Nota: E' una ficcina che ho scritto in un momento di sclero immedesimando ciò che provo io in un ragazzo che ama uno qualsiasi dei nostri tanti idoli senza poterne mai essere ricambiato com'è nel nostro destino di fan. Poteva essere slash al femminile dato che riguarda me ed una bellissima attrice per cui ho perso la testa ma ... non so perchè ma mi trovo più a mio agio scrivendo al maschile ...
Disco di Giulia Alba
Stavo lì seduto al banco in silenzio. Era già un bel po’ che lo guardavo e quasi tutti quelli con cui ero venuto se n’erano andati. Sembrava un pesce fuor d’acqua in mezzo al locale. Non sapeva ballare e neanche vestirsi a parer mio. Mettersi una tuta da ginnastica, anche se non gli stava affatto male addosso, poteva andar bene per uscire il pomeriggio ma non certo qui in disco. Era un ragazzo atletico, non troppo muscoloso e sicuramente non era a dieta (si era fatto portare tre vaschette di salatini e scolato due coche). Un fatto strano era che non aveva bevuto niente d’alcolico, doveva essere un astemio convinto. Non si era accorto che lo stavo osservando e continuava imperterrito a chiacchierare con i suoi amici anche se la musica ne copriva la voce come se fosse un fruscio e loro fingevano di ascoltarlo muovendo la testa meccanicamente. Probabilmente stava raccontando un mucchio di sciocchezze solo per far finta di essere rilassato in quel casino, ma non mi dava proprio l’idea di uno che sta a suo agio. Parlava di qualcosa che riteneva molto divertente visto come rideva ogni tanto, quando gli altri ragazzi muovevano la testa al momento giusto del suo discorso; forse di una tipa che si era portato a letto. Aveva un bel sorriso anche se sembrava un po’ imbarazzato probabilmente per paura di avere qualche nocciolina tra i denti; almeno così immaginavo. Divenni curioso di sentire quante sciocchezze potessero uscire da quelle sue belle labbra, quando annunciò qualcosa agli altri e si diresse verso il bagno. La scena fu più o meno questa; lui ad entrare e quelli con cui stava ad uscire dal locale in meno di un secondo. Si erano rotti di quel posto da almeno un’ora e non avevano voglia di portarsi dietro tutta la notte un rompiballe ancora sobrio. Forse erano stati costretti a portarlo per convincere i genitori a mollare la macchina, ma non davano l’idea dei bravi bambini che si portano dietro la balia per uscire. Certo mi faceva un po’ pena; chi sa come ci sarebbe rimasto male una volta scoperto di essere stato lasciato lì da solo. E poi, se si erano portati via l’auto, dubito che qualcuno gli avrebbe offerto un passaggio. In tutta la serata aveva evitato qualsiasi tentativo di essere rimorchiato anche quello di una particolarmente audace e insistente e dando per scontato che fosse ancora nel locale immagino che un passaggio quella non glielo avrebbe dato certo gratis. La sua espressione quando, uscito dal bagno, non trovò nessuno ve la lascio immaginare; ma quello che mi preoccupò di più fu la sua faccia quando si rese conto che con i suoi “amici” era sparito lo zaino che aveva dietro con dentro probabilmente chiavi, cellulare e soldi. Girò come uno scemo per tutta la discoteca finche non si dovette rassegnare che gli altri (e le sue cose) avevano preso il volo. Uscì dal locale come un cane bastonato. Ormai non c’era più nessuno che conoscessi lì così non dovetti neanche perdere tempo a salutare prima di lanciarmi fuori appreso a lui. Ci misi qualche secondo a ritrovarlo tra la gente che andava e veniva nel parcheggio. Aveva attraversato la strada e si dirigeva verso il centro della città. Appena lontano dalla discoteca non c’era più anima viva per strada e si sentiva solo il sordo sottofondo della musica confondersi con il rumore dei motori e lo stridio delle frenate. Di sicuro un autobus a quell’ora non lo avrebbe trovato. Non era granché fare conoscenza in una città deserta di notte di fronte ad una discoteca, me ne rendevo conto, ma non era bello neanche seguire quel poveretto fino a casa. Così accelerai il passo ancora non troppo convinto di come comportarmi e senza riuscire a trovare una scusa decente per parlargli finche lui, quando ormai lo avevo quasi raggiunto, non si girò di scatto verso di me. «Perché cavolo mi stai seguendo?» Mi impietrii di fronte a lui con un’espressione da ebete senza riuscire a dire niente fin quando non mi esortò a rispondere con un deciso «Allora?». Il suo tono era aspro e un po’ falsato da una probabile vena di preoccupazione, meno rabbioso di quando si era voltato, ma di sicuro non come quello che poco prima aveva usato per parlare ai suoi amici. Non riuscii a balbettare nessuna scusa e alla fine gli raccontai la verità; che avevo visto che lo mollavano lì da solo e che avevo pensato che gli servisse aiuto. Glielo dissi tutto d’un fiato, dovevo dare l’idea di un ragazzino interrogato alla lavagna. Inizialmente non sembrava molto convinto della mia buona fede nel seguirlo fuori dal locale, ma d’altro canto non lo stavo pedinando da lontano di nascosto quando si era girato e, diciamola tutta, non do proprio l’idea di una gran minaccia. Non sono molto alto (anche se non mi piace ammetterlo) e lui mi superava (più di ben dieci…) di ben più di dieci centimetri e anche fisicamente (le mie capacità erano evidentemente…) la mia forza era evidentemente inferiore alla sua. Insomma anche lui si rese conto che per me non doveva essere una gran idea pensare di aggredirlo anche se di spalle. Dopo un attimo di titubanza mi chiese se avessi un cellulare con me per fargli fare una telefonata. Glielo diedi senza esitare e lo vidi rilassarsi un po' adesso che poteva cercare aiuto. Stava componendo il numero quando si interruppe all’improvviso. Lo guardai un po’ sorpreso. In quel momento interpretai il suo gesto come una diffidenza nei confronti del mio cellulare e questo mi diede fastidio. «Guarda che funziona bene e i soldi ci sono, se poi non ti fidi ridammelo pure.» Allungai il braccio e il ragazzo mi ridiede l’apparecchio. Vedendo che me l’ero presa aggiunse. «Guarda che non devi offenderti, non c’entra niente il tuo cellulare… Non chiamo i miei per non farli preoccupare visto che saranno le tre di notte. Andrò a casa a piedi, anche se mi ci vorrà una vita. Grazie al cielo almeno le chiavi ce l’ho ancora.» Fece un mezzo sorriso forzato probabilmente per cercare di convincere più se stesso che non me. «E vuoi andare in giro a quest’ora a piedi?» Poi mi vergognai di avergli fatto quella domanda in fondo erano affari suoi e se mi offrivo di accompagnarlo chissà cosa avrebbe pensato. Abbassai lo sguardo imbarazzato e decisi che era meglio andarmene. «Scusa, fa finta che non ti abbia detto niente. È meglio che mene vada.» Mi ero appena allontanato, quando lo sentii scoppiare a ridere. Mi voltai sorpreso e lo vidi coprire con poche falcate la distanza tra me e lui e quando fu di nuovo vicino smise di ridere e disse. «Ma perché ti sei scusato?! Piuttosto io dovrei ringraziarti per l’aiuto! So che forse ti chiedo troppo, ma potresti darmi un passaggio? Non credo proprio di poter andare a piedi.» Feci finta di pensarci un po’ su e poi dissi di si molto volentieri.
NON è FINITA, VERO!?(commento della mia amica)
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