Due poliziotti... modello!

di Kieran

Capitolo 1

Il traffico, a quell’ora del mattino, era caotico: l’aria della città era satura di urla, lamentele, clacson, insulti; i semafori erano accessori praticamente inutilizzati, disperati vigili cercavano di velocizzare la circolazione, costretti a respirare fumo nero e ad ascoltare ogni epiteto loro rivolto dagli impazienti ritardatari di turno. I marciapiedi erano affollati ma, nonostante questo, il ragazzo che deteneva il record di ritardi di tutta la centrale di polizia, riusciva a correre ad una velocità sostenuta senza colpire niente e nessuno. Il poliziotto semplice McCormack guardò l’orologio con un sopracciglio inarcato, guadagnandosi un “Svegliati la mattina” da un tizio vestito come un agente di borsa, che probabilmente si stava perdendo l’apertura dei mercati; lo lasciò passare, ignorandolo, essendo totalmente perso in altri pensieri. Ormai da mesi dirigeva il traffico al semaforo di fronte la stazione di polizia e sapeva cos’avrebbe dovuto fare di lì a qualche minuto… però fu anticipato. Dal solito viottolo tangente la strada principale, vide sbucare una testa bionda arruffata, zigzagante fra le decine di pedoni, e sorrise emettendo un fischio acuto per fermare il traffico; il ragazzo biondo, vestito con pantaloni e giubbotto di jeans, attraversò senza neanche accertarsi che le auto fossero ferme. Sfrecciò accanto all’agente e gli rivolse un luminoso sorriso, battendogli una pacca poco gentile sulla spalla.
- Grazie Pete! – urlò senza rallentare; l’altro fece segno di non preoccuparsi, mentre permetteva alle auto di riprendere la corsa. Come ogni mattina, grazie a lui, Bryan Flaney sarebbe arrivato all’ultimo secondo, ma puntuale sul posto di lavoro.
Bryan attraversò di corsa l’atrio principale, salutando velocemente i colleghi che lo incitavano a rallentare, visto che era una di quelle rarissime mattine in cui era in anticipo di qualche minuto, ma non frenò, visto che prima di andare alla propria scrivania voleva bersi il caffè saltato a colazione. Come sempre, al primo corridoio tagliò a destra, s’infilò nell’ufficio di due colleghi più anziani scavalcando le loro scrivanie, opportunamente vuote visto che ormai i due conoscevano bene il suo itinerario, li salutò con un rispettoso “Buongiorno”, uscì dalla porta sulla parete di fronte, svoltò a sinistra ed entrò nel grande stanzone in cui erano disposte una quindicina di scrivanie. Dietro la porta, qualcuno gli urlò qualcosa, una parola simile a “Fermati”, che ovviamente il ragazzo ignorò scavalcando la prima scrivania, fiondandosi verso la propria, per lasciare zaino e giubbotto. In quel momento si trovò di fronte ad un’ampia schiena e, per non finire con un piede addosso al disgraziato, sbilanciò il corpo finendo lungo disteso su di lui. Immediatamente fu il caos. Bryan si lamentava dando dell’incosciente al tizio che si era messo sulla sua strada, quello sotto di lui borbottava qualcosa d’incomprensibile, ma che suonava tanto come insulti al deficiente che gli era saltato addosso; i colleghi li avevano circondati e cercavano di sollevarli, riuscendo solo a peggiorare l’intreccio delle loro gambe. Dopo pochi secondi, Bryan si scrollò di dosso le loro mani, fulminandoli con lo sguardo.
- E piantatela di palparmi con la scusa di aiutarmi! – sbottò cercando di risollevarsi da solo; l’altro scelse proprio quel momento per voltarsi di scatto, buttandolo a terra e sovrastandolo. Lunghi capelli castani, legati in una coda bassa, gli scivolarono da una spalla, finendo sul viso di Bryan, ora con la schiena a terra e le mani dell’altro appoggiate ai lati del viso; il biondo spostò con malagrazia la criniera del malcapitato che aveva investito, trovandosi a fissare due occhi dalle iridi talmente nere da mascherare le pupille. Per un momento il ragazzo sopra di lui non mosse un solo muscolo, limitandosi a fissarlo con espressione immutata, ma Bryan si spazientì immediatamente e gli sbuffò in faccia.
- Ehi, ti alzi o devo farti una richiesta in carta bollata?
Il suo tono sembrò urtare l’altro, che si rialzò agilmente spolverandosi i jeans neri, senza guardarlo per un attimo; Bryan si tirò in piedi raccogliendo lo zaino, pronto a dimenticare quell’incidente, ma lo sconosciuto riuscì ad attirare la sua attenzione… ma non per le parole che gli disse, in quanto lui era campione nel fregarsene apertamente degli insulti che gli venivano rivolti, quanto dal tono utilizzato. Tranquillo, ma tagliente e glaciale.
- Da quando ai ragazzini è permesso entrare in un commissariato?
Si fermò di scatto e si voltò su se stesso, avvicinandosi al bellimbusto che lo superava di pochi centimetri; gli rivolse un ghigno e si piegò verso di lui, con le mani infilate in tasca.
- E’ permesso da quando fanno entrare anche i travestiti! – rispose con voce sibilante; l’altro sgranò gli occhi, chiaramente irritato da quelle parole, ma tre poliziotti in divisa s’intromisero e li separarono, spingendo Bryan verso la sua scrivania. Il biondo gli lanciò un’ultima occhiata infastidita, prima di dimenticarselo ed andare alla propria postazione di lavoro; posò con calma lo zaino, controllando che la cospicua merenda che si era portato non fosse da buttare, poi si tolse il giubbotto appoggiandolo sullo schienale… ed in quel momento la porta dell’ufficio del commissario Murdock si aprì con violenza.
- Oh, porca miseria! – proruppe il biondo, impallidendo; scavalcò la scrivania con un balzo, entrando nell’ufficio nel momento esatto in cui il capo ne stava uscendo, quasi travolgendolo. L’uomo, un signore di mezza età con i capelli completamente grigi ed un’espressione severa, lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure, muovendo un passo indietro per non essere investito.
- Bryan… sei di nuovo in ritardo. – sibilò, truce, ed il biondo abbozzò un sorrisino.
- Ah…
- Sai quante volte sei arrivato in ritardo, questo mese?
- Ehm… stavolta non è…
- Cosa devo fare con te?! – sbottò scuotendo il capo ed il ragazzo gli sorrise.
- Pensare che ti voglio tanto bene e non togliermi una parte dello stipendio come avevi minacciato?
L’uomo sospirò piegando le spalle, rientrando nell’ufficio ed andando a sedersi dietro la scrivania.
- Chiudi la porta e siediti. – disse con aria rassegnata; Bryan obbedì docilmente, felice d’averla scampata anche per quella volta, e si sedette come gli era stato indicato. Solo in quel momento una terza persona, presente nella stanza, si manifestò salutandolo gentilmente; Bryan si voltò con uno scatto, sgranando gli occhi.
- Salve! Ma da dove sbuca?
- Bryan… - ringhiò il commissario, ma la donna fece una risatina, indicandogli di non preoccuparsi.
- Molto piacere, io sono Mellory Stevenson. – si presentò allungando una sottile mano curata verso di lui; Bryan si alzò e gliela strinse senza comprimere troppo, sorridendole raggiante.
- Piacere mio, io sono Bryan Flaney!
Fece per ritrarre la mano, ma la donna non lo lasciò e cominciò un’attenta analisi della sua persona; il biondo non cancellò il sorriso dalle labbra, cominciando però a chiedersi cosa volesse quella donna di mezza età chiaramente maniaca, poi lei disse qualcosa d’incomprensibile.
- Sei perfetto!
- A-ehm… grazie… - mormorò esitando… perfetto in che senso? Qualcuno bussò alla porta proprio in quel momento, decretando la liberazione di Bryan dall’esame della donna, ed il commissario si alzò, girando attorno alla scrivania per andare ad aprire.
- Miss Stevenson, Bryan, accomodatevi. – disse mentre apriva, poi si rivolse al nuovo arrivato – Prego, entri. Lei dev’essere il detective McCaine.
- Sì, sono io. – rispose un timbro di voce vagamente familiare a Bryan, che si voltò incuriosito e per poco non ebbe un infarto. Il travestito di poco prima! Anche l’altro lo vide ed immediatamente si raggelò, non accogliendo l’invito del commissario ad entrare; l’uomo si accorse della direzione del suo sguardo e scosse il capo, sospirando.
- Bryan… perché sembra che il detective McCaine sappia già con chi ha a che fare?
Il ragazzo rivolse un ghigno verso il moro rigido sulla porta, stringendosi nelle spalle.
- Cosa ne so… non l’ho mai visto in vita mia, mi ricorderei una faccia del genere, no?
Quello non era chiaramente un complimento e tutti, nella stanza, lo capirono; il commissario si avvicinò minacciosamente al proprio subordinato, parlandogli con voce bassissima.
- Bryan… attento a quello che fai da questo momento in poi, perché non ti tolgo solo una parte dello stipendio, ma ti faccio lavorare gratis fino a che non vai in pensione!
- Ma a quell’epoca tu sarai già morto, capo!
- Bry! – sbottò Murdock toccandosi i genitali per scaramanzia ed il ragazzo gli sorrise.
- Ok, ok, stavo scherzando! – esclamò balzando in piedi, poi si avvicinò al poliziotto ancora sulla soglia, allungando una mano verso di lui – Tanto piacere, caro collega! Io sono Bryan Flaney, detective proprio come te!
McCaine esitò, poi lanciò una veloce occhiata alle altre due persone presenti nella stanza e decise che era meglio fingere indifferenza verso quello strano individuo; gli strinse la mano con la chiara intenzione di fargli molto male, ma il biondo non fece una piega ed il suo sorriso, chiaramente di circostanza, non vacillò.
- Mark McCaine. – rispose con tono chiaro, in modo che non lo scordasse; l’unica donna presente nella stanza, una moretta di circa trent’anni, gli si avvicinò presentandosi come Mellory Stevenson e, come aveva già fatto con Bryan, lo esaminò attentamente. Mark non chiese nulla e si sedette dove gli fu indicato, al fianco di Bryan, mentre la donna si mise alle spalle del commissario, continuando a scrutare i due ragazzi con attenzione; il capo, finalmente, decise di chiarire loro la situazione.
- Allora, ragazzi: ora vi spiegherò perché vi abbiamo convocato qui a quest’ora del mattino. Questa è Miss Stevenson, responsabile di una casa di moda famosa qui in città… ehm… - sfogliò le carte sparse sulla scrivania, cercando evidentemente il nome della griffe, ma la donna lo soccorse con un sorriso.
- L’Atelier Rococò, una delle più famose case di moda francesi.
McCaine annuì, mentre Bryan soffocò uno sbadiglio dietro il dorso della mano… non aveva bevuto il suo caffè, per colpa del tizio che gli sedeva di fianco. Fortunatamente il capo non si accorse del suo gesto poco educato.
- Da qualche mese sembra che ci siano dei giri strani nell’ambiente. – ricominciò il commissario – Alcuni ragazzi si sono sentiti male durante le sfilate, tanto da finire in ospedale; dalle analisi non risulta niente di anormale, però i ragazzi della Narcotici pensano si tratti di un nuovo tipo di stupefacente, scoperto da poco, che non lascia traccia nel sangue.
- Abbiamo motivo di credere che qualcuno ne venda ai nostri ragazzi. – disse tristemente la donna; Murdock annuì e Bryan intervenne con voce annoiata.
- Perché drogarsi prima di una sfilata?
- Per scacciare l’ansia. – rispose tranquillamente Miss Stevenson ed il biondo fece una faccia annoiata, tenendo per sé il proprio pensiero. Mark, con espressione del tutto opposta alla sua, mostrando cioè interesse, s’intromise nel discorso.
- Scusi la domanda, ma perché sono stato convocato? Io mi occupo di truffe internazionali, non di droga.
- Ehi, è vero! – sbottò Bryan mettendosi a sedere composto – Neppure io sono della Narcotici!
- E’ vero, ma… - cominciò il commissario guardandolo con aria da cane bastonato; Miss Stevenson continuò per lui, sorridendo raggiante ai due ragazzi.
- Nella sezione antidroga non c’era nessuno in grado di intrufolarsi come infiltrato nel nostro Atelier.
Bryan corrugò la fronte, non capendo bene la situazione.
- Strano, credevo che sapessero fare il loro lavoro… - mormorò ed il commissario lo fulminò con lo sguardo.
- Perché non taci, ogni tanto? – chiese d’impulso, senza riuscire a frenarsi, ma Bryan gli rivolse un sorriso obliquo, senza rispondere. La donna si appoggiò con le mani sulla scrivania, guardandoli con fare sornione.
- Il fatto è che per entrare nel nostro Atelier come modelli, si deve avere un aspetto fisico da infarto… e voi lo avete! Se solo lo voleste, potreste abbandonare la polizia, per fare i modelli!
Mark sgranò gli occhi, arrossendo impercettibilmente, mentre Bryan guardò la donna senza muovere un muscolo; il commissario sbirciò di sottecchi il suo sottoposto, aspettandosi l’esplosione della sua idiozia, ma sembrava che, per la prima volta da quando lo conosceva, Bryan non sapesse cosa dire.
- Voi… voi ci avete scelto per il nostro aspetto fisico? – chiese Mark sorpreso e, forse, contrariato; Miss Stevenson annuì con il capo.
- Sì, ma non solo: i vostri superiori ci hanno assicurato che saprete come muovervi e svolgerete egregiamente il vostro lavoro.
Fu in quel momento che Bryan guardò il commissario con occhi sgranati ed espressione raggiante; balzò in piedi appoggiando le mani sulla scrivania, sporgendosi in avanti verso di lui e costringendo Miss Stevenson ad arretrare, per non prendere una zuccata.
- Ah ah, lo sapevo, zio! Lo ammetti che so fare il mio lavoro! – esclamò euforico; l’uomo si massaggiò gli occhi con due dita, parlando con voce bassa, simile ad un ringhio.
- Quante volte ti ho detto di non chiamarmi zio, in ufficio?
- Ah, adesso non importa! – sbottò il biondo rialzandosi e muovendo annoiato una mano – Io sono il vostro uomo, signora, conti su di me, ma… - s’interruppe e si piegò all’indietro guardando la lunga coda di cavallo del collega, che sedeva composto e lo scrutava con aria perplessa – Lui… non mi sembra adatto! A meno che non le serva una modella, chiaro!
Mark si alzò con uno scatto improvviso, stringendo i pugni ma trattenendosi prima di fare qualsiasi mossa avventata; il commissario sgranò gli occhi, chiedendosi come fosse possibile che quell’individuo fosse sul serio suo nipote di primo grado, mentre Miss Stevenson fece una risatina divertita.
- Io ho un intuito che non sbaglia mai, detective Flaney! Quando voi due sarete passati per le mani dei miei stilisti, diventerete i modelli di punta del mio Atelier!
Bryan annuì, pur guardando con scetticismo il ragazzo che lo sovrastava, seppur di pochissimo, però, all’improvviso, si fece serio e fissò il commissario, parlando con un tono così ponderato da sembrare un’altra persona.
- No, aspetta un attimo, capo… non posso fare questo lavoro, mi dispiace.
- Cosa?! – esclamò l’uomo, colto alla sprovvista, e Bryan annuì con un gesto.
- E’ lesivo della mia reputazione: tutti penseranno che sono bello ma stupido e che sono stato scelto solo per il mio aspetto fisico. Non voglio un’etichetta del genere.
Il commissario non seppe cosa rispondere, mentre Mark distolse lo sguardo riflettendo con attenzione sulle sue parole; Miss Stevenson cercò di convincerlo.
- Ma… io ho visto anche degli altri agenti di bell’aspetto, però i loro superiori mi hanno detto che non erano idonei!
Bryan scosse il capo, con espressione sempre più greve, e fu in quel momento che il commissario Murdock, che conosceva quella specie di nipote da quando era nato, rilasciò un profondo respiro, rassegnato.
- Forza Bryan… spara. – mormorò, attirandosi le occhiate sorprese degli altri due; il biondo gli rivolse un sorriso obliquo.
- Budget illimitato?
- Sì.
- Carta di credito?
- Sì.
- Cibo e alcool gratis?
- Non si beve in servizio.
- Ma mi annoierò a stare con questo pezzo di legno per tutto il giorno! – borbottò indicando il suo nuovo partner che, a quel punto, decise di non starsene più zitto.
- Senti un po’, ragazzino! Se pensi che subirò in silenzio tutte le tue offese gratuite, ti sbagli di grosso! Portami rispetto, sono chiaramente più vecchio di te e faccio il poliziotto da molti più anni! Se c’è qualcuno che si deve lamentare, quello sono io, perché sono stato messo in coppia con un idiota!
Miss Stevenson impallidì, mentre il commissario guardava con profonda adorazione il ragazzo che teneva testa senza paura a quel ciclone di Bryan; il biondo, dal canto suo, fissò il moro dritto negli occhi, prima di voltarsi con noncuranza verso il capo e parlare con voce annoiata.
- No, mi servono dei superalcolici: il pezzo di legno parla pure, meglio se mi sbronzo quando non siamo in servizio.

Mancava poco a mezzogiorno e Bryan cominciava ad avere una fame incredibile: non gli avevano permesso di portarsi lo zaino con lo spuntino della mattinata e cominciava a diventare nervoso, come ogni volta che non poteva placare il proprio desiderio di cibo. Era seduto ormai da mezz’ora su una poltroncina girevole posta in un’elegante sala d’aspetto all’interno dell’Atelier di Miss Stevenson ed era solo; non aveva acceso il televisore e non leggeva riviste. Se ne stava seduto mezzo sdraiato, con le gambe divaricate, muovendo la poltroncina a destra e sinistra. Si guardava distrattamente nello specchio scuro che aveva di fronte, chiedendosi chi cavolo glielo aveva fatto fare di accettare quell’incarico: era stato torturato per quattro ore da parrucchieri, truccatori e stilisti. Tutti quanti ovviamente gay che ci avevano provato neanche troppo velatamente, palpeggiandolo appena ne avevano avuto l’opportunità; sogghignò, ripensando alle lacrime di quel tizio che gli aveva toccato il didietro con la scusa di prendere le misure, per poi trovarsi con un braccio piegato dietro la schiena, vicino a rompersi. Sospirò, cercando di non pensare a quanto avesse fame e si guardò per l’ennesima volta allo specchio: i suoi capelli biondi erano stati pettinati in modo bizzarro, avevano la stessa lunghezza di prima, però erano sparati in ciocche lisce intorno alla sua testa, facendolo sembrare spettinato ma perfettamente a posto… Lo avevano poi costretto ad indossare una maglia arancione, larga, ma così corta che se solo respirava gli si scoprivano gli addominali… ovviamente sotto indossava dei pantaloni verdi militari, larghi e con una cintura che pendeva sul retro, nella quale era certissimo si sarebbe impigliato più e più volte, con la vita bassissima, in modo che gli si vedesse l’ombelico. Si sentiva un completo imbecille! Senza contare che poi… oddio, si vergognava anche solo a pensare che… aveva indosso un perizoma! Arrossì e si coprì il viso con una mano, lanciando maledizioni a suo zio per avergli affidato quel lavoro, a Miss Stevenson per averlo convinto che poteva fingersi un modello, a quel travestito del suo nuovo compagno perché ci stava mettendo un’infinità di tempo ed agli spacciatori che potevano avere un po’ più di buongusto ed andare a lavorare nei ghetti!
- Ehi, ragazze, guardate un po’ qui! – esclamò una vocetta allegra di fronte a lui; Bryan sobbalzò ed alzò il viso, trovandosi di fronte una ragazza alta e mora, bellissima, che inarcò le sopracciglia sottili quando incontrò i suoi occhi. Altre due ragazze le furono di fianco in un attimo, sorridendo gentili verso il poliziotto.
- Wow! Cavolo, proprio niente male! – esclamò una stangona bionda, prima di piegarsi ed allungare una mano verso di lui, lasciandogli scoprire, attraverso la scollatura della maglia, che sotto non portava reggiseno – Piacere, io sono Karen! Sei un nuovo modello?
Bryan le strinse la mano, annuendo senza parlare e la prima ragazza gli sorrise e si presentò a sua volta.
- Io sono Barbara, tanto piacere!
- Piacere, sono Bryan. – rispose a quel punto, senza particolari inflessioni nella voce. Mentre la terza ragazza si presentava come Paula, le altre due si scambiarono un’occhiata sorpresa, poi Barbara gli sorrise aggiustandosi la cinghia della borsa sulla spalla.
- Sei il primo modello timido che incontro nella mia carriera! – esclamò allegra e Bryan inarcò un sopracciglio: lui, timido? Se suo zio avesse sentito quelle parole, si sarebbe fatto venire un infarto a forza di ridere…
- Ah… no, non sono timido, solo che sto morendo di fame e non sono di buonumore! – rispose sorridendo; Karen, la più sfacciata, appoggiò una mano sulla sua guancia.
- Tesoro, mi dispiace! Ti accompagnerei volentieri a pranzo ma ho una sessione fotografica fra pochi minuti! Però, se ti va, possiamo uscire a cena, una di queste sere, non ho mai visto un sorriso bello come il tuo!
Bryan ridacchiò ed annuì, lasciandosi baciare sulle guance dalle modelle, come gesto di saluto, prima di rimanere di nuovo solo… c’era da divertirsi, lì dentro! Sentì le tre ragazze fare commenti ammirati per un altro modello, alle sue spalle, e le osservò attraverso il vetro scuro dello specchio che aveva di fronte, che occupava tutta la parete, scorgendo un tizio alto con i capelli corti.
Sbadigliò, dimenticandosi tutto quanto non avesse niente a che fare con qualcosa di commestibile, lanciando un’occhiata all’orologio… cinque minuti a mezzogiorno! Non ce la faceva più! Qualcuno gli sedette di fianco e lui lo sbirciò attraverso il solito specchio, mettendosi poi a sbuffare: il modello che aveva parlato con le ragazze…
- Senti, sto aspettando qualcuno, togliti di lì. – bofonchiò, poco gentile, ma l’altro gli rispose con tono ancora più acido.
- Stai aspettando me, imbecille.
Bryan si voltò e lo guardò, con un sopracciglio inarcato: era McCaine! I suoi lunghi capelli castani erano stati tagliati ed ora erano persino più corti dei suoi; lisci, erano suddivisi in ciocche che gli coprivano la fronte, appoggiandosi sulle sue guance ed avevano delle sfumature bionde che prima non aveva notato. Guardò come lo avevano conciato e si sentì un po’ offeso: perché cavolo quel tizio doveva essere tanto elegante, mentre lui pareva un ragazzino uscito dalle scuole medie? McCaine indossava una camicia di seta bianca a fasciargli il busto, il cui unico bottone chiuso era quello centrale, lucidi pantaloni avvolgenti di pelle nera ed anfibi.
- Che hai da guardare? – chiese il moro apparendo imbarazzato; Bryan si voltò verso di lui con la poltroncina, assumendo la sua solita posizione semi-sdraiata, con le gambe divaricate.
- Quanto ci hai messo? Hanno dovuto farti una plastica per renderti decente?
- Forse… invece vedo che con te non ci hanno neppure provato!
Il biondo inarcò le sopracciglia, sorpreso: quel tizio gli teneva testa! Oddio, ora sì che si divertiva sul serio, non aveva mai incontrato nessuno con le capacità ed il coraggio di rispondergli a tono! Si raddrizzò ed appoggiò i gomiti sulle ginocchia, sogghignando.
- Di un po’… che fine hanno fatto i tuoi capelli?
- Ci hanno fatto una treccia. – gli rispose guardingo e Bryan si sporse fissandolo negli occhi.
- Ho sentito dire che le donne piangono quando si tagliano i capelli… tu hai pianto?
McCaine socchiuse gli occhi, avvicinando il viso al suo, minaccioso.
- Non ho intenzione di sopportarti, moccioso, quindi vedi di cambiare atteggiamento. – sibilò; Bryan sogghignò senza spostarsi di un millimetro e, per un attimo, rimasero a sfidarsi con gli occhi a pochi centimetri. Fu McCaine che cedette per primo, ritraendosi con uno scatto e distogliendo lo sguardo, arrossendo leggermente, ma quella fu la sua rovina, perché la mente di Bryan fu attraversata da un pensiero poco sicuro per lui.
- Non ci credo… - mormorò infatti – Tu sei gay!
- Cosa?! – esclamò il partner guardandolo con occhi sgranati; Bryan ridacchiò incrociando le braccia sul petto ed appoggiando un piede sulla seduta della sua seggiola.
- Tu sei gay… ed io ti piaccio!
- Non dire stronzate! – sbottò Mark riprendendo immediatamente il controllo, ma Bryan non lo lasciò continuare e, facendo forza con i piedi, portò la propria poltroncina a sbattergli contro le ginocchia, prima di piegarsi ed arrivare vicino al suo naso; il moro non si spostò di un millimetro, sfidandolo con lo sguardo.
- Sei diventato tutto rosso, McCaine! – gongolò e, con uno scatto, l’altro detective si avvicinò ulteriormente.
- Sono gay, è vero, ma per mia fortuna ho buon gusto! Non potresti mai piacermi, sgorbio!
Come sempre, Bryan non si accorse nemmeno dell’offesa subita, ma continuò a fissarlo con un sogghigno; la situazione fu sbloccata da Miss Stevenson, che entrò nella stanzetta proprio in quel momento.
- Oh Dio… vi prego, non litigate qui dentro! – esclamò preoccupata, avvicinandosi con passettini veloci ai due ragazzi; Mark si tirò indietro lentamente, continuando a sfidare lo sguardo del biondo, che a sua volta aveva incattivito il sorriso. Bryan, però, si voltò con uno scatto improvviso verso la donna, sorridendole allegro.
- Non si preoccupi, non ho nessuna intenzione di litigare con il mio partner! Però, quando sono affamato divento scontroso ed in questo momento sto morendo di fame!
- Allora vi porto immediatamente a pranzo, così vi consegno i fascicoli di tutti i miei dipendenti!
Il ragazzo si alzò con un balzo, dimenticandosi di prestare attenzione a come si muoveva per non scoprire troppo lo stomaco, mentre Mark lo imitò muovendosi compostamente ed entrambi seguirono la donna, che li condusse ad un grazioso ristorantino al piano terra dell’edificio di proprietà dell’Atelier Rococò. Era ancora presto per pranzare e non c’era praticamente nessuno, tranne un paio di camerieri che sorrisero ai tre clienti conducendoli ad un tavolo appartato; immediatamente furono portati loro i menù e Bryan ordinò il doppio degli altri due commensali messi insieme. Preoccupata, Miss Stevenson gli suggerì di stare attento alla linea, ma il ragazzo rispose che non correva pericolo d’ingrassare e che, in ogni caso, non aveva intenzione di fare il modello e non importava se aveva qualche chilo di troppo; Mark, di fianco a lui, ascoltò con espressione rassegnata e chiaramente disgustata gli sproloqui del suo partner. Dalla sua cartella, la donna estrasse un paio di fogli ed una penna, appoggiandoli sul tavolo in attesa delle loro ordinazioni.
- Prima che arrivino altri clienti, sbrighiamo un paio di faccende: mi servono i vostri dati per i registri, in modo da non insospettire i miei collaboratori. – spiegò e Mark inarcò un sopracciglio.
- Neppure loro sanno di noi, Miss Stevenson?
- No, ne siamo a conoscenza solo noi tre, qui dentro… e chiamatemi Mellory, come fanno tutti quanti! – concluse sorridendo; Bryan appoggiò i gomiti sul tavolo, sbirciando verso i fogli.
- Che dati ti servono, Mellory? – chiese curioso e lei gli sorrise.
- Beh, cominciamo da te: nome e cognome esatti?
- Bryan Flaney! – rispose allegro; lei scrisse, contagiata dal suo perenne buonumore.
- Età, altezza, descrizione fisica?
- Ventidue anni, 181 centimetri, 71 kg, biondo, occhi neri.
- Data di nascita?
- 11 ottobre xxxx.
- Bene. Passiamo a Mark.
- Mark McCaine, ventisei anni, 186 centimetri, 80 kg, moro, occhi neri; sono nato il 13 settembre xxxx. – rispose il poliziotto con tono professionale; Bryan ridacchiò, appoggiando il mento sui palmi delle mani, guardandolo di sottecchi.
- Scommetto che era un venerdì. – bisbigliò piano e Mark gli lanciò un’occhiataccia senza rispondere, mentre la donna finiva di scrivere i suoi dati. Il cameriere portò le bevande che avevano chiesto, mentre Mellory metteva il suo bloc-notes nella borsetta, prima di porgere loro la sua piccola valigietta.
- Qui dentro c’è tutto quello che vi occorre, oltre al mio numero di telefono nel caso vi servano informazioni aggiuntive. Mi raccomando, non voglio scandali, quindi cercate di indagare con discrezione.
- Non preoccuparti, io so fare il mio lavoro! – esclamò allegro il biondo, facendo sospirare l’altro; la donna annuì, poi porse loro un ulteriore foglietto.
- Questo pomeriggio potrete conoscere parte dei modelli e dei miei collaboratori, partecipando a queste sessioni di prova. I parrucchieri ed i truccatori li avete già incontrati, vedo! Sapevo che con dei piccoli accorgimenti sareste diventati bellissimi! – terminò raggiante, felice di aver mostrato per l’ennesima volta la sua dote naturale di talent scout.
- Lei sospetta già di qualcuno, Mellory? – chiese Mark, leggendo dal foglietto, ma Miss Stevenson scosse il capo.
- Non riuscirei mai a sospettare di un mio dipendente, mi fido ciecamente di ognuno di loro… credo che se lo spacciatore fosse un mio collaboratore, dovrei andare in analisi per riprendermi dallo shock!
Bryan inarcò un sopracciglio, avvicinando il viso a quello di Mark per leggere dal biglietto gli impegni pomeridiani.
- Qui c’è scritto dove dobbiamo recarci ed a che ora, ma non quello che dobbiamo fare! – esclamò contrariato e la donna gli rivolse un sorrisetto di circostanza.
- Oh, non conosco esattamente gli orari delle lezioni… si tratta di corsi di portamento, danza, recitazione…
Il grissino che stava sgranocchiando andò di traverso a Bryan, che cominciò a tossire sputacchiando sulla mano di Mark; il moro si ritrasse, schifato, porgendogli però il bicchiere per bere. Mellory lo guardò nascondendo un sorriso dietro il tovagliolo ed il biondo si riprese dopo qualche minuto.
- Ehm… perché dobbiamo frequentare questi corsi? – chiese, con faccia preoccupata, ancora rosso in viso; la donna gli rispose esitando.
- Per non destare sospetti…
- Idiota… - mormorò Mark a fior di labbra, prima di annuire e piegare il foglietto, porgendolo al compagno, visto che, pur avendo le tasche, i suoi pantaloni erano talmente attillati che era impossibile infilarvi anche solo un capello; Bryan lo prese guardando torvo il moro, che rispose ai dubbi di Mellory.
- Nessuno si accorgerà che siamo poliziotti, si fidi di… noi…
Quell’esitazione non sfuggì al biondo che, proprio com’era nel suo carattere, invece di offendersi fece un sorriso divertito; in quel momento arrivarono gli antipasti ed il suo cervello si scollegò completamente. Dopo pranzo, pur con riluttanza, Mark dovette ripetergli quello che lui e Mellory si erano detti.

Alle due avevano il primo incontro della giornata, al quinto ed ultimo piano del palazzo interamente di proprietà dell’Atelier; si presentarono con cinque minuti d’anticipo e, entrando nella stanza che fu loro indicata, scoprirono di non essere i primi. Una decina di ragazzi, dai venti ai trent’anni, più cinque o sei ragazze, se ne stavano seduti sulle seggiole disposte contro una parete, chiacchierando allegramente fra di loro; quando Mark e Bryan entrarono nella stanza, gli occhi di tutti si posarono su di loro ed i commenti non tardarono ad arrivare. Ci fu chi si dimenticò subito dei nuovi arrivati, chi li guardò sorridendo, accordando un muto benvenuto, chi li osservò con occhio critico, forse temendo la rivalità che sarebbe potuta nascere; Bryan ricambiò ogni sguardo con un sorriso divertito, mentre Mark abbozzò un saluto generale, prima di dirigersi verso le sedie, seguito dal partner. Il biondo si sedette come suo solito, a gambe divaricate ed atteggiamento alquanto trasandato, mentre il moro si guardò intorno scrutando i visi di chi li circondava.
- Ehi, McCaine… visto quanti polli? Hai solo l’imbarazzo della scelta. – mormorò Bryan avvicinandosi al compagno; Mark lo fulminò con lo sguardo, ma non gli rispose, temendo che avrebbe solo peggiorato la situazione. Un paio di ragazzi si avvicinarono con aria gentile, sedendosi sulle due sedie che stavano appena dietro di loro e Mark si affrettò a voltarsi, incontrando la loro aria amichevole.
- Ciao! Siete nuovi?
- Sì. – rispose, conciso, e Bryan si raddrizzò per potersi voltare di un poco e guardarli. Erano entrambi castani, molto belli e d’aspetto gentile; vestivano in modo assai vistoso, proprio come loro due, ma parevano a proprio agio. Si presentarono come Carl e David e proprio quest’ultimo guardò Bryan piegando la testa su una spalla.
- Ci siamo già visti da qualche parte? – chiese pensieroso, ma il biondo inarcò un sopracciglio.
- Non credo! – rispose voltandosi completamente verso di loro, inforcando la sedia al contrario ed appoggiando i gomiti allo schienale, il mento sulle braccia, scoprendo in quel modo la schiena – Io sono Bry e lui è Mark.
I ragazzi sorrisero anche all’altro poliziotto.
- E’ il vostro primo ingaggio?
- Esatto. – rispose il moro ma, ancora, David fissò Bryan con la fronte corrucciata.
- Sicuro che non hai già fatto qualche servizio fotografico? Mi pare di averti già visto da qualche parte…
- Credo che me ne ricorderei, no? – esclamò il biondo sempre più allegro – Ehi, ma voi due state insieme? – chiese poi, improvvisamente, senza motivo; Mark s’irrigidì temendo un colpo basso ma, incredibilmente, i due arrossirono di poco e si scambiarono un’occhiata.
- Si vede tanto?
- Sì! – ridacchiò Bryan e Mark lo guardò sorpreso: lui non aveva capito che i due ragazzi formavano una coppia, come c’era riuscito quell’imbecille del suo partner?
- E voi state insieme? – chiese poi Carl; Mark si voltò con uno scatto, pronto a negare, mentre Bryan si limitò a ridacchiare, ma in quel momento un uomo entrò nella sala richiedendo l’attenzione di tutti i presenti. Il poliziotto biondo si girò velocemente e l’uomo notò il suo movimento, cominciando ad osservare sia lui sia Mark.
- Salve a tutti, siamo pronti per la nostra lezione settimanale di portamento… vedo che abbiamo nuovi elementi. Volete presentarvi?
Bryan alzò una mano, il sorriso meno accentuato di prima.
- Bryan Flaney, molto piacere! – esclamò sicuro.
- Mark McCaine, piacere. – aggiunse il moro con voce più tranquilla; saluti e benvenuti li accolsero, ma il loro insegnante corrugò un poco la fronte.
- Non vi ho mai visti nel giro… è il vostro primo ingaggio?
- Già. – rispose sintetico Bryan e l’uomo sospirò con aria teatralmente rassegnata.
- Uff, non capisco perché mi mandino nuova gente a corso iniziato! – sbottò con aria piccata, appoggiandosi un dito sulla fronte per un secondo, poi fece una scrollatina di spalle ed alzò il mento, puntando il dito contro Mark.
- Tu, bel moretto, vieni qui e fammi vedere come cammini.
Bryan dovette trattenersi dal mettersi a ridere e guardò il collega con un sogghigno; Mark se ne accorse ma si limitò ad un’occhiataccia, prima di alzarsi ed incamminarsi verso il professore. Non l’aveva ancora raggiunto, però, che già l’insegnante stava scuotendo il capo con aria inorridita.
- Oh, mio Dio! Non è possibile! Ma da dove vieni, i bassifondi? Un modello non cammina così!
I pugni di Mark si serrarono con uno scatto e Bryan si mise una mano davanti al viso per non mostrare la risata che stava disperatamente cercando di trattenere; l’insegnante prese per mano il poliziotto, conducendolo verso un lato della stanza, prima di guardare gli altri ragazzi.
- Ora ti mostro come si fa: Carl, vieni qui e fingi di sfilare.
Il ragazzo, seduto dietro il detective biondo, si alzò ed elegantemente raggiunse il suo maestro; Mark lo osservò con attenzione e, alla sua seconda prova, riuscì ad imitarlo perfettamente. L’insegnante sgranò gli occhi, prima di battere felice le mani, mentre Bryan socchiuse le palpebre, prendendo una decisione improvvisa.
- Oh, mio Dio! – urlò balzando in piedi e guardando con ostentazione l’orologio – Devo prendere la medicina per il cuore, altrimenti rischio di schiattare!
L’attenzione di tutti fu su di lui, mentre si avvicinava velocemente al'uomo ed ai due che avevano appena sfilato; appoggiò le mani sulle spalle dell’uomo, basso e mingherlino, e lo guardò con aria così dispiaciuta da sembrare sincero.
- Mi dispiace, cercherò di fare più in fretta che posso, prometto! Quanto dura la sua lezione? Non voglio perdermela tutta!
- Ah… due ore.
- Due ore?! – sbottò il biondo, ora angosciato sul serio – Ehm… ah, spero proprio di farcela! Ci vediamo Mar…
- Ti accompagno! – lo interruppe il poliziotto moro, fissandolo con aria che non ammetteva repliche, ma Bryan si raddrizzò e lo sfidò con lo sguardo.
- Non serve!
- Invece sì! So bene cosa ti succede se entri in crisi!
Bryan sgranò gli occhi, incredulo, mentre Mark si voltò verso l’insegnante, in cerca della sua approvazione; l’uomo passò lo sguardo veloce tra i due, prima di annuire con il capo.
- Andate, presto! Non preoccupatevi per la lezione, potrete recuperarla privatamente!
I detective annuirono ed uscirono in fretta dalla stanza, dirigendosi verso l’appartamento che Mellory aveva messo a disposizione per loro, all’attico di un lussuoso albergo; mossi pochi passi, qualcuno li richiamò indietro e si voltarono, mentre David correva loro incontro.
- Bryan… starai bene dopo aver preso la medicina? – chiese, preoccupato, ed il biondo annuì, sorridendo rassicurante.
- Sì, benissimo! Sarò come nuovo!
- Riusciresti ad uscire questa sera? – domandò ancora facendogli inarcare un sopracciglio.
- Non credo che Carl ne sarebbe contento…
- Oh, non con me! – esclamò divertito David – C’è una festa al Rainy-pub e volevo invitarvi! Noi ci saremo tutti!
Bryan non guardò neppure il compagno e decise da solo.
- Certo, conta su di noi!
- Ok, allora vi aspettiamo per mezzanotte! Ciao!
I due poliziotti lo salutarono, prima di rimettersi in marcia verso gli ascensori; solo una volta nella cabina, Mark si decise a parlare.
- Potevi inventarti questa balla prima che io fossi costretto a sfilare!
- Oh, non te la sei cavata male! – rimbeccò l’altro sorridendo; il moro sbuffò, ma Bryan si voltò verso di lui e, stavolta, gli rivolse un’espressione sincera e per niente canzonatoria.
- Sai, sei in gamba! Non ho mai incontrato nessuno con la battuta pronta come la tua!
Il collega inarcò un sopracciglio, sorpreso dal tono delle sue parole, più che da quello che stava dicendo.
- E’ un complimento? – chiese, dubbioso, e Bryan gli sorrise allegramente.
- Sì!
- Ah… allora grazie. – rispose fissando il suo viso luminoso; la porta dell’ascensore si aprì e Bryan fu il primo ad uscire, seguito da un Mark dall’espressione contrariata. Il suo collega era un imbecille, doveva smetterla di perdere tempo a contemplare la sua bellezza… anche se quando non faceva l’idiota… Scosse il capo, sbuffando: i momenti in cui Flaney non faceva l’idiota si potevano contare sulla punta delle dita di una mano monca, quindi era meglio se la piantava di spogliarselo con gli occhi!

(Continua)


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