DI ODIO DI AMORE
 
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CAP: 39/?
AUTORI: Dhely&Kalahari
SERIE: original
PAIRING: Pirecrate+Pherio; Idrio+Dionide
RATING: NC-17
. angst come se piovesse.
NOTE: i pg ci appartengono!
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Mecenate passeggiava lungo i sentieri del suo parco, godendosi la mattina glorificata d'una luce limpida e calda: sulle colline non lontane, le viti iniziavano a punteggiare di un caldo rosso il paesaggio dorato, mentre le albicocche davano gli ultimi frutti
. Quei persiani! Astuti mercanti, ma anche abili conoscitori delle scienze naturali. Fortunatamente la Sicilia non era come le isolette dell'Egeo: era lontana dai barbari, e per quanto ricca e fiorente nessun popolo sarebbe mai arrivato così lontano da sottometterla. Più a nord, ben al di là della lingua di terra che si vedeva oltre le ultime coste orientali dell'isola, vivevano altri uomini, su un vasto territorio, più giù, più vicini alle estreme colonie greche, su sette colli, ma non mostravano interesse alcuno per il loro Sud. 
 
"Padre!"
 
Mecenate si voltò, sorridendo al figlio che tirava le redini del cavallo per rallentare e affiancarglisi.
 
"Cosa c'è, Grisostomo?"
 
"Gli Spartani sono venuti a trovarti."
 
Guardò in direzione della villa: sapeva che sarebbero tornati presto a fargli visita. C'erano cose che andavano spiegate. C'erano cose che dovevano sapere, e che lui doveva dire, dopo che, per tanti anni, aveva tenuti chiusi nello scrigno del suo cuore.
 
"Grazie, Grisostomo. Tu dove stai andando?"
 
"Crizio e Linteo stan preparando il necessario per organizzare la festa, padre! Te n'eri scordato?"
 
"Mancano ancora cinque lune."
 
"Sì ma tutto deve essere perfetto. Col vostro permesso.."
 
"Và, ma torna prima del tramonto."
 
Grisostomo incitò il cavallo a ripartire, voltandosi, lontano, a salutare con una mano in un gesto di gioia.
 
Mecenate ricambiò e si voltò per tornare a casa. Chissà cosa stava combinando Grisostomo. Sedicenni.
 
, tanto presto lo sarebbe venuto a sapere.
 
Non per niente. Era il tiranno, a Siracusa.
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Due giorni: aveva tenuto un buon passo, seguendo un sentiero ben scavato e a volte disagevole, che fiancheggiava la costa e poi rientrava nel bosco e ancora tornava vicino alle scogliere basse, ma irte. Nulla a che vedere con le foreste intorno a Sparta, ai loro fitti e spessi rami, piene di verde, alte quasi a toccare il cielo. Gli era venuta nostalgia di quei luoghi che aveva conosciuto sino in fondo, da bambino, e quasi anche delle notti passate insonni, solitarie, tra le muschiose radici degli alberi ad attendere, forse da essi, la risposta ad una domanda che non sapeva neppure porre. Aveva dormito da solo, dopo tanto tempo. Ed era così abituato alla presenza di qualcuno al suo fianco, chiunque esso fosse, che non immediatamente s'era accorto di quello che gravava sul cuore, appoggiando il capo su un tronco, sfinito.
 
Per la prima volta in vita sua, però, non s'era addormentato subito: nella mente s'erano affacciate tante immagini, che l'avrebbero accompagnato nell'oblio con un velo di tristezza nel cuore. E quel cuore, la mattina, s'era svegliato battendo, con forza, quasi a voler destare e spronare la mente, ché a soffrire così non ce la faceva più. Allora s'era messo a correre, fino a che il sole s'era alzato alto. A mezzogiorno era giunto, finalmente, alla sua meta.
 
Un sentierello scarno che si inoltrava nella macchia di alberi dai rami sottili, spinosi. Vi si era immerso, aveva messo un piede dopo l'altro sui ciottoli franabili, aveva sollevato la fronte per guardare, ma il piccolo paese arroccato intorno alla spiaggia alta era scomparso nascosto dalle foglie spesse. Si districò dagli ultimi rami insolenti, fissando la piccola casa. Un sentiero, dal lato opposto saliva da una depressione e conduceva verso l'entroterra e, molto probabilmente, a un fiume generoso. Pirecrate si mise una mano sul petto, inconsciamente, avanzando. Una donna uscì fuori dalla porta, non più nel fiore degli anni, ma con uno sguardo preoccupato. Lo alzò verso di lui, arricciando le sopracciglia scure, gli chiese 'cosa
mai desideri'.
 
Pirecrate aprì le labbra, e glielo disse con una tranquillità che non seppe comprendere dove si trovasse in .
 
Lei non mostrò segno né di stupore né di altro, gli disse semplicemente di aspettare lì e si ricacciò dentro le mura spoglie della dimora piccola e dignitosa. Non si sentì parlare, ma qualche movimento, sì. Uscendo poi, lei portava un secchio tra le mani, annunciando di andare a prendere un po' di acqua fresca, gli si avvicinò con uno strano sguardo, morbido e penetrante insieme, gli disse:
 
"Se hai qualcosa da dirgli. digliela in fretta, Dimano. Ma ricorda d'essere al capezzale d'un uomo morente".
 
...
 
"Pirecrate?"
 
La voce ferma e morbida di Pherio lo fece rinsavire, sobbalzando, e si rivide nuovamente entro il comodo salone, e risentì di nuovo, con un piacere impronunciabile, il calore della pelle dell'altro, seduto accanto a lui. Gli strinse la mano, sorridendo con timidezza. Si scambiarono un bacio, un tocco di labbra che parve durare un istante ma che sarebbe bastato a dargli forza per combattere tutti i Titani che mai fossero stati generati da Gea Madre.
 
Mecenate batté le mani, incedendo verso di loro dopo aver detto qualcosa ad un servo.
 
"Conoscete la Gara dei Baci, Spartani? - sorrise, l'uomo, gentile, un tocco di malinconia in quelle iridi profonde - Credo di no. Vi partecipano i giovinetti, e voi siete troppo grandi, ormai, ma credo che avreste sicuramente il primo premio. Chissà, forse i vostri figli..!"
 
Pherio era già arrossito vistosamente, come Pirecrate mai credeva sarebbe successo innanzi a qualcun altro, e per sciogliere l'attenzione dall'imbarazzo del compagno si alzò in piedi, annuendo col capo. Mecenate fece altrettanto, portandosi una delle braccia aperte in segno d'accoglienza sul fianco, mostrando la via per un'altra stanza.
 
"Egli come sta?"
 
"E' morto."
 
Un respiro addolorato, gli occhi che si chiusero.
 
"Lo temevo. Sei riuscito almeno ad incontrarlo?"
 
Pirecrate abbassò lentamente il capo.
 
"Sì. Mi ha detto di ringraziarti. - prese un respiro che a fatica, pareva, gli entrava nei polmoni. Parlare di quello . non voleva, non aveva mai voluto. E amava Pherio anche perché nulla gli aveva domandato, né chiesto, né preteso, anche se sarebbe stato suo diritto. Ma ora era tempo di dire quelle parole, era giunto il tempo di far sapere che ... che Pirecrate adesso *sapeva*, forse non aveva capito, ma sapeva, aveva visto. Ed era come arrivare in fondo ad una gara estenuante. Era suo dovere. - E anche io mi sento in dovere di farlo."
 
"Figliolo, non hai da ringraziarmi, perché sono io a doverti dire grazie: non tutti sarebbero andati."
 
Scosse il capo come un cucciolo seccato.
 
"Sparta ha insegnato l'onore e la pietà filiale a tutti i suoi abitanti, Mecenate. Anche se alcuni non han mai compreso la lezione."
 
"Dove lo hai seppellito?"
 
"Perché?"
 
Una pausa lunga, dolorosa. Il volto di quell'uomo si crepò sotto il peso d'un ricordo lontano.
 
"Era
un mio amico. Ci conoscevamo da tanto. - passò gli occhi su Pirecrate, di fronte a lui, e Pherio, un po' discosto. Tanto simili ai loro parenti da esser stata quasi una pugnalata in pieno petto il vederli. Ma loro due non erano colpevoli di tale somiglianza e, anzi,  Mecenate aveva iniziato a pensare fosse una buona cosa: come se, con Pherio e Pirecrate, Kakeo e Aristide avessero avuto una nuova possibilità. - Vedete, voi siete giovanissimi. Per quanto i vostri occhi abbiano visto, tanti anni vi separano dalla mia generazione. Kakeo e Aristide, alla vostra età, furono in guerra. Non una delle piccole guerre con gli Iloti, no. Fu un fratricidio terribile, una storia molto lunga di cui gli Spartani non parlano spesso perché brucia ancora, e forte. Persero entrambi i loro genitori, quei ragazzi, e gran parte degli zii; loro, invece, non riuscirono a morire. Dopo tanti anni, ci si rende conto che gli dei han voluto salvarli, sebbene a quel tempo parve un'onta inestinguibile. Pherio, credo tu sappia l'importanza che Kakeo s'è preso non solo in Sparta, ma in Grecia. Non c'è politico che non lo conosca. Mentre tu, Pirecrate, probabilmente non sai nulla di tuo padre, semplicemente perché quel che fece la sua mano destra non lo seppe mai la sua sinistra, e furono cose degne del cuore più nobile. Non intendo infastidirti, so quel che ti costa, ma, ti prego, ascoltami. La verità può far male, sul momento, ma è il miglior scoglio su cui farsi le ossa.
 
Aristide si sposò giovane, come tutti gli altri, ma la stessa notte delle nozze, tutti gli Spartiati furono tirati giù dai loro letti e mandati, senza una spiegazione, verso Nord. Queste son cose abituali: combatterono, a lungo  Kakeo rischiò di morire. Fu Aristide a salvarlo. Ora che sono entrambi morti, posso parlare. Kakeo giurò che avrebbe ucciso chiunque avesse osato solo guardare Aristide in maniera cattiva, in cambio della salvezza donata. Non era felice di esser sopravvissuto a un grande scontro come quello, tuttavia già iniziava a intuire che la sua strada era un'altra, e non si uccise per l'onta. Aristide, inutile dirlo, non accettò mai il contraccambio. Fu in quel tempo che io li conobbi. Ero ateniese, ero un attore."
 
Per un attimo si interruppe, guardando lontano.
 
"Il mio migliore amico si chiamava Positte. Era un po' più giovane di me, ma era una persona molto fiera ed orgogliosa. Aveva una moglie insopportabile e  quando sarà il momento, voi due vedete di fare bene la vostra scelta. Lui era stato costretto a sposarla: suo padre era molto ricco, un mercante di scudi, un uomo venale. Lei anche: avida e arcigna. Almeno non era brutta. Positte andò ad abitare in una grande casa e non ebbi modo di vederlo molto per un po' di tempo. Intanto l'uomo che m'era stato amante fino ai miei diciotto anni morì, senza figli. Venni a sapere solo molto tempo dopo di aver ereditato tutta la sua fortuna, e già qualcuno se n'era appropriato. Cosa c'entrano Kakeo e Aristide con questa storia? Ebbene: scoppiò una gran lite con Tebe, Sparta e Atene si affiancarono. Combattemmo, per mesi, ma quando sapemmo che l'esercito persiano aveva impugnato lance e scudi, ci sentimmo atterriti. Non era paura, assolutamente no. Era l'orgoglio che ribolliva. Ci fu una corsa alle armi, e, come potete bene immaginare, la fabbrica di scudi ereditata da Positte divenne molto importante. Io, invece, avevo iniziato la carriera di logografo. Venni a sapere di alcuni maneggi, di alcuni affari che riguardavano Kakeo e la fabbrica di Positte, ma non solo. Erano entrambi ambiziosi, in una certa maniera simili. Fui costretto, per motivi personali, a viaggiare, e conobbi il grande Panfilo. Guardandolo, capii subito che qualcosa sarebbe accaduto, e presto.
 
Per farla breve: morì il vecchio re persiano. Il figlio era un inetto, sciolse le armate. Noi ci ritrovammo pieni di armi, e senza il pane. Scoppiò un'altra guerra, e questa la conoscete bene: tra Sparta e Atene, più di quindici anni fa. Tebe s'era ritirata, astutamente, munita d'un commercio ferreo con cui presto riuscì a tornare florida e serena, unica isola felice in un mare di sciagure. Intanto noi guardavamo al raccolto del Peloponneso, ricco e fiorente, che presto sarebbe stato da mietere; e voi guardavate quello dell'Attica, e alle nostre colline dorate e al nostro olio.
 
Io, per i miei meriti oratori, fui incaricato d'ambasciare. Ebbi modo di parlare con Aristide: era anche lui un buon diplomate. Fu l'unico che, in tutta Sparta, volle almeno ascoltare le nostre condizioni. Quando le udì, fu il primo a sdegnarsi. Non erano irragionevoli, ma così van queste cose.
 
Venni a sapere più tardi che qualcosa non andava nella vostra vita politica. Aristide e Kakeo si fiancheggiavano in battaglia e condividevano gran parte della vita, ma qualcosa li divideva senza scampo alcuno: Kakeo stava mirando in alto, stava organizzando complotti impensabili da nessuno, se non da una mente eccezionalmente astuta. Gli andò male: Aristide uccise, in battaglia, Positte, la pietra di volta dei suoi piani. Kakeo si adirò, ma non fu soltanto questo il motivo della sua furia. Infatti, oltre a questo, Aristide in battaglia, trovò il figlio di Positte. Seppe che tutto era stato organizzato: che ci faceva un bimbo in un campo di battaglia, fuori dalle mura? Comprese la verità: Kakeo aveva corrotto degli uomini, voleva l'erede ricchissimo di Positte, per poterlo ricattare in seguito. Ma qualcosa era andato storto: il bambino era sfuggito dalle mani di chi avrebbe dovuto consegnarlo. Se Positte avesse accettato le condizioni di Kakeo, l'economia di Atene avrebbe subito un brutto colpo. Adesso però Positte era morto, e se il bimbo fosse arrivato nelle mani di Kakeo (e sarebbe accaduto se Aristide non avesse scelto quel che scelse) sarebbe stato patteggiato da Atene ma, più probabilmente, gli Spartani l'avrebbero crocifisso sulle bianche rocce dell'Eurota affinchè tutti sapessero. Invece gli dei vollero che Aristide lo trovasse. Si sdegnò tuo padre, Dimano, con Kakeo, né voleva che un bimbo morisse così. Lasciò Sparta, con la morte nel cuore.
 
Come lo so? Venne da me, mi chiese di aiutarlo a renderlo uno di loro. L'unica cosa che riusciva a farlo uscire dalla cupezza, e ne sarebbe morto, era il bambino che aveva salvato."
 
"Quale era il nome del bambino, Mecenate?"
 
"Idrio."
 
Pherio distolse gli occhi, come se quello fosse troppo. Per *lui*.
 
Sì, sì. Per lui, non per Pirecrate, quello era *troppo*.
 
Per un attimo gli mancò
il fiato, tanto forte gli batteva il cuore in petto. Per un attimo ebbe la sensazione di aver perduto tutto, ogni cosa, come un capogiro, un'impossibile debolezza alle gambe.
 
Fu la voce di Pirecrate a dargli un appiglio.
 
Fu la mano di Pirecrate che si strinse con forza alla sua, inconsapevole, a tenerlo in piedi. Si sentì come Euridice accompagnata da Orfeo lungo i sentieri bui che riconducevano alla luce, orante con ogni forza nel cuore che l'amato non si voltasse. Ché i suoi occhi l'avrebbero distrutto. Ché quello sguardo, quella consapevolezza, ora, l'avrebbe relegato per sempre in un limbo terribile, non di tormenti senza fine ma di algida indifferenza. Di nulla.
 
"Dunque Idrio è . - una pausa, un sospiro - mio fratello. Ecco cosa ci legava. E non l'avevo capito".
 
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Luce: incredibilmente, impossibilmente la luce era ovunque
. Come se il sole fosse esploso e migliaia di lampade incandescenti volteggiassero leggiadre nel cielo a ricordare quel grande falò che era stato re della volta.
 
Pirecrate parlava con calma, di tutto e di nulla, con una voce piana, serena spingendo avanti ed indietro il dondolo, carezzando il collo di Pherio, rannicchiato contro di lui con una coperta di lana sulle spalle. La pelle chiara scivolava sotto i suoi polpastrelli come se fosse stata di velluto caldo, anche se, sotto la sua sottile consistenza, sentiva il sangue correre rapido, troppo rapido, seguendo le contrazioni di un cuore che pareva stare singhiozzando, impossibilitato a calmarsi, anche calato com'era nella pace totale com'era ora.
 
"Pirecrate, voglio chiederti una cosa."
 
"Tutto quel che desideri."
 
"Cosa accadde a Firuzeh?"
 
Un sospiro, una mano si sollevò tra i capelli, saggiando la loro morbidezza tra le dita, ma in una movenza che sembrava volerli schermare da qualche male. E la dolcezza, il rimorso gli riempirono quelle iridi luminose e dense una sorta di pudore guerriero ringraziò che Pherio non stesse guardando, anche se sapeva che i suoi sentimenti, il suo compagno poteva leggerglieli dentro senza la minima fatica.
 
"Mi era stato detto che Idrio era stato venduto dai Panfili, e che tu eri coinvolto."
 
Un sorriso amaro e consapevole piegò le labbra di Pherio, all'improvviso dure, severe. Come qualcosa che si spaccasse giù, dentro. Pirecrate udì il suono sgradevole come di qualcosa che venga lacerato. Una vela strappata dal vento troppo forte. Quell'espressione lo resero simile a Kakeo, più di quanto lui stesso avrebbe preferito ammettere.
 
"Astre.."
 
 "Sai qual è la cosa strana? Dentro soffrivo perché credevo fossi tu ad aver compiuto quelle cose, te che avevo sempre reputato retto e onesto. E che stimavo. Da sempre. -lo strinse di più a sé, il volto cercò il petto per sfregarsi, e per sfregarsi la guancia cercò i capelli. Le spalle di Pherio si ammorbidirono - Ma da adesso, sai Pherio?, tutto potrà cambiare, persino noi. Ma io sarò per te, tu sarai per me."
 
Un paio di occhi aperti, sbigottiti e luminosi più di tutte le stelle che brillavano su di loro si sollevarono su di lui.
 
"E' un giuramento."
 
Un'affermazione non una domanda, perché non c'era bisogno di risposte.
 
"Sulla luce del giorno, sulle rive dello Stige violaceo e oscuro."
 
"Sulle stelle."
 
"Su Atlante."
 
"Sulle colonne di Ercole."
 
"Sui nostri antenati."
 
"Sui nostri giorni."
 
"Sul tuo cuore, Pherio."
 
"Sul tuo cuore, Pirecrate."
 
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 Era impudico guardarlo attraverso i vuoti lasciati dagli intarsi del pannello di legno, scolpito, vederlo mentre si versava l'acqua sulla pelle e voltava intorno il capo dai riccioli umidi e pesanti, alla ricerca dei saponi e degli asciugamani, mentre le mani passavano le spugne intorno al collo, sulle spalle e sulle braccia alate. Ma Dionide, in malìa d'un tale piacere, sapeva che avrebbe dato tutto per poterlo stringere adesso tra le proprie braccia, ardente d'un desiderio che annullava il tempo e lo spazio, stringendosi in un anello soffocante e denso intorno al presente. Camminando al fianco della grande finestra che svelava e copriva si sciolse la lunga stoffa avvolta intorno al capo, liberando le onde dell'ebano scuro, slacciandosi i nodi del mantello.
 
Idrio si voltò verso di lui, sospendendo quel gesto soave d'accompagnare con piccole oscillazioni del braccio i movimenti della spugna dall'omero in giù, ritirando la mano sul petto e lasciando andare la spugna, per versarsi addosso un catino d'acqua calda.
 
"Il viaggio è stato lungo e difficile, lo so. E' la terza casa che cambiamo, ma questo è necessario. Perché non mi passi la spugna -suggerì, tenendo fissi gli occhi su di lui, con, sul volto, ombreggiato a tinte serene un sorriso; già si sfilava gli stivali di pelle finissima, facendo leva coi talloni- Potrei lavarti bene la schiena".
 
Il Greco tolse il viso al suo sguardo, a malapena reprimendo un'amara espressione. S'alzò, si coprì le membra con un lungo telo scuro, un colore che rendeva la sua pelle più luminosa; diede un bacio alle labbra rimaste senza parole, stupefatte, un bacio dolce e caldo. Riuscì a privarsi di quella bocca e a far per continuare il proprio cammino. Dionide prontamente lo fermò, facendolo voltare con la delicatezza che avrebbe usato per schiudere le mani per far volar via, illesa, una farfalla.
 
"Idrio, ti prego, so che qualcosa ti turba. Non me lo vuoi far capire? Sei libero, non ti costringo. - il suo volto gentile si fece espressivo, un'ombra profonda fra quegli occhi incredibili - Ma mi fai vivere con l'idea che non posso aiutarti in nessun modo in questa maniera. E' la voce? Ti giuro che sto cercando in tutti i modi di sbrigare le faccende che devo ad Astre, e non manca molto: non tutto compete a me. Tra tre, massimo quattro giorni, avremo la luce del sole tutta per noi. Ascoltami: è accaduto qualcosa quando hai aiutato Pherio. Lo so, e meno di quanto lo sappia tu. Se continui così, però, se non mi dici, io ho i piedi legati. Non scappare! Ricordi la prima volta che ti ho sentito cantare? Sì, ma forse, le altre, appartengono tutte a un indistinto passato. Io invece tutte le ricordo, tutte le conservo nel cuore, e non avere accanto a me la tua voce mi è causa di grande sofferenza. Nonostante questo, mi basta guardarti per sentire in me i medesimi desideri, mi basta baciarti per vivere i medesimi sentimenti di quelle volte; io ti amo. Ti amo, anima mia."
 
Idrio lo respinse
, con forza, con lacrime non versate negli occhi. S'allontanò, in fretta, non curandosi che i marmi fossero bagnati e che rischiava di cadere.
 
Dionide non capiva, non poteva capire.
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Pherio s'era alfine addormentato, calmando in parte i battiti impazziti del suo cuore, consolato, rassicurato da mille e mille parole sussurrate, da infinite lievi carezze che faticava sempre ad accettare, ma di cui, il Dimano sentiva, aveva bisogno come un fiore della luce per riuscire a sopravvivere. Pirecrate aveva tenuto poggiata la guancia tra i suoi capelli, osservando il mare mescolarsi sotto i raggi argentei della luna.
 
Il gattino che, raccolto pochi giorni, già ardiva conquistarsi valorosamente un posto sul grembo rannicchiato dell'uomo chiaro, tra le mani di Pherio che inconsciamente l'aveva accolto, proprio non c'era stato modo di tenerlo lontano. Il dormiente non sapeva che tra il micetto, che sarebbe divenuto un gattone fulvo, e il guerriero era in corso una lotta per decidere chi avesse il primato su di lui, e i litiganti si lanciavano ogni tanto occhiatacce di fuoco ma, in fondo, era il gatto il più tranquillo: posava appena il piccolo capo dalle orecchie aguzze sulla pronunciatura del pollice, mordicchiando ogni tanto in maniera tenera, quasi a volerlo marchiare ma senza lasciare i segni dei suoi dentini aguzzi sulla pelle troppo chiara. Lo Spartano invece non riusciva a riposare e, nonostante questo, si sentiva bene ad avere Pherio così vicino, tra le braccia.
 
Durante quella lunga notte, molti furono i suoi pensieri.
 
In essi c'era suo padre e il suo sguardo sereno, felice da far male al cuore  mentre chiudeva le palpebre e benediva il suo capo con una mano tremante. Anche ora, il Dimano non sapeva perché l'anima, colma di tanto rancore, si fosse piegata a provare un sentimento tanto struggente. L'odio, la rabbia cieca, erano evaporati innanzi ad Aristide: non gli aveva rinfacciato nulla, l'aveva ascoltato o, di più, l'aveva osservato mentre moriva con dignità, null'altro. Ora riusciva anche a immaginare che avrebbe pure benedetto quella unione tra il suo unico figlio e il più giovane erede di Kakeo: forse… però gli piaceva pensarlo. Gli piaceva immaginare di creare il suo stupore, e forse pure il suo sdegno che poi si sarebbe stemperato in uno sguardo paziente che sapeva di comprensione. No, non era difficile, ora, rivolgere l'animo alla figura di suo padre, e ciò causava meno dolore di quanto avrebbe mai potuto pensare.
 
Pirecrate  passò una mano tra la ciocche dorate di Pherio, lungo la nuca chiara ancora poco coperta da quei capelli che, un tempo, erano stati lunghi come una cascata impossibile da fissare direttamente sotto la luce aperta del meriggio. Sentì dentro sgorgare una nuova tristezza, ancora più profonda più lancinante: quante volte aveva offeso Pherio per le sue origini? Pherio che era così bello. Il suo corpo che era immagine della sua anima, e così pure erano che sembrava impossibile foss'egli un uomo. Come aveva potuto pensare che fosse meno di un uomo, meno di un libero, di uno spartano, lui, che accompagnava il suo essere con l'innata nobiltà effusa intorno a lui come un manto divino? E anche se gli insulti erano stati ampliamente ricambiati da una lingua astuta e tagliente, amara e velenosa, e potevano dirsi pari, il pensiero di aver potuto rivolgere parole ingiuriose verso quell'anima splendida, di aver criticato aspramente quei colori solari, gli toglieva il fiato dalle labbra. E allora esse si torcevano, si increspavano come il mare scosso da una forte ventata, e la presa intorno alle spalle del compagno si faceva più salda, più consapevole. Fino a che Pherio non fosse tornato davvero sereno, non si sarebbe più allontanato da lui: durante il colloquio con Mecenate era impallidito più di una volta, più di una volta aveva perso il ritmo di un passo, rimanendo più discosto o più indietro, come temendo che da un momento all'altro uno spettro avesse potuto gettarglisi addosso, e tagliargli il collo con le zanne. Un timore che non doveva albergare nel petto o nell'anima di Pherio, che mai aveva agito come un vigliacco, che mai aveva mostrato di tremare, imbelle, di fronte a qualunque pericolo il destino gli avesse parato di fronte.
 
Pirecrate rabbrividì quando, come echi che tanto avessero vagato nell'oscurità, risvegliati da un movimento troppo brusco dell'animo, gli rimbombarono nelle orecchie le parole velenose e terribili di Polinice. Il suo compagno si scosse, ciondolò col capo, cercò l'equilibrio poggiandogli le mani sulle cosce, come se fosse troppo stanco, troppo stremato per mostrare una reale attenzione.
 
"Cosa c'è Pirecrate.?"
 
Gli occhi azzurri si illuminarono sotto le sopracciglia castane e i capelli, in ciocche scomposte e leggere, circondarono in morbidi movenze i fianchi del volto. Leonida lanciò un piccolo miagolio.
 
"Niente. Mi son svegliato di soprassalto".
 
Ancora troppo assonnato, Pherio sorrise, dandogli un bacio sulla guancia, riaccostando la propria, morbida come quella d'un fanciullo ancora imberbe quand'egli era già definitivamente un uomo, al suo collo.
 
"Stai scomodo..?, forse. è meglio alzarci.."
 
Nel tempo di uno sbadiglio si riaddormentò. Pirecrate lo prese tra le braccia, accogliendo sui muscoli saldi anche le coperte che, morbide, proteggevano le membra chiare dal freddo, ed entrò in casa, adagiandolo su un letto. Chiuse le imposte, andò a prendersi un'altra coperta e, con essa, avvolse se stesso, Pherio, il gatto.
 
Lo ricordava quand'era bambino: chiaro e sottile, silenzioso come se fosse solo il simulacro d'un essere vivente, ma attento, sempre attento con quegli occhi mobili che sembravano animati da un fuoco a cui mai nessuno di loro si era scottato. Ricordava bene il suo modo di muoversi, durante gli allenamenti, e sempre, con una leggerezza invidiabile, un'eleganza che nessuno di loro, più forti e più pesanti, poteva sfoggiare, e quel corpo, poi, che sembrava sottile come una canna e altrettanto semplice da spezzare e che, invece, flessuoso come un giunco, riusciva a sopportare così tanto ritornando alla fine sempre eretto, con quegli occhi chiari, due pozzi di luce.
 
Gli occhi, quegli occhi, incastonati su membra chiare e lunghe, eleganti e sottili. Era sempre stato bellissimo. Lui, e gli altri suoi compagni se n'erano accorti tardi, ma ora Pirecrate poteva comprendere cosa nascondevano gli sguardi di alcuni dei commilitoni più anziani, e dei maestri e degli adulti, quando si posavano su di lui: una meraviglia inusuale e attraente. Troppo attraente, forse, se tutti quei doni erano posati nel corpo di un fanciullo giovinetto, immaturo ed acerbo, troppo giovane perché avesse un amante ma così . invitante, in un certo modo, come se non fosse altro che un frutto che chiedesse d'esser colto.
 
Al pensiero che Kakeo avesse potuto fargli quel che Polinice aveva asserito, senza che nessuno potesse non solo opporsi, ma pure esprimere una qualche forma di dissenso ... quell'idea gli gelò il sangue nelle vene, bloccandogli lo stomaco in un nodo di metallo incandescente. Non lo fece dormire tutta la notte. Come se un fantasma avesse potuto ghermirli, sorpresili nel sonno. Non sapeva come avrebbe potuto difendere se stesso e il suo compagno, ma lo avrebbe fatto.
 
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Due fiaccole soltanto cerchiavano d'una rossa luce il corridoio, poste agli estremi e in lontananza, cosicché il centro del passaggio restava completamente al buio: durante la notte i rari uomini che di lì passavano pregavano che nessuno spirito maligno li insidiasse prima di venire accolti nella sala della vasche termali. I vapori e un'improvvisa aria gelida di fuori si incontrarono e abbracciarono, ghermendosi l'un l'altra. Idrio rabbrividì, i capelli gocciolanti e freddi, cercando appigli su una parete per rialzarsi, mentre la caviglia in fiamme e dolente batteva, insopportabile. Non trovò prese per dita congelate, insensibili al tatto, e si rannicchiò contro il muro, combattendo contro il battito incontrollato dei denti ma poggiando la guancia rovente, ché l'aveva battuta cadendo, sulla pietra: non sarebbe giunto da nessuna parte se i sentimenti avessero continuato a dominarlo in quella maniera e l'ultimo suo desiderio era, ora, farsi trovare da Dionide in quelle condizioni e non riuscire a resistere a una profferta d'aiuto. Come la bramava in cuore, come l'avrebbe volentieri abbracciata con tutto l'essere, eppure non era quella la via che avrebbe facilitato le cose.
 
Prese un respiro profondo, rabbioso, mettendosi in piedi e cercando di trovar la maniera di camminare e arrivare nelle stanze. Almeno per trovare una fascia, o degli unguenti che non gli avrebbero fatto gonfiare la caviglia: sapeva come usarli poiché aveva visto Dionide medicare, e con lui gli anziani tuareg.
 
Come la Luna nera s'alza ben oltre l'orizzonte e solca il cielo non vista, così una figura si mosse nel cono d'ombra senza che i passi suoi risuonassero per il corridoio. Idrio si schiacciò contro la parete, cercando di afferrare la sua posizione ricorrendo all'udito finissimo; intuì, non lontano, uno sguardo rivolto a lui e, quando tentò un passo, avventato, in avanti, col piede sbagliato, si sentì sostenere prontamente con un braccio che frenò la discesa delle mani già tese in avanti per non battere nuovamente il volto.
 
Un'aura tiepida lenì la sofferenza delle membra infebbrilite dal freddo, e un persiano perfettamente pronunciato uscì da labbra invisibili. Ma, intuì, non era la lingua di quelle labbra. Non sentendo risposta, egli lasciò che tornasse sul proprio equilibrio, affondò le mani tra stoffe e le pose sulle fronte e sul capo per avvolgere di lino e lana le tempie. Sentendo l'umidità delle lacrime sulle guance gliele sciugò, con delicatezza.
 
I polpastrelli toccarono le sopracciglia, gli occhi, la fronte e il naso; seguirono la linea delle labbra come si testa la pelle d'un frutto per dirne la specie, e poi un sorriso sembrò brillare nel buio quasi totale.
 
"Un Greco - pronunziò nella sua lingua nella maniera spigliata e morbida in cui soleva pronunciarsi Dionide, ma con un'intonazione molto più marcata e musicale - Ti accompagno alla fine del corridoio."
 
Tentò, istintivamente, come se l'animo si fosse sentito toccare troppo nel profondo, di declinare la gentilezza, ma non poté. Si aggrappò al braccio e passo dopo passo, con gentile e calda pazienza, egli lo scortò. Poco prima di giungere sotto la fievole luce, si chinò ad avvolgergli la caviglia col un drappo di lino sfilato dal corpo, e lo assicurò con un buon nodo.
 
"Fa' attenzione, hai caviglie sottili e potrebbero rimanerti rovinate se non gli presti cura. Fatti medicare da un buon medico, o Greco."
 
Idrio arrossì, chinando il capo di lato, lasciandosi teneramente tamponare la distorsione. Prima che gli sfuggisse, lo trattenne per una spalla, gli fece comprendere la richiesta di farsi vedere sotto la luce. Lo straniero gli mise un mantello sulle spalle, dicendogli che non poteva, ma che se si fossero reincontrati, di sicuro l'avrebbe riconosciuto.
 
 
Una voce risuonò, tonante e cupa, dalla stanza delle fonti.
 
"Sei impossibile!"
 
Una risata sardonica echeggiò, schernitrice. Idrio rabbrividì, stringendosi nel manto, ricordando che poco prima era stato proprio Astre l'ombra filata dritta, altera, verso le stanze termali. Lui e Dionide litigavano. L'uomo gentile sussurrò:
 
"Va' via adesso. Quella è gente con cui è meglio non avere a che fare".
 
Sussultò, sentendo che avrebbe dovuto sentirsi in pericolo, ma confidando in quello stesso istinto che lo aveva spinto ad accettare l'aiuto di quell'uomo …

 

E fece come era stato esortato. Si voltò, sotto la fiaccola ardente, e sulle guance rosee si riflesse la porpora del fuoco, e gli occhi scintillarono come smeraldi trafitti dalla luce. Ringraziò con un cenno profondo del capo, distolse gli occhi. Quelle mani gentili premettero sulle sue spalle, e gli fu chiesto di non voltarsi, di non vedere. Chiuse le palpebre, tirò indietro le braccia, osò sfiorare il suo volto con dita tese e affusolate, forti. Altre dita vi si intrecciarono e riportandole avanti, prendendolo per la vita, lo sollevò.
 
"Perdonami, ma non posso stare qua un respiro di più."
 
Usciti, con due balzi silenziosi salì i cinque gradini che conducevano a un altro corridoio, più breve, più illuminato. Idrio rimase stregato nei capelli lunghi e neri, ondulati, che seguivano i movimenti felini delle membra. Gli parve familiare, terribilmente familiare, e le sopracciglia si aggrottarono nello sforzo di comprendere perché tanto gli ricordava, in quello, Dionide.
 
Un altro scroscio di risa: acri e violente. Acuminate di scherno.
 
Astre rideva, beffeggiando Dionide mentre s'immergeva nella vasca tiepida d'acqua profumata, che riempiva la sala di densi vapori.
 
"E poi, dunque, che altra idea ridicola ha partorito la tua mente geniale, mio fedele? - l'espressione di Astre era terribile, chè quella fede tanto sincera e profonda era stata infranta da l'unico colpo che tanto a fondo potesse penetrare nel cuore del Re, e spazzato ne era stato, via, ogni frammento. - Anche se m'agghindassi di peli, come una scimmia, ben pochi mi riconoscerebbero, non credi? O forse farmi assumere le vesti d'un animale non ti pare troppo umiliante? Preferisci qualcosa che sottolinei meglio il mio... esserti sottomesso?!"
 
Dionide si tirò indietro. I muscoli si gonfiarono sulle spalle, sulle braccia.
 
"Non merito questo, lo sai - prese un respiro acre - E sai anche che se compio qualcosa è perché ho delle ragioni nette! Sai che è un buon modo per..."
 
Tacque. Le terme erano sempre posti pubblici, e anche se l'ora concedeva un po' più di spazio ai discorsi privati, non era saggio indulgere in troppa fiducia. Astre pareva incurante, anche se le parole del suo Re erano sempre soppesate con cura, e aguzze, terribili, come frecce velenose intinte in quell'ira, fredda lava d'un magma fuso stillato dal cuore insanabile, che
poteva uccidere. Che lo stava lentamente uccidendo.
 
"Già un buon modo, Dionide
. Chissà, però, mi chiedo, se davvero tutto questo lo fai perché io, in futuro, mi occupi davvero del tuo piccolo Idrio. E chissà se Idrio non avesse più bisogno di me tu che faresti."
 
"Non son domande da porre, queste
. - l'offesa arse più nitida sulle guance - Son tuo amico, e in anni non sospetti giurai a te e alla tua schiatta. Sai che non mancherò mai a un giuramento."
 
"Sarà. Ma ti reputo troppo intelligente per comprendere che non aiuterò Idrio finché tu non avrai finito il tuo incarico presso di me!"
 
"Sei una serpe! - sussurrò fra i denti - Lui che c'entra! Non è colpa sua! Non è colpa sua di quello che t'è successo! Non è colpa sua di… di tuo padre e degli Spartani! Non è colpa sua se io t'ho tradito, secondo il tuo modo di vedere!"
 
"Già. - un nuovo sorriso, freddissimo, senza speranza. - Ma tu hai un unico punto debole, Dionide, e non sono così stupido da lasciarmi sfuggire l'unico modo che ho per obbligarti a collaborare ... feci quest'errore una volta, lasciando sfuggire un perfetto futuro generale. Tu sarai molto meno, ma ora mi servi tu. E non avrai neppure la più minima possibilità di fuggire da me!"
 
"Sì, fu un errore stupido! E fu un errore tuo, *Astre*! Per colpa tua Pherio ti si rifiutò! Per colpa tua Pirecrate fuggì da te, portandosi via il suo ilota! E io li lasciai andare, sì, e sai perché?! Perché se allora io fossi stato al posto di Pirecrate, avrei voluto a tutti i costi strappare il mio servo da te! Non avrei voluto che tu toccassi di nuovo l'uomo che io amavo!"
 
Si morse la lingua: improvvisamente s'accorse d'aver detto troppo, e troppo ad alta voce. Ma ora i problemi erano altri, ora il dolore che sentiva crescere dentro era ben più forte delle riflessioni della mente. Astre lo guardava. In silenzio, s'era voltato, e lo fissava, l'espressione ghiacciata in un nulla estremo, solo gli occhi erano spalancati. Era un urlo senza voce quello: occhi come due scudi lucidi d'antracite che potevano infrangere qualunque difesa anche col loro semplice brillare, le braccia lungo il corpo, le mani a pugno.
 
Dionide non riuscì a non muovere un passo indietro, spaventato da ciò che traluceva da quello sguardo: una freddezza senza fine, e un odio, e…
 
"Dunque è stato Pirecrate a …" il sussurro si perse nelle volte umide dell'enorme sala voltata. Astre si mosse di scatto dando di nuovo le spalle, affondando nell'acqua. Il silenzio avvolse entrambi.
___
 
 
Se dunque tradimento c'era stato, era di un tipo che non aveva sospettato: o almeno, mai avrebbe potuto credere che Pirecrate potesse mostrarsi tanto indipendente. Dunque non erano fuggiti il Dimano *e* Pherio … dunque era stato Dionide ad aiutare Pirecrate a strappargli Pherio .
 
Ringhiò, il Re, dalla frustrazione e dalla rabbia, una furia che avrebbe dovuto bastare, sola, a spalancare le porte del palazzo, lasciandolo entrare nel cuore del suo regno come il Signore che era e non costretto ad aggirarsi nell'ombra come ora! Dionide: una serpe in seno per anni, decenni se l'era coltivato, con amore, affetto e preoccupazione! E invece ecco come l'uomo del deserto l'aveva ricambiato: strappandogli ciò che più prezioso viveva nel suo cuore!
 
Si sedette sulla scomoda seggiola che, sola, ornava quello squallido tugurio che osavano chiamar 'stanza', svolgendosi le membra dai lini ruvidi e grezzi. 

 

Arricciò il naso, allungando la mano verso la mensola su cui erano posate le boccette dei suoi preziosi oli: disgustoso, un re obbligato a *quello*! Lui non era uno dei quei zappatori dei poemi omerici che si chiamavano re, e facevano i guardiani di porci! Lui non era Greco, lui era Persiano! E i Re persiani erano Dei!
 
Dei che andavano onorati, a cui andava sacrificato, a cui si dovevano offrire ori e spezie e eterni profumi in pire ardenti verso il cielo e pietre preziose e schiavi e teli finissimi come il soffio di Zefiro, non …
 
Si alzò di scatto, gettando l'ampolla preziosa contro il muro. Il fragore del materiale cristallino che s'infranse contro la superficie scrostata di mattoni lasciati essiccare al sole fu atroce, per le orecchie regali. Sul marmo come risuonava il vetro infranto? Sembrava un canto, un richiamo infinito, lì invece, ogni cosa era greve e sozza, indegna.
 
Un lieve bussare, poi la porta che si apriva lentamente: uno dei soliti guardiani che Dionide astuto gli aveva messo alle costole. Che temeva mai l'uomo del deserto? Che potesse …
 
Per un attimo ad Astre mancò il fiato in gola: Idrio.
 
Era Idrio lì, in piedi sulla soglia, le mani strette fra le mani, a fissare intorno, preoccupazione in quello sguardo, e ansia. E come una domanda stupefatta a fissare la pozza d'olio che aveva schizzato il muro, raccolto sul pavimento polveroso.
 
Idrio: la perla di Dionide
. Il suo unico pensiero.
 
Il suo unico, vero *desiderio*.
 
Uno schiavo, era vero. Non c'era futuro per loro due, ed entrambi lo sapevano, e lo sapeva pure Astre: ma Astre vedeva anche che, per quanto il loro fosse un legame impossibile, a loro era stato concesso almeno di renderlo concreto, perché avessero un ricordo non fatto di sogni quando le lunghe ombre degli anni avessero oscurato il cielo futuro, rendendo infinite le giornate, e sempre uguali, sempre più vicine all'ultimo giorno.
 
Dionide, Astre sapeva, non avrebbe mai potuto amare qualcuno come amava Idrio.
 
Così come lui non avrebbe mai potuto amare qualcuno come aveva amato Pherio.
 
Un muto, terribile ghigno doloroso si colorò sul volto nobile, nel vedere l'Ateniese che s'era inginocchiato a raccogliere, attento, fra le dita chiare, i cocci taglienti.
 
Stupido, stupido Greco!
 
Uno schiavo!
 
Un ... un niente!

Eppure quello schiavo, ora, avrebbe potuto chiedere qualunque cosa, che Dionide avrebbe ucciso, tradito, abbandonato tutto e tutti, pur di vederlo sorridere, felice, pur di non perdere quella vicinanza che era la sua vita, quel suo posto ai piedi dell'amato e nel trono del suo cuore. Quello schiavo non sapeva che avrebbe potuto dominare un mondo, e questa sua sciocca bontà era ciò che rendeva vulnerabile lui stesso e Dionide. Quello schiavo sarebbe stato la chiave della sua vendetta. E la vendetta valeva bene un po' di dolore.
 
"Idrio, che fai qui? Non sei a scodinzolare appresso al tuo padrone? – lo vide arrossire, le mani si fecero ancora più lente nell'aria, come se il dolore pungesse davvero le membra. Si limitò a negare lievemente col capo, impedendosi di esprimere altro. Astre gli si avvicinò leggero – Comprendo bene il tuo dolore, Idrio. Che padrone potrebbe mai dirsi buono se si dimentica così spesso di te?"
 
La menzogna spudorata raggiunse il suo scopo: Idrio sollevò il capo di scatto, gli occhi negli occhi, pronto a negare decisamente, pronto a ...ma cadde, senza forze, dentro le iridi abissali del drago bianco.
 
"Che vuoi che ne sappia di un uomo come Dionide di cosa sia essere uno schiavo, giovane Idrio? - un sorriso, il re si rimise  a sedere – Uno schiavo: sai cos'è uno schiavo? Una cosa. Un cane val più di uno schiavo, lo sai?"
 
Rimirò
con cura crudele e fredda, e quasi con stupore velato, il cipiglio di battaglia, e il suo aggrottarsi e il suo … tentennare. Centro pieno.
 
"Dionide è abituato, come lo sono io, ad avere schiavi, sai? Ma egli è un padrone intelligente: ha sempre avuto a cuore le sue cose. Tu ne sei la dimostrazione. - un sorriso. E Idrio si ritrasse un poco, come se non volesse udire, ma coraggioso a lasciarsi dire quelle che altro non erano se non le sue paure profonde, quelle che in altri tempi era bastato un sorriso e un bacio a scacciare, ma che ultimamente. .  - Anche io avrei allontanato in fretta colui che avrebbe potuto, unico, allungare una mano e strapparti a lui. Ha fatto bene, suppongo, perché se avessi potuto, forse, saresti partito con Pirecrate, no? Se ti avesse lasciato più tempo. Se ti avesse lasciato *decidere*."
 
Decidere.
 
Astre attese che quella parola affondasse nell'anima di Idrio, un pozzo profondo, e l'eco della caduta irrefrenabile assieme al duro e definitivo tocco della pietra sul fondo. Riprese a parlare. Tono suadente, lo sguardo ammaliatore, dolce, avvolgente.
 
"O forse di Pirecrate, infine non t'interessava nulla. Forse avresti davvero scelto Dionide: ben per te, allora! Peccato che i suoi uomini non vedano di buon occhio la tua vicinanza, Greco, al Signore dell'Oasi. - allargò le mani  un ampio ventaglio come a togliere i veli che coprivano il mondo – Chissà se ti riporterà poi a Firuzeh, piccolo Idrio. Te lo sei chiesto? A Firuzeh mentre lui riprende gli interminabili e frequenti viaggi di suo padre e, a casa, istruisce per lunghe ore felici ed intense i fanciulli alla sacra arte antica e, di quelle poche ore concedibili alle numerose mogli, ne fa tempo prezioso per mettere al mondo figli. Oppure qui: qui ogni tanto potrebbe tornare, tra un viaggio e l'altro, a vedere come vanno i suoi affari. E magari i suoi uomini lo convinceranno che è meglio lasciarti qui, lontano, piuttosto che gettarti in qualche angolo polveroso e lasciarti invecchiare inutile, come sarai divenuto quando la giovinezza sarà svanita dal tuo viso, e quando Dionide avrà essiccato questo suo desiderio."
 
Astre vide Idrio, per la prima volta, quasi ondeggiare, combattere con valore il peso delle sue parole, lacerato nell'intimo. Un dubbio che, come un tarlo, era già penetrato e già aveva iniziato a ledere la purezza di quel sorriso dolce che tanto gli era spontaneo sulle labbra.
 
"Che è quel viso spaurito, Idrio? Gli uomini di Dionide son stati discreti con te, sempre, perché non sei certo il primo schiavo di cui Dionide s'invaghisce… ma questo dovresti saperlo. O almeno avresti dovuto sospettarlo. Si sta già stancando di te, sai? - abbassò delicatamente la voce, come a sussurrargli un enorme segreto - Già ti utilizza come uno scudo dietro il quale cela i suoi interessi a me. Già copre con il tuo nome, e con la preoccupazione che dovrebbe mostrare verso di te, sotterfugi segreti. Guardati Idrio: ti sei visto in uno specchio ultimamente? E' vero, il tempo è stato clemente con te, ma ... - allungò le mani, con la punta delle dita gli sfiorò, leggero, l'ovale del volto con un'espressione indecifrabile sul viso - ma anche per te, ateniese, i mesi, gli anni passano. Sembravi così giovane la prima volta che c'incrociammo a Sparta, ricordi? E quanto tempo è passato da allora? Anni. Sono anni, giovane Idrio… e tu ora non sei più fanciullo ma uomo, ho paura. E Dionide, e temo di supporre bene, preferisce i fanciulli agli uomini, fanciulli che può avere anche solamente sussurrando, e che può sedurre con facilità estrema: bello, ricco, nobile. Facile innamorarsi del padrone! Cosa farai, dunque, quando Dionide ti toglierà i suoi favori e rimarrai uno fra i tanti? Uno schiavo fra mille, Idrio."
 
Un brivido scosse quelle membra sottili, Astre continuò a sussurrare, non impietosito.
 
"Strano: speravo che Dionide con te si mostrasse clemente, e ti donasse la libertà, si preoccupasse di quando non saresti più stato in grado di soddisfarlo. A quanto pare, invece, non ti reputa il valore d'un impegno in tal senso. - socchiuse gli occhi di fronte al pallore irato, confuso – Dice sempre che eri un ottimo musico: magari vuole regalarti a me, come segno
della sua buona volontà verso il Re di Persia, quando sarai guarito."
 
Il silenzio scese tra di loro, immobili. Per lunghi istanti non fecero altro che guardarsi, con i volti vuoti e gli occhi ardenti per troppe emozioni e sensazioni.
 
"Pensi mai al futuro, Idrio? - un sorriso dolcissimo - A volte l'idea d'una lama d'un pugnale è quella che, sola, ci riesce a consolare."