D'ODIO D'AMORE
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CHAPTER: 34/? (e si prospetta seeeeeeempre
più lunga!)
PAIRING: Una indefinitissima
Pirecrate/Pherio ;)
RATING: Angst.
DISCLAIMERS: I personaggi sono completamente nostri!
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La pioggia era indomito avvampare di fiamme e i lampi
erano strali sferrati
al cuore dalla furia d'un dio invasato. La miseria e le ferite venivano con
violenza mostrate al mondo, denudate della dolce
protezione dell'oscurità:
immortale sembrava la collera divina.
Pirecrate schiuse le palpebre. Fu un tornare al mondo dopo secoli di sonno,
come un divo punito, obbligato a ingerire l'acqua mortifera dello Stige,
incatenato all'incoscienza e riportato in vita dopo anni con occhi
disabituati alla luce del mondo.
Una mano gli tenne giù il capo, muovendosi nel buio circondata d'argento
come l'è la Luna; ne riconobbe l'odore di gigli appena sbocciati, turgidi, e
d'istinto azzannò, dolcemente come il cucciolo che s'attacca alla mammella
della madre ferina. Sentì i tendini irrigidirsi, la pelle di ninfa eterea
rabbrividire. Lasciò la presa, a malincuore, cercando quegli occhi, per
poter attraverso di essi tornare del tutto al mondo.
"Pherio.. - la voce era un quarzo infranto da un
colpo troppo crudele: non
lo faceva sembrare lui, ma il roco richiamo vibrava intenso - Ch'è successo?
Lo colse Tremore, e la vista vacillò. Quella mano che aveva afferrato tra i
denti era scomparsa sotto una fitta coperta. Troppo
debole e stordito,
poggiò una tempia alla parete di legno, disperato iniziando a perdere il
respiro.
E Pherio sedeva così vicino che allungare una mano era sfiorargli tempie,
non parlava, con quegli occhi di pura luce lo fissava solamente. In quello
sguardo i fulmini di Zeus erano schegge d'oro a ciel sereno, fiumi di
polvere riversati come ruscelli, divisi dai nembi neri. Le sopracciglia si
piegarono appena, e tirando la linea della labbra il
volto si rese oscuro,
cancellando ogni spiraglio di vita e speranza.
Un tuono cadde, sbalzò la nave. Pirecrate si contrasse su se stesso,
aggrappandosi con tutte le forze a cosa non seppe, pur di non rovinare sulla
creatura altera, e vi riuscì, a stento. Appena sentì un
tendine al gomito
lanciare un grido straziante. S'accasciò contro le travi, lasciando che
il
capo ricadesse in avanti. La tempia quasi sfiorò quella spalla celata dal
lino.
Pherio si scostò da quella vicinanza, ghermendo la
coperta in una presa più
stretta e sollevandosela sul petto. I piedi candidi, derubati dei preziosi
stivali, si svelarono, e li vide immersi in una pozza rossa, sinistra, in
ombra..
"Sanguini!"
Esclamò, senza voce, portando d'istinto una mano alle ginocchia nascoste per
sollevare la coperta, ed egli irato gliel' afferrò, tanto forte e di
malagrazia da fargli male, evitando il suo sguardo, sbuffando seccato.
"No, sciocco -lo schernì, battendo il piede contro quella lucente chiazza
carminia che, come mortalmente offesa, frusciò
innalzando nell'oscurità
fitta bagliori di passione- E' il tuo manto. L'ho tirato giù per non farlo
bagnare."
Pirecrate sentì una lama penetrargli il costato,
affondando e liberando il
sangue, strappandogli ogni forza, ma intuì un sorriso nascergli sulle labbra
Distese una gamba ad afferrar il manto tra le dita; lo colse tra i
polpastrelli della mano portandoselo alla bocca. Un respiro più contrito,
simile al fruscio d'un alito di vita che fischia in un ramo ondeggiante,
venne dalla gola di Pherio.
Il Dimano lasciò che la seta preziosa s'avviluppasse, vicina al suo cuore,
in morbide onde: pian piano quello splendore si fece più opaco, divenendo
una fiammella rapita dalla pesantezza delle tenebre. Il freddo s'acuì. Passi
nel corridoio lo fecero pregare perché chiunque fosse non entrasse
ora, lì.
Gocce pendevano dal soffitto, andando a bagnare la pelle che stava già
perdendo la sensibilità. Tremò e un braccio distese
intorno alle sue spalle
un morbido scudo di lana
"Hai preso un brutto colpo in testa - una voce senza padrone, soffice e
indifferente, bella come il marmo - Riposa."
Ubbidì, con tutto il cuore e con tutto l'animo abbandonò il capo alla spalla
di Pherio. Mormorò la richiesta di permesso; la risposta
giunse, più che in
una semplice sillaba, in una tonalità sfumata.
Per coglierla affondò la mano tra le vesti, così a fondo che nettamente
percepì il calore sprigionato dalle membra mentre tutto il mondo moriva in
una solitudine di ghiaccio.
Per un attimo un sorriso lampeggiò nella memoria, rischiarato dai fragori
del temporale; così com'era apparso, svanì, inghiottito dalle tenebre, e di
lì non aveva nemmeno intenzione d'invocarlo più.
Le dita sfiorarono leggere la nuca ardente di Pirecrate, i polpastrelli gli
trasmisero come una lieve scossa, senza motivo. Pherio si lasciò
sfuggire un
piccolo sospiro dalle labbra belle.
Eccolo lì, il vibrante gonfiore, segno della stupidità incancellabile e
perenne di quel Dimano troppo avventato. Era forse quella l'ora di mettersi
a gironzolare senza meta sul ponte? E attaccare senza un minimo di tattica
il proprio avversario in quel modo, era quello che gli avevano
insegnato?
Polinice, poi, che avrebbe potuto abbattere un toro: Polinice era un
avversario che si poteva battere solo con astuzia velenosa, era un dannato
arrogante, ed era bravo, e le sue braccia avevano la forza delle pietre di
Sparta.
Ma Pirecrate probabilmente non sapeva nulla di Polinice, sospirò Pherio,
come probabilmente non immaginava neppure che nella sua Sparta vivessero
sotterfugi così scuri e profondi che avrebbe definito osceni, inutili.
Forse era vero, forse aveva ragione quell'anima
candida che era il Dimano:
non c'era onore in quello, non v'era decoro, né onestà, tantomeno giustizia,
e non forse su queste cose doveva reggersi una polis? Ma
Pirecrate era un
Dimano, era nato per essere uno dei futuri Re di Sparta, la sua famiglia, se
suo padre non avesse abbandonato il suo posto, a quello l'avrebbe
indirizzato, e come primo figlio maschio, avrebbe ereditato la posizione del
genitore, lo scudo, la gloria. E il suo stesso
spirito.
Ma Pherio no: egli era nato per altro. Era nato per essere ucciso, gettato
giù dalla rupe ove i nascituri malformati venivano
sacrificati alla gloria
perenne di Sparta. Perché avessero fermato la mano pietosa che doveva
compiere la Legge Pherio non lo sapeva, sapeva però il futuro a cui l
avevano condotto, per cosa suo zio l'aveva addestrato,
e gli aveva permesso
di vivere. Solo per morire, per essere ucciso in un altro momento. Con
infamia, ovviamente: la sua stessa vita era infamante, poteva forse
spettargli altro?
Sapeva che suo zio, fosse stato vivo, non l'avrebbe
risparmiato. Fissò
Pirecrate, quel suo profilo maschile e allo stesso tempo così..
dolce, puro,
adagiato sulla sua spalla: e sicuramente non avrebbe risparmiato neppure lui
Ma Pirecrate l'avrebbe fatto uccidere perché l'odiava e l'odiava perché
non
era stato suo. Quante volte Pherio aveva pensato a quel che suo zio avrebbe
potuto fare se gli fosse stato concesso in sorte un nipote come Pirecrate?
Il Dimano sapeva essere più ubbidiente di quanto lui
non fosse mai stato, e
la sua caparbietà poteva piegarsi con la giusta dose di furbizia. Il suo
candore, poi: per Kakeo avrebbe potuto esserci qualcosa di più divertente
che corromperlo?
Certo, Pirecrate non sarebbe mai riuscito ad essere sottile ed arguto come
lui era, ma a Kakeo non serviva qualcuno che pensasse,
serviva solo un
ottimo esecutore. E Pirecrate, Pherio lo sapeva, lo sarebbe stato, di certo
meno difficile che lui da addestrare.
Ma il destino altrimenti aveva voluto e ora.. ora tutto era mutato.
Suo zio era morto, gli equilibri erano tutti radicalmente cambiati, in una
maniera che poteva intuire ma faticava a comprendere appieno e soprattutto
si sentiva impotente a dominare.
Respirò piano l'aria fredda che entrava a raffiche dalla misera apertura nei
legni.
E dentro.. dentro era tutto raso al suolo, non sapeva, non voleva aprire gli
occhi e vedere ciò che dentro gli si dibatteva come in una melma fangosa
perché non poteva.. non .. non ne aveva la forza. Poteva pensare, ché a
pensare non faceva male, ma tutto il resto, ora, era disperatamente al di
fuori della sua portata, squarciato com'era da..
Polinice alla fine, però, non aveva ucciso Pirecrate, nonostante quest’ultimo l'avesse attaccato. Non solo, aveva detto di
curarlo, aveva affermato
che dovesse essere in perfetta forma per quando fossero arrivati a Sparta.
Aveva detto di dovergli *parlare*. Dunque
Pirecrate non era stato
tacitamente condannato a morte. Dunque Pirecrate, per il futuro equilibrio
politico di Sparta, serviva vivo, e intatto.
Dunque.. Pherio aggrottò la fronte: la soluzione più
ovvia. Il perenne
avversario di Pherio incoronato d'alloro mentre lui e suo zio, che sempre di
fronte alla polis s'erano mostrati accomunati, gettati nella polvere
dell’infamia.
Si leccò, lentamente, il labbro segnato dal suo stesso morso, e il sapore
ferruginoso del sangue gi riempì la bocca, le narici. Se puntavano
a questo,
allora, probabilmente, non l'avrebbero ucciso, non l'avrebbero condannato a
morte. L'essere Ilota, poi, era una pena ben peggiore..
strinse gli occhi.
E Polinice aveva *giurato* che Pirecrate sarebbe stato suo, uno strumento da
volgere, appuntito, contro, per ucciderlo davvero, dentro, se non fuori .. e
Polinice poteva farlo, Polinice sapeva come mantenere i giuramenti e.. gli
mancò il fiato nella gola e dei pensieri che non riusciva neppure a pensare
gli graffiarono la mente.
Terribile quello che gli s'era infranto dentro col fragore del peggior tuono
impossibile risanare lo strappo che nel suo animo s'era creato. E la
paura
e la possibilità negata per sempre di fuggire, di ripararsi dietro a un
rifiuto che la mente sapeva forgiare, inossidabile e inscalfibile
pure del
tempo che passava. Il peso di quel capo faceva tremendamente male, ma non
osava neppure sfiorare col pensiero la possibilità di affondare le mani tra
quei ricci morbidi, e condurlo sul morbido della paglia. No, non lo poteva
fare.
Ogni riflessione divenne ora inutile, vuota. Solo Le sensazioni vivevano
dentro di lui e forti gli si agitavano in petto e lo sconvolgevano e ..
Perché Pirecrate era intervenuto, quella notte?
Perché s'era gettato, folle, contro Polinice?
Il suo senso del possesso era così forte?
Un singhiozzo assurdo gli chiuse la gola, Pherio lo scacciò tentando una
lucidità che non sapeva più propria. Però.. in effetti
egli era, ora, l
Ilota di Pirecrate, e Polinice aveva infranto la legge utilizzando un
oggetto altrui senza chiederne il permesso, ma Pherio non riusciva a credere
che il Dimano si fosse arrabbiato dopo aver compiuta una riflessione tanto
profonda. Quello stupido decerebrato!
Più lo guardava, una sagoma scura e morbidamente consistente nel buio
lampeggiante della tempesta, più sentiva la rabbia e la vergogna sollevare
il capo e mordergli le viscere!
Perché doveva essere lì, lui? Perché non poteva
starsene a dormire?! Perché.
dannazione, perché pareva che l'avesse .. difeso?
No!
Pherio ringhiò, furioso con se stesso: neppure più pensare con lucidità gli
era concesso? Era uno sciocco anche lui, allora, visto che non comprendeva
ciò che era tanto ovvio: Pirecrate stesso era stato violentato. Quel ricordo
doveva essergli nato dentro, forse aveva saputo che Pleto e Polinice erano
stai amanti, o forse era stato solamente un momento di rabbia. Forse
Pirecrate lo trovava allettante, e il suo corpo lo voleva solo per sé.
Forse.
C'erano altri pensieri più attraenti che però si rifiutò di pensare. Strinse
gli occhi con forza, stringendosi nelle ginocchia. Voleva che tornasse il
sereno, voleva poter stare fuori, lontano da quel buco soffocante, non
voleva più dividere un luogo così piccolo con Pirecrate. Con quei pensieri.
Con quei . . desideri.
___
Pirecrate sognò.
Per meglio dire: cadde dentro sogni pastosi di dense pennellate rosse,
carminie, sangue, violenza, rame, e un lampo
bianchissimo a squarciare la
notte, a spaccargli il cervello.
E il dolore che si rinnova, dentro, come un velo fatto a brandelli da una
folata troppo intensa e forte. Una parte di sé che si lacera,
una sofferenza
che non ha parole, ma solo il non colore accecante d'un fulmine dorato.
Un'immagine ferma, fissa, inchiodata sugli occhi, che brilla anche dietro le
palpebre chiuse, qualcosa che affonda gli artigli dentro e fa male, come mai
nulla ha fatto male.
Uno sguardo. Luce e sofferenza negata, trattenuta, una violenza
rifiutata,
lacrime non versate, grida mute.
Violenza.
Sopraffazione.
Un grido. Il *suo* grido, e imprecazioni, singhiozzi.
Uno sguardo di ghiaccio, bellissimo e indifferente addosso.
No! Dei, no! Non lui! *Non* lui, vi prego! Non fategli
questo! Non fate*mi*
questo! Non *lui*!
NON LUI!
Non Pherio!
Non il *mio* Pherio, dei!
Dei di pietra: solo quello sguardo che sa d'altri mondi. Ghiaccio
infinito,
etere purissimo. Luce.
Tantissima luce.
Lacrime di sangue, come fiori che spuntano sulla terra scura e addormentata
dall'inverno che sta per morire.
Il sangue di Pherio.
Il suo stesso sangue che qualcun altro, lontano, ha versato nello stesso
modo. Si sforza un poco e un nome violenta la sua memoria, un volto: Pleto.
La bellezza di quel cielo sterminato sopra di loro. Il dolore e la vergogna
serrati dentro. E la rabbia, la furia, il desiderio di
vendetta che copriva
tutto, che spazzava ogni cosa. Che tutto ha
fatto terminare.
Ora: Pherio.
No, Pherio no! Pherio non può, non deve vivere quello!
Non Pherio!
Non devi osare! Nessuno deve! Nessuno può toccarlo!
Sentirlo!
Violarlo!
Farlo soffrire!
No, dei, no!
Il soffice calore della sua pelle. Il morbido tocco delle sue labbra. Le sue
mani addosso, le dita intrecciate alle dita, i capelli, il suo corpo bello,
come una canzone senza parole innalzata all'ordine e alla perfezione che gli
dei possono, se vogliono, creare.
Lo ricorda: e affoga.
Luce.
Luce fredda, distante, occhi di ghiaccio, duri, ma espressivi, che possono
bruciare un'anima, che possono appiccare un incendio che non si può spegnere
Ghiaccio come argento, che s'illumina di mille sfumature, le labbra
socchiuse a gemere gemiti strappati con pazienza meticolosa, il corpo che s
infiamma, un tepore che avvolge, strappa l'aria dai polmoni, svuota.
Qualcosa di incredibile, impossibile.
Il suo primo uomo: un ragazzo che non comprende il tesoro che gli giace fra
le mani. Eppure quel tesoro si svela, per un attimo, per lui, per quelle
mani maldestre che tremano e toccano e sfiorano una pelle da bere, sotto
quello sguardo incredibile, strappato da un dio stesso, ché
solo Apollo può
possedere occhi simili.
Le labbra, le mani, il corpo: stretto, morbido, un'esplosione di piacere. Il
suo proprio piacere. Ha pianto quando era sotto di
lui?
Non lo sa, e il rimorso morde le carni, ora, e brucia e avvampa, insieme al
ricordo, al desiderio.
E al rifiuto: no, lui no.
Non così!
Dei no!
Fermati! Fermati!
L'uomo non si ferma.
Lui deve strappare quelle mani dalla pelle chiara, deve por termine alla
sofferenza, non può esser violato così, non in quel modo quella pelle va
toccata. Lui non capisce! Nessuno capisce! E Pirecrate
sa d'impazzire a
quella vista, a quel pensiero, ma non può fermarsi.
Ha visto quegli occhi vuoti, lontani. La luce un lumino flebile e questo no,
non riesce a sopportarlo.
Occhi di ghiaccio. Tristi. Chiusi su se stessi: niente riflessi intorno,
niente luce.
Vuoto.
Freddo.
Nulla. Tutto perduto.
Se non un lampo a squarciare la notte, un dolore infuocargli la nuca.
E forse una voce, che riconosce, ma non sa, Pirecrate, se sogna o se ode
davvero.
Un sussurro.
'Pirecrate..'
E il tuono a coprire ogni cosa, a far piombare l'universo in un buio eterno.
E lui, che di quella luce vuole riempirsi, vuole essere ricettacolo e
crogiolo, che vuole tenere fra le mani quello splendore e da essa esser
posseduto, che vuole esser circondato e riempito e colmato, e vivere di quel
chiarire freddo, con esso, di esso, per esso.. lui non ha più nulla.
Perde i sensi.
Il dolore svanisce.
Solo un sussurro.
'Pirecrate..'
Di nuovo.
E null'altro: la sua cabina sotto coperta vuota, la luce di una mattina
fresca e pulita, di mare e gabbiani, entrava senza permesso dall'apertura
piccola.
L'incubo perse presa sui suoi sensi, ma teneva gli artigli ancora bene
affondati in un cuore che si dimenava.
Null'altro: un mantello rosso come il sangue su cui poggiava il capo.
"Pherio?"
Invocò piano come se, nel caso in cui fosse stato presente, le sue forme
fossero state quelle d'uno spettro che, voltandosi, non avrebbe più rivisto
e avrebbe perduto per sempre. La voce gli si incastrò
in gola, battendo
contro un nodo doloroso.
Nessuna risposta.
Pirecrate, riprendendosi in parte dallo stordimento sollevò le braccia: con
le dita cercò l'origine di quell'acuto dolore, dietro
la nuca, ma non trovò
altro che un punto che, se toccato, non doleva poi così tanto: sapeva bene
che significava la sua spossatezza, e a posteriori riconosceva quelle
sensazioni, una dopo l'altra, ma come mai. . Aveva
dormito così tanto?
Pherio non c'era. Il pensiero fu più urgente di tutto il resto. Pherio:
faceva male solo a pensarlo.
Dov'era?
La porta s'aprì di scatto, una figura scura e massiccia
si stagliò nella
penombra fresca e umida, solo quel ghigno permise a Pirecrate di
riconoscerlo immediatamente. E un nodo gl'intrecciò lo
stomaco.
Polinice avanzò sicuro.
"Pirecrate, già sveglio?! Fammi controllare che non abbia nulla di serio,
hai preso una brutta botta."
Pirecrate ringhiò, cercando di raccogliere le forze necessarie e impedito
dalla sua stessa rabbia, per gli dei! . . Polinice finse che nulla fosse
accaduto, con una sola mano l'obbligò a voltarsi, premendo forte contro la
sua schiena, come a prevenire un guizzo, ma senza particolari altri
accorgimenti.
Pirecrate chiuse gli occhi al ricordo che affiorava
lentamente, tra le
pieghe che si allentavano del sogno e il passato che rifioriva dentro, con
forza, lasciando un aroma di sofferenza e impotenza che stordiva.
La bile bruciava sulla lingua. Avrebbe voluto sputargliela in faccia.
Avrebbe voluto ucciderlo. Ringhiò la sua frustrazione sotto quel tocco che
frugava senza esser troppo gentile.
"Dov'è Pherio?"
"Fuori, dove devono stare i servi come lui."
Qualcosa scattò dentro, ancora, come la notte prima: il desiderio di
annientarlo era troppo forte, troppo violento perché potesse arginarlo.
Odiava Polinice, con forza, senza scampo. Non poteva neppure pensare a cosa
aveva fatto senza ..
Delle nocche fecero risuonare seccamente le assi, fu come il gelo che
immobilizza una gemma all'inizio del suo fiorire. Un'onda di
brina che
ricopre il mondo.
Pherio.
"Signori?"
La voce, quella voce. Neutra, asciutta, pulita. Nulla da essa traspariva.
Era così bella, così impossibile da reggere.. perché?
Avrebbe voluto
chiederglielo. Avrebbe voluto urlarglielo contro, a Polinice. Avrebbe voluto
mille cose. Riuscì solo a voltarsi: Polinice ritto,
accanto a lui, Pherio
poco più lontano, le spalle dritte, di chi non sa stare in ginocchio, il
capo lievemente chinato, i capelli chiari a scivolare in avanti,
nascondendogli il volto.
"Che vuoi, servo?"
Il disprezzo era venato di irrisione, le labbra di Pirecrate si schiusero
per rispondere a tono, per aggredire, ma Pherio fu più lesto delle bestia
ferita.
"Posso utilizzare il manto rosso ancora come riparo?"
"Per me dovresti stare al sole, a vedere se perdi quel colorito
malaticcio!"
Pirecrate si scosse, una fragile farfalla che strattona i fili del bozzolo e
smania di raggiungere il fiore, per dissetarsi e nutrirsi: si mise sui piedi
fronteggiando Polinice con uno sguardo terribile, di fiamma e odio
mischiati. Ma non a lui parlò, no, ché sentiva in
petto troppo pesargli il
cuore, e a lui non aveva proprio nulla da dire. Non ora. Non così.
Agguantò il manto dono di Astre, digrignando i denti.
Pherio teneva fissi
gli occhi sulle assi del pavimento come se non gl'importasse..
e forse non
gl'importava nulla, né di lui né di Polinice. Forse. E
se così era faceva
bene. Forse aveva ragione a comportarsi così e lui non meritava altro.
Questo per non bastava a cambiare le cose.
"Non starà al sole. - la sua voce uscì stentorea, come una piastra di
bronzo
che riecheggia nelle aule affollate d'un tempio. Una voce come non aveva
mai avuto, ma che non ammetteva repliche. Polinice
stesso mosse, d'istinto,
un passo indietro. - Andiamo."
"Dove vai?"
Domandò il capitano.
Pirecrate si fermò di fronte a Pherio e piantò lo sguardo leonino nelle sue
figura. Niente parole, niente pensieri nella testa: com'era che si
sentiva
così? Il rimorso, la rabbia, la *vergogna*.. egli era Spartiate, come
Polinice, e quello era il modo in cui si comportavano gli Spartiati?
Prendere ciò che volevano senza dar ad esso il giusto valore, e poi gettare
di lato ciò che li aveva annoiati? Quello era proprio ciò che Polinice aveva
fatto. Che *lui stesso* aveva quasi fatto.
Ma Pherio continuava a non guardarlo: troppo in basso
rispetto a lui o,
semplicemente, troppo disgustato da entrambi.
"A sistemare il manto di Pherio."
"Sei uno Spartiate, ti devi occupare solo di guerre! Lui è un servo,
lascia
che sia lui a faticare!"
Era giusto: quella era la Legge. Pirecrate neppure si voltò.
"Io vado. - sussurrò uscendo dalla cuccetta, sfiorando appena con una
spalla
quella di Pherio. - La testa non mi fa più male e sono stanco di star
coricato!"
"La testa non ti fa male, Pirecrate - urlò Polinice - solo perché sei un
malefico testardo!"
Il Dimano sogghignò appena, uscendo sul ponte. I passi
leggeri di Pherio
alle sue spalle gli accendevano una strana sensazione in cuore. Aspettava,
in silenzio un fiato, una parola, fosse pure la sensazione d'uno sguardo. Ma
nulla di questo venne.
Pherio era muto, accostato al castello di prora, ammantato in un flebile
spicchio d'ombra che si avvolgeva intorno alle corde, intrecciate com'erano
stretti i lini chiari intorno al collo, alle braccia, ai polsi, fino alle
mani. Solo le dita e il volto, ora, erano nudi, e lo sguardo era perso nel
mare, ora limpido e chiaro come una pietra preziosa, levigata dallo scorrere
del tempo, da infinite mani esperte.
Coperto come se nulla volesse che del mondo lo sfiorasse. Come a nascondersi
e a nascondere ferite, segni. Il labbro tagliato
pareva un fiore che tenesse
fra i denti. Pensava forse, o forse solo riviveva: Pirecrate sapeva,
Pirecrate ricordava.. avvampò, non riuscendo ad immaginare Pherio che,
nell’oscurità più densa d'un ombra improvvisata tendesse le mani fra le proprie
cosce, cercando di donarsi un piacere che gli era stato strappato. Era un
immagine piacevole, che sarebbe stata ancor più piacevole in un talamo
reso
ardente da proprio quelle membra chiare che si tendevano.. ma Pirecrate si
morse la lingua, punendosi di quei pensieri.
Lui non solo non riusciva a proteggerlo dagli altri, non riusciva neppure a
proteggerlo da se stesso. Che forse lui era tanto
meglio di Polinice? Pherio
non aveva torto a non voler neppure incontrare il suo sguardo: che aveva
fatto per meritarsi di affogare in quelle iridi divine? Nulla.
Si sentì perso in qui pensieri che gli fiorivano dentro, uno via l'altro, e
non gli lasciavano più neppure il tempo di respirare, e non lo facevano più
neppure sembrar lui, ma si sentiva bruciare d'una fiamma che non riusciva a
spegnere, d'una rabbia e d'un furore che solo quegli occhi riuscivano a
quietare, facendo nascere nuovi fuochi, diversi, mai provati.
E tutto quello nasceva da Pherio, e con Pherio viveva. L'aria intorno a lui
s'accendeva d'un aroma diverso, e la luce, pure.. e
l'idea, la sola idea che
Polinice.. ringhiò, Pirecrate, e la stoffa, d'un lato, cedette, il flebile
sibilo del lino che si strappa: fra le dita gli rimase una sottile falda
carminia, che tracciava arabeschi sinuosi nel vento.
Le mani gli tremavano.
Il cuore gli si fermò in petto.
Pherio lo guardò in viso.
"Che peccato. - sussurrarono, appena udibile, quelle
labbra belle - Non
esiste altro manto simile a quello, sarebbe una perdita preziosa rovinarlo:
fai attenzione."
Fu quella come una miccia che fece esplodergli il cuore: il dolore rinacque
forte, con artigli di rapace, come una fenice sanguigna che s'era cibata
dell'anima stessa di Pirecrate. E Pirecrate trovò la forza e la sfrontatezza
che superavano il dolore: guardò quegli occhi e non v'affogò, per un attimo
vi rimase a galla, incatenandoli ai suoi, facendo sorgere in essi
fastidio,
rifiuto, confusione, forse.
"Non ho prestato attenzione a chi era ben più prezioso d'uno stupido
manto..
Ribattè, irato a morte con se stesso e col mondo,
sentendo sciogliersi nel
cuore il grumo di rabbia e sentimenti invischiati, e quel liquido battere
nelle vene.
Il volto chiaro si tese, oscurandosi di rabbia. Ché la
rabbia, l'ira, la
furia erano i soli sentimenti che ora sapeva di poter usare, e incanalare, e
poter sfruttare, in qualche modo. Che sapeva, se non controllare, almeno
riuscire a non farli esplodere dentro il suo costato, facendolo a pezzi,
squarciandolo.
"Ti sei comportato come uno sciocco, Pirecrate, e lascia pure che sia un
inutile Ilota a dirtelo! Come potevi pensare di ottener qualcosa saltando
addosso a Polinice in quella maniera? Sarai Spartiato, ma difetti di
furbizia, e questo potrebbe esser pericoloso."
"Come darti torto! -scosse il capo con vigoria, le lacrime agli occhi-
Peggio che sciocco! Ma come potevo
lasciare. . - prese un lungo respiro,
tentando di tener bassa la voce e non far sentire che tremava - nessuno ti
può toccare!"
Pherio sorrise, fu come pugnalata nel costato aperto e sanguinate: un ghigno
terribile, di scherno e disprezzo. Quegli occhi divennero sottili, due dardi
non più spessi d'un ago, ma scagliati con forza a
infiggersi a fondo nell
anima di Pirecrate, senza alcuna pietà.
E senza alcuna pietà strappò: il dolore lo sapeva provare e lo sapeva
infliggere, questo solo gli diceva d'essere ancora in vita, seppur perduto.
"Dimenticavo d'esser il tuo Ilota. Una tua proprietà."
Pirecrate boccheggiò. In piedi sul ponte d'una nave, invaso di sole e luce e
vento e brezza marina salmastra e garrire di gabbiani e in lontananza i
delfini.. eppure per un attimo non respirò, tutto
divenne stretto, e
impossibile da reggere: quello aveva capito?! *Quello* pensava davvero? Che
lui avesse difeso *qualcosa*?
Che per lui Pherio era un oggetto.
Che poteva usarlo e, quando fosse stato stanco di lui.. ma era quello che
aveva fatto, era come s'era comportato. Se lo
meritava, quel dolore se l'era
conquistato a Firuzeh e forse anche prima. Forse sempre.
Ma ora no, ora non era più vero!
Ora era diverso: tutto era cambiato e il sole viaggiava di notte e le stelle
s'accendevano accanto al carro d'Apollo.
E lui.. lui ..
"Non potevi difenderti!"
Avrebbe dovuto esser lui a proteggerlo e non l'aveva fatto. Avrebbe dovuto
comprendere, intuire il desiderio e estinguerlo sul
nascere. Avrebbe dovuto
uccidere Polinice per solo aver pensato una cosa simile..
Come da sempre fu lo sguardo di Pherio a sorprenderlo: lo stupore in esso
accesosi lo lasciò senza fiato, l'arroganza, per un attimo, e la perfetta
indifferenza evaporarono.
Pherio non rispose nulla, spostò di nuovo lo sguardo sul mare, confuso lui
dalla sua stessa reazione. Tutto però rimase inespresso; come un boccone
rovente e amaro che si è obbligati ad ingoiare Pherio cacciò l'amalgama
densa e opaca dei sentimenti che chiedevano di venire alla
luce nell'angolo
più profondo di se, ma non credeva sarebbe servito.
A nulla serviva combattere il timore e la debolezza, l'incapacità di
difendersi, l'essere esposto al tradimento.. mai, Pherio, aveva voluto
correre il rischio di soffrire già più di quanto la vita gli aveva destinato
Aveva negato a se stesso sollievo e consolazione, non aveva vissuto
un
amore, che sapeva essere *amore*, per non correre il
rischio d'uscirne a
pezzi e ora tutte le sue decisioni, la sua consapevolezza erano evaporate e
più vi tendeva le mano tentando di afferrarle, più esse svanivano.
Ora era tutto inutile.
"Grazie per il riparo."
Sussurrò.
Il silenzio nuovamente si schiantò fra di loro, ma ora esso mostrava una
crepa.
___
Accoccolarsi all'ombra fresca e guardare: era qualcosa di semplice, ma quel
giorno si permise di lasciarsi andare contro le assi e non spostare lo
sguardo da un punto indefinito che gli stesse molto vicino.
Urgente, doloroso ritornò in Pherio il desiderio che spesso aveva provato le
prime notti che trascorreva lontano dal tempio, di chiudersi in uno spazio
angusto e buio e lì rimanere in silenzio, finché tutto il mondo di lui si
fosse dimenticato, finché ogni cosa svanisse, nella morte e oltre la morte.
Tutto non era forse il sogno vivido d'un dio: ebbene, bisognava solo
attendere che quel dio degli dei si destasse e
finalmente tutto quello
avrebbe avuto fine, tutto il dolore, l'umiliazione.
Pherio sapeva cos'era l'umiliazione. Suo zio non gliel'aveva mai lesinata e
la sua stessa nascita a quello lo condannava, ma ora: eppure le mani di
Polinice lui stesso le aveva accettate, s'era abbandonato senza combattere,
senza gemere e gridare. Anche se farlo o non farlo a nulla sarebbe
servito
magari ora avrebbe potuto crogiolarsi in un qualche sentimento opaco, simile
all'autocommiserazione, che minor sofferenza gli avrebbe dato.
Invece no.
Sapeva perché aveva taciuto e s'era abbandonato.
Ricordava, ed era ragionevole, l'unica cosa che potesse fare: Pirecrate
davvero poteva essere il suo solo riparo a Sparta, con la sua stupida..
correttezza. E anche se era palese che Polinice
trovasse il Dimano attraente
questo non bastava a mettere Pirecrate al riparo da una pugnalata alle
spalle. Ora, lui, questo rischio non poteva correrlo.
La sua mente quello affermava, pure ora, con forza, e Pherio sapeva ch'aveva
ragione, che era la scelta giusta, che oltretutto ben poco aveva sacrificato
rispetto a quello che avrebbe potuto ottenere; eppure il suo corpo reagiva
ben diversamente, e una parte di sé, qualcosa di fondo e oscuro che gli
pesava nell'anima, si ribellava, dolente, a questa che doveva esser
considerata necessità e invece..
Invece.
Era odioso pensare alle mani di Polinice indosso. La sensazione che aveva
suscitato era di disgusto, *schifo*, e non riusciva a
reggerla, nella mente,
quell'immagine, quel ricordo, causando essa dolori e
sofferenze. E pesava
dentro e faceva male poi, soprattutto il sapere che Pirecrate *sapeva*..
Pirecrate aveva visto.
Pirecrate sapeva.
Cosa.. perché lo sconvolgeva tanto quel pensiero? Cosa
importava? Prima o
poi l'avrebbe saputo comunque, anzi, probabilmente
Polinice sarebbe andato
da lui a raccontarglielo, appena dopo, oppure.. forse avrebbe dovuto
chiedergli il permesso..
Pherio vedeva Polinice chiedere a Pirecrate se gli prestava il suo Ilota, e
Pirecrate cosa avrebbe risposto?
Si premette le palpebre chiuse coi pugni, con forza.
Non voleva vedere! Non
voleva sapere!
Che gl'importava di Pirecrate? Se fosse stato
d'accordo o meno?
Che gl'importava di sapere perché aveva reagito in
quel modo, il Dimano?
Se perché lo considerava una sua proprietà, una cosa oppure se..
Non poteva permettersi il lusso di perdersi dietro a 'se' o a 'ma'. Non ora.
E poi Pirecrate..
Dei, faceva male l'idea di quegli occhi addosso, di quella consapevolezza
più che il ricordo di ciò che era successo. Perché?
Il suo corpo.. prese un respiro profondo, ingoiando il
nodo che aveva in
gola, fissandosi per lungo tempo le braccia, i polsi, i palmi nascosti alla
luce e all'aria da strisce di stoffa: che schifo. Ecco quel che era il suo
corpo: qualcosa di orribile, sporco, macchiato,
spezzato.
Non aveva valore. Non doveva soffrire per esso. Non *poteva*.
Non ne aveva il tempo, in più a nulla sarebbe servito:
nulla sarebbe
cambiato, ora, e poi.. poi: nulla.
Il suo corpo come un oggetto era stato forgiato e allenato, come una spada
che mai si spezzasse, come una freccia che, senza fallo, colpisse il
bersaglio. Eccolo il suo corpo: qualcosa senz'anima, dall'anima staccata, un
guscio, una moneta che poteva passare di mano in mano, che poteva essere
frustato, punito, picchiato, senza timore, senza compiere nessun atto
malvagio.
Non era una persona, lui, mezzo barbaro. Doveva conquistarsi tutto, anche l
aria che respirava, sempre e comunque. E ora, come
Ilota ancor meno di prima
valeva: ora che non *serviva* a nulla doveva lottare di nuovo per ottenere
il diritto di sopravvivere.
Che qualcuno l'avesse violentato, dunque, non doveva avere un gran peso,
anzi, nessun peso. Era ovvio che capitasse, prima o poi.
E Polinice era da
anni che desiderava di rivalersi di lui in quel modo: aveva saputo che
sarebbe accaduto appena messo piede sul ponte, quando aveva incrociato lo
sguardo con quello di Polinice.
Lui lo sapeva: allora perché quel dolore?
E perché, dei, perché Pirecrate doveva esser
presente?!
___
Pirecrate strinse i denti, la mascella contratta guizzò del muscolo teso, e
gli occhi, quegli occhi di brace e cielo parevano ora strappati a un dio
furibondo. Odiava Polinice.
Era convinto che mai avrebbe potuto provare un sentimento simile, che non
pareva neppure umano tant'era intenso e profondo,
eppure esso c'era, era lì,
insieme allo stupore di provarlo, ed era terribile: veleno che bruciava il
cuore, cadendovi dentro goccia a goccia.
Ma una parte di lui quella sensazione la benediva: quel dolore mordente,
quell'atroce bestia che gli azzannava le viscere come
pallida immagine di
ciò che Pherio, il suo Pherio, aveva dovuto sopportare, per assurdo gli dava
forza, e desiderio infinito di far a brandelli colui che aveva insozzato chi
non doveva neppure *guardare*.
Se avesse potuto gli sarebbe saltato alla gola, ora, di nuovo, e sempre
avrebbe attaccato finché quell'infame maledetto
figlio d'un cane rognoso non
fosse giaciuto nel suo proprio sangue venefico..
Ma Polinice rifiutava con perizia di evitare il suo sguardo, non accettando
la pur minima tentazione dimostrarsi un bersaglio. E
sorrideva, ignobile.
Anche se le viscere gli si annodavano in un grumo ghiacciato non piegò le
spalle, non chinò il capo: ottimo segugio degli anziani di Sparta, non solo
sapeva uccidere, ma come Pherio, sapeva mentire e manipolare chi aveva di
fronte, seppur non possedeva l'innato intuito del Panfilo. Ma non aveva
bisogno di grandi doti per leggere nel cuore semplice di Pirecrate: dopo
tutto lo sapeva bene anche lui, chi mai non era caduto, almeno una volta,
nella trappola tesa da quel corpo chiaro? Quale maschio in tutta Sparta,
almeno per una volta, non aveva desiderato poter allungare una mano su
Pherio e schiacciare quell'arroganza dorata e possederlo,
come si possiede
un oggetto prezioso e desiderato e unico?
Pirecrate era solo un ragazzino ardente di desiderio, voluttuoso e assetato.
Ma presto, Polinice credeva, di quel corpo si sarebbe
stancato, si sarebbe
annoiato e allora.. allora Pherio, finalmente, dopo anni e anni d'attesa
sarebbe stato suo.
La Gerousia era troppo consapevole di quanto Polinice fosse ossessionato da
Pherio, e mai a lui l'avrebbero affidato: Pirecrate, invece, sarebbe stata
una buona opzione, pure di fronte alla polis intera. E Pirecrate era un
ragazzino, e Polinice era certo d'averlo già compreso..
per cui si dispose
di buon animo di fronte alle sue fiammeggianti rimostranze.
"Pirecrate, posso comprendere.."
"Non è questione di comprensione o di altro! - Pirecrate ringhiò e fece
davvero paura, per un attimo l'aria intorno s'infiammò, divenendo densa
irrespirabile. Polinice si portò una mano alla gola. - Pherio non puoi
toccarlo! *Nessuno* deve! E' mio compito riportarlo a Sparta e nessuno,
neppure tu, puoi .. *toccarlo*! E' *mio*!"
Dolore, un dolore dentro innominabile, a pronunciare quelle parole, come
lava che scava con violenza solchi nuovi nella carne, eppure la sua voce
riuscì a non farla tremare.
Il sospiro falso, strozzato che ebbe come risposta non lo placò, ma qualcosa
di forte, che non nasceva da dentro di lui, gl'impedì
d'aggredirlo.
"Pirecrate, hai ragione. E' il tuo Ilota e l'ho utilizzato senza chiederti
permesso. A Sparta sarai risarcito e.."
"Non me ne faccio nulla di risarcimenti e promesse, Polinice! Nessuno dei
tuoi, nemmeno *tu* voglio che t'avvicini di nuovo a Pherio! Nessuno deve
toccarlo! O parlargli, o ti giuro che .."
Polinice rise, uno strano suono in gola, quasi leggero.
"Ho visto cosa sei disposto a fare per il tuo schiavetto, Pirecrate. - un
ghigno che voleva essere di scherno abortì di fronte al volto scuro di lampi
e odio - Farò in modo che i miei uomini sappiano di queste disposizioni, per
quanto riguarda me.."
Pirecrate si voltò, di scatto, la mano sulla porta della piccola cuccetta
che Polinice utilizzava come quartier generale. Non
riusciva più a guardarlo
non voleva più dover sostenere un solo istante della sua odiosa presenza.
"La prossima volta che ti vedo vicino a Pherio,
Polinice, giuro che t
ammazzo."
___