D'ODIO DI AMORE
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CAP: 32/?
AUTORI: Dhely&Kalahari
PAIRING: attrazione varia a quintali, concretizzazione.. zero, più o meno!
PATING: NC-17
NOTE: le solite.
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Gea collassava su se stessa.
Il cielo, la terra, tutto mischiato in turbini folli che spingevano e
tiravano, sorti dal nulla d'un inferno senza volto.
Pherio il cui corpo mai, fin'ora, aveva fallito le aspettative, si sentiva
cedere, troppo debole per affrontare l'odio e la scatenata invocazione degli
elementi furibondi scagliati contro di lui.. sentiva addosso, sulla pelle
dell'anima, come richiami, voci remote grondanti parole aspre, che
chiedevano, pretendendo vendetta, che giuravano non la morte ma dolore,
infinito dolore.. Il roco sussurro gli parve terribilmente familiare,
scottando la pelle del cuore, e sotto quel peso le sue ginocchia si
piegavano, impossibile che la schiena restasse ritta sul dorso del destriero
e s'arcuava, dunque, come chi si ritragga di fronte alle sferzate troppo
violente d'un tutore irato.
Per la prima volta in tutta la sua esistenza s'aggrappò con le unghie e coi
denti alla sua vita, con l'orgoglio, con il dolore che aveva dentro, con la
freddezza che gli ghiacciava il cuore febbrile, con ogni singola fibra di se
stesso, eppure cadeva, e cedeva, e le dita si facevano morbide nella presa e
sapeva, Pherio, sapeva bene che non sarebbe riuscito a reggere.
Dopo tutte le fatiche, dopo tutte le volte in cui s'era ritrovato in bilico
fra la vita e la morte, ora.. proprio ora le forze dovevano fargli difetto?
Morire in un deserto, da ilota, niente onore, niente spiegazioni da portare
a Sparta, niente.. niente.
La forza che aveva dentro, sapeva, era tanta, e ben forgiata, e urlava,
gemendo un'impotenza assurda che non aveva mai avuto: a quante avversità suo
zio l'aveva esposto? A quante situazioni, in ognuna delle quali rischiava
non solo la vita ma l'onore e il buon nome dei Panfili tutt'insieme, era
sopravvissuto? Quanto sangue di spartiati nobili e clarissimi lui, ragazzino
aveva sulle mani? Quanti segreti le sue labbra contenevano? Abbastanza da
far piegare la gerousia stessa, e da far cambiare opinione più d'una volta
agli Anziani.
Nessuno era, alfine innocente: ognuno ha le sue colpe di cui render conto,
per cui tremare di coraggio o vigliaccheria il giorno in cui sarebbe venuto
il giudizio. Degli dei, degli uomini..
Lo volevano indietro. Vivo: per strappargli gli sterminati segreti che
custodiva. Morto: perché era pericoloso. Poteva immaginarsi le infinite
lotte all'interno del consiglio, le liti, i sotterfugi, ora che suo zio era
morto e che s'era portato, di sicuro con sé, più di quanto tutti loro
desiderassero, ora rimaneva solo lui, il piccolo mezzo barbaro a conoscere i
segreti tutti di Sparta. Lui che doveva morire ben prima dell'anziano Kakeo,
ucciso da una mano assassina, o forse in un disgraziato incidente. Chissà,
forse un giorno Pirecrate sarebbe riuscito a batterlo in regolare duello..
Ma no, quello mai. In duello mai l'avrebbero battuto. Spesso s'era chiesto
in che infido tranello l'avrebbero spinto quando la sua presenza fosse
divenuta più d'impaccio che d'utilità, ma mai, mai aveva pensato che la fine
così sarebbe giunta: una tormenta di sabbia, i polmoni in fiamme, l'aria
densa che non riesce ad arrivare ai polmoni se non per incendiarli, se non
per farli a pezzi, e gli occhi chiusi, saldamente serrati come un cucciolo
senza difese.
Mai così, senza poter lottare e, di più, senza una spada al fianco, senza il
manto carminio né il bronzeo bracciale, senza nulla..
Si chinò piegandosi ancor di più sul collo tiepido del cavallo, appoggiando
la fronte a quel manto scuro, tremante e schiumante nervosismo. I muscoli
guizzavano, scartando lentamente, ogni movimento una fatica immane con la
polvere rossastra ovunque, nell'aria a renderla più greve, in ogni piega, in
ogni anfratto, per render impossibile vivere, e sopravvivere.
Morire così.. così stupida, così vana una morte simile! Forse meno infamante
di quella che s'era abbattuta su suo zio: un processo pubblico di alto
tradimento, ma almeno.. Pherio che sapeva, che taceva nei suoi pensieri,
si
scoprì a tacere anche ora, quando probabilmente presto tutto sarebbe venuto
meno e non sarebbe stato di nessuna importanza aver sofferto e faticato
tanto e aver tradito sempre se stesso e gli altri, tutti, in quel modo per
anni, e..
Una mano forte gli afferrò, dura come la pietra, la vita, tirandolo giù. Per
un attimo e d'istinto tentò di resistere, poi tornò in sé: era un uomo
quello, non uno dei suoi incubi. Scivolò fra quelle braccia forti che lo
strinsero a sé, serrandolo in un abbraccio di bronzo e rosso carminio, che
pareva non poter far uscire nulla, né entrare.
"Ce la fai?"
Gliel'urlò in un orecchio, le labbra così vicine alla pelle che il loro
calore guizzò, fiamma, e Pherio appena riuscì a carpire le sillabe prima che
il vento ne disperdesse il senso dopo averne dileguato il rovente tocco.
Annuì, in risposta, con forza, aggrappandosi alle sue spalle.
Intrecciarono allora le briglie dei loro destrieri, e allacciati come due
naufraghi, perché dalla vita di uno dipendeva la vita dell'altro,
puntellandosi a vicenda mossero un passo dietro l'altro, arrancando nella
sabbia ai loro piedi, nella sabbia disciolta nel vento furioso che li
sferzava, violento, che toglieva loro il fiato, e la capacità di orientarsi.
Solo le braccia strette addosso erano un segno che non erano persi, che non
erano soli, che non erano morti. Le dita affondate nella stoffa a sorreggere
le ginocchia che tremavano dalla fatica, a tenere insieme quel corpo troppo
provato, ancora, per resistere da solo ad affrontare un assalto simile.
Solo quelle braccia, nel silenzio urlato che li circondava e li premeva, a
tenere insieme un'anima confusa che troppo temeva d'aver abbandonato dietro
di se', e che troppo temeva di stringer fra le braccia.. troppo ché non lo
meritava, quel corpo e quello spirito, troppo ché lui era l'ultimo dei
Dimani e lui era sempre stato solo, sempre e ora che aveva trovato qualcuno
che poteva, in qualche modo essere al suo fianco, *come* lui, *con* lui, ora
ecco.. tutto svaniva, tutto era spazzato via, urgente, violento,
terribile.
Ma lui avrebbe resistito, Pirecrate giurò su tutti gli dei che da quella
tempesta terribile sarebbe uscito vivo, e con sé avrebbe portato Pherio, di
nuovo a Sparta, di nuovo insieme, com'era giusto che fossero dall'inizio dei
tempi. Era quello che la tempesta non gli diceva, ma gli faceva nascere
dentro, ed era una sorta di disperazione che Pirecrate sentiva
aggrapparglisi alla gola, e avrebbe voluto urlare, sputando contro il cielo
la sua forza, la sua anima indomita, e il coraggio che sapeva trarre
dall'avere Pherio al suo fianco.. solo da quello.
Lo strinse, di nuovo, con le braccia che facevano male, ma accanto, dentro
di sé lo voleva sentire, dentro avrebbe voluto gli penetrasse: uniti come un
mito remotissimo raccontava che dovessero essere gli uomini dei primordi,
creature con due teste quattro gambe e quattro braccia, uniti sempre, felici
appagati.
Questo ora voleva, con forza, e brillava come se fosse stato un destino
negletto, eppure non importava null'altro, ora, che trovare la forza di
mettere un piede dietro l'altro, trascinandosi in quegli inferi innominabili
e quella forza Pirecrate sentiva di trovarla per una volta non dentro di
se
e nella disperazione di sentire una debolezza mai vista nelle membra che
a
lui si stringevano e che pure mai cedevano, riempite da un fuoco gelido ma
impossibile da piegare. Mai si sarebbe stancato dall'osservare quello
spirito inflessibile e lucente, in esso avrebbe voluto dissetarsi e giacere.
E lì rimanere, per quanto assurdo.
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Pherio allentò appena la stoffa alba che gli riparava le labbra, scendendo
dal dorso del cavallo ansante e sudato. L'uragano li aveva colti quando già
da ore galoppavano verso la costa, fidandosi degli animali che conoscevano
la via invisibile per Mileto, e il cielo s'era fatto di rosso e di ambra e
presto s'era celato ai loro sguardi: un gorgo simile al vortice di Cariddi
aveva preso ad ululare e a sferzarli come se fosse un grido di rabbia e
disperazione. Avevano dovuto intrecciare le redini per non perdersi, chè
neppure il richiamo più forte avrebbe spezzato la spessa cortina del
frastuono, anche alla più minima distanza. S'erano dovuti coprire gli occhi
con le stoffe che pendevano ai lati delle loro tempie, uscenti dagli
intrecci sul capo, perché allora per un misero granello di sabbia avrebbero
potuto pagare caro.
Poi, com'era iniziata, era finita. Pirecrate con un sospiro e lasciandogli
la stoffa sulla schiena che tanto stretta aveva tenuto mentre erano
proceduti a piedi, riparandosi contro i colli dei cavalli, aveva esposto la
propria intenzione di fare un sacrificio a qualche dio, una volta a Sparta.
Non che avesse avuto paura di perdere la vita, no: da guerriero nobile, di
stirpe e sangue solenne, aveva temuto di perderla a quel modo, e chiunque
che non avesse vissuto quel che avevano vissuto loro quella mattina, non
avrebbe potuto capire e forse, se a qualcuno oltre a loro fosse toccato un
simile destino, non sarebbe sopravvissuto per raccontarlo. E Pherio aveva
annuito a quel pensiero, e aveva pensato che, stravolto dalla fatica,
accanto a Pirecrate avrebbe voluto essere ad officiare.
Accanto a Pirecrate com'era stato in quella traversata.
Pherio carezzò delicatamente la groppa scura, in un gesto affettuoso,
Pirecrate parlottava poco lontano, posando le briglie nelle mani esperte d
un uomo di Dionide che aveva ricevuto previ ordini. Gli animali entrambi
nitrirono nella folla che andava diradandosi al calar del sole nelle ampie
strade chiare della colonia. Una città fondata da gente greca partita per
avventura o necessità, opulenta e magnifica, fiorente come un campo di
montagna agli inizi della primavera: tutto lì parlava di remoto e di
familiare, perchè se era vero che profili di gente come loro due spesso gli
passavano ora innanzi, c'erano altrettanti stranieri e molti dei bambini che
aiutavano a smontare i banchi sembravano nati da entrambe le stirpi.
Pherio non li avrebbe mai invidiati, per nulla al mondo, d'essere nati lì
dove erano circondati da tanti altri come loro e dove nessuno li marchiava a
sangue col proprio disprezzo, eppure lui era la persona al mondo che più
avrebbe potuto maledire la propria sorte vedendoli. Ma loro non avevano ciò
che possedeva lui, ed esser parte di Sparta valeva più di qualsiasi cosa, di
qualsiasi tesoro, di qualsiasi dono o fortuna benevola. Essere Spartani era
tutto, anche, e soprattutto, per lui che era ormai più nulla.
Socchiuse le palpebre, stremato nella brama d'un po' di ombrosa pace, quasi
vinto dalla fatica che gli avrebbe piegato le spalle se non fosse stato per
la testardaggine, per l'assoluto desiderio di non farsi coglliere fragile,
bisognoso di protezione, da Pirecrate. Chè Pirecrate, fra tutti, meno doveva
donargli pena. E anche se un'idea simile gli parve assurda, e il cuore battè
a strattoni nel petto, lo stesso non desiderava doverlo affrontare, non ora
almeno.
E come denudato da dita leggere come l'aria, spoglio, si sentì, e per un
istante credette che potesse essere lo sguardo di Dionide, ma poi strinse le
labbra in un ghigno minaccioso, chè quell'uomo non era Dionide, sebbene la
pelle fosse quasi scura come quella del signore clemente; sebbene sotto le
ciglia sprofondavano iridi abissali assai simili, gli occhi del Tuareg non
pungevano con una simile penetranza, ché erano caldi come le dune di giorno
e vellutati come di notte. Aveva ricevuto sguardi ben più crudeli di quello,
ma mai il disagio era stato così forte da fargli stringere più strette, con
una mano, le falde del manto sul petto.
Tra la folla egli si disperse dopo avergli voltato le spalle, la camminata
irregolare e sotto la stoffa tirata sul capo rigogliavano le chiome scure.
Pherio scosse il capo, prendendo da un catino pubblico dell'acqua con cui
cacciar via la sete e magari bagnarsi le palpebre in fiamme.
Non erano affatto lontani dal porto: poco oltre si intravedevano i pennoni
alti delle navi svettare contro il cielo chiaro e se ne intuivano l'odore, i
rumori, e nascosto, si sentiva lento il canto sussurrante del mare che era
un richiamo e insieme un monito. Cosa desiderare davvero col cuore, ora,
Pherio non lo sapeva, non riusciva a sentirlo, o forse non voleva. . ma
quell'opzione gli bruciava dentro come acqua salmastra versata sopra di una
ferita aperta, ed era semplice allontanarla, come a scacciare una mosca
molesta che, però, tornava sempre a infastidire. Eppure il mare gli era
sempre stato amico, un suono dolce, il lento sciacquio confortante contro le
basse prue delle navi bardate di veli e doni per la Pizia, consolando il
cuore d'un bimbo sperduto gettato nel cuore d'un mondo ch'era troppo grande
per lui solo, del quale non aveva chiavi per interpretarlo.
Ora però non era più fanciullo, non aveva più la sua propria purezza a
proteggerlo come il più impenetrabile degli scudi, non era più solo. . no,
non più solo. . cos'era quello strano sorriso che gli sfuggì dalle labbra
tirate dalla volontà in una parvenza severa e distaccata?
Pherio raccolse i miseri involti, strappando la mente a quei pensieri,
guardandosi intorno con nessuna timidezza. Era vero, era egli in Mileto non
solo uno spartano disonorato, ma peggio, un uomo dal forte accento dorico
*e* biondo, per questo v'erano i lini che gli si volgevano intorno al capo,
al collo, che gli si annodavano alle braccia nascondendogli il volto, quel
volto che *così* non avrebbe dovuto essere. E per questo li allentava dal
caldo ma non li levava: non per paura, no, che non c'era d'aver paura di
gente di mare e di mercanti com'essi erano, ma per osservare senza esser
osservato, per non attirare ancor di più l'attenzione di quello che già non
faceva quello Spartano fermo in fondo alla strada, scintillante d'ebano e
sangue rubino che era Pirecrate, sicuro e forte come un dio, circondato
dallo splendore del proprio spirito e della propria arroganza, che fendeva
la folla con una semplice occhiata: una prua di bronzo di fronte a cui l
ampio mare si adornava di spuma bianca, lasciando che il mondo guardasse e
stupisse ma tacesse nell'impossibilità d'aggiungere una sola sillaba a ciò
che in sé era già perfettamente compiuto.
Pirecrate era la fascinosa leggenda vivente di una Sparta incarnata in tutte
le sue virtù, e tutti ne parevano in qualche modo consci e colpiti anche
fisicamente da quella consapevolezza, escluso Pirecrate stesso: il Dimano
ignorava del tutto quella sua particolare bellezza dall'odore così
avvolgente da resemblare la corteccia d'un pino stillante resina, e
ricoperta di muschio.
Pherio socchiuse gli occhi nella luce che scintillava, morendo alla fine del
giorno, buttandosi sulle spalle lo zaino e l'involto di stoffa rossa,
annuendo in silenzio allo Spartiate che l'osservava, attendendo con palese
impazienza il suo avvicinarsi.
Come un peculiare figlio del deserto Pherio avanzava lungo quelle strade che
non erano più polvere e sabbia ciottolosa ma chiare pietre levigate dal
pestare dei sandali e dei carretti, e terra ben battuta, circondate da
edifici chiari e gente che pareva una folla perenne a chi s'era avvezzo al
vuoto silente della terra delle dune. Eppure, se Pherio non portava più il
nobile carminio che ben gli brillava indosso come il sangue d'un sacrificio
a un dio e gli accendeva gli occhi e l'incarnato d'una fiamma impossibile da
dire, ora indossava un semplice e prezioso abito blu, dono del figlio più
nobile fra i figli del deserto.
E che fosse un dono d'affetto Pirecrate non aveva potuto non intuirlo, e il
mittente di tale regalo non poteva che bruciargli nei pensieri, e il mistero
che assumeva quel corpo nobile, agghindato dalla bella stoffa color del
cielo scuro lo sentiva dentro, il Dimano,con una forza intrepida e
irrefrenabile. . S'infuriava anche solo ad alzare gli occhi a fissare quella
figura lucente, la veste tenuta stretta sulle anche da stoffe candide, così
come argentei erano i lini che, delicatamente ma strettamente, avvolgevano
in spire i polsi, le braccia, comparendo sotto le maniche ampie, intuendosi
sul petto, per incrociarsi poi fin sul collo chiaro e nudo.. blu e argento:
i colori della notte e della sua signora Selene, si posavano su quel dio
dorato come a velare almeno in parte la luce che da lui continuava a
sprigionare..
Così bello, per gli dei, così scostante ed altero, freddo come la luna che
soleva pregare. E quegli abiti.. erano un segno, una specie di marchio? Un
orma di possesso? Per quanto fosse un'idea assurda, non riusciva a
strapparsi dalla mente il pensiero d'un Dionide sorridente e affascinante
che tendeva quell'abito a Pherio, e Pherio che rispondeva con un altrettanto
scintillante sorriso, e forse . . forse le sue guance s'erano spolverate di
rosa, forse i suoi occhi avevano emesso luce pura e banca, tremolando come
fiammelle all'alito d'una fanciulla sussurrante troppo dappresso.
Forse.
Forse quello sguardo per un attimo aveva tremato, come di fronte a lui solo
aveva fatto, e doveva. Non un tremito di timore, no, ché Pherio non era uomo
da temere qualcosa, forse neppure gli dei, ma un altro tipo.. quello che gli
arricciava la pelle obbligandolo a un sorriso silente, mentre le labbra
spezzavano l'immobile oscurità in un gemito soffocato, e le palpebre aperte
su lucenti diamanti faticavano a contenere la sfumatura calda del cristallo
che si liquefaceva piano, e diventava una pozza di montagna, e diveniva
abbraccio tiepido, e desiderio e..
Distolse gli occhi e i pensieri, non v'era tempo, ora, per lasciarsi andare
a quelle cose anche se erano, al suo cuore scalpitante, più importanti di
tutto il resto. Ad una terribile tempesta di sabbia e vento erano appena
sopravvissuti, ritardando il loro arrivo a Mileto, e solo s'erano fortunati
avrebbero trovato ancora all'ancora la nave che portava a casa quel
drappello di Spartiati per qualche motivo lì inviato mesi addietro.
Strinse, Pirecrate, la mano intorno alla lettera di ordini che Dionide gli
aveva porto, quando gli aveva spiegato il piano che aveva in mente per far
tornare i due greci in patria, e dovette ammettere, almeno con se stesso,
che quella era di sicuro l'opzione più accettabile. Anche se non lo fosse
stata, poi, avrebbe accettato qualunque cosa pur di muoversi, pur di agire
finalmente, e non stare più in un'oasi ad attendere che il fato s'abbattesse
su di loro come se fossero tanti docili agnelli. Se gi dei serbavano
qualcosa di speciale, ebbene Pirecrate vi sarebbe andato incontro a testa
alta, col capo orgogliosamente eretto, e non avrebbe più patito gli
avvenimenti rintanato in una tenda: non era un modo da uomini, quello, di
vivere, e lui, più di ogni altra cosa voleva ritornare a vivere.
Voltando intorno il capo, mentre procedeva dritto, vide una ragazza liberar
nell'aria un ampio manto scuro, e nel cuore sentì una spina spasmare:
ricordò i sottili, i soffici e splendenti capelli di Astre che tante volte s
era soffermato ad accarezzare, a pugno mezzo chiuso. Ancora non comprendeva
per quale motivo il persiano si fosse comportato a quella maniera, non
lasciandogli altra alternativa che quella d'andarsene. Gli pareva d'essersi
comportato come un vigliacco fuggendo nell'ora in cui la luna piena è più
alta senza aver prima detto ad Astre quel che avrebbe voluto dirgli.
Egli era stato infame, ma gli voleva ancora troppo bene per lasciarlo
scivolare tra le tenebre dei ricordi non vissuti.
Chissà cosa aveva pensato al proprio risveglio, cosa doveva aver provato
quando aveva scoperto che loro non c'erano più! Nulla che non meritasse, chè
quella che ora riceveva era la moneta che Astre stesso aveva coniato per
anni e anni, ripagando tutti in quel modo. Eppure non sapeva, c'era qualcosa
in fondo all'animo che suscitava dolore a quel pensiero: Astre era una
persona astuta, in grado di cavarsela comunque e sempre, ed era forte, di
questo ne era certo, ma..
C'era poco da pensare, ora, e Pirecrate si fece rimprovero di quei pensieri:
la strada era stata scelta e i rimpianti. . Non sarebbero dovuti esserci.
Già combatteva un'aspra battaglia nel petto, e il labbro inferiore soffriva
la morsa dei denti che dal nervoso lo serravano senza sosta, che fin troppo
netta era la sensazione di spaesamento, persino più limpida del suo dovere e
Astre e quel ch'aveva relitto, quando, per qualche motivo, il suo sguardo o
il suo animo si posavano su Pherio. Allora i pensieri si ingarbugliavano, e
il cuore iniziava a premergli con forza in petto, battendo e sussultando con
più insistenza, domandandosi come avrebbe potuto fare a . . proteggerlo ora
che non aveva scudo, a farsi accettare, e, per gli dei!, magari *desiderare*
come corazza. Soltanto per ora, fino al giorno in cui dalle mani dei
vigliacchi e dei cospiratori si fosse ripreso la propria dignità,
sciogliendo dalle catene la libertà che vibrava nello sguardo. Si poteva
vivere in attesa d'un giorno simile, e lui sarebbe stato a lì, accanto ad
egli, se egli l'avrebbe voluto.
Tradimento!, Pherio! Aveva di sua spontanea volontà accettato una missione
come quella di portare il Re di Persia in Egitto solamente perché credeva
che quello fosse il meglio per la Grecia tutta, aveva consapevolmente
accettato il rischio non solo di venir ucciso ma pure di non venir compreso,
ed essere additato come un traditore solo per compiere ciò che riteneva suo
dovere. E qualunque prova avessero mostrato a Sparta, Pirecrate sapeva che
Pherio, comunque fossero andate le cose, in qualunque modo le cose potessero
apparire, mai Pherio aveva potuto anche solo *pensare* di tradire.
E se anche si fosse sbagliato a giudicarlo in questa maniera, sentiva che il
cuore indicava una via soltanto, e quel sentiero si incrociava con quello di
Pherio, come sempre era stato e.. adesso che era un po' più adulto, guardava
con occhi diversi a quella strada: con più coraggio, più consapevolezza e
più.. ardore. Come la cascata che cosante irrompe sulla crosta d'acqua,
Efesto avrebbe potuto forgiare i dardi di Zeus battendo col martello sul suo
cuore, ché li avrebbe creati saldi e infrangibili!
Tradimento.
Anche senza volerlo davvero si voltò, intravedendo accanto a se l'ombra
scintillante dell'altro e si trovò a reprimere un sospiro doloroso. Tutti
coloro che aveva conosciuto avevano in un qualche modo tradito, od erano
prontissimi a farlo, lui stesso era venuto meno ai principi che credeva
sarebbero stati sempre saldi e inattaccabili. A Firuzeh s'era abbandonato
alla bontà cibo, alla fragranza vino, alla comodità di guanciali soffici
come nuvole, ad un piacere estraneo ai sentimenti del cuore, spesso opposto.
Aveva pensato *lui* di tradire Sparta, portando il Re, invece che in Egitto,
di nuovo sul proprio trono e di servirlo nella sua Persepoli, tra padiglioni
d'oro e seta.
Pherio invece no, Pherio aveva continuato dritto e fedelissimo ai propri
propositi, senza lasciarsi sviare e corrompere: Pherio era puro oltre ogni
immaginazione, come se il male a lui non avesse neppure l'ardire di
accostarsi. Solo chi non lo conosceva poteva farsi un'idea sbagliata di lui,
oppure. . si corrucciò, oscurandosi in volto, oppure qualcuno che lo sapeva,
e che odiava Pherio per questo.
La troppa bellezza destava invidia, la rettitudine estrema generava fastidio
La luce di Pherio poteva incantare, od ustionare, bruciando gli occhi e
la
pelle. Era semplice odiare uno come Pherio, tanto quanto era semplice amarlo
. lui l'aveva capito a sue spese, Pherio probabilmente lo intuiva, suo zio
Kakeo l'aveva saputo da sempre, e senza cuore l'aveva mandato a mani nude a
combattere contro un'armata di cavalieri .. tutto sembrava un'intricata
maledizione per tenerli tutti schiavi senza padrone, Pirecrate avrebbe
voluto ci fosse un colpevole da accusare, un nemico da spodestare, invece
era solo il destino. E come potevano gli uomini fronteggiare quel potere che
anche gli dei teneva a bada?
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Il lieve rollio del legno sotto i piedi accompagnavano delicatamente l
ondeggiare del lume a olio appeso ad una paratia scura di fumo. La cabina
stretta e piccola conteneva appena Polinice e la sua tracotanza: Pirecrate
lo odiava.
Non lo conosceva bene, sapeva che era uno dei superiori che li avevano
guidati al mese. Sapeva che era uno dei capitani di Sparta, ma mai una volta
egli, nella loro città, gl'aveva mai rivolto verbo. Non che, comunque, egli
si fosse mai comportato, nei suoi riguardi, peggio che chiunque altro, però
da allora il tempo era passato pesante su di loro, e soprattutto su di lui.
E se sempre Pirecrate aveva fatto attenzione al lieve gioco di sguardi che
si intrecciavano fra muti volti, questa volta avrebbe dovuto esser cieco per
non notare la fiamma negli occhi di Polinice quand'esso aveva riconosciuto
Pherio!
Fosse stato un altro uomo, ora sarebbe stato un uomo morto: invece era il
capitano della spedizione che, da Mileto, faceva ritorno a Sparta, e con lui
doveva scendere a patti.
"Questi ordini sono senza dubbio autentici, Dimano. - disse sospirando un
poco, sollevano il capo dalla tavoletta - Sono identici agli ordini che
anche io ricevetti mesi fa. E che, ovviamente, non riuscii a portare a
termine visto che l'uomo da catturare era.. dov'eravate, poi, Pirecrate?"
Si tese, dando fondo a tutte le proprie capacità verbali.
"Non posso dir nulla. Compio ciò che gli ordini mi chiedono, ma so che a
Sparta aspettano Pherio perché sia giudicato. Quando sarà il momento e il
luogo, dirò tutto. Ora devo solo pensare a farlo rientrare in Sparta.
Vivo."
Polinice sollevò un sopracciglio, atteggiandosi a uno dei suoi soliti
sorrisi ghignanti.
"E' quasi commuovente vedere come voi ragazzini prendiate sul serio questi
piccoli particolari esposti nella lettera degli ordini. Guarda: - gli porse
di nuovo ciò che Pirecrate gi aveva messo fra le mani pochi istanti prima -
si parla forse di *tenerlo in vita*? No, Pirecrate, si dice 'portare lui o
un segno che sia stato ucciso secondo le leggi'. Il suo manto la sua spada,
ecco ciò che vogliono: il resto non importa. Ce l'hai il manto e la spada,
n'evvero? E per que che lo riguarda: è solo un Ilota ormai. . Tanta
importanza non la merita!"
Pirecrate non si curò di malcelare il respiro che sibilò fra i denti serrati
Era tanto ovvio che Polinice lo stesso provocando di proposito tanto
quanto
il fatto che lui non fosse per nulla dotato della pazienza necessaria per
resistere a un simile gioco. Serrò mentalmente le fila dei suoi pensieri,
evitando che dalle sue parole traboccasse troppo un'irritazione che era poco
opportuna.
"Comparirà vivo e intatto di fronte alla gerousia, a costo di portarcelo
io
stesso a nuoto. Ci sono delle cose che dovete sapere, a Sparta. Giustizia
-nelle iridi celestì balenò l'intensità di quel pensieri - non sarà fatta
fino a che non sarà detta la verità."
"Se la sai anche tu questa verità indecente, perché costringerci a un
viaggio in compagnia d'un indegno come Pherio? Tu lo rispetti, Pirecrate, e
i traditori non devono esser trattati con rispetto!"
Pirecrate scosse il capo, furioso stringendo i pugni:ci doveva essere Pherio
a combattere, lì era ora, con le parole! Ma perché un superiore doveva
essere tanto contorto?.
In più Polinice voleva chiaramente Pherio per sé, e non gli avrebbe mai
permesso di mettergli un polpastrello indosso: se il Panfilo mai più
l'avrebbe lasciato avvicinarsi per carezzarlo, questo non significava che l
avrebbe gettato, per ripicca, fra le braccia di chiunque lo desiderasse.
"Pherio è uno spartiato in attesa di giudizio. E viene trattato con il
rispetto che merita."
Il mutamento nel volto e nell'atteggiamento di Polinice fu repentino,
spiazzante. Rise, a gola spiegata, puntandosi i pugni sui fianchi.
"Allora dimmi! Tutto questo rispetto, soprattutto da parte tua, che così
tanto astio devi aver accumulato verso lui e suo zio, è stupefacente!- gli s
avvicinò d'un passo - E ora che a Sparta Pherio non ha più quell'intrigante
di suo zio a difenderlo, ora che è solo, e indifeso.. *tu* lo proteggi! Bene
Pirecrate, bene . . ma dimmi, allora quel suo corpo è davvero il custode
di
delizie che pare? Che dev'essere questo che ti tiene legato a lui.."
"Come *osi*! - Troppo era stato detto, troppo era anche stato solo
immaginato e questo lo fece infuriare. Pirecrate scatto' in avanti, la mano
ad impugnare la lama. Fu un polso divino ad impedirgli di sfoderare l'arma
al cospetto di uno che gli era più anziano, andando in contro alle punizioni
della legge. Qualcosa gli fermò il gesto, ma non lo sguardo, da cui sgorgava
odio e rabbia in onde dense come fossero veleno distillato dalle serpi che
Medusa aveva attorcigliate sul capo - Non ti permetto di diffondere queste
basse insinuazioni! Pherio lo porterò io a Sparta, lo consegnerò io di
fronte agli anziani! Ti chiedo solo, da parte tua, la collaborazione normale
fra due Spartiati. Ti lascerò al di fuori di qualunque problema Pherio
potrebbe sollevare ma tu. . - ringhiò - tu e i tuoi uomini state lontano da
lui. Se egli è un ilota, egli è il *mio* Ilota."
Polinice fissò le iridi furiose farsi di quarzo appuntito, pericolose e
mortali, vide l'odio e credette d'intuire in esso il legame che univa i due
ragazzi: lo Spartiato che si fregiava d'essere capitano della missione di
riportare Pherio in Sparta, e l'Ilota, lasciato sul ponte, spinto in un
angolo dai suoi uomini che, già ora, forse, stavano compiendo ciò che lui
stesso desiderava.
Chi in tutta Sparta non aveva fantasticato sul sapore che doveva avere
quella carne bianca, tesa su muscoli duri? Chi, in tutta Sparta, non aveva
provato almeno un passo, ed era stato fulminato da uno sguardo terribile,
limpido e troppo freddo da sostenersi? Se Pirecrate, per una fortuita
coincidenza d'eventi, per primo era riuscito a cogliere quel frutto tanto
desiderato, ora si mostrava troppo geloso, troppo bramoso, come se quello
fosse stato solo una promessa non mantenuta. Ma se Pirecrate desiderava
Pherio perché non l'aveva semplicemente preso, ora che non era più nulla e
che più nulla valeva?
No di certo, Pirecrate doveva aver soddisfatto tutte le sue voglie con il
Panfilo, come era normale che fosse, e ora, la gelosia era solo.. era
solamente la prospettiva d'una punizione più lunga, di un dolore sfiancante
da donare a quel malefico Apollo dorato e sfuggente come un anguilla.
Pirecrate avrebbe fatto patire a Pherio tutte le ingiurie che suo zio Kakeo,
negli anni, gli aveva rovesciato addosso: Polinice ne era certo, e deliziato
Fino a che punto può giungere una crudeltà costruita con attenzione e
pazienza fin dalla più tenera età?
Polinice si leccò le labbra secche dall'eccitazione.
"Allora, benvenuto a bordo capitano Pirecrate, e benvenuto anche al *tuo*
Ilota. Mettiti comodo, c'è posto per te sotto coperta, sarà un viaggio lungo
"
E sorrise alla porta sbattuta con violenza.
___
Il ponte non era molto ampio, però quella era pur sempre una nave di
mercanti e non un legno da battaglia per cui fu agevole per Pherio, appena
ricevuto l'ordine silenzioso da parte di Pirecrate di mettersi da qualche
parte e di non finire sempre fra i piedi a tutti, trovare un angolo all
ombra del piccolo castello di prua, accanto a delle cime arrotolate, dove
pure i marinai abbisognavano di andarvi raramente.
Il sole era più clemente di quel che ricordasse, ma da quando esso l'aveva
baciato la prima volta nel deserto, la sua pelle, Pherio sentiva, non
sarebbe mai stata più la stessa e dunque ora l'ombra per lui valeva quanto l
oro.
Sospirò piano immergendosi in essa, indifferente alle occhiate e alle frasi
che, ad alta voce, gli spartiati gli lanciavano, tra un ghigno di scherno e
uno di concupiscenza. Era troppo stanco, il corpo gli doleva in una maniera
insolita, e nuova, la stanchezza, l'immobilità da cui era appena uscito, e
il troppo pretendere, forse, ora si stavano facendo sentire. Ma anche nella
spossatezza l'attenzione così pesante degli altri lo infastidiva: le
occhiate erano ciò che facevano più male, come sempre, e se ora avevano l
ardire di non essere mute. . non esisteva comunque parola adatta ad
esprimere quello che Pherio vedeva brillare dietro quelle palpebre. A che
pro, dunque, ascoltare insulti che conosceva a memoria? Per cosa infuriarsi
mentre gli sbattevano in faccia la sua indegnità, e nella flessione appena
tremata della voce, si poteva scorgere chiaro il desiderio?
Come se tutto quello fosse qualcosa di nuovo.
Nulla, nulla era mutato, se non la sua possibilità di rispondere o meno. Ma
la sua dignità forte lo tratteneva, mostrandolo impassibile e altero, troppo
orgoglioso per mischiarsi a quegli uomini che si comportavano come bestie
quand'invece era solo troppo sfinito anche solo per sprezzarli. L'orgoglio:
il suo manto, la sua difesa. La sua arroganza ora infastidiva e faceva
infuriare ben più di quanto potesse far prima, ma Pherio continuava a non
degnare il mondo esterno d'una sola occhiata.
Non poteva. Fors'anche non voleva. La sua mente, al contrario del suo corpo,
da sola, lasciata stretta nel suo ambito che non interferiva col resto, era
veloce e rapida come sempre, lucida. Decisa.
Era Ilota? Bene, lo era, ma era sempre Pherio.
Il suo animo era sempre guerriero.
Lui valeva mille volte più di ognuno di quegli stupidi che, sul ponte lo
additavano e, ridacchiando, facevano battute sul suo abito, sui veli che gli
stringevano le membra, sulla sua foggia orientale, sui suoi capelli corti..
qualunque battaglia avessero già combattuto quei soldatini non era certo
neppure lontanamente paragonabile a quella da cui, sia lui che Pirecrate,
erano appena usciti vivi. E ora, un'altra, di fronte lo attendeva: la
gerousia avversa, Sparta tutta sua nemica.
Serrò le labbra come in procinto d'una vera battaglia.
Ma lui non sarebbe caduto.
Ora che non aveva più una spada, un cognome, una famiglia, ora che rischiava
di essere allontanato dalla sua città, ora che non era più uomo libero, ora
che, forse non era più neppure 'uomo', solamente gli rimaneva il nome,
Pherio, e la dignità. E non avrebbe svenduto né l'una né l'altra.
I suoi occhi lampeggiarono freddi nel sollevare le braccia, sciogliendo i
nodi che tenevano ferma la stoffa avvolta intorno al capo: con movimenti
secchi e precisi si liberò la fronte da quella morbida carezza, e il volto.
Per un attimo gli parve d'intravedere il sorriso pacato di Dionide mentre
gli porgeva gl'involti di stoffa e l'abito blu, con nulla negli occhi, né la
futile vergogna di chi fa un dono da cui si attenda ricompensa, né la boria
di chi faccia elemosina a un miserabile, se non la franca schiettezza di
quell'uomo sensibile, dal cuore aperto e attento. Quel dono, tanto più
prezioso quanto necessario, Pherio l'aveva accettato in silenzio, ché parole
per ringraziarlo non ce n'erano, e Dionide in risposta, di nuovo, aveva
sorriso con un lieve cenno del capo.
Era stato l'addio tra di loro, e non si erano scambiati una sola sillaba:
eppure entrambi sapevano il rispetto che suscitavano vicendevolmente, un
rispetto che nel silenzio acquistava tutto il suo valore; e quello era un
riconoscimento prezioso che Pherio teneva chiuso dentro di sé e, insieme,
lasciava che gli brillasse addosso, portando con orgoglio quelle vesti
straniere.
Posò delicatamente le fasce che gli si erano sbrogliate dai capelli,
lasciando che i fili dorati danzassero finalmente nell'aria libera e fresca
del vento, sciolse i nodi stretti ai polsi, allentandone la presa sugli arti
e, infine, si sfilò gli stivali morbidissimi, di pelle conciata così fine
che pareva di calzare nuvole, ed erano, essi, tanto preziosi, che le vesti
stesse andavano portate corte su di essi, proprio come quella che indossava
Pherio, che gli copriva appena il ginocchio.
La cura con cui li ripose non passò inosservata, e gli sguardi, fattisi più
intensi, lo convinsero a lasciare la gola nascosta con cura dalle anse
strette della stoffa chiara, i nodi non sciolti, accarezzati appena dai
capelli leggeri e splendenti nel riverbero del sole sul mare, che accendeva
la pelle bianca di un'iridescenza stranissima, come se su di lui il sole,
per quanto intenso non potesse lasciar segno: era sempre stato chiaro, il
più chiaro di tutti loro, più chiaro anche di moltissime donne, pure,
nonostante l'allenamento all'aperto, nonostante l'obbligarlo alla luce nelle
ore più crude del caldo terribile della città rocciosa. E ora, per assurdo,
che veniva dal deserto, ora era come madreperla il suo viso, pelle vellutata
di bianco e argento che scintillava accanto all'oro dei capelli.
Pherio era bellissimo, più bello di quanto non fosse mai stato, e questo era
un invito troppo forte perché non fosse accolto.
"Ma guarda qui, il nostro piccolo Pherio! Parte con un persiano e ritorna
conciato come un persiano!"
Gli si avvicinarono, Pherio sbatté appena le palpebre a riconoscerli: li
conosceva, ovviamente, Sparta era troppo piccola perché chiunque non
conoscesse tutto di tutti, e Pherio poteva dire, di ognuno, almeno dieci
modi in cui batterli a duello, in cui li *aveva* battuti. Ora però non era
più loro pari, e non poteva più sfidarli con una spada in pugno a far
inghiottire loro la lingua biforcuta che da sempre avevano ospitato nella
bocca.
Il loro veleno, però, non poteva nulla contro chi era stato avvezzo a ben
altro.
"Anche con i capelli corti sta bene, chissà perché li nasconde.."
"E' molto esotico!"
"Molto molto grazioso. Chissà se.."
"Sembra una fanciulla."
"Eppure quando, giovinetto, s'allenava nudo sembrava proprio un maschio, e
mi ricordo che lo controllavi bene, soprattutto tu Filodemo!"
"Eddai, Pherio! Facci sentire la tua bella vocina, così vediamo se è
cambiata anche quella!"
"Anzi, già che ci sei, perché non sollevi quella tua strana veste e non
fai
vedere.."
"Forse preferisce che gliela solleviamo noi.."
All'allungarsi di quelle mani, non più frenate da un qualche pudore, o forse
semplicemente dalla paura, Pherio scattò, rapido, mettendosi in piedi, la
schiena stretta la muro, impotente ma non battuto, i pugni stretti, le
labbra serrate in una linea di pura furia.
Quella vista metteva paura. Realmente.
Pherio era un guerriero senza armi, una tigre senza artigli e senza zanne,
ma negli occhi bruciava ancora, alta, la fiamma fredda che spazzava via i
nemici ancor prima di calare il primo fendente. Perché la superiorità è un
fatto di spirito non solo di corpo, perché la forza è un'espressione dell
interiorità che si fonde in equilibrio con le membra e Pherio era ancora
indomito, e sicuro, forse più di prima: era maturato, era stato forgiato da
un dolore che forse, in parte, lui stesso s'era inflitto, ed aveva
risvegliato una nuova sensibilità dentro di sé, un nuovo potere, una
scintilla di cui Dionide conosceva pure il nome. Ma Dionide di questo non
aveva parlato con Pherio, e Pherio stesso non aveva bisogno che qualcuno gli
dicesse cosa, dentro di lui, era cambiato, sbocciando come una pianta a
lungo dormiente nel terreno fertile che era il suo animo.
Un giglio nella neve: un fiore all'apparenza bello e fragile, dai petali
vellutati, screziati appena di venature dorate, fiorito, orgoglioso e unico
nell'ultima neve di primavera. E mentre esso, dall'alto del suo stelo dritto
e duro, scintilla della luce che si infrange sulla cortina chiara stesa ai
suoi piedi, pare nutrirsi solamente di quel freddo pungente che taglia la
pelle e rende il fiato nuvole dense che faticano a staccarsi da labbra
violette.
Eppure Pherio non pareva un fiore: era forte e deciso, questo in lui poteva
terrorizzare coloro che si fermavano a prestar orecchio a ciò che quelle
sfumature metalliche nel fondo dell'ombra suscitata dai suoi occhi dicevano.
Ma anche l'uomo più vile in gruppo acquista in coraggio, un coraggio che
sfiora la follia, e il terrore sacro svanisce come durante l'ebbrezza.
Risero di Pherio, strappando da terra i lini che s'era sciolto di dosso,
sventolandoglieli in faccia, insultandolo e beffeggiandolo per ciò che
portava indosso, desiderando al coltempo ciò che esso nascondeva.
Nulla gli strapparono dalle labbra, se non un rapidissimo sbuffare seccato,
che parve, ad alcuni, solo il parto della propria fantasia perché
assolutamente nulla aveva solcato quel viso aggrottato e bello e luminoso,
non una macchia d'un fastidio che si rendeva più denso, o un lampo d'odio.
Allora Filodemo, offeso da quel trattamento, trovando odiosa quella
compostezza arrogante, e bruciando d'un desiderio che non si decideva ad
esaudire, rise malvagio, e decise che forse, quegli oggetti che indossava
erano davvero di troppo sul bel corpo chiaro.
Prese, di scatto, gli stivali e con un unico gesto plateale li buttò fuori
bordo. E con quel gesto insensato riuscì in quello che s'era prefisso:
suscitare una reazione.
Pherio spalancò gli occhi, guardando quegli oggetti compiere un arco lungo
prima di finire, scomparendo con un tonfo, sott'acqua. Un dono di Dionide.
Si sporse in avanti, d'istinto, finendo fra le braccia di quegli uomini
dalla cui presa districarsi era più difficile di quel che pareva e urlò, un
gemito soffocato di rabbia e frustrazione.
Ma non per se stesso.
Un *dono* di Dionide!
Pherio non aveva mai posseduto nulla, nulla gli era mai stato regalato, ma
solo dato con, dietro, incisa, una precisa pretesa, un pagamento da
effettuare. Tutto quello che aveva sempre avuto era solo ed esclusivamente
una gentile concessione di suo zio. Quando qualcuno, poi, aveva finto di
volergli disinteressatamente donare qualcosa, qualcosa di prezioso e unico,
che non costava nulla e per questo che valeva più di tutto il mondo, ecco
che col tradimento era stato ripagato, dopo. Ciò che invece aveva indossato
era ..un regalo, un dono.. un segno.. ed era *suo* proprio in quanto era
stata un'offerta disinteressata.
Un ricordo di Dionide.
Una traccia del suo rispetto.
Il segno di un legame: rispetto e ricordo; era tutto per chi, come lui, non
aveva mai avuto nulla oltre al disprezzo e all'invidia. E al tradimento.
Ringhiò la sua rabbia impotente, sciogliendosi da quegli abbracci orribili,
si scrollò di dosso quegli uomini e s'appoggiò al parapetto guardando giù, l
acqua scura e scintillante che s'era portata via per sempre un qualcosa che
per lui era..
Non fece in tempo a pensar altro, voltandosi di scatto verso gli uomini ch
erano rimasti a ghignare alle sue spalle.
"Ma guarda quanto ci tiene, il piccolo Ilota, a questi tre stracci!"
Una mano sollevò in un pugno i veli che s'era sciolto dal capo, rimasti a
terra. Pherio si morse un labbro: di quelli aveva *bisogno* ben più che gli
stivali. Eppure, proprio come prima, non poteva fare nulla, l'impotenza era
la sua fiera compagna, per quanto si mostrasse forte o spavaldo..quelli
erano spartiati e lui.. lui nulla, un ilota, uno schiavo, un servo. Niente.
Pregare.
Lo volevano sentire pregare e gemere magari. Lo volevano vederlo piegarsi e
umiliarsi, volevano spezzare quell'orgoglio che non aveva alcun motivo di
sussistere. Pherio socchiuse gli occhi al sole che gli era di fronte: quegli
uomini gli si mostravano come le ombre indistinte che erano, squallidi e
piccoli, eppure lui non poteva far nulla. Ma non avrebbe pregato, non si
sarebbe piegato.
Non era uno spartiato. Non era un Panfilo. Non era un guerriero. Non era un
uomo. Ma era Pherio, e non avrebbe pregato.
Altre parole, forse, altre beffe, se non fosse giunta una voce secca ad
attirare, intera, l'attenzione di tutti su di uno spartiato, di bronzo e
sangue, i pugni fissi nelle anche, il volto atteggiato a una rabbia furente,
scomposta, trattenuta appena da una catena che poteva spezzarsi ad ogni
istante.
"Che sta succedendo qui? Cos'è tutto questo trambusto? - Gli occhi
scintillarono terribili sui quattro uomini. Il silenzio che piombò su di
loro parve divino, per un attimo si udirono solo il garrire dei gabbiani e
delle vele tese contro il cielo terso. La mano di Pirecrate strappò le
stoffe dalle dita rese morbide dallo stupore e schioccò le labbra con fare
seccato. - Lasciate in pace il mio Ilota. E, soprattutto, che nessuno si osi
toccare ciò che porta indosso."
"Ma son solo.."
Lo sguardo di Pirecrate divenne insopportabile: ora gli occhi di Ares,
turgidi di ira scarlatta, erano accesi sul volto.
"Stracci o lini preziosissimi non m'importa. La sua pelle deve stare
coperta
e *nessuno*, nessuno!, osi infastidirlo neppure guardandolo. - interruppe l
ordine, fissandoli uno ad uno finchè ciascuno non abbassava il volto. - Son.
Stato. Chiaro?!"
Borbottii appena sfuggiti da sotto i denti serrati, lo strusciare dei piedi
contro le assi, il dondolio contrariato dei capi, ma nessuno riuscì a dir
nulla direttamente a quel Pirecrate che avevano conosciuto ragazzino indegno
e che ora trovavano uomo: sempre arrogante, anche lui, sempre terribile e
impossibile. . ma almeno lui teneva il capo eretto con orgoglio assurdo per
un motivo: almeno lui era spartiato, almeno lui era degno, nonostante suo
padre, e il malo sangue che gli scorreva nelle vene s'era mostrato degno
della tunica carminia. Questo bastava per essere uomo agli occhi di tutti
loro: non certo come Pherio che era arrogante e mai abbassava il capo in
loro presenza anche se non era più *niente*!
Eppure neanche Pirecrate era amato: dava ordini a loro, più anziani, con un
piglio da anziano generale ricco di cicatrici e anni e saggezza, mentre non
era che. .
Pirecrate s'avvicinò, scuro in volto, a Pherio, tendendogli le stoffe.
"Tieni. E stai all'ombra: se la pelle ti si spaccasse come è già capitato
non c'è nulla, su questa nave, per poterti curare."
Pherio scosse appena il capo, i capelli danzarono di nuovo liberi, come un
alone di luce a circondarlo, e gli occhi, quegli occhi freddissimi e
inespressivi si piantarono nell'animo di Pirecrate con la forza d'un uragano
generato dal grembo stesso di Poseidone.
Pherio era.. Pherio.
Era lui: ora che lo guardava era tornato ad essere quel borioso mezzo
barbaro che da una vita intralciava il suo cammino, con il quale incrociava
da sempre la sua spada, contro il quale combatteva per dimostrare. . per
dimostrar*si* d'essere il migliore.
Solo che ora non poteva più combattere con lui. Non poteva più incrociare la
lama con lui, chè 'contro' non l'aveva mai fatto, non poteva più urlare e
sudare e vivere solo per dimostrare d'essere lui il migliore, e non quel
dorato mezzo barbaro, che pareva figlio illegittimo, sì, ma d'Apollo lucente
tanto bello quanto abile e forte e scaltro e..
Solo che ora s'era accorto che Pherio era bello e che non voleva più
combattere con lui, se non per amarlo. Combattere per conquistarlo, per
poterlo toccare di nuovo e per poterne avere ancora il *rispetto*, per poter
. qualcosa. Qualcosa che aveva dentro e premeva, per la quale Pirecrate non
trovava parole e non capiva. Sapeva solo che c'era quel desiderio struggente
quel bisogno assoluto, assurdo, quell'incredula ammirazione che si prova
di
fronte a una statua troppo bella, forse. Mai aveva visto statue che gli
avessero fatto nascere in cuore quel sentimento, e mai aveva provato prima
quel sollievo, misto a gioia, coronato di spine che lo facevano sanguinare
ma che non uccidevano..
Nonostante tutto Pherio era ritornato ad essere Pherio: il Pherio che
bastava chiudesse gli occhi per avere innanzi, in piedi, fiero, sullo
spiazzo, fiancheggiato dalla propria spada. L'aveva dentro, il Pherio che
conosceva e ricordava. Il Pherio con cui era cresciuto, con cui aveva
vissuto.
Bastava aprire le palpebre per ritrovare quella creatura nelle membra dell
uomo che sedeva, orgoglioso. I capelli erano più corti ma più lucenti; la
pelle veleggiava su guance più magre ma era ancora più luminosa. Ora che
tutto era cambiato, ecco, Pirecrate si accorse, tutto era come era sempre
stato, come doveva essere.
Pherio gli passò di fronte senza dir nulla, passò una mano contro il legno
fresco e buttò un poco la testa all'indietro.
"Non posso stare *sempre* all'ombra, Pirecrate. - disse, asciutto. - Per
quanto possa volerlo, quando il sole sarà allo zenit, sul ponte non ci sarà
un solo punto in cui io potrò ripararmi. Non posso ubbidire al tuo
ordine."
I loro occhi si incrociarono, sfidandosi e intrecciandosi, per un lungo,
estenuante istante. Chiunque altro avrebbe punito Pherio per tanta arroganza
con una lunga sfilza di frustate, ma non Pirecrate, che corrugò la fronte e
poi sospirò, guardandosi intorno.
"Hai ragione."
Pherio si accoccolò nel misero spicchio di fresca ombra che era rimasta a
disegnare il ponte, curioso nel vedere Pirecrate avanzare verso il capitano
della nave, un mercante, e iniziare con lui una serrata discussione.
Discussione: Pirecrate non aveva *voluto* discutere con un *mercante*,
Pirecrate solamente aveva ordinato al mercante di mettergli a disposizione
un pezzo di quella stoffa che stavano trasportando dall'Egitto per farne un
riparo, ma quello, testardo, s'era inorridito all'idea di sprecare il
finissimo lino di Tebe per uno schiavo ed era stato irremovibile nel suo
rifiuto.
Le sue grida alte stavano facendo accorrere gli spartiati e pure Polinice,
curioso, aveva sporto il capo al di fuori della porticina che portava sotto
coperta. Fu quasi travolto da un Pirecrate furente.
"Che succede, Pirecrate? Qualche problema con quell'idiota?"
"L'unico problema, capitano, è che *è* un idiota!"
"Devo forse andare a parlargli io?"
"No, non importa."
Pirecrate ringhiò la sua frustrazione, con un nodo doloroso a chiudergli la
gola mentre frugava nella propria cuccetta alla ricerca di ciò che poteva
essergli d'aiuto.
Perché c'era, lui lo sapeva, e sapeva pure che era lì, e che non doveva
fingere di cercare troppo, ma bastava allungare la mano e sentire la
consistenza di quella stoffa incredibile sotto le dita.
Astre.
Il manto di Astre.
Era solo un oggetto, ma era un oggetto bellissimo. Ed era un ricordo di
qualcosa che poteva essere, ma che era sfiorita prima che giungesse la
primavera. Non tutti i fiori, dopo tutto, si nutrono di gelo, e spesso, l
ultima neve di primavera uccide i germogli prima che sboccino. Così era
successo tra loro e Pirecrate sentiva ancora quel gelo sull'animo.
La stoffa rossa, sotto il sole, brillava incredibile. Era così bella che
pure il mercante s'avvicinò per sfiorarla, rapito dallo scintillare dei
piccoli fili dorati che nella tessitura erano stati inseriti: un manto
regale, quello era, di certo! Non qualcosa da guerrieri.. eppure Pirecrate
glielo strappò dalle dita con una rabbia che non parve neppure umana.
"Non toccarlo, tu! Hai il tuo lino di Tebe, no? Bhè, strusciati contro di
esso e non insozzare il mio mantello!"
Gli Spartiati risero, conquistati dal sarcasmo amaro e tagliente di quel
ragazzino, un paio di loro si fecero avanti, chiedendo se avesse bisogno.
Pirecrate scosse il capo, fissando intensamente il manto che tremolava
appena nella brezza delicata del mare sconfinato. Poi sospirò.
"Devo tenderlo in trasversale tra il ponte e il muro verticale del
castello
di prua per fare una specie di riparo. Pherio non può stare al sole."
Spiegò, non aspettandosi di suscitare tutto quell'entusiasmo, misto allo
stupore.
Polinice strinse gli occhi, sorridendo: la preoccupazione per Pherio era
davvero forte in Pirecrate.. che dove mai, poi, poteva aver messo le mani su
un oggetto di simile bellezza e *valore*? E che razza di ombra aveva
oscurato quello sguardo forte e chiaro? A guardar Pirecrate ora pareva preda
della malinconia più profonda.. curioso. Ma Polinice si tenne i suoi dubbi
per sé, e allontanò i troppi curiosi che avrebbero finito per far irritare
Pirecrate e a far sorgere altri, inevitabili problemi. Ed era appena da
qualche ora che avevano preso il largo..
Filodemo tese martello e chiodi, con uno strano sorriso, a Pirecrate, che lo
guardò per un attimo stranito, poi si scosse.
"No, no! Lasciate perdere, so far da solo!"
Chiodi!
Volevano che infilasse chiodi nel mantello! L'avrebbero rovinato per sempre!
Allora tanto valeva farne strisce sottili e poi gettare anch'esso nel mare.
Ma che ne potevano capire quegli idioti? Cosa potevano intuire della tortura
che gli stava avvelenando l'anima? Il dubbio, un tormento che raramente
aveva provato, ora lo dilaniava, e con rabbia e furia e un'ira che non aveva
senso tese la stoffa rossa, fulgente sotto il sole, annodando con attenzione
i laccetti contro il legno, mentre il cuore gli pesava in petto come un
macigno.
Perché Pirecrate faceva tutto quello per lui? Pherio avrebbe voluto
chiederglielo, ma non lo fece. Serrò le labbra con decisione, ringraziando
in cuor suo per l'ombra ma pensando che, forse, era meglio morire arsi dal
sole piuttosto che stare al riparo sotto un dono che Astre aveva fatto a
Pirecrate. E poi.. non solo 'un' dono, ma un mantello simile.. il cuore gli
mancò qualche battito, in petto, il fiato non gli arrivava bene ai polmoni.
Si passò una mano sulla fronte. Era .. era *geloso* ecco, ora l'aveva
pensato, chiro, netto. Non era altro, solo quello: stupida, insensata
gelosia di un Ilota nei confronti dello Spartiato che lo possiede, e del suo
amante, un amante ch'era un Re, dunque qualcosa che non era per lui, per due
volte non lo era. Era geloso, e stava male al pensiero che pure *quello*
dovesse ad Astre, pure quell'ombra benedetta, pure la dolcezza di quel
riparo.. ad Astre ch'era stato la sua dolce tortura per anni infiniti
trascorsi al suo fianco e poi.. poi più nulla. Niente, solo il vuoto e la
mancanza. E Astre che sceglieva, ragionevolmente, un altro. E che quell
altro era Pirecrate, il *suo* Pirecrate, e a lui, come sempre non rimaneva
nulla oltre al rimanere in disparte, a guardare una vita che non era per lui
una posizione che non gli si addiceva, dei colori che non gli potevano
brillare indosso.
Niente.
Pirecrate che parlava, e diceva proprio quello che Pherio voleva sentirsi
dire..e poi tradiva. Pirecrate che tendeva una mano, il braccio per aiutarlo
a sollevarsi e di nuovo gli voltava la schiena. Pirecrate che sapeva che lui
amava Astre e che con Astre passava le notti lunghe degli accampamenti
solitari. Pirecrate che aveva promesso e aveva mentito. Pirecrate con Astre.
Pirecrate *con* Astre.
Non c'era altro a cui aveva la forza di pensare, non ora.
Pherio distolse lo sguardo, come se Pirecrate che tendeva la stoffa di
rubino mandasse l'immagine dello spartano che abbracciava Astre e lui non
riusciva a sopportarlo. Non poteva farlo.
Perché lui faceva tutto quello per Pherio? Pirecrate avrebbe voluto saperlo,
ma non riusciva a capire come. Il cuore gli sanguinava, ora, e mai, *mai* in
vita sua avrebbe pensato che sarebbe stato così difficile separarsi da un
mantello. A loro, spartani, ne veniva dato uno soltanto e doveva durare un
anno sotto grandine e sole, ed era solamente un oggetto. Invece ora in
quella stoffa che rifletteva il sole come le candele d'una notte d'intimità
c'era molto di più che un riparo.
C'erano le mani di Astre che la toccavano e la piegavano, Astre che se la
portava sul capo, lasciando scintillare il suo sorriso al di sotto della
stoffa, la promessa d'un bacio, un gioco zuccherino, agrodolce ma senza fine
Un dono che voleva essere il primo tra tanti, era divenuto il primo e l
ultimo.
Non aveva esitato quando c'era stato da scegliere. Forse per troppa
precipitazione? Eppure era certo che quel dolore lo poteva sopportare solo
perché era per Pherio, perché per Pherio provava un qualcosa di altrettango
grande, una forza che tirava la corda dalla parte opposte. Chi avrebbe
vinto? Erala sua vita in gioco. E anche questo non aveva senso. . non aveva
alcun senso. .
Pherio non lo guardava, sentiva la fiamma fredda ch'erano i suoi occhi
essersi allontanati da lui, e la sua pelle ne sentiva la mancanza, e
spasmava, qualcosa dentro, perché allungasse le mani, e si tendesse e
legasse, abbracciasse, tenesse saldo non stoffa e lacci, che non si
preoccupasse di venti o tempeste, ma altro: una pelle bianca, un calore da
risvegliare, una luce da cui abbeverarsi fino a divenir ciechi.. eppure
tutto quello non aveva senso.