DI ODIO DI AMORE

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CAP: 29

AUTORI: Dhely&Kalahari (Ovvero: l'accoppiata vincente!!)

SERIE: Original

PAIRING: Pirecrate+Pherio. Pirecrate+Idrio (perchèmmai devo scegliere?!). Dionide+Idrio

RATING: angst

NOTE: le solite!

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Astre schiuse le palpebre, emettendo dalle labbra un lungo sospiro, voltando il capo sul morbido guanciale, scoprendosi le membra. La seta slittò via in una carezza, avvolgendo la pelle come un'onda ripiegata su sé. Era sudato: un incubo aveva agitato il suo riposo e le sensazioni gli stavano quasi palpabili innanzi agli occhi. Parole sfumate che sapevano di profezia, avvertimenti sussurrati, preci e invocazioni, e immagini oscure che pesavano sul cuore in una maniera che mai prima d'allora un incubo.

Si mise a sedere e, per cacciare via la notte, rise nella cristallinità d'un respiro, scrollando le spalle sottili e scattanti come un cigno che s'asciughi il piumaggio con un elegante movenza. Si sollevò dai serici cuscini ch'erano stati il suo scomodo giaciglio, quella notte insidiosa, dirigendosi nudo all'aria del mattino incipiente verso la stanza allestita di sete e cotoni, una fortezza contro la sabbia, ove avrebbe potuto sciacquarsi e purificarsi. Non solo il corpo. Le abluzioni mattutine erano un toccasana anche per lo spirito e il Re le prediligeva sopra le altre perché avevano il potere di riapprestare gli occhi ad aprirsi sul mondo reale, su quello che lui davvero sapeva e poteva, dove non si trovava più in balia di sogni astrusi in cui chi tirava le fila non era lui stesso ma. . chissà, forse la sua immagine?

Comunque fosse, gli incubi che visitavano di notte erano dubbi incorporei, spiriti senza potere contro la sua mente, degni d'essere dimenticati, affogati in un pensiero più lieve degli altri: non c'era nulla che poteva preoccuparlo davvero quando i suoi piani si svolgevano dinanzi gli occhi con attenta e perfetta lenta naturalezza.

L'acqua era così piacevole che iniziò a giocare con essa, spruzzandola per l'aria, muovendo con forza il capo per far ondeggiare i propri capelli e poi di nuovo scostarseli dal volto. E questo non era niente, seppur nel deserto fosse un qualcosa di incredibile e mai visto, che solo quel genio di Dionide era in grado di realizzare: a casa lo stavano attendendo vasche di marmo e statue scolpite, che sedevano sugli orli delle spume bianche, simulazione dei fiume olimpici, e l'acqua ricadeva copiosa e calda sulla testa, riversandosi di continuo mentre un servo se ne stava in un angolo, a suonare un dolce flauto. Questa era la vita vera, la vita bella!

Le mani, i polsi, le braccia le spalle e l'addome, tutti se li asperse di un profumato olio leggero che presto sarebbe scomparso dal tatto, ma che alla vista lasciava piccole stelle sparse, rendendogli l'incarnato una bella via lattea in cui perdersi con lo sguardo. Nei capelli infuse il lucido balsamo di gelsomino, insaponandoli dell'aroma e della schiuma, risciacquandoli con cura, coprendoli d'una drappo violetto e setoso che alla luce dirompente del sole avrebbe rifulso come una limpida ametista. Sotto il dolce gioco d'una collanina di sottilissimi filetti d'argento impose le spalle e il petto, vestendosi ed annodando ed allacciando. Infine si guardò nello specchio di rame e, molto compiaciuto di quel che vide, sorrise a se stesso nel sistemarsi, con la coda d'un lungo pettine d'avorio, una ciocca che sfuggiva sulla fronte.

Quattro giorni e sarebbero partiti. .

E lui passava le notti ad avere incubi disastrosi, e a piangere le lacrime dell'anima per qualcosa che, sinceramente, neppure riusciva a rievocare! Né era utile, né ne aveva voglia. Figurarsi!

Un'ombra venne dall'interno dei suoi occhi, fulminea, putrido residuo di quel sogno assurdo ed angosciante. La cacciò via come si strappa una lettera ambasciatrice di dolore, ed uscì fuori, all'aperto, dove ancora frizzava il vento notturno ma il sole s'espandeva nella luce calda e rossa all'orizzonte infuocato.

Are'heia gli venne incontro e si salutarono con un cenno della fronte.

"Dov'è tuo fratello?"

"S'è appena levato a trattar d'affari."

"Dionide che a quest'ora è ancora a letto? Questa sì che è nuova."

Uno sguardo aguzzo, attento. Poi Astre arricciò le labbra indicando i padiglioni così gelosamente custoditi.

"Cosa è accaduto ai cavalli?"

Are'heia scosse il capo di lato, sollevando le sopracciglia.

"L'ultimo generato, piccolo puledro, la notte che appena fu, fuggì dal recinto e cagionò un poco di confusione."

Astre rise.

"Sarebbe un peccato se i vostri cavalli di facessero male! Son preziosi."

"Sono importanti."

"E il mercante?"

Astre indicò i cammelli dalle lunghe zampe che portavano segni ignoti, che resemblavano una remota landa. Fatto consueto nel frequentato nodo di scambi che era Firuzeh, che giungessero visitatori da così lontano.

"Delle terre che vedono occhi mandorlati."

"Non oserà incontrare un negoziante orientale senza dirmi niente, no?!"

"Diligi le vesti di quei luoghi?" domandò il fanciullo porgendogli uno dei fichi verdi e maturi che teneva tra le mani. Polposi scoppiarono tra le labbra, e di buon grado Astre li assaporò.

"Han gioielli molto belli, ma anche la seta mi aggrada."

Are'heia si pulì la mano intrisa di succo, versandovi l'acqua d'una minuta anfora d'argento.

"Ti convien affrettarti, Astre, se desideri incontrar quell'uomo. Il nostro fratre è rapido nel trattar d'affari, e un orientale non indugia mai troppo dalle nostre parti."

Prima fece Astre a raggiungere Dionide che la sabbia assorbire l'acqua versata per la mano d'Are'heia.

 

La tenda era ampia e sul tavolino basso e quadrato, lucido, erano abbandonate lunghe porzioni di stoffa evanescente. Gli spazi di Firuzeh erano strutturati in modo che l'aria potesse scorrere veloce tra gli oggetti senza infastidire tuttavia troppo, e per questo il caldo intenso di prima mattina non dava noia più di molto.

Dionide se ne stava seduto su un cuscino, vestito come un signore ricco dai costumi semplici, accanto all'uomo dai penetranti occhi scuri e taglienti, ed entrambi saggiavano un po' di tè dai calici che riappoggiarono su un altro tavolino, sempre basso, e nero, alle loro spalle.

"Oh, Tarik, buon giorno."

Dionide lo vide, e così lo salutò, portandosi la mano alla fronte e al petto.

'Stella del mattino'.

Astre sorrise, ammaliante. Il nome che tanto invocava quando era sopra di lui, nudo, era lo stesso che usavano in presenza d'estranei, perché li faceva sentire legati ad una maniera che nessun altro avrebbe potuto comprendere, in un gioco di complicità davvero allettante. Ora più che mai la discrezione doveva essere assoluta per affari di stato, e questo un poco guastava il divertimento. Ad Astre parve un po' troppo formale. Accidenti a quegli incubi senza senso. .

Non bisognò che il signore dell'oasi lo presentasse al mercante, perché lui in persona si accostò loro, con noncuranza elegante e nobile, e parlò speditamente in lingua cinese, che sulle sue labbra persiane, fluenti, suonò come un liuto cui vien data vita da una bocca passionale:

"A voi entrambi il saluto si porge. Piuttosto, tu, - sorrise ancora una volta, penetrando con lo sguardo gli occhi un po' distanti del suo antico amante e compagno, giocando - amico di vecchi tempi, perché non mi fai un regalo?"

Dionide era abbastanza ricco da permettersi tutte le sete di dieci mercanti, da compare tutte le gioie di tre orafi orientali, e non toccare così minimamente la prosperità propria e di Firuzeh. Tuttavia nello sguardo del signore delle lande desertiche passò per un istante qualcosa di indecifrabile: troppo profondo per essere sondato. Astre aveva deciso che dovesse essere un buon giorno, e a questa sua volontà sacrificò la propria sensazione: cacciò via anche quel segno d'un istante sbagliato.

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Pirecrate si strinse le mani dietro la schiena, appoggiandosi allo schienale della sedia, appoggiando un piede sulla sospesa trave orizzontale sotto il tavolo, tendendo i muscoli, sibilando il fiato fra i denti in un cattivo tentativo di celare il sospiro, nervoso come un animale in gabbia. La voce squillante e vivace di Astre, in quell'istante, lo urtò quasi fisicamente.

"Pirecrate, che hai oggi? Mi pareva ti divertissi a parlar di piani di conquista e di battaglie! Che t'ha fatto perdere il tuo buon umore?"

Lo sguardo di blu acciaio sì voltò verso il suo, profondo. Sulle labbra si posarono delle parole ma tacque, improvvisamente muto.

"Nulla."

Mormorò di malavoglia.

Ma per quanto facesse e si sforzasse e si obbligasse, Pirecrate non riusciva a mettersi seduto tranquillo al tavolo e prestar attenzione, perché la mente se ne giaceva in un caos senza nome e vagava, e si perdeva per vie che si intrecciavano e tornavano al punto di partenza, oppure improvvisamente s'infossavano verso una valle oscura in cui non era affatto intenzionato a mettere piede.

Però era tentato.

Ricordi, che si sovrapponevano a sensazioni e poi ricordi e timori che supponeva infondati, e poi voci, voci che dal passato lontano ritornavano e gli dicevano cose in un linguaggio che non riconosceva, e che, forse, non voleva, non poteva riconoscere! Si sentiva confuso e disperato, una disperazione che non aveva alcun senso, mai provata prima, che non sapeva neppure lui da dove provenisse. Eppure essa era lì, dentro di lui, e gli risucchiava le energie, lo distoglieva da un'attenzione che avrebbe dovuto avere. Dopotutto andare a Persepoli . . lui *voleva* andarci, e forse non solo per Idrio, ma anche per se stesso. Il deserto chiamava in una voce speciale, e chiamava il suo nome e Pirecrate, come Ulisse, non era certo di voler distogliere l'orecchio.

Voleva sentir cantare quelle sirene tanto dolci ed invitanti, e provare a tuffarsi, non legarsi all'albero maestro come un vigliacco! Aveva coraggio per farlo, e un desiderio incredibile. Astre era così meraviglioso ed entusiasta, tanto spesso gli parlava di tante cose che lui mai si sarebbe immaginato. Il mondo spiegava le sue ali innanzi al suo sguardo affamato, e aveva voglia di afferrarlo e viverlo in ogni sua manifestazione.

Sparta era amata, era vero quanto il fatto che lui fosse Spartiate, ma era piccola.

Ora che aveva visto cosa c'era intorno alle montagne brulle del Peloponneso, quella regione che aveva seppellito solo la sua mamma e cacciato suo padre, quale follia lo spingeva di nuovo in quel piccolo mondo con le sue regole e doveri?

Non era certo di voler rinunciare a quel che Astre poteva dargli, sicuro, ma qualcos'altro, anche, lo chiamava, altrettanto urgente ed intenso: il Pirecrate c'era stato forse, scioccamente nostalgico e giovane, amante impetuoso della sua splendida città di fango e sangue e sudore, o forse erano solo artifizi di dei crudeli che volevano confonderlo, e fargli di nuovo perder la strada. .

 

Astre, da parte sua, ben riconosceva il tipo di sguardo nelle iridi belle del Dimano che si perde perso dietro ad altri pensieri che non son quelli che, immediati, ha innanzi agli occhi. Astre conosceva quella lieve ruga che gli solcava appena la fronte ampia, e indicava quel che gli si agitava nel cuore come una zampa d'arpia a frugargli nel costato. Astre conosceva la gelosia che dava il vedere, nello sguardo del proprio preferito, il riconoscere un pensiero rivolto ad un altro.

Gli occhi lucidi scintillarono furia e rabbia, disgusto piegò le sue labbra, con un gesto secco della mano fece cadere a terra rotoli e mappe, papiri e coppe. Il tappeto prezioso per via del vino mischiatosi all'inchiostro divenne scarlatto ed andò irrimediabilmente perduto.

Ma Pirecrate parve non vedere.

Pirecrate *non* vide.

Astre ringhiò: come si permetteva di fargli quello! A lui!!

Come si permetteva, Pirecrate, di stare al suo cospetto e non pendere dalle sue labbra, e non vivere solo per il suo desiderio?! Come osava pensare ad altri! Come osava non sentirsi perennemente grato e felice di non essere obbligato a strisciare sui ginocchi in sua presenza!

*Altri*! Poi, no, non erano neppure *altri* che gli rubavano la mente e il respiro, come se Astre fosse uno sciocco, come se non sapesse!

Avrebbe dovuto trovare quel maledetto schiavo maligno e ucciderlo, con le sue stesse mani! Avrebbe dovuto lasciarlo morire tra atroci tormenti, spasmante in terra, e così si sarebbe visto se nulla e nessuno più riuscivano davvero a strappargli un gemito, a quel maledetto Adone senza cuore!

No, no. . quello sarebbe stato rozzo, e stupido.

Pirecrate gli sarebbe sfuggito dalle mani, in quel modo, e lui non poteva permetterselo. Non poteva rischiare di perder Pirecrate. . Doveva esser saldo, e pazientare. A Persepoli il suo adorato Spartiate si sarebbe trovato in una ragnatela tale di onori e piacere e voluttà che non avrebbe più neppure potuto immaginare una vita che non fosse al fianco del suo Re, e Pherio. . Pherio magari sarebbe rimasto nei suoi ricordi come un trastullo di gioventù, e magari, sì, magari un giorno sarebbe giunto al suo cospetto chiedendo di soddisfare un suo capriccio, un sua piccola curiosità: che fine aveva fatto il piccolo Pherio?

E Astre già si vedeva a sorridere scotendo il capo, e accontentare il suo Generale Supremo, per una cosa così senza importanza. . e l'avrebbe condotto lui stesso lungo le vie tortuose della Persepoli più vecchia, lui stesso avrebbe aperto le porte di quella villa che, se fuori pareva dimessa e cadente, tutto il muro bianco cinto dall'edera, dentro mostrava ricchezza di arredi e ombre, giardini e fontane, piastrellate di luci e colori. E avrebbe mostrato sale e stanze, indicando il luogo ove Pherio aveva soggiornato per così tanti anni, soddisfacendo i desideri di chiunque avesse abbastanza denaro per comprarselo, pubblica meretrice che aveva valore finché la sua bellezza non si fosse guastata, e quando il fiore degli anni era svanito. .

Si meritava forse altro quel piccolo stupido di Pherio? E Pirecrate avrebbe riso al pensiero che aveva dato tanto peso a colui che non era null'altro oltre uno schiavo, e avrebbero riso insieme, sugli scherzi amari che tira il destino quando si è troppo giovani per *comprendere*.

E Astre avrebbe goduto a sentir quella risata, a udire quelle parole! Astre sarebbe stato ripagato in quell'istante di tutto ciò che stava soffrendo ora. .

Sì, perché ora Pirecrate semplicemente non comprendeva: non comprendeva la sacralità della missione di Astre, il fatto di essere lui stesso un dono fatto dagli dei al futuro Re di Persia, non capiva di quanto fosse fondamentale, e che il suo posto *era* a Persepoli, come Gran Generale. . e Astre sapeva essere magnanimo, e l'avrebbe riempito di ricchezze oltre l'immaginabile, l'avrebbe colmato di piaceri, ne avrebbe suscitati di nuovi, appositamente per lui, appositamente per soddisfarli. Pirecrate avrebbe vissuto con lui in una perenne terra di dei: quando poi avesse sentito il bisogno di guerreggiare, gli avrebbe allestito l'esercito, e Pirecrate sarebbe partito, le frontiere si sarebbero ampliate, gli introiti delle tasse aumentate, nuove popolazioni sotto il suo dominio, e poi. . poi Pirecrate che ritornava trionfante tra le strade bardate a festa di Persepoli, fra le sue braccia vissute lontane dal sole l'avrebbe accolto e si sarebbero amati per notti e no tti a festeggiare la vittoria e il ritorno del suo Generale..

Questo era il futuro che voleva. Questo era il futuro che avrebbe avuto. . che avrebbero avuto insieme. .

Mostrò i denti, scintillanti e pericolosi come quelli d'una fiera pronta ad uccidere, movendo il capo con un gesto secco all'indietro, i fili neri, venati del blu della notte sul mare che erano i suoi capelli, brillarono danzando come ninfe innamorate.

"Pirecrate, pensavo.. - riuscì ad attirare la sua attenzione e sorrise più pacato, passandogli una mano intorno ai fianchi, appoggiando il capo alla sua spalla, dolcissimo e terribile insieme- E' da un paio di giorni che Idrio pare dar segni d'essersi rimesso, almeno in parte. Perché non vai a trovarlo? Son certo che Dionide sarà ben felice di vederti nella sua tenda, come amico e non solo come esperto militare."

Pirecrate spalancò lo sguardo, un abisso senza fondo, sbigottito e incredulo.

Idrio!

Qualcosa di profondo gli si mosse dentro.

Idrio..

Ricordò l'Eurota, la sua voce.. la sua voce che non c'era più.. ma almeno non era a un passo dalla morte, almeno avrebbe potuto cercare di lenire le proprie ferite nel mare salino e tiepido che erano quegli occhi. Perché sì, quegli occhi dovevano essere ancora brillanti, lucenti e profondi come il sacro regno di Poseidone, e quel sale gli avrebbe lenito le ferite che portava sull'animo, l'avrebbe.. aiutato, guarito, come anche solo il pensarlo faceva. E Idrio.. Idrio.. quanto tempo era passato? E tutto, dentro e fuori di lui era mutato, nello svolgersi di quel tempo che per i mortali è sempre troppo fuggente, come se la notte avesse preso il posto del giorno.

Quando anche lui stesso faticava a comprendersi, poteva Idrio riconoscerlo?

E quell'incubo terribile che gli aveva piagato la mente e il cuore era stato solo un suo incubo, oppure pure l'ateniese aveva sentito, e visto e provato.. e davvero.. *davvero* gli aveva inferto tutto quel dolore, davvero aveva atteso tanto per posar le mani su di lui per poi straziarlo in quel modo?

E dunque, poteva *osar* incontrarlo?

Ma ne aveva bisogno. Doveva vederlo, per avere una risposta, fosse anche .. non importava che risposta, non importava. Almeno avrebbe avuto la possibilità di provar a capire ..

Ma racimolare quel coraggio, ora, forse, gli richiedeva troppo, e Pirecrate, per la prima volta in tuta la sua vita, non seppe se sarebbe mai riuscito a muover quei passi che con tanto ardore desiderava compiere.

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Il mare profondo che era l'aria intorno, carezza lieve, per un attimo si turbò.

Fu solo un tremito, un brivido a cui non si poteva dar nome.

Che nome dare, poi, al colore d'un incanto che spezza l'immobile silenzio di un mondo senza tempo, in cui il tempo non scorre ma è semplicemente inesistente e al tempo gelato e dilatato in un eterno circolo immobile?

Parole, poi, non c'erano parole da dire.

Lui non poteva dirle, non le trovava dentro di sé, e fuori.. esistevano parole fuori?

No, non avrebbero dovuto.

Eppure il canto iniziò la narrazione, e la storia si svolse non per sensazioni ma per parole, suoni definiti, incredibili assonanze che orecchie non più abituate a rumori umani bevvero come un assetato l'acqua nel cuore del deserto.

Il gorgogliar fluente del fiume perse il suo incanto assoluto, per un attimo l'universo intero parve stare in bilico come strattonato da due forze immense, poi .. poi il cristallo s'infranse, la voce prese forza e vigore in un sussurro infinitamente dolce e lo struggimento si unì alla gioia, e il canto si fece policromo, infiniti accenti, eternamente ampio il ventaglio di ciò che narrava, di ciò che suscitava dentro.

Pherio si voltò lentamente, il giovane musico era seduto lì accanto, in una polla di luce che l'enorme salice, sulle cui radici era appoggiato, lasciava sul prato smeraldo.

Teneva il giovane una cetra fra le mani, legno nero d'ebano lucido e corde tese d'argento e perle, i capelli morbide onde di miele scuro e forte, miele di castagno profumato, resina di pini che si mischiava ai flutti in lontananza e al garrire eterno dei gabbiani su scogli bianchi e su prue basse.

Pherio strinse gli occhi, appena velando le iridi chiare di fronte allo scintillar degli infiniti flutti, che avevano il morbido tono di quegli occhi cangianti che, dolci, posati su di lui, lo avvolgevano e lo incantavano, incatenandolo più e meglio di quanto facesse la musica.

Il silenzio divenne di nuovo padrone del mondo vuoto in cui sedeva Pherio, con fili rossi intrecciati alle dita chiare, ai polsi immobili, tenuti come incatenati in grembo, ma il sorriso nacque sulle labbra dell'Orfeo vivente, pallido, manifesto in una trasparenza simile ai riflessi che si contempla ad acqua placa, come se lui non fosse del tutto lì, come se fosse solo un fantasma, uno spettro d'un altro mondo venuto a recargli visita.

Aveva, invero, il profumo dei mortali e il fascino di un corpo sottile e snello, e persino le iridi sotto le ciglia erano vive e luminose come se avessero catturato un raggio di luce vera, di quella che solo i vivi contemplano, e se lo fosse conservato sotto le palpebre per lasciarlo fuggire lì, in quel luogo senza nome e senza importanza.

Ma Pherio non ne ebbe paura.

E si sentì fissato come se il cantore avesse già sognato tutto o si trovasse in uno di quei sogni in cui a condurre le fila è l'addormentato, al di là della veglia, ma troppo in qua del sonno. La cetra fu posata sull'erba e lì svanì, sfumando in minuscole scintille, come gocce d'acqua sfrondate, o mercurio vivo sfiorato. Che sarebbe ricomparsa lì dove l'altare di Orfeo, questo se ne stava dimenticato e non scordato. La mente non aveva premura a chiedere, né lì essa poteva decidere qualcosa.

"Pherio. ."

Il suono lo raggiunse, come il rombo dopo la luce del tuono infocato, ma non lo comprese subito, e lentamente sorrise, sbattendo piano gli occhi.

"Idrio - sussurrò - Che fai qui, non hai forse trovato la strada di casa?"

Lo vide corrugarsi, preoccupato, mentre faceva correre e posò occhi oceanini all'altezza del suo grembo, dove le sue mani venate di fili rossi, liquidi come sangue, erano poggiate, e quei fili parevano ceppi di rubino loquido che lo imprigionavano, e nella loro terribile, leggera parvenza dovevano essere grevi come macigni e ardenti da ustionare non solo la pelle e i muscoli ma pure il cuore. Le labbra dolci si piegaron e furono tutt'uno col lanciarsi in avanti e sfiorarle, tenendo gli occhi fissi nei suoi, supplicandolo con lo sguardo, un'accusa silente e una inquietudine che rodeva l'animo.

"La via per casa mia, da tempo l'ho ritrovata. Piuttosto tu, perduto! - tormentato dal dispiacere enorme, da quel dolore infisso nel petto, tanto acuto che l'aveva spinto a ritornare in quei luoghi osceni, illusione fugace! terribile trappola! Si guardava intorno e la bellezza cristallina gli si svelava in tutta la sua acutezza e taglienza: in tutta la sua freddezza- Pherio, ascoltami: a tutto questo vuoto non ti duole il cuore? Come puoi respirare qui, in questo nulla? Torniamo a casa!"

Pherio sbatté gli occhi. Ciò che Idrio gli diceva, lui non lo capiva.

Casa?

Era quella la sua casa.

Dove doveva andare?

Non c'era altro posto per lui, se non quello. Lì nessuno l'avrebbe scacciato, come invece era successo altrove. Lì non dava fastidio a nessuno, nessuno lo odiava.

"Qui nessuno ti potrà amare mai!"

Si intromise Idrio, intuendo alla perfezione i pensieri che vorticavano nella mente dello Spartano.

"Qui devo stare, Idrio. Sei tu che devi tornare a casa! - si scurì un poco. Pesava quel discorso, una spina sottile ma infetta infissa nel petto, e faceva male. Di solito nulla faceva male. Perché? - Questo è il mio posto, sono nato per star qui."

"Ma qualcuno ti aspetta, Pherio! Come puoi lasciarlo attendere in questo modo?"

Il sorriso che gli solcò le labbra era vuoto e freddo. Idrio ebbe paura, poi la pena prese il sopravvento.

"Nessuno mi attende. Ti sbagli, Idrio. Non c'è nessuno che attenda me. Invece. . - tese appena il capo di lato, una strana espressione sul volto, seguita da un lento annuire - invece, senti? E' te che stan chiamando."

Idrio sollevò il capo di scatto, dovendosi coprire le orecchie, tremando forte: una voce riempiva il cielo, un sussurro, l'aria intera ne era pregna, di quel richiamo gentile e lontano, ma che risuonava e premeva sui timpani, costringendo gli occhi alle lacrime. Mani che sfioravano i capelli, e preoccupazione, la pena, il timore, e Idrio non riusciva a combattere contro la spinta del proprio cuore, lacerato tra due persone che avevano bisogno di lui quando lui aveva bisogno di compiere quel che sentiva nel costato.

Tormento terribile gli prese l'animo gentile, un singhiozzo a sfuggirgli dalle labbra.

"Non ce la farò a resistere per molto. . vieni con me"

Lo stupore che ebbe in risposa fu inaspettato.

"Ma tu la conosci la strada, Idrio, l'hai già percorsa! - un sorriso amaro, questa volta, e solo, così solo. . - Va', e non tornare. Ti amano troppo. Non tornare qui."

Idrio chinò il capo e pianse.

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Pirecrate pareva impazzito.

No, non era il termine esatto. Pirecrate dava l'idea di uno di quegli uomini che nella pazzia si risolvono, come Aiace, ad uccidere ed abbattere tutti coloro che gli si parano innanzi e non era comunque quello che egli leggeva nelle iridi dello Spartano, ora.

Era sconvolto, ma dalla preoccupazione: una bestia strana gli s'era annidata nel cuore e si nutriva della sua forza. Gli occhi metallici risplendevano opachi, e sembravano incapaci di riconoscere chicchessia.

Lui, però, lo riconobbe.

"Idrio."

Sussurrò, appena, come se nominarlo pesasse sulle labbra, e per un attimo lo sguardo riflesse, tremante, un'antica e forte fiamma racchiusa nel cuore, e lo stupore si dipinse nelle splendide e celesti iridi tristi: le sopracciglia, piegate sotto un peso grave, dissimile da quello dell'austero contegno Spartano, pesavano sugli occhi perfettamente scolpiti, limitati da pelle scura e morbida e ciglia nerissime.

Idrio sentì chiaramente il cuore immobilizzarsi e sussultare, tanto che dovette portarsi una mano al petto. Pirecrate non l'aveva mai chiamato per nome, e neppure sognandolo aveva mai udito il richiamo alla propria persona proferirsi da quelle labbra. Idrio quando riprese a respirare sentì il costato trafitto da una freccia che avrebbe dovuto e voluto strapparsi.. o forse era quella già presente che tornava a bruciare, maledetta?

Pirecrate s'alzò in piedi, scostando lo sguardo da lui, cercando qualcos'altro. E lui d'istinto portò l'altra mano alla gola, dove lo scempio di quella terribile cicatrice, all'improvviso come destatasi, palpitante, veniva celato da intrecci d'un nastro di raso color dell'acquamarina, che s'era avvolto e annodato intorno al collo con cura infinita.

Abbassò gli occhi, quasi vergognandosi, e si sentì carezzare, all'improvviso e con dolcezza, dallo sguardo penetrante dello Spartano.

 

Un singhiozzo cupo, appena percettibile ma abbastanza doloroso per infrangere il gioco dei loro sguardi, venne dalle labbra di Pherio, disteso, e il volto di Pirecrate, dopo avergli lanciato un'occhiata preoccupatissima, si chinò nuovamente a strizzare il panno chiaro nella ciotola d'acqua, resa opaca come da una cortina galleggiante di rosso rame.

Sangue.

Idrio, sebbene l'ora fosse terribile e il destino paresse sul serio una bestia atroce, stette in silenzio e trattenne, dignitosamente, le lacrime e l'istinto. In fondo era per Pherio che s'era recato lì. Solamente per Pherio. Altrimenti sarebbe rimasto lontano da Pirecrate, o no? Urlò quella domanda al suo cuore, stringendolo attraverso il vestito e le costole e il petto, cercando di lenire la sofferenza d'una ferita aperta.

Mercanti..

Astre..

Pherio..

Perché gli dei tormentavano lui e Pirecrate a quel modo? Perché Fortuna era stata così indecente e ingiusta da farli incontrare e tenerli separati per sempre, rinnovando ogni volta l'ingiusta speranza? I loro occhi si incrociavano attraverso grate di legno intarsiato, che neppure permetteva loro di guardarsi a lungo, e le mani a lungo avevano accarezzato le foglie e i fiori scolpiti, arabeschi che spezzavano anche la luce del giorno, nella memoria di labbra che lì s'erano appoggiate. Il desiderio seguiva quelle spire, e la passione non poteva arderle.

Idrio abbassò le palpebre, cercando entro di sé la forza, invocando le poche energie che aveva, tentando di sorridere. A Pirecrate non serviva il suo dolore, come non serviva a nessuno. In fondo se avesse voluto, sarebbe potuto scappare da Firuzeh non appena ingraziatosi, anche se meschinamente, Dionide, e Pirecrate ora non poteva fare nulla.

Lo seguì allora in un silenzio quasi religioso, accostandosi a un corpo disteso, contratto e voltato su di un lato. La pelle chiara emanava un colorito malsano, una patina di sudore lucido rendeva madida la stoffa che gli cingeva appena i fianchi. Tremavano, quelle membra vuote, come se fossero in mezzo a una terribile bufera di neve e il gelo si mostrava a contorcere le labbra viola, quasi tumefatte, chiazzate del rosso sangue.

Pirecrate, con aperta dolcezza passò la stoffa umida sul viso sconvolto, cercando di donargli un po' di riposo da una febbre di cui non capiva la causa, ma nulla pareva toccarlo, nulla pareva davvero riuscire a sfiorare il tenue barlume di vita che da qualche parte doveva stare ancora ardendo.

Idrio sentì un brivido nel cuore, a vederlo così, solerte nell'accudire il suo nemico d'un tempo.

Nuove lacrime gli velarono lo sguardo, senza che riuscisse a impedirlo, e strinse i denti.

Uscì dalla tenda e raccolse un'intera brocca d'acqua pura e fresca, poi la portò dentro, di nuovo, porgendola al Dimano, indicando gentilmente la ciotola.

Pirecrate non riuscì a non guardarlo.. la passione, la furia, il desiderio c'erano sempre, ma erano come stemperati, affoganti in qualcos'altro, qualcosa di diverso, che non era solamente il timore per Pherio. C'era sempre stato, sin dal primo istante, e tutto il tempo trascorso l'un lontano dall'altro, s'era rafforzato: era una luce aerosa e meravigliosa, una bellezza che sublimava la perfezione del taglio degli occhi, il naso dritto, le sopracciglia ben disegnate, le spalle agili, i fianchi stretti e le gambe snelle, ma che non era insita in tutte quelle cose. Tra anni ed anni, era convinto, sebbene il corpo avesse perso la giovinezza, sempre quello sguardo avrebbe piegato l'uomo più crudele, e sostenuto l'animo più tremante e lacerato.

Era bello l'Ateniese, nella sua pietà, nella sua grandezza d'animo e per questo enigmatico ed incomprensibile. Ma lui non aveva mai avuto bisogno di comprendere per apprezzare e vedere lo splendore. C'era, e una parte del suo cuore non sarebbe mai riuscita a condividerlo, però. .

Però non era riuscito ad andare dall'ateniese, per i rimorsi, i ricordi e troppe, troppe sensazioni da tener a bada anche così per rischiare troppo nel comparirgli davanti e dirgli . .dirgli cosa? Non sapeva neppure lui cos'era quel che provava, come giustificare un simile tenace sentimento nato da una notte ed un addio su una collina e da una piccola aquila.

Pirecrate non lo sapeva. Non sapeva dare un nome. Forse era per questo che non riusciva a dimenarsi dalle spire d'una tristezza che ogni giorno pesava sempre di più.

Così, stupendolo e stupendosi, era stato Idrio a venir da lui. E ora se lo trovava di fronte e sapeva di non poter più metter da parte certi pensieri, dedicando loro un altro momento, perché ora era giunto l'istante in cui Idrio era lì, di fronte a lui, e lui. .

Se avesse potuto tornar sui suoi passi, Pirecrate sapeva che allora, all'Eurota, avrebbe teso le braccia e l'avrebbe tenuto stretto a sé, e non l'avrebbe mai e poi mai lasciato andare via da lui, nonostante Sparta ed Atene, nonostante la Gerousia, nonostante tutto.

Però ora era tutto diverso, tutto era mutato, e ora non sapeva cosa fare, cosa desiderare davvero, come se un dio gli avesse sussurrato all'orecchio che un desiderio gli sarebbe stato esaudito, ma uno, e uno solo, e tutto il resto sarebbe stato perduto per sempre..

E Pirecrate no, non lo sapeva neppure lui cosa bramava davvero, cosa abbisognava di più.

Desiderare aveva sempre desiderato: tutto aveva desiderato, ogni cosa, non dover mai rinunciare a nulla, e a nulla mai aveva pensato di rinunciare perché la fiamma era alta, e lambiva le viscere e il cuore e spingeva pure alla furia pur di cingere ciò che si prefiggeva. A volte ciò che inseguiva gli era sfumato dalle mani, e spesso era accaduto, era vero, ma mai, mai il Dimano s'era dato per vinto, perché mai qualcosa gli era parso impossibile.

Mai.

Cosa era impossibile per un cuore che bramava e un corpo forgiato, una mente pronta e un anima salda? Aveva combattuto per plasmare la sua vita ad immagine di ciò che sognava, fosse stato anche un qualcosa di momentaneo. L'importante non era la cosa in se stessa, ma il fatto che era lui a viverla. E nonostante tutte le forze avverse lui, figlio d'un disonorato, era divenuto Spartiate, valente e saldo. Tutti distoglievano gli occhi quando s'aggirava furente per le vie della sua città; ben pochi erano coloro che potevano reggere il peso e l'ardore del suo sguardo, uno solo l'impeto del suo assalto.

Uno solo che, ora, gli stava morendo fra le dita, come un fiore che si piegasse su se stesso, alla fine dell'estate e chinasse la corolla alla falce dell'inverno.

Perché?

E poi Idrio. . ciò che era inaspettato e impossibile, improbabile folle sogno. Ateniese, e lui spartano, sconveniente quasi peggio che se Idrio fosse stato barbaro.

Idrio tradito, venduto da un altro Greco, scaraventato in terra straniera senza neppure più la sacra libertà greca a fargli da scudo. Idrio, meraviglioso cantore ora muto, e solo. . disperato doveva essere, ora, Idrio, eppure egli era lì, era venuto a cercar Pirecrate e non offendeva con sguardi di fuoco, ma dolce era il suo volto, e gentile. . ora era lì e. . ora l'afflitto abbassava lo sguardo e allungava una mano verso il suo esecutore, toccandolo con una carezza morbida e pietosa.

Ironia del destino: non esisteva al mondo persona che più di Pherio si meritasse la schiavitù, ma Pirecrate non era solito godere della sofferenza altrui, neppure quella dei propri nemici. E nonostante tutto non *sentiva* Pherio nemico.

E c'era Idrio. . e c'era Pherio.

E Pirecrate non sapeva che fare.

Si alzò di scatto, furioso, gettando a terra il panno, azzannando l'aria, contraendo il petto perché il cuore non gli scoppiasse e s'avventò sull'ateniese, prendendolo con forza per le spalle, scuotendolo e spaventandolo.

"Sono solo un idiota! - ruggì - Dimmelo! Dimmelo che sono un idiota, perché è vero che lo sono! E' vero!"

Idrio sostenne a malapena quello sguardo colmo di dolore e di pena, e rimase immobile a sentire i polmoni dell'altro riempirsi e svuotarsi d'aria, mentre il mondo attendeva. Sospirò: sapeva cosa stava soffrendo, sapeva che significava voler bene a qualcuno e . .guardarlo andarsene senza. . senza poter far nulla, senza che la propria voce potesse essere abbastanza forte perché l'altro si voltasse, perché. .

Pirecrate allentò la presa e Idrio ebbe animo d'accennar un sorriso. Gli carezzò, gentile e tremante, una guancia, suscitando in lui uno sguardo sbigottito e non appena in quegli occhi affiorò qualcosa di quel sentimento che riconobbe simile al proprio. . . 'No!', urlò imperioso, riconoscendo un pericolo terribile per la propria persona, l'Idrio di Firuzeh, l'Idrio oramai legato indissolubilmente a quella terra, tanto profondamente quanto l'ancora che sin da bambino, greca, gli era affondata nell'animo. Scostò i polpastrelli dalla pelle scura e resa appena ispida dalla barba non tagliata quella mattina, e si chinò, raccogliendo il panno, e lavò da esso il sangue rimasto. S'inginocchiò accanto a Pherio.

'Come puoi pensare d'esser solo? - pensò con tutta la sua forza - Non senti come ti chiama, Pirecrate? Non senti come ti sta implorando? Non è solo senso di colpa, il suo, lo sento io, dovresti sentirlo anche tu. Non aver paura, Pherio, non ti farà del male. Non sei solo. Sei fortunato, terribilmente fortunato. .'

Nessuna risposta, ovviamente.

Pirecrate ci aveva quasi sperato. Quell'ateniese che, la prima volta che l'aveva visto, aveva scambiato per Orfeo, quel giovane musico senza voce che pareva essere stato toccato dal fato più avverso eppure continuava a spargere intorno a se' gentilezza e mitezza e bellezza. . che potesse lui fare quel miracolo che non gli era concesso?

Se non poteva lui, chi?

Astre diceva che Pherio non aveva nulla, che era *sano*. . ma per gli dei! Come poteva esser sano uno che vomitava sangue, e giaceva riverso, da giorni senza coscienza, gli occhi chiusi, inavvicinabile e irraggiungibile?! Gli sembrava di starsene innanzi ad una porta di bronzo, chiusa, e di star battendo lì i pugni, di vedervi scorrere in abbondanza il proprio sangue.. Iniziava a perdere la voce, a non averne più, ad essere stremato dal gridare. .

Come poteva Pherio. . il forte, invincibile, imbattuto Pherio. . il migliore di sempre . . il *suo* Pherio . .

E Idrio?! Idrio era lì, il suo sogno era pallido ma in piedi, ed era vivo, era carne e sangue e sorrisi e . . e avrebbe potuto baciarlo se si fosse teso verso di lui, sapeva che non avrebbe dovuto obbligarlo, sapeva che non era necessario, e il suo cuore era felice ad avercelo vicino, ma . .

Si voltò e si trovò incantato.

Le mani affusolate del musico sfioravano la fronte di Pherio, affondando nei capelli corti e morbidi, miele purissimo di fiori primaverili, lucenti, splendidi. . si chinò sulla sua tempia e, posatovi un bacio dolce, prese un sospiro nel loro profumo, e si sollevò, lentamente, incantato e incantevole, a sorridergli, come se avesse intuito un segreto prezioso.

Qualcosa sussultò nel cuore di Pirecrate.

"Sì - sussurrò, sentendosi quasi. . in colpa? O era orgoglio? - Li ho .... glieli ho lavati stamane. Io.."

Non trovò altre parole e tacque a fissare l'ateniese sorridente. Scosse il capo, muovendo una mano nell'aria, distogliendo lo sguardo, ché forse sarebbe stato facile vedere il rossore che sentiva sulle guance, e le lacrime che dietro alle palpebre pungevano.

Con dolcezza aveva sfiorato il capo di Pherio, mentre aveva carezzato i capelli con le dita piene di balsamo, purificandoli dalla sporcizia e dal sudore, dando loro nuova vita. Non c'era stata un'esperienza più sensuale di quella in tutta la sua vita, e Pirecrate non credeva che qualcos'altro avrebbe potuto sovrastarla. In quei momenti poteva dire d'esser stato veramente felice.

E mentre aveva passato una stoffa in quella matassa di fili d'oro, s'era morso le labbra perché malamente erano state recise, e si sarebbe fustigato se avesse avuto una frusta, finché il dolore non avrebbe ottenebrato la sua mente e l'avrebbe costretto a terra. Si sarebbe lasciato frustare innanzi all'altare d'Artemide, e avrebbe pianto amaramente se fosse servito a ridargli la chioma perduta.

Come aveva potuto?!

Bagnati quei capelli s'erano tutti uniti in ciocche che parevano oro fuso e colante, sottili lamine abbaglianti, e adesso asciutti erano ancora più belli. Gli aveva ricordato terribilmente Pherio fanciullo, arrogante dalla fronte fiera ed alta nonostante avesse capelli biondi come il sole e corti da suscitare scandalo.

E così avrebbe voluto vederlo, così sarebbe riuscito a parlargli. Come prima.

 

Dita morbide gli sfiorarono una spalla, e Pirecrate si voltò verso Idrio che, deciso, gli pose fra le mani la brocca d'acqua vuota, indicandogli con un cenno del capo d'andarne a prendere ancora. Sembrava un comando, più di tutto sembrava sapere con assoluta sicurezza cosa bisognasse fare. Pirecrate lo fissò, incredulo e dimesso, e fece come aveva chiesto, non riuscendo a capire, ma al contempo, incapace di rifiutargli qualcosa.

Obbedì di nuovo quando il giovane gli indicò Pherio, di chinarsi al suo fianco, lo fissò senza parole nel vedere quelle dita sottili a svolgergli via dal corpo quegli stracci che erano stati i suoi abiti e perfino arrossì di fronte a un'occhiata che sembrava disapprovazione.

Abiti.

Pirecrate batté le palpebre nel capire cosa Idrio volesse fare, però fu lesto ad aiutarlo nel sostenere il corpo albo di Pherio. Lo lavarono con cura, lo asciugarono avvolgendolo in panni morbidi e ampi che Idrio era corso a prendere dalle stanze di Dionide.

Pirecrate lo trattenne fra le braccia, forte e tenero insieme, incuriosito e anche pazzo d'una felicità che non sapeva da dove avesse preso.

Pherio fra le sue braccia, abbandonato ma non sofferente.

Pherio addormentato.

Il suo capo lucente sulla sua spalla bruna, la propria pelle di bronzo contro la compattezza di seta chiara della guancia. . il respiro che lo solleticava, il respiro di quelle labbra splendide e rosate, un tracciato di pennello su un foglio illibato. . non stava soffrendo, ora, stava solo riposando, ed era così bello, e faceva così male pensarsi senza di lui, lontano da lui. . anche colpevole, sì, anche . . Nonostante tutto.

Come al sole che nasce s'alza lo sguardo intento, e rimirar si puote l'astro fulgente diffondere il lume sereno e gaio, carpendo in dolci reti gli occhi, così il sentimento lo prese e lo abbatté quando la vista gli cadde in quella pacata e sorridente di Idrio e. .

Era come . .rinascere, forse.

Rivedere qualcuno dopo vite passate senza incrociarsi, ma sempre avendo nel cuore la strana sensazione d'una mancanza, un vuoto. E mille e mille giorni vissuti guardando il tramonto nella speranza di star guardando nella giusta direzione, serate fluite nel guardare le stelle sapendo che forse era un gesto condiviso in quell'istante. . Una presenza. Un sorriso candido e puro che non si scioglie al calore degli eventi, ma permane, come è, come troppo a lungo lo si è immaginato.

Amava Idrio d'una tenerezza senza fine, un sentimento ch'era un campo di fiori che s'inabissa verso valle, d'un desiderio che non si sarebbe mai esaurito; con lui divideva un legame così profondo che univa il sangue, l'anima, e non solo il cuore. Ma. .

Era diverso. Solo ora i contorni di quella fortissima sensazione si facevano più nitidi, ed in essi riusciva a leggere meglio il significato che si portavano dietro. Pirecrate lo fissò, perdendosi in quegli occhi espressivi, pieni di fascino, screziati d'azzurro. Idrio arrossì, scansando il suo scrutare distraendolo, muovendo leggere le dita sottili a chiudere i nodi intorno al corpo chiaro, ora lucente per tutta l'acqua versata, come un fiume scivolato sulle pietre bianche del suo letto, di Pherio.

L'Ateniese sorrise. Il suo cuore vedeva bene, e aveva sempre visto lontano. Sapeva . .aveva sempre saputo. . E ora che vedeva quei due Spartani vicini, così perfetti vicini-

 

Le luci stilettarono, veloci sul pavimento s'intrecciarono le ombre, infrante da un corpo vivo che entrava. Astre che li fissava dalla soglia a malapena nascose il ringhio nel vedere Idrio, e la sorpresa, perché c'era Pirecrate, e Pirecrate. .

Se lasciava che il Dimano si trastullasse con l'Ateniese solo perché stesse lontano da Pherio morente, e invece i due piccioncini si mettevano a fare i missionari, a che scopo permetteva la loro vicinanza?

E il Panfilo giaceva come un piccolo principe raffreddato, in mezzo a cuscini e cuscini e coperte di seta e lino più prezioso, i capelli lucenti come se dal cielo fossero state colte le stelle, e intessute sul suo capo, intorno alle tempie, per renderlo meraviglioso anche nel malessere.

"Astre!"

"Pirecrate che sorpresa veder*vi* qui."

Idrio poggiò una mano sulla fronte dello Spartano addormentato, e l'altra sul petto, e lo guardò fisso, infilando lo sguardo nel suo in una maniera indicibilmente irriverente, e la cosa più assurda fu che i suoi passi si bloccarono, a metà strada verso i tre, i piedi all'improvviso colti da una paralisi e il cuore nel petto un toro ch'improvvisamente scopriva i lacci intorno alle corna bianche.

"Pherio sembra stare meglio. . ma non si sveglia da ore ed ore!"

"Già, sembra stare meglio."

Si costrinse, Astre, a continuare a camminare, guardando di sottecchi il volto dello schiavo insolente dalle iridi verdi, fingendo sulle labbra un dolce e tenero sorriso.

"Forse è come avevi detto tu, - gli occhi di Pirecrate guardavano verso il basso, celesti sfere sotto le palpebre more che si spostavano da destra a sinistra, non convinto del tutto, dubbioso ed esitante, fortemente consapevole che una battaglia si stesse combattendo proprio ora, eppure era una battaglia che lui non comprendeva, non vedeva, a cui non poteva partecipare. Il disagio diveniva quasi dolore che faceva inciampare la lingua contro il palato. - forse si riprenderà presto."

"Anche perché mancano tre giorni alla nostra partenza: deve riprendersi per forza. Tu, Idrio, piuttosto, c'era Dionide che ti cercava."

Lo sguardo tagliente come il corallo passò sulla figura di Pirecrate ignaro, e poi su quella sottile dello schiavo di Dionide, sprezzando e gettando infamia. Idrio strinse i denti e s'alzò in piedi, andando innanzi al Re di Persia col capo sollevato e l'incedere lento e debole ma fermo. Non era una creatura che si sarebbe arresa, e, ben piantata, difendeva da lui la gente di Grecia: come Atena sollevava una lancia invisibile, perfetto strumento di difesa e di attacco.

Ma lui era Astre. Era re. Era un dio, anzi no: l'unico dio sulla terra, l'unico vero imperatore. Legittimo, di sangue.

Idrio socchiuse le palpebre, accennando un inchino di cortesia, allontanandosi, avviato sotto il sole meridiano.

Pirecrate anche s'alzò in piedi, ponendosi il mantello di Spartiato su quelle spalle larghe e forti, nervose e brune, rese ancora più bronzee dai raggi di quelle terre. Astre sollevò una mano, per sfiorarlo, ma Pirecrate non si fermò.

Forse gli dei mescolano le carte: ma il destino è un vento che nulla diga.

______

Le ombre straziavano il terreno inondato da una marea luminosa, mentre i colori modesti sgargiavano come se fossero stati marmi e pietre preziose: Firuzeh pullulava di bambini che correvano qui e lì, di bambine era pieno che intrecciavano capelli e nastri e giochi e parlottavano tra loro e si voltavano, sorridendogli, al suo passaggio. Pirecrate con uno sguardo le faceva ridere e sorridere, sebbene i suoi occhi fossero densi d'ombra.

"Idrio!"

L'Ateniese voltò il capo, con una mano tendendo il cappuccio che teneva accostati i capelli come radici d'un albero giovane, e fece cenno di recarsi all'ombra, sotto una palma che proiettava in terra una sagoma fantastica ed oscillante. Si sedettero, al riparo di cespugli costellati di fiori, e lo Spartano gli sfiorò il mento, carezzando con le nocche una guancia, passandogli le dita tra i capelli. Se Pirecrate era lì.. Pherio stava da solo con Astre.. ma non c'era forza che ora avrebbe potuto sottrarlo a quello sguardo, in grado di combattere aspramente contro il magnetismo di quegli occhi. Scostò il volto, tanto era il timore nel cuore, incrociando le braccia sulle ginocchia in petto, nel tentativo di quietarsi.

Sentì Pirecrate fare altrettanto, e i capelli riccissimi e scuri come il corvo sfiorargli la pelle, una sensuale carezza estenuante, data involontariamente, ma rovente, col potere di seccargli la lingua tra i denti; con due dita Idrio abbassò la falda del mantello che Dionide gli aveva donato giusto quella mattina. Per proteggersi.

. . Cosa avrebbe pensato Dionide a vederlo lì, così vicino allo Spartano che sarebbe bastato un respiro a far tremare i capelli che ricadevano intorno alle orecchie e alla fronte, quelle stesse ciocche che il signore di Firuzeh adorava far scorrere tra le dita? Idrio represse il tremito spontaneo. Probabilmente si sarebbe infuriato, e non osava neppure pensare a quel che sarebbe accaduto: se per colpa sua fosse accaduto qualcosa agli Spartani! Non se lo sarebbe mai potuto perdonare!

Ma allora perché non gli riusciva di muoversi?

Per nascondere l'imbarazzo, trattenne un sospiro. E si trovò in grado di prendere un assaggio della verde mela avvelenata che Astre era costretto a mandar giù dalla gola ogni giorno: sotto agli occhi l'oggetto del proprio amore, e sotto agli occhi il suo sprezzarlo.

Idrio chiuse gli occhi, dolorosamente: che avrebbe dovuto e potuto fare lui? Pareva che ogni gesto, che ogni azione delle sue si scontrassero contro un muro che respingesse, rendendo vani tutti i suoi sforzi. Eppure sapeva, sentiva dentro che lui era una parte di quel mosaico doloroso. Il suo destino non era ancora chiaro al suo sguardo, ma gli echi delle vie che avrebbe percorso già giungevano alle sue orecchie. E lui non aveva altra scelta che continuare ad avanzare. Adesso, anche se nelle mani degli dei lui poteva venir manovrato, era vero, sapeva che comunque, forse, c'era qualcosa che poteva e doveva fare.

Pirecrate sussurrò parole incoerenti, tanto per distoglierlo dai pensieri cupi in cui s'era immerso, cercando il suo sguardo pur non muovendosi. Poteva permetterselo, perché aveva la facoltà di sfiorare con quegli occhi le membra, come se avesse avuto tra le dita una piuma di pavone e la passasse incessantemente sulla pelle nuda. Idrio si vergognò, avvampò, come si fosse sorpreso a tenere tra le mani qualcosa che non fosse suo, come se in fondo quelle attenzioni non dovessero essere rivolte affatto a lui.

Perché doveva essere tutto così difficile?

"Io. . dovrei chiederti.. perdono."

La mano di Pirecrate gli cinse i reni, ma era una piccola zampata d'un cucciolotto di leone che, non sapendo come esprimersi, attiri l'attenzione. Quasi non sembrava sapere, Pirecrate, quanto fosse sensuale e splendido.

Tanto quel calore l'aveva sconvolto a tal punto che Idrio udì la propria mente gridare, ché lei aveva udito quel ch'era stato detto, e voleva farglielo assolutamente presente.

'Di cosa?'

Chiese, movendo le labbra mute, non sapendo come altro comunicare, confidando nella propria capacità linguistica: pronunciò in dorico, cosicché lo Spartano non avesse troppa difficoltà a comprendere, e non dovesse arricciare le belle labbra, come petali in procinto di avvilupparsi su se stessi per la notte, nello sforzo. Si ricordava bene com'erano quelle labbra, che sensazioni suscitavano, ma le mani erano immobilizzate dall'emozione e la stanchezza così tanta. . la memoria della sua bella voce in quel mondo dove Pherio s'era autoesiliato, la memoria della sua condizione. . La sua confusione. .

Dormire, gli sarebbe piaciuto dormire, posare il capo su un guanciale coccolato dalle mani e dai polpastrelli di Dionide, oppure da solo, ma almeno non dover rendere conto a nessuno di se stesso. La sua vita si stava incrinando, una discesa che si faceva più ripida tanto più andava avanti, e non sapeva se sarebbe riuscito a salvarsi.

Pirecrate lo abbracciò, d'improvviso, stringendolo al petto.

"Se io solo avessi saputo, per Zeus!, se solo avessi saputo ti giuro ti giuro che non l'avrei permesso!"

Sentiva il respiro reciso in quel petto di bronzo, e poggiò le dita su quelle braccia, sollevando il capo per guardarlo negli occhi. Pur di comprendere avrebbe rischiato la propria sanità mentale e avrebbe sopportato la forza di quello sguardo, mettendo in gioco l'ultimo briciolo di coscienza: perché, e di cosa, perdono? Cosa aveva Pirecrate da farsi perdonare?

Gli occhi dello Spartano rimasero fissi nei suoi, così intensi, così limpidi, porte su un abisso di luce e fiamme, porte ch'erano simili ad una concava baia del mare lucente. Idrio ingoiò l'umida inutile rugiada che gli aveva riempito la bocca e combatté ancora quella dietro le palpebre.

"Se potessi, ti ridarei la libertà, per farti tornare com'eri. . e in Grecia. Ci pensi alla nostra Grecia? Agli uliveti della tua Atene, alle ombre ristoratrici di Sparta antica! La voce - un'ombra terribile dopo la saetta sfavillante, il buco del vuoto lasciato dal fuoco del cielo dirompente, lampeggiò su quel volto - Astre saprà ridartela: è un medico ottimo. . Ma io dovrei fare di più."

Sembrò riprendersi, e si tese sulla schiena, sistemandosi il manto sugli omeri, facendo sì che glieli celasse del tutto: l'immagine d'un guerriero che si sia appena deciso a riprendere le armi tra le mani, e che avrebbe lottato fino allo strenuo.

Ma non poté far nulla prima di veder Pirecrate alzarsi, e giurare sulla propria spada che sarebbe stato il suo cavaliere. Che si metteva al suo servizio per riparare al torto commesso da Pherio. .

Pherio?

Idrio, turbato, rimase a labbra schiuse, cercando con la mente una via d'uscita in un labirinto di specchi che all'improvviso era apparso tutt'intorno, che era *comparso* finalmente alla vista, anche se non si vedeva la fine, né l'uscita, né. . Era una fitta, terribile rete sottile d'inganni intessuti da mani esperte. Il tassello mancante, però, dov'era?

Una fitta alla tempia. Tentar, da solo, di risalire all'origine sembrava andare oltre le sue forze ora, e temeva non l'avrebbe retto senza combinare qualche altro guaio: prese la mano di Pirecrate, quella mano dalle dita inflessibili e indurite dalla sofferente vita di Sparta, eppure ora così domita e morbida, e lo condusse seco.

Verso la tenda di Dionide.

____

Dionide aveva visto Astre, il suo superbo re, incedere nella tenda; ne aveva osservato Idrio leggiadro uscirne furioso, irritato come un Apollo offeso, seguito a poca distanza dal Dimano. Aveva osservato il loro accostarsi, la lunga, lenta, tenera carezza che lo Spartiate aveva dispiegato intorno alle spalle cinte dal manto del suo amato, suo dono. Aveva visto e avrebbe dovuto esserne irritato a morte.

Avrebbe dovuto, lo sapeva, ma non fu così.

Perché?

Perché gli spiriti intorno a lui sussurravano d'un silenzio che non doveva esserci, e inibivano i suoi sentimenti, paralizzandoli, rendendolo simile ad una statua di pietra. Era un prezzo che doveva pagare. Era il rovescio della medaglia, e ringraziava di essere protetto dalla sua stessa umanità, ché ora se avesse ascoltato il cuor suo avrebbe staccato dal polso la mano che aveva osato toccare quel che non avrebbe dovuto.

Adesso il silenzio era quello che il Sacerdote udiva quando s'accende la pira funebre e dal defunto non spirano più altri tremiti dell'animo. Tutto questo accadeva anche se nessuno era morto. Pherio, lo sapeva perché lui stesso gli aveva di nascosto fatto visita, era vivo, e il suo petto s'alzava ed abbassava e il cuore batteva. . eppure l'anima s'era chiusa dentro un sudario, in un modo che ..

Il Sacerdote aveva riconosciuto Colui-che-Poteva-Guarire.

E incredibilmente nella lingua antica veniva chiamato Aphenos, così simile al nome del Panfilo. Uno Spartano!

Più di tutto era rimasto sconvolto dall'avere la tangibilità d'un evento così assurdo: Aphenos, lo spirito medicante, era quel che gli indiani chiaman Settva, la forza centripeta, la tensione che tiene unito il mondo nel suo insieme, e ripristina le condizioni d'equilibrio.

Quale scelta doveva aver compiuto una simile scintilla per rifugiarsi in una spoglia spartana? Fiorire tra le rocce, esponendo il candore dei propri petali ad un sole cocente e straziante? Ora era molto più chiaro il come Pherio potesse avere un simile aspetto, una lama di luce penetrante nelle iridi così celesti da resemblare il manto del sole, metallico e duro. Era quel potere che portava dentro, un nocciolo che avrebbe potuto anche mai fiorire, che gli aveva dato quell'aspetto, non il padre, la violenza, il passato..

Troppe domande, una sola la certezza: la verità, in quell'ansa della storia che il destino stava intessendo per tutti loro, andava cercata sotto strati e veli, perché era ben celata nel cuore di ognuno.

E il suo cuore, Dionide dovette ammettere, non avvampò di odio nel vedere lo Spartiato col suo Idrio accanto. Non sentì il disgusto, l'orribile fiera dagli artigli di ghiaccio e fuoco cibarsi dei suoi propri sentimenti nel vederli, mano nella mano poiché in quel tocco non v'era nulla che poteva mostrarsi come un pericolo.

Forse sì, forse della gelosia avrebbe dovuto esserci, ma per qualcos'altro. .

Il suo Idrio gli si piantò innanzi, con la decisione adamantina di cui era solito, quello sguardo saldo e sicuro, iridi cangianti in cui l'uomo del deserto amava vedersi rispecchiare. E Dionide era stupefatto, il suo volto doveva mostrare la sua meraviglia tanto quanto quello di Pirecrate, che era stato trascinato fin lì come se fosse stato un bimbo.

Uno sguardo silenzioso, ma così urgente gli rivolse Idrio che Dionide poté solo scuotere appena il capo.

"Non qui. - sussurrò - Nella mia tenda."

Pirecrate lo guardò, Dionide rispose con un cenno vago, lo spartano sospirò, seguito dall'uomo del deserto: l'ateniese era di fronte ad entrambi e teneva sollevata una falda della tenda, un invito e insieme un ordine.

Chi poteva rifiutare?

 

"Allora?"

Dionide strinse gli occhi, seduto in un silenzio che durava da un qualche lungo istante e che non aveva trovato riposta nell'espressione ora immobile di Idrio e nello stupore confuso di Pirecrate. Lui stesso sapeva di non essere in una condizione migliore del guerriero: troppe domande, legate a cose e persone che gli stavano a cuore non avevano ancora trovato risposta e, di più, probabilmente non era giunto ancora a formularle in maniera corretta.

Era quello il momento in cui avrebbe dovuto fronteggiare.. Idrio? Se l'ateniese avrebbe davvero preferito Pirecrate, cosa avrebbe potuto fare, lui, per obbligarlo al suo fianco?

Non sarebbe stato giusto decidere per lui. Non era giusto.

E anche se Astre pareva favorire con leggero divertimento il rafforzamento di un qualche legame fra il *suo* Idrio e Pirecrate lui.. lui non era per quello che l'avrebbe lasciato andare.

Era fedele ad Astre, una sola vita non sarebbe bastata per dimostrare ciò che al Re lo legava, e di questo ne era consapevole, ma Dionide sapeva pure di amare Idrio, come probabilmente non avrebbe mai più amato nessun altro nella sua vita. Se Idrio, allora, non poteva esser felice al suo fianco, non era importante per lui: l'avrebbe lasciato andare. Il cuore gli sarebbe scoppiato, questo era vero, ma l'avrebbe riscattato, gli avrebbe ridato indietro quella libertà che l'ateniese possedeva, forte e pura nell'anima ma non più nel corpo, e avrebbe accettato. Avrebbe accettato la sua scelta, qualunque essa fosse.

Perché l'amava.

Prese un respiro profondo, doloroso.

Aveva scelto dopo notti insonni e giornate di riflessione, dopo dolore e dubbi, dopo domande senza voce e pianti senza lacrime aveva capito, e deciso, e sapeva che era ciò che andava fatto.

Aprì i palmi, appoggiato alle ginocchia, chinando il capo.

E attese la risposta, come un condannato a morte sul patibolo.

Ma la risposta che venne non fu quella che s'era aspettato. Anzi, non era neppure una risposta, era.. una specie di singhiozzo, avvampante di dolore e vergogna. Un movimento strano, inusuale da parte dell'orgoglioso spartano, che chinò il capo, afflitto, piegando la fronte fin quasi a sfiorare i tappeti che adornavano i tappeti.

"Sono qui a chieder scusa.. - la sua voce soffocata era irriconoscibile. - Ho provato, solo gli dei sanno quanto ho provato, ma non ci son riuscito. Ho fallito."

Dionide corrugò la fronte cercando di capire, Idrio scosse con forza il capo. Allungò una mano per sfiorare la spalla nuda di Pirecrate, ma egli lo scosse via, arrabbiato.

"Lasciami parlare! Che il mio disonore sia chiaro! Non sono un vigliacco che si nasconde dietro l'ignoranza!"

Idrio parve infuriarsi, s'inginocchiò accanto a Dionide battendogli i pugni sul petto ampio, scuotendo il capo, secco. Non era questo! Perché quei due stupidi non capivano?!

"Pirecrate. - Dionide prese Idrio per i polsi allontanandolo un poco da sé, fermandolo ma cercando di non fargli male. Era ovvio che Idrio avesse un motivo per cui gli aveva trascinato in tenda lo Spartiato, e altrettanto ovvio era il fatto che il motivo non fosse *quello* - Non credo dovresti parlare con me di fatti che riguardano esclusivamente voi due."

Gli occhi azzurri si alzarono su di lui fulminandolo con un'espressione terribile, Idrio sospirò il suo scoramento.

"Idrio vuole che parli, con *te*. E io lo farò, perché questa è ben misera cosa rispetto a quello che.. - si morse un labbro - la mia gente fece. Quello che io *dovrei* fare per, in parte rimediare il torto, ma non riesco. Ho provato.. - sussurrò stringendo i pugni - ho provato quando ho saputo, ché prima non avrei mai neppure potuto immaginare che Pherio potesse.. avesse.."

Il silenzio terribile calò su di loro. Dionide fissò stranito Idrio che annuì, incitandolo appena con una morbida carezza, come a chiedergli di formulare quella domanda che vedeva chiara nei suoi occhi. E anche se tutto si stava svolgendo in maniera differente da quello che s'era aspettato, Dionide seguì la muta richiesta.

Che Pirecrate, in qualche modo, avesse saputo della sensibilità di Pherio? Di quei poteri che, se ben indirizzati, potevano essere ampiamente utilizzati? Che sapesse che Pherio, in qualche modo, centrasse con la guarigione di Idrio? Ma di cosa scusarsi, allora? E con *lui*, poi?!

"Cosa ha fatto Pherio?"

Pirecrate distolse lo sguardo, un triste sorriso gli piegò le labbra.

"Vendette Idrio. In Grecia."

Dionide spalancò lo sguardo, così stupito che per un attimo si dimenticò pure di respirare. E poi ci fu Idrio che venne a posarglisi proprio di fronte, a fissarlo negli occhi, furioso, domandando con gli occhi, incredulo.. anzi.. Idrio *sapeva* che Pherio non avrebbe mai potuto fare una cosa simile, perché lui aveva visto la sua anima, e qualunque cosa fosse quel peso che stava spezzando in due il Dimano, e che stava rischiando di trascinare il Panfilo troppo lontano perché potesse mai tornare in dietro, se mai, in qualche modo, lui centrava .. Dionide doveva aiutarlo, e dargli una risposta.. la risposta che *voleva*.. e la risposta *vera*.

"Pherio?"

Pirecrate annuì, lentamente. Cos'era quell'espressione?

Non era incredibile solo per lui, allora, l'idea che Pherio.. e se poi Astre si fosse sbagliato? Ma Astre sapeva cosa succedeva a Sparta, forse meglio di Pirecrate stesso. Astre era stato a contato con .. non poteva non sapere. Però poteva aver capito male, oppure..

"La sua famiglia, i Panfili. Me l'ha detto Astre."

Astre poteva..

Dionide sibilò qualcosa fra i denti, distogliendo lo sguardo dai due greci che ora lo fissavano come se lui fosse un sacro oracolo. Idrio gli strinse con forza una mano.

"Non è vero."

Astre poteva aver *mentito*. Pirecrate strinse i denti, la voce che gli usciva alterata dalla gola, e che anzi faticava ad uscire senza urlare.

"Che ne vuoi sapere, tu, Dionide, che vivi remoto ne tuo reame di sabbia e sole? Perché non dovrei credere.. - il suo tono tremò, spezzandosi, i suoi occhi si fecero liquidi e per un attimo si permise di gioire, nel cuore.. non era vero, forse Pherio non aveva fatto una cosa simile.. forse .. - ad Astre?"

Pirecrate fissò Idrio, disperato, e l'ateniese non sapeva neppure lui che rispondere. Ora lo Spartiato capiva: era lì perché fosse Dionide a dire ciò che nessuno dei due sapeva, per cercare di sbrogliare la matassa, di trovare un senso, se non la verità..

Dionide chiuse gi occhi. Sembrava addolorato.

"Il mio regno di sabbia è fondato sul commercio, Pirecrate. - prese un respiro- I mercanti hanno occhi ed orecchie ovunque e io so sempre perfettamente da dove arriva qualunque cosa che entri in Firuzeh."

Una pausa.

"E da generazioni la mia famiglia si premura di conoscere almeno fino al terzo padrone precedente di uno schiavo, prima di acquistarlo. - lo sguardo di noce lucida divenne fiamma liquida, che si posò su Pirecrate, terribile di dolore come se dire quello gli costasse un'enorme fatica. Anche lui, anche Dionide aveva capito, ora. Ed era difficile e faticoso. Ma era lì. E bisognava che fosse detto. - Idrio non centra coi Panfili."

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