DI ODIO DI AMORE

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CHAPTERS: 26/.. boh!

SERIE: Original con emulazione

RATING: NC-17 per via di infamità a danni dei pg (che si fanno tra di loro:

noi non c'entriamo assolutamente nulla!!); c'è un accenno ad un Raping mai

esistito; e Angst!

PAIRING: glielo dico o non glielo dico, collega?! E va bene: Pirecrate+Idrio.

Coro dei lettori: Wooooooooooooaaaaaaaaaaaaaaaaawwwwwwwwwww!!!!! *_______*

Dhely&Kalahari: Mai dubitare in noi, mai desinar di sperare!!!

In più, c'è la solita PirecrateXAstre (e direi anche Pirecrate+Astre). E, faccio notare per la gioia d'alcuni, che non compare alcuna Pirecrate/Pherio. ^^;; Ovvero: c'è, ma non è esattamente quel che ci si aspetterebbe...

DISCLAIMERS: I pg sono totalmente nostri e con loro ci divertiamo tanto tanto!! Non dormiamo la notte, *parliamo* con loro chiedendo le loro opinioni, idee, etc.. (come siamo democratiche!), e Kalahari la mattina si sveglia e contempla il viso di Pirecrate tenuto al sicuro in una copertina trasparente. Sbav sbav sbav... *ç*

NOTE: La storia sta prendendo una piega che non ci aspettavamo assolutamente e cerchiamo di gestire la cosa come meglio possiamo e ci pare, dopo pomeriggi di sudore innanzi a 'sto monitor, di starci riuscendo. Vi ringraziamo, sia voi che leggete e punto, sia voi che leggete e commentate. ^______________^ Naturalmente questo non è un pretesto x non commentare: la nostra gratitudine!

Ricordatevelo sempre: più commentate, più veloci andiamo, prima leggere i capitoli.

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"Panfilo?"

La grazia nella voce ingentiliva la confidenza di chi incedeva nella propria terra, tra la propria gente, tra lo sfavillare di quel che teneva in custodia vita natural durante. La tenda gorgheggiava di languide ombre, soavi contrappunti all'ultimo sole guizzante, fuori. Un attimo solo impegnò Dionide ad abituarsi a quel nuovo chiarore caldo e soffuso, e sorrise, immobile sull'uscio, all'uomo che lo attendeva seduto elegante tra i cuscini, a suo agio, proprio dove s'aspettava che fosse.

Pherio, in risposta chinò appena il capo di lato, un volto composto che era bello tra i belli. Sapeva che in Cina le fanciulle solevano farsi crescere capelli setosi fino ai piedi, e li pettinavano, li tiravano su in mille modi e tra mille fiori. Ma era arduo immaginare un crine che più di quello fosse piano, luminoso: riverberava il sole simile ad uno specchio, tagliava l'avorio della pelle come un fulmine al cielo dell'alba, ricadendo spesso sulle tempia sinistra, coprendo sottilmente l'occhio arguto. E pensare ch'era cresciuto tra brulle rocce scure, e nodose: una simile meraviglia.. la leggenda intorno a un simile tesoro, che avrebbe dovuto essere motivo d'orgoglio pei Greci, non veniva smentita dalla pura realtà che ora gli si parava innanzi allo sguardo: anzi non rendeva giustizia alla verità. Bellezza era solo una parola inutile, come inutile sarebbe stato tentar di figurare l'incanto di parole cantate, a narrar gesta lontane, a piegar gli occhi del cielo su di sè.

"Mio signore Dionide, un tuo uomo m'ha detto che avevi bisogno di parlarmi."

Dionide gli si sedette accanto, muovendo con calma una mano nell'aria. Una ragazza posò sul tavolo basso tra di loro piccole coppe, le riempì di tè fragrante e verde, fumante in quelmeriggio infuocato, e si ritirò, discreta. Era un rituale antico, quello, per gli uomini del deserto, ma Dionide sapeva ch'era usanza insolita e apparentemente strana: bere tè rovente nelle ore insopportabilmente calde, per placare il torrido clima intorno a loro, per divenire essi stessi parte delle immani distese ardenti. Gli stranieri difficilmente lo comprendevano eppure Pherio si comportava come se conoscesse l'educazione che il deserto richiedeva, perfettamente, e la cosa era stupefacente. Stupefacente com'era lui stesso.

Esisteva qualcosa in grado di vincere quella moderatezza e quell'educazione? E come poteva esser stato forgiato tutto quello? Molte cose, Dionide sapeva perché aveva toccato con mano, potevano esser studiate su papiri preziosi e antichi, ma certe cose solo l'abitudine e la vita potevano render usuali. E Pherio possedeva quell'atteggiamento di chi avesse già vissuto mille e mille vite, in mille luoghi diversi, conoscendo ogni cosa, abituato ad ogni usanza, a suo agio presso ogni popolo, lui che doveva sembrare alieno pure nella sua stessa dimora.

Indossava, Pherio, non abiti spartani ma qualcosa che di spartano aveva il colore: rosso come il sangue e ben più leggero. Lievi veli candidi portava annodati attorno al collo, e altri gli avviluppavano con dolcezza le braccia fino ai polsi. Solo le mani rimanevano appena libere da quelle costrizioni che sembravano assurde. Pareva a Dionide una di quelle tante statue che venivano circondate, nudo marmo rosato, da vera seta impigliata in mille e mille nodi come ad incatenarla a quella terra.

Incatenare Pherio, come d'altronde Pirecrate, sarebbe stato un grosso errore! Su nessuno dei due, e per motivi opposti, stavano bene catene, o ceppi pesanti che impedissero loro di mostrare l'orgoglio che bruciava negli occhi quando si definivano uomini liberi, o quando semplicemente il fuoco di un'anima indomabile avvampava negli atteggiamenti spontanei.

Astre stava errando, e tanto, ma non era persona da accettare consigli di sorta. O almeno non ora: quando era se stesso era abbastanza scaltro da confrontare i punti di vista, mentre ora era così ossessivamente ossessionato da quegli Spartani da voler a tutti i costi incatenarli ai propri piedi. Il desiderio, Dionide, lo comprendeva bene ma temeva che quegli spartani, se avessero sentito con troppa forza le sbarre premere intorno a loro, gli sarebbero scivolati via dalle mani, come farfalle che, inchiodate alle pareti, han morte le ali e abbisogna tenerle lontane dall'aria per impedir che si sgretolino.

E ora una di quelle farfalle meravigliose, una falena rivestita d'oro e alba polvere, gli stava davanti e scrutava ogni suo movimento con occhi impassibili e profondi ma luminosi come una luna piena limpidissima, tanto da non sembrar neppure umani. Solo una goccia di sudore sulla spalla la fece muovere a cacciarla via, lasciando così intravedere sulla schiena, intrecciati ai fili dorati, i lembi di stoffa fine che si sarebbe allacciato, intorno al capo, quando avesse lasciato l'ombra amica delle tende. Il volto di marmo dal candido tessuto simile al latte intriso di miele ne sarebbe stato incorniciato, e avrebbe fatto voltare tutti al suo incedere. Il rosso dei rubini fra i suoi capelli così chiari era un qualcosa che catturava l'occhio, e sussurrava parole che Dionide stesso non riusciva a comprendere, in una lingua strana, come se volesse far rinascere, in coloro che guardavano, un ricordo della cui natura non si riusciva a coglierne l'essenza.

Si poteva divenir folli dietro ad una simile bellezza, ad una creatura che lontana dalla propria città dispiegava ed asciugava le belle ali al sole.

E non avrebbe recato offesa a nessuno se non salutava con cortesia ed affetto sincero, e anzi filasse dritto verso la propria meta. Non era offensiva quella superba bellezza incosciente di se stessa, ma incuteva un timore reverenziale, e paura, e una strana sensazione quasi dolorosa. Rispetto misto a pena. Non era come il suo dolce amato Idrio, quel Greco, e anzi non poteva discostarsene di più. Avevano tuttavia qualcosa in comune e forse era questo che gli ammorbidiva, molto più di quanto si potesse permettere, l'anima.

Avrebbe potuto dirli entrambi leggiadri, se la leggiadria non fosse stata una qualità più adatta ad una fanciulla. Entrambi irresistibilmente belli, e terribilmente attraenti. Intelligenti e sensibili. Si considerava fortunato ad avere nella propria tenda e nel proprio abbraccio almeno uno di quei due spiriti rari, e preziosissimi.

E proprio ora che gli sarebbe piaciuto aprire un dialogo con lo Spartano era tutt'altro il perno su cui doveva muovere il discorso.

L'educazione e la freddezza d'un sorriso di circostanza piegarono le labbra dello Spartano mentre ad esse portava la tazza calda, stretta con le dita sottili ed eleganti. Dionide si scoperse incantato a suo malgrado, e scosse il capo. Il sospiro che gli uscì dal petto era sinceramente dispiaciuto.

"Sono la guida d'una terra senza confini, e sono signore di uomini liberi che neppure sanno che cosa sia una staccionata nell'universo sconfinato che altro non è il deserto, lo sai. -strinse appena gli occhi- Eppure poco mi sfugge della politica che s'intesse fuori da queste terre."

Pherio annuì meditando.

"Capisco."

E davvero capiva, forse meglio di chiunque altro: Dionide pensò che probabilmente Pherio capiva quella situazione meglio dello stesso Astre, tutto preso nei propri capricci e nel proprio ego. Troppo ubriacato dalla fulgenza del suo proprio potere e della sua propria maestà per riuscire ad

aprirsi davvero al mondo esterno.

"Grazie ai contatti con le vostre colonie conosco la maggior parte dei fatti che vedono luce e tenebre nella vostra: Sparta ha un paio di legazioni nelle colonie, e a Mileto è sbarcato non più d'un mese fa un drappello di Spartiati. Lo sapevi?"

"Avevo sentito di piani simili."

La schiettezza di Pherio era disarmante, quasi incredibile, eppure non era calmo e rilassato: nel fondo di quegli occhi balenava la sensazione di sentirsi stranamente in trappola, e di necessitare fiato, tanta era l'ansia che gli si stava ammassando intorno al cuore.

Non perdendo mai d'occhio Dionide allungò una mano verso l'involto fermato da un sigillo rosso di ceralacca che l'uomo del deserto gli porgeva. Leggere fu una scorsa rapida, occhi che volavano abituati su lettere e ordini, la fronte pallida che si imperlò appena di sudore, le labbra strette in un'espressione di assurda concentrazione. Come se quelle poche frasi secche e definitive fossero troppo complesse per venir comprese subito, ma necessitassero, incredibilmente, letture successive e profonde. Come un gomitolo di lana: sfila sfila sfila, alla ricerca del nocciolo profondo, alla ricerca della comprensione ma anche d'un appiglio.

"Questi ordini sono giunti ai miei ascoltatori, e subito me li hanno inviati. Dovrei. . - trattenne un attimo le parole sulla punta della lingua, tentennando appena, come cercando un motivo perché dovesse continuare a dire quello che doveva- dovrei forse farti le condoglianze per tuo zio, ma credo che ora ci siano problemi più assillanti di cui dovremmo parlare, io e te."

Pherio sollevò lo sguardo, lampeggiante e furioso. Ma se ci furono parole terribili pronte a scappargli, esse furono rapidamente inghiottite. Il suo nervosismo si espresse nello stringere a pugno le dita intorno al rotolo foriero di sventura, la ceralacca rimanente rotolò, frantumata, sui tappeti.

"Lo credo anche io."

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"Hai sete?"

Un turgido fiore, ch'esplode al raggio di luna calante, fu la voce cristallina empitrice dell'aria bollente.

Pirecrate, voltandosi, vide Astre incedere verso di lui: il volto splendeva d'una soffusa tranquillità, la mano destra danzava smovendo braccialetti d'oro fino, svolazzanti nebulose tintinnanti, le vesti lunghe, ampie e sgargianti, ricche di nodi qui e lì che pendevano dalle membra flessuose. Pur con quel vestiario semplice nella loro essenza, ma abbellito ed

adornato qui e lì da piccoli espedienti, pur con abiti simili il Persiano era un dio potente, incantatore, sensuale, che avrebbe fatto piegare le ginocchia di chiunque.

Eccetto quelle che ora eran tese sotto la pelle sudata, lucenti e forti, appena coperte dalla ruvida tunica spartana.

Eppure c'era l'incanto in quel camminare, c'era una perfezione studiata forse per giorni interi, solidificata da un'eleganza naturale e spontanea, e non poté far a meno di sentirsi bene, Pirecrate, nel restarne stregato per qualche secondo, giusto il tempo che il profumo di quella sirena gli giungesse chiarissimo alle narici, e invitante. S'asciugò poi la fronte, con una mano, ed infoderò l'arma preziosissima e forte.

"Sì, ti ringrazio! - adocchiò, curioso, la strana piccola anfora tenuta ondeggiante nella sinistra- Non m'ero accorto fosse così tardi."

Il persiano allargò le labbra in un sorriso e indicò l'orizzonte.

"Che tramonto meraviglioso -a quel sorriso pacato ma luminoso, unico spicchio di sole lasciato sfuggire da una nube densa, se ne aggiunse un altro, innanzi a Pirecrate che cercava di svelarsi col semplice sguardo l'essenza di quel liquido profumato e dorato come il tramonto riflesso laggiù, sullo specchio d'acqua- Cosa c'è? Non ti fidi forse di me? Temi che potrei avvelenarti?"

Domandò, prendendo con la punta dei polpastrelli un boccolo scuro che cadeva sul petto scolpito, lucidato dalla fatica, tirandola via. Pirecrate scosse appena il capo, sorridendo raggiante, e chiuse gli occhi, li riaprì, e aprendoli apparvero quelli terribili del guerriero feroce che sapeva essere: s'incupì afferrandolo per la vita e stringendolo con forza, sollevandolo quasi da terra. Al principe il fiato s'infranse, e una goccia di succo gli impiastrò due dita, scivolata via dall'orlo della coppa, mentre lo Spartano avvicinò le labbra alle sue:

" 'Se non ti fidi di me pensa almeno a questo: pensa a quante volte, se avessi voluto, avrei già tentato di ucciderti'."

Il respiro che aveva trattenuto in gola, Astre lo lasciò uscire in una risata, condivisa dalla gola profonda di Pirecrate come due foglie al vento che giocano, spensierate, indifferenti al mondo.

"Oh Pirecrate!"

Lo Spartano gli trasse l'anfora dalle mani e bevve tutto d'un sorso, leccandosene quella che restava intorno alla bocca, compiaciuto, per poi far incontrar le loro labbra. Le lingue s'avvinghiarono nell'aroma denso di quei frutti, nella loro dolcezza aspra; i ginocchi si piegarono sotto quell'assalto affamato e Astre si ritrovò a sospirare quello che avrebbe potuto essere il suo ultimo respiro, in quell'abbraccio, sorridendo senza tendere la bocca: con lo sguardo.

"Buono, vero?"

"Sì, buono. ."

"Per stadi e stadi, Pirecrate, pel deserto, i mercanti trasportano questo nettare: anche qui è. . raro."

"Finirai per viziarmi, lo sai?"

"E' un dolce diletto."

"Ah sì?"

"Sì, mio splendido Pirecrate."

"C'è una luce nel tuo sguardo, sbaglio o hai qualcosa in mente, persiano? E cosa è capitato per vederti così vispo?"

Il Re chinò appena il capo, lasciando un bacio soffice ed invitante sul collo tornito, e la presa dello Spartano s'allentò, lasciandogli di nuovo mettere i piedi a terra.

"Mi hai tutto imbrattato di sudore."

"Lo sai che sono cattivo. . - scintillò il sorriso coi bianchi denti, tra le labbra carnose- Mi punirai?"

"Avevo una bella cosa da farti vedere, Pirecrate, e solo in nome della mia grande generosità cancello questo tuo peccato contro la mia regalità - sospirò, dandogli la schiena e incrociando le mani dietro ai reni, scoccandogli un'occhiata obliqua e sorridendo con le labbra ancora imbrattate di succo, lucentissime- Il destino a volte gioca tiri mancini e altre ci fa dono di inaspettate grazie: non vedo l'ora di vedere la tua faccia, sai!"

"Piccolo demone! Di cosa si tratta? E' una sorpresa?"

"Quasi. E poi non è un cosa, ma un chi: una persona che dovresti proprio vedere. ."

"Mi stai proprio viziando."

"Se lo volessi davvero staresti ai miei piedi, sai?"

Pirecrate lo fece scivolare su una cunetta verde, dove tra l'erba crescevano i fiori e s'insinuava la sabbia: il luogo dove non c'era più il prato sgargiante dello specchio d'acqua, ma neppure la mano arida del deserto estendeva le dita sottili e morbide. Lo Spartano baciò le tempie del Persiano, piano, lentamente, e il Persiano tremò quando quella bocca gli giunse al lobo dell'orecchio e le dita con poca dimestichezza sciolsero il piccolo orecchino, un cerchietto di platino da cui pendeva uno zaffiro.

Le ombre sempre più lunghe del tramonto soffusero il loro tenero amoreggiare, sfiorarsi, due leoncini che giocano alla lotta arrotolandosi in terra, ben coscienti che il gioco era solo un gioco e allegri, paghi l'un dell'altro proprio perché non c'era aspettativa di chissà cosa e non era cenere a rimanere tra le labbra quando s'effondevano carezze, istigatrici e frutti d'un piacere profondo.

Allora d'un tratto Pirecrate si fermò, lasciando un morso un pò più forte sulle labbra belle, come d'improvviso remore della propria curiosità.

"Allora me la fai vedere questa sorpresa?"

"Dopo?"

"No: devo. . - si morse la lingua: che Pherio gl'avesse chiesto per una buona volta di parlare seriamente della loro situazione, questo non sembrava il caso di dirlo ad Astre. E dentro di lui, al pensiero di Pherio, ora, sentiva una strana punta infissa nel costato. Chiarire, parlare.. tante cose, forse troppe, e la confusione che era nebbia densa. Non era certo, Pirecrate, di cosa avrebbe voluto dire a Pherio, di come avrebbe potuto pretendere quello che sentiva volere dentro di sè, non era sicuro Pherio avrebbe compreso, tantomeno se avrebbe accettato. Eppure si scoprì ad aver bisogno di Pherio come aveva avuto bisogno del gioco con Astre, si scoprì a voler *pretendere* qualcosa da Pherio, qualcosa di cui da parte di Astre non ne sentiva la necessità. Troppi legami, un passato troppo lungo e complesso perché fosse dimenticato, o lasciato da parte, e lui, ora non aveva ancora scelto, ma sapeva cosa voleva- Adesso, dai!"

"Come vuoi tu."

Un ultimo bacio, profondo, sfinente, e s'alzarono, ridacchiando per le vesti tanto belle del principe e oramai tanto stropicciate.

 

La luce nel vestibolo avrebbe dovuto sfavillare dei riflessi d'una seta nera, come se per intesserla l'avessero imbevuta del sangue di mille corvi, ed invece si rifletteva sul biondo guanciale, sparso del rubino del tardo tramonto, e sugli altri cuscini, rigandoli di scie dondolanti sotto il veleggiare dei drappi da cui filtrava. Così a lungo il corpo aveva giaciuto in quel luogo sacro, che le membra s'erano come scolpite tra le morbide piume del giaciglio, ma era freddo come se da tempo fosse stato abbandonato.

"Chiunque tu volevi farmi vedere, ora non è più qui, Persiano!"

"Non era in grado di muoversi!"

"Ora son veramente curioso, Astre."

Astre pensò tra sè, ruotando il capo intorno, decidendo ch'era meglio andare alla tenda di Dionide: forse destatosi completamente solo, era fuggito verso il dolce nido del suo amante nella speranza di trovarlo. E lì forse l'avrebbero scovato, raggomitolato tra i cuscini, un lucente cavallino dalle zampe fatte per i verdi pascoli dell'Elicona.

Per terra via via che camminavano stavano sparse le bende ed Astre le raccoglieva, tenendole tra le mani agili, mentre Pirecrate lo seguiva cercando di strappargli qualche informazione dalle labbra. Invano, naturalmente. Sapeva Astre ch'era pericoloso quel che faceva, perchè i sentimenti sono difficili da controllare, ma la fiducia che nutriva in se stesso era l'unica delle sue poche sicurezze, e una delle più salde. Era un giocatore astuto e prudente, che affatto accettava la sconfitta, nel cui sangue tuttavia gli ribolliva comunque il sapore per quel gioco terribile e affascinante.

Ma ora una delle sue pedine sulla scacchiera non faceva altro che scivolargli via dalle mani, svanendo quando credeva d'averla ormai afferrata: Idrio non c'era neppure nelle stanze di Dionide, sebbene stavolta un giaciglio, concavo tra i cuscini accatastati e raggomitolati, era ancora tiepido.

Gli occhi s'assottigliarono e il petto si contrasse, adirato, e prima che potesse dir qualcosa o fare un altro passo Pirecrate aprì le labbra per parlare:

"Immaginavo più fasto nelle camere del signore del posto. Non so perché ma quel Dionide non m'è andato a genio sin dal primo momento - lo sguardo di tigre si posò su di lui con una leggera vena accusatoria e Astre si sentì il cuore ardere d'una gioia dispotica improvvisa e inattesa: Pirecrate era. . geloso per un bacio innocente?- ed invece ora vedo che non è poi così male se più o meno la stanza mia e di Pherio coincide con la sua. Che fosse un suonatore di cetra poi, questo non lo immaginavo. . - prese tra le mani l'unica cetra visibile allo sguardo nella tenda, bella e lucida come se per giorni qualcuno l'avesse ammirata e pulita e ripulita in attesa che di nuovo mani abili fossero tornate da lei- Di certo però non è un buon musico se tratta in questo modo una cetra: recise tutte le corde. ."

Astre osservò con la coda dell'occhio quel meraviglioso perfetto strumento che fin'al giorno prima era stato tenuto come un dono divino da Dionide, sul basso tavolino, tra gli unici cuscini di seta della tenda. E ora era infranta e rovinata irreparabilmente, strappate e insanguinate quelle corde divine.

Un pensiero gli corse per la testa, e la bocca parlò da sola.

"Devo assolutamente trovare Dionide."

"Che è successo ora?"

"Potrebbe fare qualche sciocchezza assurda. . - sospirò tra le labbra, guardandosi intorno- Pirecrate noi ci vediamo dopo: adesso devo assolutamente trovarlo."

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All'aria i boccoli che strapparono bellezza all'oro, sciolti dagli intrecci d'un laccio intessuto da Artemide, simili a petali sciolti dalla primavera volarono dal capo sollevato a guardar qui e lì, ansiosi gli occhi dorati, scolpite nella preoccupazione le labbra belle.

"Hermes!"

"Eros. . non fissarmi a quel modo."

"Zeus non può volerlo."

"Egli è colui che può quel che vuole, e Minerva è sua figlia."

Le mani del dio saettatore s'aggrapparono alle vesti del pastore, del guaritore, e dell'astuto consigliere, abbracciandogli le ginocchia, bagnandogliele di lacrime, asciugandogliele con la fluente chioma, sollevando gl'azzurri occhi in quelli corvini del dio.

Hermes scostò il capo, fissando lo sguardo altrove.

"Eros. . Non cercare guai che non potrai risolvere."

"Non farò cose di cui dovrò pentirmene, no! Per questo m'oppongo!"

"I due Spartani devon tornare in patria: questo è l'ordine di Zeus tonante. Qualche sacrificio va fatto."

"Non è quello! Non solo, testardo! ma il come! Non così!"

Eros alle parole di pietra perse il pianto negli occhi, e s'alzò, battendo seccato le ali nell'aria, sbuffando di vento le mani del dio Mercurio che si tesero verso di lui, come a volerlo riafferrare e tenerlo stretto, e impedirgli di compiere quel che desiderava.

S'alzò in volo e la polvere ai suoi piedi si sollevò in un turbine.

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Pirecrate si pose il mantello sulle spalle, tirando via da sotto le vesti appena indossate i folti capelli neri, un poco umidi: aveva cercato di tenerli su in quei pochi minuti in cui s'era sciacquato dal sudore e dalla fatica, ma un poco s'erano comunque bagnati. Astre non s'era fatto vedere e sperò che il Persiano non lo tenesse più di quanto già stava facendo sulle spine. Il cuore gli aveva sussultato in petto, e non ne comprendeva il motivo: si sentiva agitato per un qualcosa di insignificante, e questo era sciocco!

Probabilmente quel barbarello si stava prendendo gioco di lui, e si stava anche dilettando molto nel farlo. Era bello per quanto insidioso.

Non c'era motivo per dover respirare, per calmare il petto e il sangue.

No, proprio no.

Uscì dalla tenda, chiedendosi dove diamine si fosse cacciato Pherio, e tanto era immerso nei propri pensieri che non s'accorse d'un movimento dall'alto. Qualcosa gli piombò addosso, strappandogli dalle mani una specie di medaglione fatto di strane pietre che aveva intenzione di dare a Pherio. Lo Spartano gridò al volatile dalle ampie ali di restituirglielo, guardandosi

intorno per vedere se c'era qualcosa da tirargli e con cui prenderlo.

L'aquila si posò, non distante, su delle casse, afferrando il gioiello col becco e sfidandolo quasi a riprenderselo.

"Torna qui!"

Ordinò Pirecrate, e la seguì.

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Faceva male il cuore a guardare il crepuscolo, quel sole meraviglioso che cedeva così soavemente, e così remoto, alla terra, gettandosi tra le braccia delle dune, reclinando il capo luminoso e vinto in un sonno senza incubi.

Idrio sentì il vento gonfiargli le belle vesti. La pelle fragile e segnata tremò a quella carezza, ma non di piacere. Afferrandole, la tenne accostate e tirate intorno al corpo, chiudendo forte gli occhi, scotendo il capo con forza e mordendo a sangue il labbro. Sul mento sentì scorrergli l'amaro liquido delle membra, e giù sul collo, tra le bende con cui l'aveva avvolto, e singhiozzò, lasciando che le palpebre in un gesto lento e stanco si riaprissero, per fissarsi nuovamente su quel tramonto infocato.

Il fior dell'orizzonte chiudeva i petali intorno al proprio cuore e la luce si faceva sempre più scarna, lanciando le ultime disperate invocazioni. Strano quanto l'astro che dà luce e che dà calore, si lasci guardare nel momento in cui è più fragile, in cui vien sconfitto dalla notte. Un Ares che china il capo in grembo a Venere. La morte. Omero l'aveva cantata tra i boati della battaglia: nessun Greco aveva mai sentito parlare d'una morte che si consuma da sola, in silenzio. Che rode l'anima, la grinfia fino ad arrivare al nocciolo, fino a morderlo con le lunghe zanne.

Idrio guardò il sole svanire e Caronte sembrò allungar la mano per aiutargli l'anima a salire sull'estrema barca, su un legno che forse mai più avrebbe percorso lo Stige: un sentiero di stelle era l'argentea scia. Forse lì avrebbe di nuovo potuto parlare, avrebbe potuto di nuovo cantare pur non avendo più la voce, forse lì avrebbe potuto toccare le corde d'una lira senza sentirsi venir meno.

Tagliavano quelle pietre acuminate le dita sottili dei piedi, ed erano insanguinate le impronte, lunghi gli spacchi sotto le piante. Si guardò le caviglie, reclinando il capo, i capelli al vento si persero. C'era, lontano, nella mente, il ricordo d'un sorriso, dolce e avvolgente come quelle correnti d'aria. Ma anche quello era stato soltanto un bel fantasma, un miraggio che aveva voluto vedere lì dove non c'era. E c'era il ricordo d'una città marmorea, bella e sovrana, la memoria degli ulivi e del loro profumo, delle estati.

Di Aristide.

Di sua madre e sua sorella.

Di Sparta e Astre.

Di Pirecrate.

Delle interminabili camminate sulla sabbia rovente e della dolce acqua lenitrice di Firuzeh. Del suo Dionide.

Un dolore ancora più forte gli corse nell'animo come una freccia acuminata, conficcandosi nel cuore, mentre i lampi gli sconvolgevano la mente, assordandola, accecandola. Dall'alto del cielo teneva gli occhi abbassati, contemplando il fitto intreccio di nubi che velava le saette terribili, fuochi distruttori, imperversare verso la terra profonda, scotendo valli e colline e fonti fresche. Sapeva che logoravano quei tuoni perché sentiva il loro esplodere in lontananza, e perché alto gli giungeva il lamento del cuore, qualora tra quelle nubi ci fosse stata una falla.

Non voleva vedere, non voleva sapere.

C'era solo la vertigine.

C'era una porta nell'ultimo raggio di sole e le vesti si scomposero, ribellandosi alle restrizioni delle dita, sotto il vento che corse lungo la parete verticale. Non guardò in giù, facendo un passo ancora, il piede che fallava nel vuoto, e prima di chiudere gli occhi colmi di lacrime, pronunziò qualcosa con le labbra silenti.

Il grido acuto di un'aquila strappò al cuore l'addio, e prima che potesse cercarla con lo sguardo, s'abbatterono le membra abbandonate su tendini tesi e muscoli forti. Male fece e dalle gola singhiozzò un singulto, e le mani cercarono d'afferrarsi alle vesti che trovarono, il cuore immobilizzato da un lampo più forte, spezzato e incoronato di verdi e acuminate spine.

"Che diamine volevi fare! Sei un-"

La fronte sollevò allo sguardo che gli bruciava sulla pelle, destandola, proprio quando quella voce come una spirale di vento l'aveva assalito, stringendo forte le dita quando incrociò le iridi celesti d'un dio solenne, o d'una visione crudele.

Un dolore ancora più assurdo, un sudario avvelenato a bruciare le ferite fesse dalla corona crudele, gli avvolse l'animo prima che il buio lo reclamò di nuovo.

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"Credo che sia stata una grazia divina il tuo averlo incontrato così in fretta, Pirecrate!"

Lo spartano lo fissava con occhi sbigottiti ed Astre sorrise smagliante, toccandogli appena una spalla.

"Come sta?! Per gli dei, Idrio! Che ci fa qui Idrio?!"

"Non urlare, che lo svegli! - uno sguardo un po' più duro, poi quegli occhi di ematite s'addolcirono di nuovo mentre le mani di Astre presero a premerlo, spingendolo in un lato della tenda mentre Idrio giaceva immobile, pallido- Starà bene se potremo concedergli il riposo che merita."

Pirecrate scosse il capo, furioso e confuso.

"Non prendermi per stupido! Ho visto la ferita, quello sfregio sul collo! Anche tu e tutta la tua abilità, come puoi guarirlo da quello?!"

Astre sorrise, l'irruenza di Pirecrate impossibile da arginare, specie ora. Allora s'allontanò lui, facendosi desiderare lieve e ondeggiante, facendogli gravare le risposte sul cuore. Quando s'accasciò, le mani strette sul capo con forza, un sospiro amaro sfuggito alle labbra, dovette trattenersi dal sorridere nel sentire lo spartano accosciarsi al suo fianco.

Pirecrate era oltremodo splendido: il suo cuore era gentile, e pietoso, la sua forza, la sua rigidità erano come un involucro leggero intorno a uno spirito altruista da fanciullo, o da vergine sacrificale che si faceva condurre all'altare sorridendo e cantando. Quella purezza l'aveva salvato a Sparta, e Astre sapeva che c'era qualcosa che doveva a Pirecrate. Calore. Ma sapeva anche che Pirecrate non avrebbe mai compreso se gli avesse parlato in maniera schietta. . e poi da quando il Dimano era così vicino a Pherio non era assolutamente saggio parlargli apertamente. Comunque fosse, avrebbe trovato lui il modo di ripagare Pirecrate, a modo suo, ovviamente, e a tempo debito.

Perché Pirecrate sarebbe divenuto l'arma per trapassare a morte il cuore algido del Panfilo. Cuore. . se poi Pherio possedesse un cuore Astre non ne era per nulla certo, ma almeno ora era sicuro che bruciasse di passione pure lui, e la sua carne diventava fornace e veniva toccato dalla lussuria densa e opaca, e questo era un segno chiaro del fatto che anche lui potesse soffrire. E Astre l'avrebbe spezzato, quel maledetto infame. .

Pirecrate, invece. . l'idea di avere sempre al fianco quella creatura di bronzo e fuoco era un dolce pensiero per chi sapeva di esser destinato all'immensità marmorea e gelida dei palazzi di Persepoli, notoriamente covo di vipere velenose e disgustosi esseri striscianti e sbavanti falsi consigli. Pirecrate invece, Pirecrate era diverso.

Fedele, forte, giusto. Doveva solo convincerlo. Lui doveva essere suo, e lo sarebbe stato, lo giurava su tutti gli dei! Aveva fallito una volta, e una sola in tutta la sua vita, e Pherio avrebbe pagato caro quel rifiuto, ma Pirecrate non era Pherio.

Fortunatamente.

"Astre?!"

Gli posò una mano fra le sue, scostandogliele dal viso per scrutarlo negli occhi. Le sue iridi da guerriero erano velate di ansia e preoccupazione.

"Oh, Pirecrate! - sussurrò appena, lasciandosi andare contro quel petto aitante, suscitando un abbraccio che forse lo spartano non aveva intenzione di elargire- Pirecrate! Non so che fare! L'hai vista anche tu quella ferita? Qui, nel cuore del deserto, io non posso nulla per ridare la voce a quell'usignolo gentile! Io non posso!"

Pirecrate tremò.

"Idrio. . muto? - e tacque, chiudendo le palpebre, e il dolore che si dipinse sul viso colpì Astre realmente al cuore. Quando il Dimano riprese a parlare la sua voce era bassa, un sussurro appena, morbido come velluto nero, affogato nella disperazione- Lo feci io! Sono stato io Astre! Mi ricordo! Mi ricordo di aver affondato le dita e. ."

Astre rimase spiazzato. Un velo di follia passò sugli occhi di Pirecrate, e riuscì a trattenerlo per un braccio appena in tempo prima che scappasse via, probabilmente fuori, o forse al giaciglio di Idrio, suicidandosi su di lui per rimediare a qualcosa che, in tutta sincerità, nessun uomo avrebbe potuto compiere.

"Pirecrate, calmati."

"Calmarmi?! Tu mi dici di calmarmi! L'hai visto, Idrio! Hai visto cosa ho fatto!"

"Tu non hai fatto nulla!"

"Sì, ti sbagli, io ricordo! Io ho visto! - continuava a dire guardando le proprie mani con orrore, come se su di essere scorresse ancora il sangue calmo e schiarito dai raggi di Luna. Le labbra di Astre si posarono morbide sulle sue in un attimo lieve che lo lasciò senza fiato- Che fai?!" ruggì.

"Ti ho fatto tacere, perché mi devi ascoltare Pirecrate! - lo sguardo serissimo e duro fermò lo spartano dall'aggiungere altro- Nessuno può fare quello. Non si può fare con le mani, e non esiste arma che lasci certe ferite. Neppure un medico bravo come lo sono io e come lo è Dionide, può. Tu hai sognato."

"Non è stato un sogno! Ricordo le urla e il sangue, e. ."

Morbido lo spartano cadde quasi fra il suo abbraccio e Astre sorrise appena tirandolo contro di sé, baciandogli appena la nuca, sfiorandogli i capelli ribelli.

"Sht, Pirecrate, fammi pensare. ."

Lo costrinse giù, il capo abbandonato sulle sue ginocchia e adesso sorrise d'un ampio sorriso. Da una piccola tasca della veste estrasse un'ampolla leggera, di metallo decorato con piccole schegge di pietre gialle come il sole e verdi come gemme in primavera. Un semplice movimento del pollice e si aprì, rivelando come una pasta densa, color dell'ambra, lievemente opaca ma dall'aroma intenso. Astre sorrise prendendone una piccola quantità con un dito e mentre con l'altra mano raccolse i capelli di Pirecrate, tirandoglieli e tenendoli indietro, prese a massaggiare con dolcezza e tenerezza quel balsamo dietro l'orecchio, impregnandone quelle nere ciocche. Rendendole lucide come l'ematite spaccata.

"Che fai?"

"Hai bisogno tranquillità, Pirecrate, è questo è un buon modo per rilassarti, non è vero?"

Tirò le labbra, compiaciuto, sentendo pian piano le membra dell'altro liberarsi dalla rigidità della pena e del nervosismo, accettando di buona grazia quel massaggio lieve che pareva quello dato, innocente, a un cucciolo.

Così in effetti Pirecrate s'abbandonò a quel tocco, che sprigionava profumo speziato, non forte ma persistente. Gradevole. Talmente piacevole che bastava quello a farlo sentir meglio: uno scroscio d'acqua che lavava l'anima e lo rimetteva al mondo, rinfrescato e pulito. La voce di Astre, poi, era dolce e sussurrata, eppure pareva riuscire a riempire ogni angolo dell'universo con i suoi echi morbidi, spiegando ogni cosa, cancellando ogni domanda, porgendogli davanti agli occhi la semplice verità, svelata da tutte le tortuose spiegazioni che di solito gli uomini vi mettono di fronte perché non la si raggiunga.

"Pensavo, Pirecrate, a quel che m'hai detto, del tuo incubo - un sospiro appena accennato- E' un segno del destino, ed è chiaro, Pirecrate! Non sei stato tu a fargli tutto quello, no, ma tu, per qualche motivo che non conosco sei molto legato ad Idrio, non è vero?"

"L'Ateniese. . io l'incontrai a casa e. . non so, non conosco le parole, ma. ."

Il naso del Persiano s'arricciò nel sentir come Pirecrate appellava quel mucchietto di casupole e polvere, di cui presto sarebbe rimasto davvero molto poco, ma si placò, ragionando: il tempo vela i ricordi e l'agio della corte, la bellezza dei giardini, di Persepoli, avrebbe velato la nostalgia. Si estrasse da quel tipo di pensiero, rimandandolo a poi, concentrandosi sul presente.

"Non importano le parole, Pirecrate - aveva da tempo intuito qualcosa. Ma aveva creduto che il tempo fosse passato così abbondante fra di loro fosse riuscito a sopire quella fiamma, e invece. . Bene. Meglio- Ora ho compreso: tu sei stato presente alla sua tortura perché voi siete profondamente legati. In un certo modo gli dei ti hanno dato la responsabilità di aiutarlo."

"Ma come posso aiutarlo, io? - si scosse, violento, facendo per alzarsi, ma le mani delicate di Astre sulle tempie erano troppo piacevoli per essere rifiutate così. Crollò di nuovo con un sospiro- Io non so come fare. . e se dici che neppure tu puoi aiutarlo. . Non vedo vie d'uscita."

"Ho detto che non posso aiutarlo qui, ma a Persepoli, nel mio palazzo, sono raccolti molti oggetti, molti segreti vi sono nascosti. Là posso curarlo. - lasciò un attimo alla mente dello spartano, avvolta da quell'aroma arcaico, per assorbire per bene e a fondo ogni parola- Ma ho bisogno che qualcuno mi aiuti a tornare a Persepoli. Ho bisogno di te, Pirecrate. E anche Idrio."

"Idrio. ."

Lo sentì sussurrare a mezza voce, mentre gli occhi gli si chiudevano, da una spossatezza di cui Pirecrate, dentro di sé non riusciva a comprendere il motivo.

"Astre, che mi stai facendo?"

"Serve a rilassarti, te l'ho detto: non è niente. E' solo estratto di fiori."

Astre sorrise piegandosi su di lui, a baciargli leggero il collo, piccoli morsi a corrergli sulla pelle tenera, vedendolo tremare appena, e dischiudere le labbra in un sorriso sognante, completamente vinto.

"Idrio ha un bisogno folle di te, Pirecrate, non puoi lasciarlo solo. . lo accompagnerai a Persepoli?"

"Persepoli. - aprì gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte. Con un grande sforzo si mise seduto, voltandosi verso Astre- Persepoli è lontana, Astre, e non è dove Pherio né io. ."

"T'interessa più Pherio o Idrio?"

"Pherio è il mio capitano e mio. . amico. Non posso abbandonar lui."

Chiuse gli occhi, combattuto, e Astre gli si fece vicino di nuovo, appoggiandogli la spalla al petto, attraente, sinuoso e morbido. Una serpe pronta a mordere per uccidere con le zanne già stillanti di veleno, pronte ad affondare fino alla vena: un liquido mortale che avrebbe fatto impazzir di furore le membra ed il cuor di Pirecrate, affinché annientasse Pherio e gli portasse, servito su un vassoio d'argento, il suo cuore rosso ancora palpitante come inestimabile dono per il giovane re.

"E come credi che Idrio, un ateniese che accompagnava la delegazione della sua città in Sparta, sia giunto fin qui?"

Pirecrate si scosse, spalancando gli occhi, allarmato, il fiato corto in gola.

"Non ne ho idea! Come? Chi è stato?!"

Astre chinò elegante il capo, prendendo una mano di Pirecrate fra le sue e posandosela sul petto nudo.

"Lo sai cos'ero a Sparta, no? Poco più che uno schiavo per. . - si allungò e gli morse piano un orecchio, con le labbra e coi denti- per il piacere di uno dei vostri anziani."

Pirecrate tremò a quel contatto, ma non si sciolse.

"Cosa. . cosa c'entra. ."

"Avrai sentito anche tu che pelle morbida ha Idrio, non è vero: è un petalo di magnolia appena sbocciata. - sorrise di nuovo, muovendo la mano scura di Pirecrate sulla propria pelle, in una carezza che non finiva mai, che più dava e più chiedeva- E la mia posizione mi ha concesso il privilegio di accorgermi di.... certe cose. ."

Il respiro di Pirecrate era piombo in petto, gli occhi lucidi non riuscivano ormai più a privarsi di quel corpo che si svelava appena tra i veli e sotto le sue carezze.

"Non. . non riesco a seguirti, Astre. ."

"Lo stesso uomo. . un uomo potente, Pirecrate. . - gli sussurrò in un orecchio gemendo appena nel sentire la mano di Pirecrate sfiorargli il sesso- toccava me, e voleva toccar lui .. "

Gli si strusciò contro, in modo da farselo scivolare sotto, fra i cuscini: altrimenti si sarebbe alzato, folle, a compiere qualcosa di stupido. Invece era lì che doveva stare, lì con lui e lì avrebbe stillato dolce miele mesto a mirra amara.

"L'anziano Kakeo? Ma non. ."

Gli mancò il fiato quando Aste si chinò su di lui, premendo con forza, in un movimento sinuoso, il suo corpo seminudo ormai su quello suo duro.

"L'anziano Kakeo adorava i ragazzini dalla pelle morbida e suo nipote lo sapeva. Per questo, - gli fece scorrere le mani lungo le cosce tese- per salvare se stesso, Pherio ha sacrificato Idrio a suo zio."

"No!"

Astre rise, quasi completamente nudo sopra di lui.

"Toccami, Pirecrate, toccami e dimmi: è più morbido Idrio di me? Temo di sì - un bacio leggero sul petto- ma Kakeo non ha mai potuto toccarlo, sai?- un piccolo morso sul capezzolo scuro- Idrio s'è rifiutato con tanta veemenza ch'è riuscito a fuggire- lo succhiò appena fino a sentirlo tremante ed eccitate e sorrise di nuovo, ammaliante, irresistibile- E' per questo che l'hanno frustato e legato e spogliato per venderlo come schiavo nelle colonie. Perché non s'è lasciato toccare. E Pherio lo sapeva."

L'indignazione illuminò di fiamme oscure le iridi celesti. Le labbra ben sillabarono: "Menti."

Astre, con un tocco leggero, si sciolse sensuale gli ultimi nodi che gli tenevano insieme la veste, trattenendo le mani di Pirecrate sopra di sé. Adorava guardarlo mentre lo fissava in quel modo, sbranandolo con lo sguardo, eccitato e disperato, un bisogno tale di affogare in un corpo accogliente in grado di strappargli le viscere.

"Tu hai toccato Idrio, non è vero? - socchiuse gli occhi spogliando piano lo spartano sotto di sé, infilando dapprima le mani solleticanti sotto il lino e poi tirandolo via- Oh, sì - tirò indietro il capo, lo reclinò di lato, i capelli gli caddero innanzi agli occhi- si sente da come mi sfiori. Ricordo un po' Idrio, non è vero? - si leccò la punta delle labbra- Forse solamente la sfumatura della nostra pelle, egli occhi. . - rise sottovoce strusciando il bacino contro una gamba- gli occhi di Idrio! Che begli occhi verdi. . ma forse se i miei li tengo chiusi un po' ti ricordo Idrio, non è vero?"

"Astre. ."

La voce gl'inciampò in gola, i contorni di quel corpo sottile sfumarono appena: c'era solo la morbidezza della pelle, e il calore, e quel profumo che batteva le narici e le tempie. .

"Da te s'è lasciato toccare, Idrio, scommetto - un sussurro spezzato quando le mani di Pirecrate sfiorarono i contorni dell'anca, affondando di nuovo fra le sue gambe- E come l'hai toccato? Così? E lui ha lanciato un piccolo gemito, nevvero Pirecrate? Come puoi pensare di lasciare Idrio da solo? Ha così bisogno di te, ora.. Senti - di nuovo si chinò su di lui, arcuando la schiena come un gatto, strusciandosi contro il suo petto, sorridendo dell'estasi del piacere che presto sarebbe stata sua- . .senti come Idrio ha bisogno di te.."

"A. . Idrio. ."

"Sì, Pirecrate, sì. . Toccami. - schiuse le labbra, ansando- Mi accompagnerai a Persepoli? Ti prego. ."

La voce dello spartano lo raggiunse spezzata.

"Prendimi, Pirecrate, prendimi. Il piccolo Idrio è da tanto che ti sta aspettando. ."

____ 

Pherio attendeva immobile, seduto allo stesso luogo, nella stessa posizione che aveva tenuto nel colloquio con Dionide. Non una sola falda della stoffa che lo cingevano come pesanti catene, ora, s'erano mosse, non un solo capello, né un solo respiro troppo secco gli era scappato, infrangendo un solo, singolo angolo del suo aspetto.

Il papiro giaceva sul suo grembo, inutile, e l'unica cosa che pareva mutare la scena era il diverso angolo dei raggi del sole che entravano dall'ingresso spalancato della tenda. L'astro celeste aveva percorso un ampio arco di cielo, e ora pareva fissare Pherio quasi direttamente, un attimo prima di scomparire dietro l'alto profilo delle dune mobili che si intuivano all'orizzonte, appena fra le correnti dense di aria troppo calda, e il tremolio sfocato dell'ardore secco che si librava sulla terra brulla.

Se avesse spostato appena il capo avrebbe potuto perdersi con lo sguardo nel morbido digradare della terra intrisa d'acqua dell'oasi, che poi si scioglieva in lievi toni di verdi, via via più cupi, per sbocciare in fiori dagli svariati colori, dalla vita prorompente e sorridente.. ma no, il deserto era una vista che gli si addiceva di più, ora.

Il deserto, quel deserto rosso e luminoso di luce riflessa, di qualcosa che non possedeva ma che poteva sfoggiare solo grazie a ciò che brillava per luce propria. L'orizzonte era vuoto e ondulato, non si intravedeva nulla che potesse essere un punto di riferimento, non esisteva nulla se non quelle linee sinuose e mobili che, peggio di flutti d'acqua, facevano affogare e perdersi. E la mente camminava per quei sentieri non segnati, girando in tondo, mettendo i passi dietro i passi e faticando, arrancando terribilmente .. perdendosi in pensieri che non avrebbe dovuto, che non avrebbe potuto.

Sparta.

Il disonore.

L'accusa.

Astre.

Astre no, Astre non era un pensiero che poteva avere, ora, e invece.. invece lo vedeva, i suoi occhi, il suo aspetto, il sussurro di quella voce morbida e lontana come un sogno che non potesse mai smettere di sognare. Come una tortura o un dono, qualcosa che vivesse sempre dentro di lui, con lui. Astre. Non aveva mai mentito con se stesso su quell'argomento che lo lasciava confuso e spiazzato, con quel qualcosa che gli sconvolgeva la mente spaccandogli il cuore, e ora nulla era mutato. Aveva, in una parte remota di sé, sperato che Pirecrate fosse stato alfine un buon modo per dimenticare, per cancellare lo sconvolgimento del cuore e delle vene. Ma nulla era dimenticato, nulla di quello poteva essere cancellato. Nulla di ciò che gli viveva in cuore poteva essere davvero imbavagliato se non piantando una lama direttamente nel costato, probabilmente.

E Astre.. Astre.

Non aveva parole, non c'erano concetti per dire ciò che era vivo dentro di lui, la vergogna, la pena, la lontananza, la mancanza, il desiderio ..il desiderio maledetto che rimaneva lì, infisso nelle sue carni come zanne terribili a mordergli le viscere.

Perché Pirecrate sì e Astre no?

Di fronte scintillò la sua treccia dorata, posata, fanciulla, su un'ara che lui prima non aveva mai visto. La dedicazione tradita, per chi? Per cosa?

Una dedicazione tradita: aveva mentito a un dio. Per cosa?

Sorrise appena, pallido e terribile. La dedicazione era stata fatta perché ..perché aveva un bisogno terribile di essere protetto, da suo zio, da Sparta, da se stesso e dal suo stesso sangue. E quel sentimento di protezione ora che provava tra le braccia di Pirecrate aveva permesso di impedirgli addirittura l'ingresso al suo tempio: il suo destino o forse la prigione che lui stesso aveva creato per salvarsi dalla vita.

Pirecrate era protezione Astre, invece.. Astre era.. era amore, quello? Non lo sapeva. Non riusciva a saperlo.. Ma Astre era re, e lui Spartiato. Astre avrebbe dovuto vivere a Persepoli, lui a Sparta. Cosa c'era che avrebbe potuto tenerli insieme? Ed era stata la paura, la *sua* paura ad impedir loro di amarsi? Ora Astre era lontano, e lo capiva. Ora Astre danzava nelle notti di festeggiamenti con Pirecrate, e lo sapeva che faceva bene, e che il dolore che sentiva dentro era qualcosa di giusto, che non poteva farne a meno.

L'orgoglio sublime con cui s'era ammantato a Sparta, dietro a cui s'era riparato, ora era evaporato, crollato in frantumi. Pirecrate, probabilmente, neppure s'era accorto di cosa era successo, di cosa gli aveva fatto, ma il suo mondo era stato strappato a pezzi.

Astre era ora fuori dalla sua portata, almeno avrebbe potuto mentire sul motivo per cui non si limitava a tendere una mano e stringerlo a sé ..sì, perché quando avrebbe potuto farlo, quando era stato difficoltoso dimenticare ciò che aveva dentro per fare quello che doveva era stato peggio..

Perché il destino l'aveva costretto a quello? Perché gli dei avevano deciso di insegnargli quanto fosse debole quel mezzo barbaro in una maniera così crudele? Perché Astre? Perché l'aveva lasciato sfuggire quando avrebbe potuto, senza neppure far fatica, stringerlo, e possederlo, e farlo suo, e perché ora sentiva gelosia quando era ovvio che tra loro non poteva esserci proprio nulla del genere?

Perché Astre era lontano, ormai. Ed era giusto, e terribile, crudele ma giusto perdere lo sguardo in quelle vie inesistenti che si creavano sulla superficie del deserto, e immaginare la sabbia che riempiva la bocca e il naso e i polmoni, uccidendo e soffocando .. quello era il modo in cui la sua anima stava morendo.

Vuoto. Senza più nulla se non le lontane immagini sfocate graziose di menzogne donate dall'arsura, e il sole che rendeva pazzo ..ed egli era già pazzo.

"Pherio!"

La voce forte e irosa di Pirecrate lo scosse da certi pensieri che troppo dolenti e contorti gli pesavano sul costato. Pherio sollevò appena lo sguardo, e notò la notte profonda che s'era fatta fuori e l'agitazione nel tono del Dimano. Che sapesse già? Corrugò la fronte.

"E' una fortuna che tu sia qui, dobbiamo parlare.."

"Non c'è nulla da dire, Panfilo! Dobbiamo partire!"

Pherio spalancò gli occhi azzurri realmente stupito. Lo sapeva, allora! Gliel'aveva detto Dionide? Forse . . forse era stato Astre . . sì, più probabile.

Pherio si sollevò lentamente, mettendosi in piedi come se sulle spalle portasse un gran peso.

"Pirecrate, calmati. Prima dobbiamo chiarire alcune -"

"Non c'è nulla da chiarire! Dobbiamo andare a Persepoli, e dobbiamo andarci subito!"

Pherio rimase per un attimo senza fiato.

"Persepoli? - sussurrò, poi scosse il capo con violenza- Non andremo a Persepoli, ci aspettano a Sparta!"

"Sparta? A Sparta ci torneremo dopo, ora ho altro da fare!"

Pherio s'infuriò porgendo a Pirecrate il dispaccio.

"Leggi qui, Dimano, e poi dimmi dove è meglio che ci dirigiamo! - la sua voce era un ringhio, e Pirecrate ostinava a non sollevare lo sguardo su di lui, teso e cocciuto- Anzi, vuoi che ti spieghi io le cose? Ascolta bene: mio zio è stato accusato di alto tradimento e messo a morte per aver ospitato tra le sue mura il Principe di Persia, io sono stato destituito di ogni incarico in contumacia e ogni legazione o drappello di Spartiati ha ricevuto l'ordine di riportarmi a Sparta spogliato delle mie insegne perché mi possa difendere dall'accusa di connivenza in tradimento. Tu per ora sei ancora libero, ma sarai giudicato. Questo è il debito che deve essere saldato, questo e non altro!"

Aveva alzato la voce. Pherio raramente lo faceva, solo in casi estremi e mai era apparso così sconvolto. Ma Pirecrate non era in animo da tollerare nulla, specialmente le parole viscide di quel. . quel! Ricordava l'Ateniese che era venuto da lui quel giorno, quel giorno in cui se ne era ripartito e lui aveva creduto per tornare a casa. Aveva quell'immagine ben stampata innanzi agli occhi: le spighe di grano che ondeggiavano pronte per le falci, e Idrio.

Idrio.

Il cuore gli si scioglieva al pensiero di quel ragazzo, anche se appartenevano a due mondi opposti. A cena l'aveva visto, una volta, in disparte mangiare dove lo spazio era riserbato alla delegazione. Teneva il cucchiaio tra le labbra rosee e tra le dita d'una mano, e così rimase mentre lui passava. Arrossendo. Che bello! Che bellezza innominabile. E quello schifoso d'un Panfilo dalle mani lunghe aveva osato solo *pensare* di. . di...

"Questo è frutto dei vostri schifi, dei vostri maneggi politici, Pherio. Fin da Delphi ti dissi che una polis non può basarsi su questo! E' solo ciò che tu e la tua famiglia meritate! Io da parte mia ho un debito d'onore con una persona che ha bisogno di me e non verrò meno a quello che sento nè tantomeno a quello che gli devo!"

"Pirecrate!, se non tornerai verrai accusato pure tu!"

Pirecrate sorrise appena, terribile.

"Non trattarmi come se non capissi i tuoi brogli, non sono uno stupido al tuo servizio: senza di me *tu* non tornerai vivo a Sparta! Sei senza insegne: vuol dire che non sei più considerato Spartiato, e che non puoi toccare un'arma, e che sei quasi considerato un Ilota. Ti uccideranno nei fertili pascoli se non ci sarò io a difenderti! E' per questo che fai tutte queste scene per avermi con te!"

"Pirecrate, taci sulle cose che è ovvio tu non sai! Chiudi quella dannata bocca! Cosa può esserci, qui, di più importante del tuo onore? E anche del mio, forse? Un persiano? Fai tutto questo per Astre?!"

"Tu non hai mai capito niente di Astre quanto io.. - trattenne dentro quel che gli stava uscendo spontaneo dalle labbra- E adesso non faccio questo per il tuo dannato persiano! - buttò fuori scattando di nuova rabbia- Idrio! Idrio è ferito, senza voce ed è così per colpa mia! - gli occhi si velarono un attimo d'una patina tremenda e luminosa, simile a un'impronta lasciata da dita crude sulle ali d'una falena- Le uniche medicine sono a Persepoli e Astre mi ha detto che lì potrà ridargli la parola! Dobbiamo accompagnarli a Persepoli"

"Astre?! - fu un sibilo tremante e privo di forza tanta era l'ira- Tu ti vai a fidare dell'ultima persona degna di fede su questa terra? Così ingenuo sei?! - non fece l'errore di dare le spalle, ché Pirecrate aveva lo sguardo iniettato di odio e rancore e subito avrebbe preso una spada e sbattuto al muro, premendogliela sul costato. Ma mosse gli occhi e li abbassò e li tenne così per poi riaprirli- Tutto questo per un ateniese, poi?! Un ateniese, Pirecrate! Hai perso la ragione? Un ateniese! Non gli hai fatto nulla di grave se è un cittadino di Atene!"

Questa volta lo sguardo di Pirecrate fu assassino, terribile e fiammeggiante, e Pherio riuscì a sostenerlo solo per un soffio.

"Un ateniese, un persiano, a me non importa! Non ha importanza: mi sono stancato di dover rifiutare me stesso in nome di qualcos'altro e se tu invece ti diverti o è l'unico modo in cui sai vivere, va bene, va bene! Tu per la tua strada e io per la mia. . - Pherio era rimasto così ghiacciato che la lingua era rimasta attaccata al palato e Pirecrate continuò, sprizzando sangue di dolore dalle labbra e sputi d'indignazione- Ma ti sei mai preoccupato per qualcuno che non sia tu o te stesso? O forse non hai neppure idea di cosa sia aiutare qualcuno? No, perché a te non importa! Tu non sai cosa sia essere affezionati, o sentirsi vicino ad un altra persona! Animale senza cuore! E proprio tu dovresti saperlo quanto sono ingiuste certe cose, visto che sei un mezzosangue di barbari, quanto Poseidone dovrebbe sommergerle ed Efesto incenerirle! Bastardo egoista! - gli si avvicinò minaccioso- e adesso come sempre stai pensando solo a te stesso: il tuo bell'on ore, la tua integrità. . Sei un ipocrita e un egoista!"

A questo le labbra di Pherio si piegarono dalla furia e le pupille si strinsero spalancando le iridi celesti.

"Tu che - aveva ripreso Pirecrate vomitando infine il vero nodo- hai permesso - ma già non l'ascoltava più Pirecrate- che un innocente fosse privato della sua libertà di uomo e venduto come un animale!"

"Come osi rivolgerti a me con questo to-"

Pirecrate ghignò come un demone, e Pherio, ora, indietreggiò d'un passo. Il Dimano non s'avventò furioso contro di lui, ma improvvisamente si guardò intorno: in un angolo della tenda stavano piegata la tunica carminia di Pherio e accanto la spada di bronzo. Prese entrambe con uno strattone e gliele gettò ai piedi.

"Tono? *Tu* modera il tono! Sei un Ilota, un servo! Non puoi decidere nulla, non puoi neppure parlare al mio cospetto se io non ti do il permesso! E non ce l'hai, no, il permesso di sputare il tuo veleno! Non possiedi più niente, non sei più niente. Io ora sono il capo di questa spedizione, ed essa si dirigerà a Persepoli, non m'importa se sei d'accordo o meno. Tu verrai a Persepoli con noi!"

"Scordatelo! - Pherio scosse il capo, disperato ora. Come poteva . . come era potuto arrivare a quel punto? Perché erano così. . perché Pirecrate. . Pirecrate stava rischiando tutto per aiutare un ateniese, facendo affidamento molto più sulle parole tessitrici di Astre che sulle sue, Spartiato come lui, e forse .. e forse altro, in qualche modo .. eppure Pirecrate non aveva avuto il minimo scrupolo di fronte al fatto che forse pure lui avesse bisogno di aiuto. . non s'era fermato a chiedersi, a pensare, a cercare di capire o a chiedere se.. e come.. Un ateniese . . un ateniese era stato preferito a lui. . e anche un persiano. . e Pirecrate che aveva giurato, che aveva promesso di. . non era stato neppure tento tempo prima! Un paio di giorni, forse, forse di meno, e lui che s'era sentito così in pace e tranquillo e al sicuro come non era stato mai! Come non aveva mai creduto potesse sentirsi! E ora, Pirecrate .. inghiottì la disperazione, la rabbia, la furia, la sua compostezza ritornò, l'unica cosa che riuscì ad afferrare di se stesso, almeno in parte- Non verrò a Persepoli con te."

"Non puoi decidere! puoi solo obbedire!"

"Uccidimi, allora, Dimano, uccidimi come si uccidono gli schiavi ribelli!"

Gridò dal profondo, strappandosi con la mano tremante un lembo di veste dalla spalla, mentre i capelli gli ondeggiarono sulla guancia, spinti dal movimento brusco.

"Così che quelle serpi del tuo seguito potranno additarti come martire e far cadere la colpa di tutto questo su di me? No, Panfilo, no! Non sarò una tua pedina! Tu verrai a Persepoli con me, a costo di trascinarti in catene, e quando Astre avrà sistemato le cose ti porterò a Sparta e avrai il tuo giudizio, ma ora. . - sguainò la spada, rapidissimo, e venne avanti con le mani, trascinando l'arco argenteo per l'aria; Pherio fu lesto a parare, ma fece l'errore di credere che Pirecrate mirasse a un punto vitale: le dita crude e scure afferrarono i capelli, e lo gettò sulle ginocchia, esponendo il collo, tirando indietro il pugno- Tu lo sapevi di Idrio! Tu sapevi tutto! E non hai fatto nulla! Sei senza cuore! Sei solo un agghindato guscio senza cuore!"

Pherio spalancò gli occhi ma non gemette neppure: non riuscì a respirare, il suo cuore smise di battere per un attimo nel sentire la presa che scemava del tutto, la testa assurdamente leggera, così, d'improvviso, dopo il sibilare della lama, e ciocche bionde tagliate, adagiarsi appena sui tappeti ai suoi piedi, piano e lentamente, come se stessero godendo nel straziargli l'animo. Pirecrate teneva in mano la manciata densa dei suoi capelli recisi.

Non rispose, non aveva fiato per farlo, riuscì appena a schiudere le labbra guardando Pirecrate gettare con disprezzo la lunga matassa d'oro ch'eran stati i suoi capelli sopra il manto, che era stato proprio, e la spada, che avrebbe dovuta essere affidata a un fabbro perché venisse fatta a pezzi. Schegge che gli ferivano il cuore in una maniera assurda, incastrandoglisi e spaccando quel muscolo che più continuava a palpitare più rimaneva squarciato.

Il suo onore era tutto lì, quel piccolo involto di porpora, oro e rame.

Tutto quello per cui aveva vissuto. . rimaneva solo. . un 'bellissimo guscio', come aveva detto Pirecrate. Abbassò lo sguardo, impossibilitato a sostenere ancora quella vista orribile.

"Pirecrate! - una voce leggera entrò a infrangere l'immobile atmosfera che s'era schiantata su di loro- Venivo giusto a vedere se avevi tempo per preparare i piani di viaggio, ma se hai da fare. ."

Inginocchiato, col capo chino e gli occhi in fiamme, Pherio non aveva bisogno di sollevarli per sapere a chi appartenesse quella voce. Astre sorrise delicato allo spartano, degnandogli appena un'occhiata leggera.

"No, vieni pure. Pherio? Fuori!"

Pherio strinse i denti, cercando di non tremare, di non mostrare quanto di lui fosse stato gettato alle ortiche, ma nessuno pareva troppo interessato. Solo Astre continuò a sorridere.

"Non prendertela così a male, Pherio: sei sempre bello, anche con i capelli tagliati, ti assicuro!"

E rise.

Pirecrate, sentì, gli voltò le spalle, abbassando il tono di voce.

"E non credo neppure dovresti più indossare qualcosa di rosso. Ricordano troppo le tuniche degli Spartiati, non voglio vederti con cose simili indosso, tu che sei la vergogna della nostra città."

Pherio prese un respiro, silente e profondo, chiudendo gli occhi. Dopo tutto si trattava solo di obbedire agli ordini, come aveva sempre fatto.

Come aveva *sempre* fatto.

Non era cambiato nulla.

Nulla.

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