempo indefinito; finalmente riuscì a controllare tutti i pensieri che gli vorticavano nella mente, a cancellare l’ansia ed i dubbi. Uscì dalla doccia con indosso solo un asciugamano legato intorno alla vita ed un altro appoggiato sui capelli bagnati, e si diresse nella propria camera senza accorgersi di non essere solo in casa; fu un fruscio che attirò la sua attenzione e si voltò con uno scatto verso il divano nel salotto, sul quale era seduto una specie di angelo nero. Bryan se ne stava comodamente sprofondato nei cuscini morbidi, le gambe accavallate ed un bicchiere di whisky fra le dita, con indosso ancora il completo nero e la cravatta bianca, negligentemente allentata.
L’espressione del suo viso era seria, diversamente dal solito, ed i suoi occhi neri erano incatenati a quelli dell’altro poliziotto, senza che alcuna emozione ne trapelasse; Mark si tolse l’asciugamano dalla testa lasciandolo cadere a terra e strinse i pugni, guardandolo con decisione.
- Quando sei tornato? – chiese, avvicinandosi di qualche passo, ed il biondo lanciò un’occhiata all’orologio.
- Dieci minuti fa.
- E dove sei stato fino ad ora?
Bryan si strinse nelle spalle, limitandosi a fissarlo in quel modo apatico, alquanto strano per lui; Mark sospirò, deciso ad affrontare immediatamente la questione che gli stava a cuore.
- Noi due abbiamo qualcosa di cui parlare. – disse, cercando di non mostrarsi troppo duro o ansioso, ma, contrariamente a quanto si era aspettato, Flaney annuì con il capo senza replicare.
- Quel bacio… era una semplice dimostrazione? – chiese in modo diretto, senza più alcuna esitazione; quando voleva ottenere una cosa, lui diventava così: sicuro ed aggressivo. Fino a quel momento era stato colto dai dubbi, dalle incertezze e dallo sconforto, per il semplice motivo che era certo di essere sulla buona strada per innamorarsi di una persona che non poteva in alcun modo ricambiarlo. Ma ora tutto era diverso… Bryan non rispose subito, prima gli rivolse uno strano sorriso obliquo.
- No… non direi… - sussurrò poi e Mark socchiuse gli occhi. Si era aspettato un suo voltafaccia, la negazione di quanto era successo, una scusa qualsiasi per giustificare quel bacio… Ma a quanto sembrava, Bryan stava usando un’altra strategia… di cui comunque lui non si fidava.
- Allora cos’era?
L’altro inarcò un sopracciglio e si strinse di nuovo nelle spalle, allargando il sorriso di scherno; il moro si avvicinò di qualche passo, per riuscire a fissarlo negli occhi, ma il biondo alzò una mano distogliendo lo sguardo.
- Cosa indossi sotto l’asciugamano? – borbottò con aria allegra e Mark si fermò, cercando di comprendere il senso di quella domanda.
- Niente…
- Allora è meglio se non ti avvicini troppo… - bisbigliò, riportando lo sguardo su di lui; il partner corrugò la fronte, poi capì il senso di quelle parole e si alterò un poco.
- Credi che il solo avvicinarmi a te, possa farmelo venire duro? – sbottò muovendo un passo avanti, ma il collega inarcò le sopracciglia, prima di cominciare a ridacchiare ed alzarsi in piedi, avvicinandosi a sua volta.
- Pensi sempre che io mi voglia prendere gioco di te… - mormorò fissandolo – Quello che intendevo dire è che, se ti avvicini, poi io non posso evitare di allungare le mani…
Mark sgranò gli occhi, fermandosi di colpo senza nemmeno accorgersene; Bryan s’infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, senza smettere di sorridere. A quel punto, però, il moro riprese il controllo della situazione e socchiuse gli occhi, parlando con voce calma.
- Fammi capire, Flaney… io ti piaccio?
- Beh… più di una volta ti ho detto che sei carino, no? – rispose con aria altrettanto tranquilla e l’altro abbozzò un ghigno.
- Quindi eri serio…
- Assolutamente.
Mark gli si avvicinò di nuovo e, stavolta, si fermò solo quando gli fu praticamente addosso; Bryan tenne le mani nelle tasche dei pantaloni ed il moro percepì quel gesto come la volontà di lasciare a lui le redini del gioco. Gli rivolse un sorriso di sfida, fissandolo negli occhi neri, mentre con le dita giocherellava con la sua cravatta.
- Mi hai preso in giro per troppo tempo, Flaney… perché ora dovrei fidarmi di te? – chiese piano; il sorriso dell’altro vacillò e già questo bastò perché Mark credesse alla sua sincerità, però non disse nulla ed aspettò le sue parole.
- E’ vero, me ne sono reso conto… me la sono cercata da solo… Ma che devo dirti: io sono un idiota e non posso farci niente. Ma, se ti serve una prova che stavolta sono serio, dimmi cosa devo fare.
Sul viso di Mark si allargò un sorrisetto divertito e si allungò fino a sfiorare le sue labbra.
- Bene… a me basta che tu non tolga le mani dalle tasche. – mormorò, salendo con le dita lungo il suo petto; Bryan annuì con il capo ed il partner si chinò a baciargli il mento con tocchi leggeri. Con le mani sciolse il nodo della cravatta, andando poi a slacciare i bottoni della camicia, mentre con le labbra risalì lungo il viso sfiorando gli angoli della bocca, accorgendosi immediatamente del suo respiro intenso, e non fece nulla per ricacciare il sorriso che ne nacque. Slacciò completamente la camicia nera del collega, infilando le mani sotto la stoffa ed appropriandosi della sua pelle calda all’altezza della vita; con la punta della lingua gli sfiorò le labbra, che si socchiusero immediatamente per concedergli l’accesso, ma non colse l’invito. Gli sfilò la camicia dai pantaloni, stringendoselo poi addosso, facendo combaciare i loro membri e, immediatamente, si accorse che il biondo era eccitato quanto lui; con la lingua continuò a tracciare i contorni della sua bocca, senza mai penetrarla, poi mosse il bacino in modo che l’asciugamano si slacciasse e finisse ai suoi piedi. Si accorse che Bryan tratteneva il respiro per brevi intervalli, prima di rilasciarlo in ansimi veloci, e sorrise anche di questo; con la mano libera gli abbassò la zip dei pantaloni, infilandovi poi le dita e strofinandole sulla stoffa ruvida dei boxer neri.
- Sei un bastardo… - gemette il biondo intuendo, finalmente, le reali intenzioni del partner e Mark sogghignò.
- Lo so… ma ti piaccio per questo, no? – rispose, facendo bene attenzione a sfiorargli le labbra ad ogni sillaba. Bryan rilasciò un breve respiro, chiudendo gli occhi; il moro tolse la mano dalla patta dei suoi pantaloni e ne slacciò il bottone, prese i polsi del biondo guidandoli nelle tasche della giacca, poi gli calò finalmente i calzoni lungo le cosce e se li dimenticò. Gli infilò le dita nei boxer, appropriandosi del suo membro duro, godendo dell’espressione eccitata che cercava di nascondere; con le labbra gli solleticò il lobo dell’orecchio, cominciando poi a mordicchiarlo.
- Come va, Flaney? – chiese con tono strafottente; il biondo non rispose subito, prima dovette prendere un respiro, però poi usò una voce divertita e roca allo stesso tempo, incendiando il sangue nelle vene del compagno.
- Ti ho già detto che sei un bastardo?
- Mi sembra di sì… - replicò, muovendo all’improvviso la mano che stringeva il suo membro; Bryan spalancò gli occhi inarcando la schiena e lasciandosi sfuggire un gemito, le mani che si fermarono un secondo prima di uscire dalle tasche. Mark si accorse del gesto e sorrise tra sé, mentre passava la punta della lingua lungo il mento dell’altro: quel meraviglioso biondino aveva una notevole forza di volontà! Non sapeva se lui a quel punto sarebbe riuscito a tenere ancora le mani ferme… Decise di premiare la lealtà dell’altro e salì verso le sue labbra, ricominciando a sfiorarle con lievi baci, mentre con le mani faceva scivolare i boxer lungo le sue cosce; gli cinse lentamente la schiena, poi s’infilò nella sua bocca quasi con prepotenza, mentre si stringeva addosso il suo corpo, in modo che i loro membri nudi ed eccitati si scontrassero. Bryan mugolò nella sua bocca, seguendo magistralmente il gioco della sua lingua, muovendo appena il bacino per strofinarlo contro il suo; Mark allora gli lasciò la vita, infilando le mani nelle sue tasche per prendergli le dita e guidarle sul proprio corpo. Bryan si sottrasse al bacio, guardandolo ansimante, ed il moro ricambiò con un’occhiata divertita ma tremendamente eccitata.
- Posso? – mormorò il biondo, semplicemente, ma l’altro annuì.
- Devi!
Le dita di Bryan si allargarono sulla schiena di Mark e lentamente ne sfiorarono quanta più superficie possibile; il moro si appropriò nuovamente delle sue labbra e lo spinse indietro, facendolo inciampare nei pantaloni calati lungo le gambe e facendolo finire disteso sul divano. Bryan si aggrappò con forza alla sua schiena ma, una volta intuito che non sarebbe finito a terra, spostò le mani appropriandosi delle sue natiche sode; a quel punto cercò di comandare il gioco e di infilare la propria lingua nella bocca dell’altro, che però non si arrese ed ingaggiò con lui una guerra che si rivelò essere quanto di più eccitante avessero mai sperimentato prima. Quando si separarono, però, si ritrovarono entrambi con il fiato accelerato; Bryan distolse lo sguardo, arrossendo all’improvviso, e Mark inarcò le sopracciglia, ricordandosi di un particolare che si era dimenticato.
- Perché sei arrossito? L’hai fatto anche prima, quando ci siamo baciati nel bagno… cosa ti prende?
Il biondo tossicchiò senza rispondere e l’altro se lo strinse per bene contro il petto.
- Possibile che Flaney s’imbarazzi per un semplice bacio?
Il partner abbozzò un sorriso tanto timido quanto adorabile per Mark, che però si ritrovò ad essere allontanato; si mise in ginocchio sul divano, lievemente imbarazzato dalla situazione: lui era completamente nudo, Bryan era svestito nei punti giusti ed entrambi erano chiaramente eccitati. Il biondo si mise a sedere sollevandosi pantaloni e boxer, senza però allacciarli, e Mark inarcò un sopracciglio, pensando immediatamente che si stesse tirando indietro.
- Che ti prende, Flaney? – chiese, turbato, raccogliendo l’asciugamano ed appoggiandoselo sull’inguine; Bryan non lo guardò, arrossendo di più.
- Ecco… - cominciò, ma non disse altro ed il collega lo fissò, stupito.
- Sei veramente imbarazzato per qualcosa? Tu?
- Ehi! Anche io m’imbarazzo… a volte… - bisbigliò e Mark lo guardò, perplesso, prima di annuire con il capo.
- D’accordo ma… cos’è che t’imbarazza?
- …
- Flaney… mi sembrava che andasse tutto bene! – esclamò, sentendo che il suo amichetto protestava per l’interruzione; il collega sollevò lo sguardo, arrossendo, se possibile, ancora di più.
- Sì, va tutto bene, solo che… oh, al diavolo! – sbottò all’improvviso – Mark, io ho avuto alcuni amanti, occasionali; però… con ognuno di loro, io sono sempre stato la parte attiva!
Mark sgranò gli occhi, intuendo immediatamente il resto del discorso… effettivamente non ci aveva ancora pensato!
- Da quel poco che ho capito di te… anche tu sei attivo, no?
L’altro annuì con il capo, cominciando a sudare; Bryan sospirò ed abbassò il viso, ritornando di un delizioso color ciliegia.
- Però… ecco… quando tu mi baci in quel modo… Io mi rendo conto che con te… mi sento debole. Cioè no, non debole… però mi viene voglia di farmi abbracciare, di… farmi fare invece di fare! Ah, che cavolo sto dicendo! – bofonchiò, senza avere il coraggio di guardarlo; Mark lo fissò per un istante, però poi allungò una mano e gli sollevò il mento, osservandolo con un sorriso dolce.
- Stai dicendo che faresti l’amore con me… come passivo?
Bryan si limitò ad annuire con il capo ed il partner gli rivolse un sorriso gentile e comprensivo; si chinò e gli sfiorò le labbra con le proprie, poi gli parlò rimanendo a fissarlo con gli occhi a pochi centimetri dai suoi.
- Senti… lasciamo stare, per adesso: fra un quarto d’ora dovrò uscire per andare all’appuntamento con Karen e non voglio che la nostra prima volta sia una sveltina. Quando stasera tornerò a casa, faremo le cose per bene… ti va?
Bryan gli rivolse un sorriso dolcissimo che gli sciolse il cuore ed annuì con il capo.
- D’accordo… però temo che dovrai convincermi a stare sotto, perché ho una fifa blu!
Mark annuì e gli sfiorò le labbra impossessandosene con gentile prepotenza; lo coinvolse in un bacio dolce e lento, così totalizzante da fargli dimenticare lo scorrere del tempo. Si ritrovarono distesi sul divano, Mark sul corpo più esile di Bryan, abbracciati con le braccia e le gambe; continuarono semplicemente a baciarsi, dimentichi della passione bruciante di poco prima, almeno fino a quando Bryan non si sottrasse a quel contatto, ridacchiando. Il moro lo guardò, sorpreso, senza sciogliersi dall’abbraccio, chiedendo una muta spiegazione con lo sguardo.
- Beh… se continuiamo così, mi sa che non arriviamo a stasera… - spiegò allegro; Mark si accorse che l’asciugamano era nuovamente scivolato dalla sua vita e che la sua erezione si stava risvegliando, così, seppur a malincuore, si alzò con un sospiro, dirigendosi nella propria camera per cambiarsi. Indossò un paio di jeans chiari ed una maglia beige attillata, con un nuovo stato d’animo nel petto: era come se avesse finalmente raggiunto una meta che si era prefissato da anni ed era una sensazione stranissima. S’infilò un paio d’anfibi neri ed uscì dalla stanza, entrando in cucina, dove sentiva il collega trafficare con le stoviglie; Bryan lo vide arrivare e si voltò, sorridendogli, procurando al moro un mezzo infarto. Indossava ancora il completo nero, la camicia lasciata aperta sul petto ed i pantaloni slacciati; il colore dell’abito contrastava magnificamente con quello della sua pelle e dei capelli, rendendolo più attraente che mai.
- Ne vuoi? – chiese il biondo, porgendogli un panino farcito, ma Mark scosse il capo, cercando di darsi un contegno. Bryan addentò il cibo, prendendo poi un bicchiere ed uscendo dalla cucina, andando a sedersi al tavolo nel soggiorno, e Mark lo seguì, portando per lui una bottiglia d’acqua, ma non si sedette, essendo ormai ora di uscire.
- Non mi hai detto dove vai. – disse Bryan utilizzando una strana intonazione, più intima di quanto avesse mai fatto; Mark sospirò, rendendosi conto che, in quel momento, uscire era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.
- Sinceramente non lo so, Karen non ha voluto dirmelo; però sembra che ci sia qualcosa che mi tirerà parecchio su di morale… qualcosa che mi daranno i suoi amici…
Il biondo inarcò un sopracciglio ed ingoiò il pezzo di pane, prima di parlare di nuovo.
- Pensi che ti voglia portare dal suo spacciatore?
- Probabile.
- Allora mi cambio in un attimo e ti seguo! – sbottò, alzandosi in piedi di colpo e lasciando perdere il panino, ma Mark sorrise e lo prese per un braccio, fermandolo mentre correva in camera sua. Bryan lo guardò con espressione sorpresa, lasciandolo fare quando gli appoggiò una mano sulla guancia per sfiorargli le labbra con un dolce bacio.
- Non serve che tu mi segua, probabilmente se incontrerò lo spacciatore, non fidandosi di me mi farà controllare… e se ti dovessero vedere, correremmo dei rischi inutili. Tu vai in clinica e vedi se si sa qualcosa sul ragazzo che ieri si è sentito male.
Bryan lo guardò con espressione chiaramente incerta.
- E se tu dovessi avere bisogno d’aiuto?
- Perché? Non indosso microfoni, non c’è nessuno che mi protegge le spalle, Karen garantisce per me… perché dovrei correre qualche pericolo? Mi farò dare la droga e la porterò alla Narcotici per farla analizzare, così saremo in grado di incastrare quei bastardi.
Bryan sospirò, annuendo, però gli afferrò il collo della maglia, tirandoselo vicino.
- Non prendere quella roba! – sibilò, secco, e Mark inarcò un sopracciglio, sorridendogli con aria divertita.
- Proprio tu me lo dici?
- Certo! Tu mi hai detto che sono stato idiota a correre un rischio del genere… quindi non dovresti essere così scemo da fare lo stesso errore!
- Stai tranquillo! – esclamò il moro ridacchiando – Non ho nessuna intenzione di sentirmi male, stasera ho di meglio da fare! E visto che vai alla clinica… fermati a comprare dei preservativi.
Bryan sgranò gli occhi, però, invece d’imbarazzarsi come avrebbe fatto un qualsiasi essere umano, sogghignò ed annuì.
- Ti basta una scatola, McCaine?
Ed il moro, che invece era un essere umano comune, non riuscì a non arrossire.

Mark seguì la strada indicata da Karen, fino a parcheggiare l’auto in un posteggio sulle rive del fiume che attraversava la città; si guardava attentamente intorno, appuntandosi particolari che lo avrebbero aiutato a ritrovare il posto quando avrebbe dovuto guidare i colleghi della Narcotici per la retata. La ragazza gli aveva parlato allegramente per tutto il tempo, senza però mai accennare a quello che sarebbe successo di lì a poco; camminando a braccetto, la modella lo condusse verso un’imbarcazione enorme, uno yacht di lusso ancorato al molo numero 8. Un ragazzo di colore venne loro incontro, salutando Karen con un gesto della mano; la ragazza li presentò e spiegò che quel suo amico aveva bisogno di tirarsi un po’ su di morale per dimenticare una serie d’avvenimenti spiacevoli. Il ragazzo esaminò con attenzione il nuovo venuto, poi gli rivolse un sorriso bieco.
- Vieni amico, abbiamo noi il rimedio per le tue disgrazie, però, se non ti dispiace, dovrei darti una controllata.
Mark annuì con un cenno del capo, lasciando che l’altro lo palpasse con attenzione e notando, con la coda dell’occhio, che altri suoi compari si aggiravano nei dintorni assicurandosi che non ci fosse nessuna spia al suo seguito; sopportò senza dire nulla anche quando Malcolm, il ragazzo che lo stava perquisendo, si soffermò con attenzione lungo le sue gambe e le tasche dei pantaloni. Gli tolse il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, affermando che lo avrebbe tenuto fino a quando non fosse stato sicuro che Mark non portava guai, poi, finalmente, si ritenne soddisfatto ed indicò loro di seguirlo sullo yacht. Karen gli si strinse al braccio rivolgendogli un sorriso rassicurante ed insieme seguirono Malcolm tra i vari corridoi dell’imbarcazione; il poliziotto si guardò intorno con interesse, intuendo immediatamente che il proprietario di quella barca doveva essere una persona estremamente ricca, quindi, forse non solo spacciava, ma produceva direttamente la roba. Entrarono in un’ampia sala ricreativa, in cui facevano sfoggio due pregiati tavoli da black jack ed un paio di sontuosi divani di pelle bianca; c’erano due ragazzi, seduti a chiacchierare, ed una cameriera impettita, che aspettava di ricevere ordini. Mark fu fatto accomodare sul divano libero ed accennò un saluto agli altri due, che risposero con un “Hey” di cortesia. Karen gli si mise di fianco, allegra.
- Di chi è questo yacht? – chiese piano Mark alla sua accompagnatrice, ma Karen agitò l’indice di fronte a lui.
- Non chiedermi niente, tra poco conoscerai il proprietario!
La cameriera si avvicinò rispettosamente e chiese loro cosa gradivano bere, poi si allontanò ed in quel momento nella stanza entrò un uomo alto e biondo, dall’aspetto nordeuropeo. Si guardò intorno notando immediatamente il poliziotto e gli si avvicinò allungando una mano; Mark si alzò stringendogliela con rispetto.
- Molto piacere, lei è un amico di Karen, da quanto mi è stato detto. – disse colloquiale, omettendo però il proprio nome, ed il moro annuì.
- Sì, è stata così gentile da portarmi qui per farmi dimenticare certi dispiaceri.
- L’ha portata nel posto giusto! – confermò l’uomo, sorridendo alla modella – Il signor Callahan ci raggiungerà immediatamente e sarà felice di soddisfare le sue necessità.
Mark socchiuse gli occhi, sentendo un campanello d’allarme suonare nella testa: era lo stesso Callahan che conosceva lui?
- McCaine… - mormorò una voce cupa proveniente dall’entrata; Mark si voltò con uno scatto, certo che il suo presentimento fosse corretto e, infatti, si trovò con il fiato imprigionato sul fondo del petto. Nella stanza era appena entrato un uomo moro, sui quarant’anni, alto, atletico ed abbronzato, vestito con un elegante abito firmato; di fianco a lui c’erano due energumeni con indosso seriosi abiti neri, chiaramente guardie del corpo. L’uomo mosse qualche passo avvicinandosi al poliziotto, che strinse i pugni rendendosi conto di essere veramente nei guai.
- Da quanto tempo non ci si vede, McCaine. – mormorò l’uomo, con un sorriso tagliente e chiaramente soddisfatto; il moro cercò di guadagnare tempo per trovare un’idea.
- Callahan… ma non eri in prigione?
- Sai com’è… avevo un po’ di denaro da parte e con i soldi si comprano i migliori avvocati.
Il poliziotto non disse nulla e finse tranquillità, mentre valutava le sue possibilità di fuga, che sembravano drasticamente vicine allo zero. Karen balzò in piedi, passando lo sguardo confuso fra i due uomini.
- Ma… vi conoscete? – ansò, preoccupata, e Callahan annuì con il capo, sorridendole con gentilezza.
- Questo è il poliziotto che mi ha arrestato quattro anni fa: mi sono dovuto fare tre anni di prigione, per colpa sua.
Karen sobbalzò sgranando gli occhi.
- Ma… allora non sei un modello? – gemette arretrando di un passo ed avvicinandosi alle guardie del corpo; Mark non rispose e continuò a fissare Callahan, che lo guardava con espressione affilata e compiaciuta. L’uomo s’infilò una mano nella tasca interna della giacca, togliendone poi una bustina blu che mise di fronte al viso del poliziotto, tenendola fra indice e medio.
- Sei qui per l’Angelo Azzurro, vero? – chiese piano, girandogli intorno; Mark seguì i suoi movimenti voltando di poco il capo, preferendo dare le spalle a lui piuttosto che ai due bestioni. Callahan si fermò dietro il moro, passando un braccio sopra la sua spalla e tenendogli la bustina davanti al viso.
- Da quando sei della Narcotici, McCaine? – continuò con tono colloquiale; il detective non rispose alla domanda, ma decise di tentare un attacco diverso.
- Lo yacht te lo sei comprato con i soldi del denaro riciclato o con questa droga?
L’altro sorrise con aria divertita, poi gli si appoggiò alle spalle con entrambe le braccia ed affiancò il viso a quello del poliziotto, che continuava a restare immobile.
- Ah, McCaine… vedo che invecchiando sei peggiorato. Quando mi hai arrestato eri solo un novellino e ti pisciavi sotto stando nascosto dietro la giacca del tuo fratellone… cosa ti è successo? Non dirmi che sei diventato così cinico perché qualcuno lo ha fatto uccidere…
Mark irrigidì la schiena stringendo i pugni e si voltò con uno scatto d’ira, finendo però inginocchiato sul pavimento, con le braccia torte dietro la schiena e saldamente strette da uno dei due gorilla. Callahan sorrise, accosciandosi di fronte al suo viso piegato in una smorfia.
- Non dirmi che non lo sapevi…
- Che diavolo stai dicendo? – ringhiò il poliziotto con rabbia, pur nella posizione in cui si trovava e l’altro assunse un’espressione tagliente.
- Sto dicendo che mi sono vendicato… ma solo per metà, purtroppo. I miei ragazzi avrebbero dovuto eliminare anche te, ma quel dannato di Peter McCaine riuscì ad ucciderli entrambi… fortuna che le sue ferite erano così gravi che non visse abbastanza a lungo per testimoniare contro di me…
Mark sgranò gli occhi, cercando di mettere ordine nella propria testa: il giorno in cui Peter era stato ucciso, non erano in servizio insieme, perché lui stava sostenendo l’esame per il passaggio di grado. Solo una volta terminato, era stato avvisato che suo fratello era in ospedale perché era stato coinvolto in una sparatoria tra bande di quartiere… ma, a quanto sembrava, era stata tutta una messinscena! Callahan l’aveva organizzata per vendicarsi dei due poliziotti che lo avevano arrestato!
- Perché… non hai mandato qualcun altro per me? – mormorò, cercando di mantenere la calma e la lucidità; l’uomo sbuffò con aria annoiata.
- Perché tu eri solo un cucciolo, non era certo a causa tua se ero in prigione, ma di tuo fratello… non mi andava di rischiare altri uomini per un pesce piccolo come te. Però… i casi della vita sono strani, non trovi? Ora sei nelle mie mani e posso concludere la mia vendetta personale!
Allungò la mano verso uno dei due energumeni che, senza una parola, gli porse la sua pistola; Mark non abbassò lo sguardo neppure quando se la vide puntare in mezzo alla fronte, però cominciò a sudare freddo. Quello era un uomo spietato, poteva essere morto prima che trascorresse un solo minuto… doveva inventarsi qualcosa!
- As… aspetta un secondo… - balbettò Karen, che aveva assistito alla scena impallidendo lentamente; Callahan le rivolse un altro sorriso gentile, sfiorandole una mano con la sua.
- Forse è meglio se non assisti, tesoro.
- No, io… se lui è un poliziotto… allora lo è anche l’altro ragazzo!
- Quale altro ragazzo? – domandò l’uomo, accigliandosi; Mark imprecò tra sé, intuendo che presto anche Bryan sarebbe stato coinvolto in quella situazione… e non voleva assolutamente che qualcun altro morisse a causa sua!
- Si chiama Bryan Flaney… dicevano di essere fidanzati e di essersi lasciati: lui stava male ed io l’ho portato qui! – continuò la ragazza, sempre più turbata, e Callahan si alzò in piedi, assumendo un’aria perplessa.
- Una bella recita… avete controllato che fosse solo? – chiese rivolto al tizio alto e biondo e l’uomo annuì.
- Sì, siamo certi che non ci sia nessuno con lui.
- Dov’è il tuo partner, McCaine? – sussurrò appoggiando la canna della pistola sulla testa del poliziotto e Mark rispose quasi ringhiando.
- Lui non sa dove ci troviamo… Karen non mi aveva detto dove mi stava portando.
- Però lui sa che siete insieme… - mormorò pensieroso l’altro; Karen cominciò a torturarsi le dita, parlando con voce agitata.
- Mi… mi dispiace Dan, io non sapevo che fosse un poliziotto…
- Calmati, va tutto bene! – la rassicurò Callahan accarezzandole una guancia – Basterà attirare in trappola anche il suo collega ed andrà tutto a posto.
Il sottoposto biondo allungò il telefono cellulare di Mark verso il suo capo.
- Gli abbiamo trovato questo addosso. – disse solo e Callahan sorrise con una scintilla negli occhi.
- Molto bene… Karen, ora tu farai una telefonata.
- Lascialo perdere! – sibilò Mark alzando il capo e facendosi ancora più male ai muscoli delle spalle, ma l’altro gli sorrise con cattiveria, prima di porgere il telefono alla modella.
- Sei anche un’attrice, no? Fammi un po’ vedere come reciti.
Lei prese il telefono con mani tremanti, schiacciando i tasti necessari per cercare il numero di Flaney nella rubrica.
- Non diventare sua complice, Karen! – sbottò il poliziotto, cercando di convincerla, ottenendo solo di essere spinto a terra con forza e di sentire uno scricchiolio pericoloso nelle braccia; Callahan continuò a parlare alla ragazza con voce vellutata.
- Chiama il suo compare e digli che McCaine ha preso la droga ed ora sta male; digli anche che andrai tu ad aspettarlo di fronte al Canary Wharf e che hai già chiamato l’ambulanza.
La ragazza annuì e premette il tasto invio, aspettando poi che il poliziotto rispondesse; dopo pochi squilli, l’allegra voce di Bryan raggiunse anche il cuore impazzito di Mark.

(Continua)


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