NOTE: i pg sono nostri! [Dietro congruo pagamento possono essere prestati 
per feste di compleanno, festa aziendali, addii al nubilato, al celibato, 
con tanto di possibilità di lap dance e strip tease *ç* !! Inviare le 
richieste con ragionevole anticipo, grazie.]
P.s.: Mi pare giusto avvisare che il 4 Giugno non saranno disponibili, visto 
che una delle due autrici (che farà diciott'anni ragazzi!!! ^____^ /me 
felice...) se l'è giustamente prenotati per l'intera nottata!
P.p.S.: sì c'è un passaggio che è ripreso quasi pari - almeno come idea- da 
'Le cronache di Dragonlance' by Weiss & Hichmann. Se non ve ne accorgete fa 
nulla, se sì, bhè, i credits sono obbligati, no?!


Di odio e di Amore

parte XXIII

di Dhely e Kalahari






Pherio strinse gli occhi per l'ennesima volta, e per l'ennesima volta
soffocò un brivido che sgorgava dagli anfratti più intimi delle membra. Non 
era stanchezza, quella, o almeno non solo. Il sole era scivolato dietro 
l'orizzonte da tempo e il freddo gelido della notte del deserto mordeva le 
carni.

Freddo e buio: neppure se Pirecrate fosse stato davvero un leone avrebbe 
potuto cacciare, eppure il fuoco allestito da Astre da un bel po' consumava 
sterpaglie quando aveva lasciato solo il Persiano per andare alla ricerca 
del Dimano.

Pherio si guardò intorno con sguardo luminoso, e titubante: echi riempivano 
l'aria immota intorno a lui, scie oscure che non gli piacevano, voci che 
sapevano di sangue e violenza. Sussurri infami che parevano sfiorare corde 
intime che, fremendo, risvegliavano demoni senza nomi. Echeggiavano per i 
lunghi e sterminati corridoi di quel labirinto di cui costeggiava le mura, 
echeggiavano per l'animo.

O forse era solo il soffio del deserto che da qualche parte sollevava 
tempeste di sabbia, polvere rossa, rame tagliente, che strappava il fiato 
alle labbra, che cancellava ogni segno, ogni traccia di essere vivente.

Forse.

"Pirecrate?"

La voce uscita dalla barriera delle labbra era debole, flebile quasi. Era 
stanco, sì, troppo. Si passò una mano sugli occhi muovendo a fatica un altro 
passo. Si sarebbe punito per quella debolezza! Non solo sarebbe stato 
sveglio per tutto il secondo turno, ma avrebbe fatto anche il primo! Avrebbe 
vegliato tutta la notte per scontare quella debolezza morale. . suo zio 
avrebbe approvato. . suo zio. Suo zio lontano, suo zio a Sparta.

Sparta, la sua città, il suo onore. La sua vita.

Sparta, la sua Sparta.

Tutto quello che aveva sopportato per diventarne degno non era stato un 
peso, ma era stata una gioia. Il sudore versato, le lacrime, il. . il 
disonore.

Pirecrate.

La fatica. Le sfide infinite.

Dov'era Pirecrate e la sua boria? Dov'era Pirecrate e la sua spada, il suo 
sguardo saldo, la sicurezza, i muscoli lucidi? Dov'era Pirecrate e il suo 
corpo di bronzo? La sua forza in grado di piegare chiunque altro spartano 
oltre che lui con un semplice fissarsi degli occhi?
Dov'era. .

Ora, Pirecrate, era un corpo riverso sulla terra nuda, rannicchiato su un 
fianco, su se stesso. Le membra, spigolose tanto erano tornite, tese erano e 
coperte da un velo leggero di sudore come da gelide stille selenie.

"Pirecrate!"

Si chinò su un ginocchio, piegandosi al suo fianco, sotto i polpastrelli che 
sfioravano la pelle bruna il Dimano restava immobile. Solo un lieve tremito 
che usciva quasi rantolando dai polmoni ne mostrava l'esser ancora in vita, 
sconvolto dall'ombra del terrore che si riusciva a sentire, indistintamente, 
levitare nell'aria. Gli occhi celesti erano fissi in terra, ma sembravano 
più rifiutarsi che intenti a vedere, come schegge vuote d'un cristallo 
opaco.

"Pirecrate!"

Di nuovo, e di nuovo non una parola in risposta. No, niente parole. . ma 
stavolta fu un suono, un verso di fiera, e, come la pantera dal ramo 
lanciandosi piomba su una vittima ignara, così le movenze delle membra del 
Dimano lo assalirono e solo lo fulminò la scia lucente della fredda spada 
mercuria, rapidissimo lampo silente, e l'abbatté quella forza selvaggia e 
indomita.

Di fronte ai suoi occhi azzurri, spalancati dallo stupore, stava un 
Pirecrate dall'aspetto e dall'atteggiamento bellicoso e ossessionato. Nulla 
pareva poterlo raggiungere, nulla lo poteva sfiorare, recluso com'era nel 
suo proprio mondo, fisso su un unico, saldo, proposito.

Ucciderlo?

Pirecrate, è vero, l'aveva sfidato innumerevoli volte, ma mai. . mai così.

Non era una sfida, quella. Era. . un'esecuzione.

Perché?

Mosse il capo, appena, eppure il peso di Pirecrate lo teneva giù, la schiena 
affondata al terreno, la lama a premergli sul collo proprio dove si vedeva 
pulsare rapida la giugulare. Un taglio netto e più nulla l'avrebbe potuto 
salvare, né uomini né dei. A fargli compagnia solo l'ansimare roco del 
Dimano.

Pherio ebbe la forza appena di dischiudere le labbra, per dire cosa non 
sapeva neppure lui, eppure fu anche in quel caso Pirecrate ad aggredire.

"Taci! Taci ora, malefico essere! Non voglio più udire i tuoi sussurri! 
Allontanati da me, lasciami in pace o, per gli dei ti giuro che. ."

Una minaccia generata da una disperazione e da un dolore senza nome. Uno 
sguardo che Pherio aveva visto solo una volta sul volto di Pirecrate: 
l'ultima notte che li aveva separati dal giorno più importante delle loro 
giovani vite. La prova degli Spartiati.
Sentì distinto il fil di spada scivolargli sulla pelle, simile al sentimento 
che gli tagliava il cuore con una lentezza estenuante. E così era deliberato 
il prolungarsi di quel taglio che non andava in profondità, estenuante nella 
sua esecuzione e poté immaginare bene il fiore carminio che gli stava 
fiorendo sulla gola, il rivolo scarlatto che gli stava colando giù lungo il 
collo, le labbra di porpora che si schiudevano. Il dolore non c'era. Era 
solo appena un bruciore che poteva anche obbligarsi a non provare, se avesse 
voluto. Ma insieme al sangue, goccia a goccia, rapidamente gli stava 
scivolando fuori dalle vene anche tutta la sua poca, residua forza, e Pherio 
si trovò così stanco, così spossato che per un attimo si trovò a desiderare, 
finalmente, il riposo, lontano da quel mondo che gli aveva offerto così 
spesso bocconi amari, e che altrettanto spesso gli aveva riservato rifiuti e 
infamia.

Ma Pirecrate, con sua somma meraviglia, non aumentò la pressione, anzi. I 
suoi occhi scuri, pozzi neri in cui un'anima poteva perdersi facilmente, si 
frantumarono in mille schegge. Posò le dita sul sangue rosso e poi se le 
portò accanto agli occhi, come se non credesse in ciò che vedeva.

Sangue.

Ancora sangue.

Stavolta però era denso e. . e tiepido. . quasi reale. L'odore, e la 
consistenza sulle dita e. . scivolava sulla sua pelle.

Abbassò lo sguardo sul corpo chiaro, non ambrato no. . immobile giaceva 
sotto di lui: lo riconosceva. Conosceva ogni palmo di quei muscoli, sapeva 
valutare, infallibile, la forza e l'agilità di quelle membra con un solo 
sguardo, quasi poteva intuire un movimento, o la cadenza d'un respiro prima 
ancora che fosse iniziato, così a lungo aveva studiato quel suo avversario 
nelle infinite sessioni d'allenamento in Sparta. E non c'erano dei, o 
demoni, o spiriti che avrebbero potuto rendere così perfettamente la 
sfumatura tanto aliena di quella pelle, o il brillio sempre vivo sul fondo 
di quegli occhi, o. .

"Gli spiriti non sanguinano .." disse a sé stesso, poi si scansò, furioso, 
gettando di lato la spada, sedendosi a un palmo da Pherio, il volto 
strettamente affondato fra le mani, posate sulle ginocchia.

Che aveva fatto? Dei, che aveva fatto?! Non sapeva dunque più distinguere la 
realtà da . . da un sogno? Era stato un sogno? Un incubo? Che crudele 
scherzo divino era stato quello che aveva vissuto? E poi, c'erano parole 
per. . per *pensarlo* solamente..

Un dolore lancinante gli strappò dentro le carni del petto, e fece più male 
dei morsi d'un volpacchiotto all'addome.

"Pirecrate."

Una mano a sfiorargli una spalla. Non una mano sottile, non un gesto gentile 
e leggero, non dita agili, abituate a pizzicare corde e a trarre armonia 
dagli strumenti, no, ma il palmo di un uomo che sapeva brandire spada e 
lancia, e arco, e che eccelleva in tutto ciò che riguardava l'arte militare.

"Pherio."

Lo riconobbe. Aveva il suo sangue sulla mano, ancora, e il cuore era greve 
in petto. Per la vergogna di un Aiace forse, o per il timore. Se solamente..

Pherio.

Non voleva ucciderlo, di questo era certo, non così per lo meno. Lo voleva 
sfidare, e battere a duello, voleva essere migliore di lui, ma non c'era 
onore nel prenderlo di sorpresa quando era debole per una ferita subita da 
altri. Non voleva vittoria, che quella si poteva anche afferrare a 
tradimento, voleva la palma del migliore che si offriva solo a chi si 
comportava con onore.

Onore, onore, onore! Sentiva ancora sulla bocca il sapore di labbra venate 
dal sangue, innanzi agli occhi la terra risucchiare la linfa vitale che 
sgorgava copiosa da ferite troppo superficiali per dissanguare, ma 
abbastanza profonde per dare tormento alla pelle. Le grida, gli occhi. . 
quegli occhi. . No basta basta: impazziva.

"Pirecrate - fatica a parlare, fatica a risollevarsi, si intuiva - cosa fai 
qui fuori?"

La furia montò all'improvviso, avvampandogli il volto. Pirecrate ringhiò, 
gettando indietro il capo, ma di fronte a quello sguardo si morse la lingua, 
immobilizzandosi. Non era una cosa che Pherio aveva chiesto perché volesse 
una risposta, ma solo per. . attirare la sua attenzione, per rompere il 
silenzio. Per stabilire un ponte e comunicare, superando le nebbie del 
dolore e della debolezza che stavano mordendo le carni di entrambi. C'era. . 
timidezza. C'era calore.

Lo avrebbe accettato?

Figlio di lupi era sempre stato: sua madre morta di parto; suo padre 
autoesiliato dalla città. Fratelli, cugini, zii. . nessuno. All'età di tre 
anni sbattuto nella camerata dei più grandi, picchiato e malmenato dagli 
Ilei, sottilmente umiliato dai Panfili. Trattato alla stregua di un Ilota 
fino a che la Gerousìa, dopo due anni, non aveva deciso che gli sarebbe 
stata data una possibilità.

Ed ora una rabbia simile a quella che aveva provato, e che aveva incisa in 
cuore, a quei tempi, lo consumava. Ma cosa ne è della rabbia quando è la 
dolcezza che le tende le braccia? Cosa ne è dell'odio quando un cuore 
passionale si trova innanzi a. .

Philìa? Affetto? Pherio?

Astre era un amante ed era diverso. Era diverso! Non era lo stesso affetto.

Scosse i capelli scuri, lentamente, nell'aria, poi si tese verso il proprio 
manto e, strappatone attentamente una falda, si mosse leggero e si sedette 
accanto a Pherio.

"Il taglio non è profondo - sussurrò appena, tamponando la ferita, pulendola 
alla meglio dalla sabbia - ma perde molto sangue. Lascia che te la bendi."

"Non. . - poi un sospiro e un sorriso così dolce che l'avrebbe stupito meno 
se l'avesse schiaffeggiato- D'accordo."

Era tutto ridicolo. . ridicolo e assurdo. Era come stare sospesi in un altro 
mondo, in un universo ovattato e come distante, troppo distante, alieno 
quasi, in cui i comportamenti erano di difficile decifrazione, in cui le 
reazioni erano un mistero, in cui non raccapezzarsi più.
Che strano..

Pirecrate con pochi gesti secchi gli bendò la gola e tacque di nuovo.
Cos'aveva mai da dire lui, figlio di un disonorato, a Pherio, figlio di un 
barbaro? Cosa avevano da condividere? Perché erano così vicini? E perché poi 
quella vicinanza, quel sentirlo lì accanto pareva poter calmare in parte il 
marasma che gli si muoveva nell'anima?
Scorse negli occhi di Pherio gli stessi dubbi e sorrise.

"Dovevo ringraziarti, Pirecrate - dopo una pausa che era parsa eterna. Il 
Dimano non s'era allontanato dal Panfilo, era ancora inginocchiato accanto a 
lui, e Pherio non aveva smesso di fissarlo, come se per una volta non fosse 
infastidito dall'avere qualcuno così fisicamente accanto a lui. Era una 
notte di sorprese, quella- per quello che hai fatto per me l'altro giorno. 
M'hai salvato la vita."

Pirecrate aggrottò la fronte ma fu solo un attimo, perché prese a ridere 
forte, scuotendo il capo. Ed era bello ridere, no, anzi: era bello parlare. 
Era gettare tanta luce su un lago scosso dai venti, rischiararne i flutti 
sommessi.

"Sciocco d'un Panfilo: io non ho fatto nulla che tu non avresti fatto a tua 
volta per me! E poi - tornando in parte serio- è Astre che devi ringraziare, 
non me, anche se hai fatto i capricci quando ti ha presentato la sua 
medicina.."

Un'ombra pesante e scura velò quegli occhi chiari, non irritazione, no, 
qualcosa di più profondo. Pirecrate si sentì stranamente in colpa.
"Astre. . - un sorriso doloroso- sono solito a non fidarmi delle medicine 
dei persiani."

Pirecrate sorrise di nuovo.

"Ma da quel che ne so, quelle di Astre hanno sempre funzionato bene."

Riuscì ad avere in cambio una scrollata di spalle.

"Il problema, Pirecrate, è che funzionano *troppo* bene."

Amarezza. Eppure era una sofferenza che anche se sgorgava dal cuore era come 
se non potesse penetrarlo di nuovo. Vigliacco era il Panfilo riguardo nulla, 
se non i propri sentimenti. Vigliacco? Forse pudico. Forse. Eppure Pirecrate 
sapeva che non avrebbe mai ringraziato Astre per avergli salvato la vita.. 
però aveva ringraziato *lui*.

E Pherio non era uomo che ringraziasse facilmente.

La treccia dei capelli del Panfilo scivolava sulle spalle curve sotto un 
peso invisibile, e risplendeva anche nella semioscurità simile a un cielo 
chiaro dell'alba. D'istinto la sfiorò coi polpastrelli.

"Che strano! -disse- che strano colore! Pensa che, la prima volta che ti 
vidi, mentre entravi nella piazza per iniziare l'addestramento, pensavo di 
aver qualcosa che non andasse agli occhi: non credevo potessero esserci 
persone con capelli così!"

Non c'era malizia nel suo tono e Pherio, irrigiditosi per un attimo, si 
lasciò andare in un sorriso appena accennato, velato però d'una certa 
amarezza. Pirecrate comprese e sorrise di nuovo.

"Considerazioni assurde le tue. . - Pirecrate prese tra le mani la treccia e, 
trovatone il laccetto che la fermava, stretta, lo sfilò facilmente- Che 
fai?"

"Volevo sentire che consistenza avevano- sincero e disarmante quello 
sguardo, mentre le dita strinsero quella massa dorata che, come felice di 
esser stata liberata da una costrizione terribile, quasi da sola si 
dispiegò, lasciandosi mirare- Per gli dei, ma guarda! Da quanto stanno così 
allacciati? Eppure una volta sciolti ritornano perfettamente lisci, non c'è 
un nodo! E non c'è neppure un'onda!"

Il volto di Pherio si torse in un ghigno.

"Capelli da barbaro direbbe mio zio."

Pirecrate sorrise, gli occhi celesti che brillavano come opali, e posò la 
fronte a quella chiara di Pherio, spingendo piano, un gesto che il Panfilo 
aveva visto spesso nei cuccioli, ma che non aveva mai creduto potesse essere 
condiviso fra due uomini. Che significato potesse avere, poi, al di là di un 
tocco scherzoso e giocoso proprio non riusciva a intuirlo.

"Lascia perdere quel noioso di tuo zio! Sarà un genio di strategia ma. . non 
ha mai capito niente del resto. Sono belli."

"Sciocco."

"Lo sappiamo entrambi Panfilo che è vero! O almeno io lo so.- li pettinava 
con dolcezza con le dita scure.- Era tempo che volevo toccarli: mi hanno 
sempre. . incuriosito. E adesso che li sento sono sicuro di ciò che 
credevo."

"Ossia?"

"Sono belli, Pherio".


'Hai perso Pirecrate, Ares. .' suonò il vento in una lingua arcana.
L'ombra celata dall'ombra d'una roccia alla luce chiara e forte di Selene si 
ritrasse e svanì, voltando le spalle all'ultimo dei Dimani che aveva appena 
compiuto una scelta. Indegno, come il padre, e debole: troppo aveva osato 
sperare credendo di poterlo riscattare e di trascinarlo con lui per un 
sentiero cosparso di teschi e sangue.

Una piuma bianca volò volteggiando tra le pietre e, contro il disco della 
luna, capelli che erano miele ed oro fusi insieme si mossero appena. Il 
sorriso di Eros ampio sulle labbra sfiorate da Mercurio.


Gli occhi azzurri di Pherio intanto s'erano spalancati di stupore, e un 
lieve velo rosso gli colorava le guance, una sfumatura che rivaleggiava 
quasi con il carminio della stoffa che gli cingeva la gola. Pherio era 
abituato a sentirsi dire che aveva dei capelli meravigliosi quanto Pirecrate 
lo era ad essere amato.

Venire amati..

*Erano* belli, dopo tutto, belli e morbidi, e lucenti! E. . non l'aveva mai 
notato Pirecrate. . ma anche quegli occhi così chiari, che di solito erano 
tanto freddi e sprezzanti, erano belli, e la sua pelle, sì anche la sua 
pelle che pareva di luna e. . Corrugò la fronte. Cosa capitava? Era come se 
non avesse mai visto Pherio o se l'avesse sempre guardato da dietro una 
cortina che lo faceva essere una sagoma, e non quell'essere che aveva ora 
innanzi allo sguardo!

Avevano passato anni ad addestrarsi, ad allenarsi, a sfidarsi! Stavano 
compiendo pure un viaggio in cui erano quasi da soli, in un deserto e.. e 
dopo tutto l'aveva *baciato*. . insomma.. aveva solo posato le labbra sulle 
sue per aiutarlo a respirare ma .. ma cos'era mai un bacio se non. . due 
labbra che si toccano? E cos'era un abbraccio come quello e il toccarsi 
delle loro fronti se non. .

Le labbra di Pherio cercarono d'articolare qualcosa, ma tremarono, mentre 
quelle di Pirecrate, sgravate dalla catene, sussurrarono:

"Tu sei bello, Pherio."

Lo stupore si dipinse in mille sfumature sul volto di Pherio, come una 
foresta che si riflette nell'acqua pura e limpida di un fiume: screziata in 
mille frammenti, ma sempre lei. Il corpo che stringeva ora, quasi, non si 
ritrasse, non sfuggì al tocco delle sue mani.

"Sei. . sei proprio uno sciocco, Dimano!"

Il sorriso di Pirecrate lampeggiò come un astro tra di loro.

"Baciami senza por tempo in mezzo, Pherio, o lo farò io."

Fu solo davvero un unire le labbra. Pherio che si sporse appena, Pirecrate 
che, affondando le mani in quei capelli, gli abbracciò con più forza le 
spalle. Poi il bacio lieve si spezzò appena come appena si distanziarono le 
labbra per riprendere aria, e, improvvisamente, divenne profondo, ma non 
violento.

Le braccia stringevano, le mani correvano sulla schiena, affondando in ricci 
e rivoli, ad accarezzare la pelle nuda, o a far scivolare via dal corpo la 
troppa stoffa che impediva le movenze, languide. I respiri trattenuti.

Le labbra di Pherio le trovò incredibilmente dolci e morbide per essere 
quelle di un guerriero: sapevano di frutti maturi e zuccherini, succosi, 
come quelle piccole mele selvatiche gonfie di polpa che esplodevano sulla 
lingua e lasciavano quasi ebbri. Pherio lasciava ebbri.

Il suo sapore, il suo odore, la pelle sulle dita. . un fuoco che lentamente 
si risvegliava sotto quella scorza troppo chiara e ghiacciata, il timore 
goffo di un fanciullo e la fame e la sete di chi di quello ne avesse 
bisogno, per non morire. Per continuare a vivere.

Per *iniziare* a vivere?

Non dovette Pirecrate forzare troppo quelle labbra per piegarle ed ottenere 
un permesso a saggiarne a fondo il sapore. Le braccia di Pherio gli cinsero 
le spalle in un movimento fluido, che nella sua delicatezza non aveva nulla 
di femmineo se non l'esitanza.

"Ah. . - sussurrò il giovane biondo appena ansimante, allontanandosi ad un 
pollice da lui, con un tono così dolce che pareva quasi sul punto di 
infrangersi- se t'avessi conosciuto prima, forse. ."

"Stupido! -gli rispose sfiorandogli il volto, leggero- Ma tu m'ha conosciuto 
*prima*! Prima di qualunque cosa! Prima di chiunque altro! C'eravamo solo 
noi due nella piazza a sfidarci, ricordi? Nelle vie a scontrarci? Alla Pista 
a provocarci? Solo noi due. Prima."

Pherio sorrise, questa volta un sorriso sincero. Cinse il capo di Pirecrate 
con le braccia e lo baciò di nuovo.

Il vento li avvolse a sua volta in un abbraccio caldo e confortevole, e la 
schiena di Pherio arrivò a toccar di nuovo la terra morbida, mentre le dita 
forti del Dimano palpavano i fasci di muscoli, carezzandoli e rilassandoli.

Gli occhi languidi di Pherio lo seguirono nei movimenti mentre si metteva 
meglio sopra di lui, e di nuovo calava sulle labbra, stavolta per 
mordicchiarle mentre le loro mani si trovarono e si strinsero forte. Una 
risata appena imbarazzata sfuggì dalla bocca di Pherio, il capo si reclinò 
un poco e lo sguardo sfuggì al suo, velandosi, staccandosi come in seguito a 
uno strattone brusco.

Pirecrate prese un respiro profondo di quell'aria che quietava l'animo, ora 
scevra dell'alone di sangue che l'aveva imperlata poc'anzi. I raggi sottili 
delle stelle, occhi della volta, se li sentiva sulla schiena.
Il peso nel cuore tornò, greve, e la passione si spense come una fiamma 
tranciata dalla neve gelida.

Neve. La conosceva per sentito dire e sapeva ch'era simile al manto 
variopinto delle foglie autunnali, eccetto per il suo candore marmoreo.
Neve, doveva essere simile alla pelle del Panfilo, com'era ora, bianca, 
abbacinante quasi, e fredda, distante, intoccabile, il suo sguardo che s'era 
come di nuovo ritratto su se stesso, non un tiepido sole di primavera, ma 
raggi che scintillassero su una distesa tanto chiara da essere 
insopportabile, da essere impossibile da reggere. Terribile e bianco.

Chiaro.

Freddo.

Pherio ora lo guardava, distante e perfetto come solo una stella, o la luna 
stessa, o una statua. La casta Artemide o la sdegnosa Athena. Troppo chiuso 
in sé stesso per arroganza o timore o che altro? Non aveva importanza, la 
nostalgia s'insinuò nell'animo, trascinata da pensieri pesanti.

"Pirecrate?"

Quella voce, modulata secondo quel particolare tono tranciò qualunque 
possibilità. Di qualunque tipo, fosse pure quella di pensare.

"Torniamo da Astre: si starà chiedendo dove diamine siamo finiti."

Il Dimano si sollevò, accuratamente evitando d'incrociare lo sguardo con 
Pherio che, ancora a terra, mezzo sollevato lo fissava tra l'oro della 
ciocche lunghe e sinuose intorno alle membra. Non chiese al Panfilo se 
voleva una mano: sapeva avrebbe acidamente rifiutato. Già non poteva capire 
perché non s'era rifiutato *prima*.. le sue stesse parole gli solcarono la 
mente ma non riusciva a capire. Solo e sempre loro due: da soli contro 
Sparta, contro la Gerousia, contro l'indegnità, contro il mondo e gli dei, 
contro la Legge stessa e l'uno contro l'altro perché se una città poteva 
accettare come eccezione di possedere tra le proprie fila un'unica, 
meravigliosa rarità, due erano troppe.

Pirecrate tenne le palpebre mezze abbassate mentre pesantemente 
s'allontanava per il sentiero angusto e difficile, pieno di rocce sparse 
ovunque e per fortuna limate nella loro netta asprezza dalle fortissime 
correnti d'aria. Le stesse che, come il vento spinge i flutti marini, gli 
tiravano indietro i ricci che, onde ribelli, tornavano sempre sui loro 
passi.

Pherio non ebbe animo di sollevarsi immediatamente. Si lasciò ricadere a 
terra, sprofondando nella sabbia gelida, e le stelle altrettanto frigide 
contemplò con delle assurde lacrime negli occhi.

Un assalto, semplicemente un assalto da cui era uscito vincitore.. forse non 
vincitore, no, ma almeno .. almeno integro. La carne che urlava, lame di 
fuoco ghiacciato gli trapassavano le membra e il cuore, camuffando un ardore 
che non avrebbe dovuto esserci, che non avrebbe dovuto provare.

Dolcezza, affetto: non sono cose per guerrieri, non per Spartiati degni. Non 
per lui.

Che male può fare una carezza trattenuta? Che dolore può suscitare il 
desiderio di un gesto, di un tocco? Quanto può urlare una solitudine senza 
voce? E senza voce si trovò Pherio: in un attimo si domandò perché non 
schiudesse le labbra, e non lo chiamasse, non pregasse, gemendo, il nome di 
Pirecrate. Magari il Dimano sarebbe tornato sui suoi passi, forse.. ma il 
terrore del rifiuto era una catena che tratteneva peggio del più greve 
divieto, del più sacro giuramento.

E poi .. poi solo se stesso possedeva, se stesso e null'altro. Se avesse 
perso quell'onore, quella purezza, quella solitudine, quell'inavvicinabile 
solitudine, di lui che sarebbe rimasto? Quando anche la sua dea gli avesse 
voltato la schiena, quando si fosse mostrato indegno, e debole? Neppure la 
morte, allora, sarebbe stata una risposta, perché la vergogna pure nell'Ade 
l'avrebbe ritrovato e con la vergogna nel cuore, dilaniato come un Prometeo 
incatenato si sarebbe destato a vite infinite. A un'infinita pena e 
un'infinita impossibilità di rimediare.

Pirecrate. Perché risvegliava in sé stesso quelle cose orribili che ora gli 
squarciavano le viscere? Perché la mente ferrea non riusciva ad aver ragione 
di quella passione terribile che devastava e annientava ogni barriera?

Perché nonostante quello che facesse, la fatica, l'impegno, la decisione, la 
forza, la saldezza, perché nonostante il sudore e le lacrime e il sangue 
versato e le imprese portate a termine e ..perché nonostante tutto egli era, 
e rimaneva, così *indegno* ?!

_____

Astre giocherellava, annoiatissimo e scocciato, con un ramoscello secco. Non 
appena udì i passi di uno dei due spartani approssimarsi allo spiazzo 
rialzato che avevano diletto a rifugio notturno, gettò nel fuoco il suo 
trastullo. Scoppiettando fu arso, quasi gridando il dolore della propria 
misera esistenza.

"Pirecrate dov'è Pherio? Era uscito a cercarti. In quelle condizioni poi!"

Non aggiunse altro, perché tutto quel che aveva da dire riguardava 
l'ostinata e sciocca e stupida cocciutaggine degli Spartani. L'odore 
sgradevole che la sua pelle emanava per via delle giornate intere passate 
senza lavarsi non faceva altro che acuire la sua seccatura.

Pirecrate non lo degnò d'una parola, e questo al limite poteva anche 
comprenderlo, ma neppure uno sguardo gli rivolse.

"Vedo che non hai trovato niente, dannazione! - si alzò, andando innanzi al 
Dimano- Di lontano non hai visto se c'è uno scintillio, o roba simile? Non 
si trovano neppure piante degne di questo nome: a volte capita che ce ne 
siano. Dovremo esplorare meglio questo luogo. Ma insomma perché non 
rispondi?"

"Sono molto stanco. Va a dormire, ti sveglio prima dell'alba."

"Pherio dove sta?"

"Pherio verrà tra poco."

Uno scoppiettio particolarmente pronunciato risuonò nell'aria della notte, 
ed Astre sentì un brivido gelido carezzarlo. Quel fuoco si sarebbe spento 
prima o poi, l'acqua sarebbe finita, loro sarebbero morti sfiniti. Pherio 
s'era accasciato lungo chissà che parete, Pirecrate aveva ombre scure in 
fondo agli occhi, e lui sentiva le ginocchia cedere sotto un peso immane.

Cadde in terra, poggiando il capo su un ginocchio saldo di Pirecrate. 
Sentiva l'osso forte e i tendini leggermente tesi sotto la guancia, e non 
resistette: glielo baciò, prendendogli la gamba tra le mani e sfiorandole 
coi polpastrelli.

Egli era Re, era sovrano con diritto non solo di vita e di morte sui suoi 
sudditi, non solo. Poteva decidere quale fosse la verità e la menzogna, 
poteva decidere di tutto, e di ogni cosa, e la conoscenza delle arti 
arcaiche e potenti che la sua famiglia si trasmetteva da quando era iniziato 
il mondo degli uomini potevano far divenir realtà qualunque suo capriccio.

Poteva spezzare ogni cuore, piegare ogni animo, uccidere ogni corpo, eppure 
ora era il suo proprio cuore ad essere greve, e non vedeva speranza 
stendersi di fronte agli occhi.. avrebbe voluto poter toccare una roccia con 
un bastone e farvi sgorgare acqua, far cambiare il corso degli astri in 
cielo creando per ognuno di loro destini nuovi e inattesi: ma quelli erano 
miracoli, e il più grande fra i re degli uomini non poteva qualcosa in ciò 
che neppure gli dei dell'Olimpo avevano facoltà.

Nulla si crea dal nulla.

Ma..

"Barbari! - sibilò Pirecrate, furioso per un motivo che Astre, in tutta 
sincerità, non riusciva ad intuire- Andate forse in calore come gli animali, 
tutti in gruppo?! Staccati!"

Astre spalancò gli occhi, perdendo leggermente l'equilibrio e puntellandosi 
al terreno per non rovinare indegnamente nella polvere. Le sue labbra belle 
e terribili s'arricciarono pronte ad esprimere, stilettante, il suo odio e 
disprezzo per quello spartano idiota e indegno quando tutto l'universo parve 
ghiacciarsi di colpo. La schiena di Pirecrate si tese come se fosse stato 
trafitto da un dardo, all'improvviso, trattenendo il fiato.

"E' questo, dunque."

Il dardo era solo una voce morbida, sottile. Una tono che Astre non aveva 
mai udito uscire dalle labbra di Pherio, in piedi a un passo dall'ingresso 
della caverna in cui si erano accampati, i capelli sciolti, il capo 
orgoglioso, sollevato spavaldo come di fronte a un nemico da combattere.

Socchiuse lentamente lo sguardo chiaro, poi il sorriso che gli piegò le 
labbra divenne terribile di scherno, grondante odio e una miriade di altre 
sensazioni che Astre faticò a interpretare. E riprese, come nulla fosse 
accaduto, il tono e la posa del capitano che era.

"Astre, vai a dormire, Pirecrate, anche tu, faccio io il primo."

Pirecrate balzò a fronteggiarlo, un atteggiamento normalmente bellicoso ma 
come venato, quella volta, di un bisogno diverso, come di ..parlare o 
spiegarsi, o tentare almeno di farlo. Astre si ritrasse leggermente per 
osservare meglio quello che, strano, era mutato fra i due spartani, 
domandandosi cosa avrebbe mai potuto portare a quello e non trovando alcuna 
risposa che potesse soddisfarlo davvero.

"Pherio, io. ."

"E' un ordine, Pirecrate."

Pherio suonò laconico, non lasciò all'altro il tempo per aggiungere altro, 
sedendosi accanto al fuoco che ardeva basso, avvolgendosi nel manto a 
fissare senza vedere le lingue brillanti che lambivano ronfando piano l'aria 
fredda del deserto.

Un movimento morbido e secco insieme, sollevando le mani per allacciarsi di 
nuovo i capelli nella solita treccia stretta e pesante che gli solcava le 
spalle, poi si sciolse la spada dal fianco, posandosela sulle ginocchia, 
cercando una posizione il più comoda possibile per la schiena, il volto teso 
in un'espressione attenta e chiusa. Pherio stava montando la guardia, e con 
quell'ombra negli occhi nessuno avrebbe potuto distrarlo dal suo compito, 
nessuno avrebbe potuto dirgli qualcosa con la speranza di essere ascoltato, 
Astre lo sapeva meglio di chiunque altro. Ma anche Pirecrate pareva esserne 
al corrente, gli scoccò appena un'occhiata che sembrava lievemente 
addolorata, poi tornò al suo posto, gettandosi sulla terra, avvolgendosi il 
più strettamente possibile nel suo manto. Aprì appena un occhio nell'udire 
il passo lieve di Astre accostarglisi.

"Ho freddo, spartano."

Un sorriso pallido, teso e sconvolto quasi dalla stanchezza e dal dolore più 
profondo quando socchiuse appena le braccia, permettendo ad Astre di 
scivolargli in mezzo. Il persiano vi si accoccolò delicatamente, chiudendo 
gli occhi, rapito da Morfeo quasi immediatamente. La fiamma di Pirecrate era 
sempre abbastanza alta da tener lontani gli incubi oscuri di qualunque 
notte.

_____

Come se un faro gli si fosse piantato nel mezzo della fronte, Pirecrate 
spalancò gli occhi pronto a scattare come una fiera sul punto di difendere 
la vita propria e dei propri cuccioli. Mettersi a sedere, impugnare la spada 
portandosi Astre dietro la schiena e scrollarsi via dagli occhi anche 
l'ultimo brandello di sonno che pesante gli era rimasto aggrappato ai 
muscoli con artigli di fiele, fu un tutt'uno, esattamente come essere 
schiaffeggiato quasi fisicamente dallo sguardo ghiacciato e troppo vicino di 
Pherio, una mano posata di fronte alle labbra, in un muto ordine di tacere.

"Zoccoli sulle rocce."

Sussurrò appena udibile.

Astre si mosse silenziosamente alle loro spalle, togliendosi da una 
qualunque traiettoria possibile che avrebbe potuto essere vitale per i 
guerrieri.

Zoccoli? Per cui. . cavalli! Il suo cuore sussultò appena. Nel deserto i 
carovanieri non utilizzavano cavalli! Nessuno usava i cavalli, ad eccezione 
de. .

Voci straniere si udirono imponendosi al sibilare costante del vento, e a 
quel suono morbido bel si avvicinavano: un tono sicuro, urlato, ma che a 
modo suo sapeva nascondersi negli anfratti echeggianti di quella struttura 
aguzza di pietre e sabbia e brezze.

"Che lingua è?"

Domandò brusco Pirecrate ad Astre, ma il persiano non dava retta al greco.

Non era possibile ..non era possibile! Conosceva quella lingua ..
Una figura oscura si posò direttamente di fronte all'ingresso della grotta 
che li aveva riparati, l'oscurità l'avvolgeva nonostante che alle sue spalle 
il sole arrossava appena il cielo e con le sue dita rosate l'alba faceva la 
sua comparsa sul mondo.

"Greci? - la figura che montava un cavallo scuro esclamò stupito, accentando 
la parola in un modo strano, che né Pirecrate né Pherio avevano mai udito. 
Ma a quanto pareva lo straniero aveva udito loro, e conosceva il greco. - 
Cosa ci fanno dei Greci nascosti in uno dei nostri templi antichi e più 
sacri?"

Pirecrate scoccò un'occhiata nervosa a Pherio e quando vide che il Panfilo, 
lentamente, abbassava la spada, fece lo stesso anche lui, ma non troppo.

"Non sapevamo fosse un tempio."

Pherio tese le spalle anche se i primi raggi di sole gli sbattevano proprio 
sugli occhi, accecandolo quasi del tutto. Un cavaliere che cavalcava un 
destriero scuro, e l'uomo ammantato pesantemente di stoffe. Ne aveva sentito 
parlare, di questi misteriosi guerrieri del deserto, ma aveva sempre creduto 
fossero una di quelle storie che gli abitanti delle colonie troppo loquaci 
inventavano per stupire la madre patria.

Eppure ora un gruppo di loro, almeno una dozzina a sentire i rumori, i 
nitriti dei cavalli e le voci che si rincorrevano, li stavano attendendo.

Pherio mosse un paio di passi: sarebbe stato meglio uscire da lì, in campo 
aperto i cavalieri sarebbero certo stati avvantaggiati, ma almeno sarebbero 
riusciti a guardarli in faccia senza essere accecati dal sole nemico.

"E che fate qui, Greci? Lontana sul mare è la vostra terra, di qualunque 
città voi siate!"

Pherio sollevò le mani.

"Sono Pherio dei Panfili di Sparta. Lui è Pirecrate dei Dimani."

"Sparta? - lo stupore del cavaliere era palpabile, egli tirò le redini del 
destriero e liberò l'ingresso della grotta, permettendo ai tre di uscire 
sotto il cielo. Pherio si assicurò che Pirecrate stesse costantemente 
accanto ad Astre e gli impedisse di dire anche la più breve parola - Sparta 
è al di là del mare! Questo non fa che aumentare la mia curiosità, 
spartani!"

Blu.

Il manto del cavaliere e dei suoi compagni era blu, di un blu scuro e 
pesante, che rivaleggiava in bellezza con quello del cielo del deserto al 
tramonto. La stoffa pesante era avvolta attorno alla fronte, al capo, una 
falda più leggera ne ricopriva il volto, in modo che solo gli occhi fossero 
visibili, difesi dal riverbero del sole e dall'inclemenza del vento troppo 
forte che sollevava sabbia e che poteva uccidere.
Gli ..occhi.. che occhi quelli! Pherio ne rimase stupito: scuri, profondi di 
noce lucida, saggi e morbidi eppur inflessibili. Che storia, che cultura 
poteva far fiorire degli occhi simili sulla fronte di uomini?

Quello che guidava la spedizione si liberò il viso, mostrandolo, nudo, agli 
stranieri, in un gesto che rispecchiava il mostrare i palmi di Pherio. Gli 
uomini blu del deserto ..

Astre rise.

"Che tutti gli dei siano benedetti! Hanno dato retta alle mie preghiere! 
-tese le mani al cavaliere che sorrise, facendo esplodere sul suo viso serio 
e maschile un sorriso così chiaro da rendere doloroso agli occhi, quasi, 
mirarlo. - Dionide! Il mio Dionide!"

Pirecrate si mosse per mettersi, allarmato, tra Astre e il cavaliere, ma il 
persiano scosse il capo, posandogli una mano su una spalla e rassicurandolo 
con un cenno del capo.

"Non temete, siamo salvi! Esiste un solo uomo sotto questo cielo di cui mi 
fidi, e quest'uomo ce l'abbiamo qui di fronte, ora! Dionide di Firuzeh, 
signore dei tuareg del deserto."

Pirecrate lo fissò quasi sconvolto ma non disse nulla. Pherio non riuscì a 
far altro che respirare.

"I Tuareg, Astre, sono definiti da sempre gli uomini più liberi di tutto il 
mondo, eppure. . - sorrise, porgendogli una mano, elegante- Mio re! Nulla mi 
avrebbe potuto render più felice, ora, che incontrarti!"

Astre sorrise di nuovo, avvicinandosi al cavallo e al cavaliere, tendendo 
dolcissimo le braccia, lasciandosi sollevare a cavallo, abbandonandosi a 
quelle braccia forti come. . Pherio sentì la furia mordergli le carni, e la 
rabbia, e la gelosia squassargli il corpo e. . Pirecrate rise nascondendo 
l'imbarazzo di entrambi.

"Che modo di presentarci il tuo amico, Astre!"

Quel Dionide sorrise, gentile, poi scostò appena la stoffa che copriva la 
spalla del re e ne baciò la pelle, dolcemente.

"Sono io a dover ringraziare gli dei, Astre, per averti incontrato! E' un 
periodo terribile, amico mio, mio re, mio amato.. solo tu puoi aiutarmi. Sii 
dolce con me, ti prego. - fissò quasi stupito Pherio che aveva dipinta sul 
viso un'espressione così stupefatta e insieme tanto furiosa che pareva sul 
punto di crollare a terra fulminato dalla troppa rabbia - Greci, Spartani, 
siate dunque i benvenuti nella mia terra! Sarete miei ospiti, e ospiti più 
che graditi. Avrete un destriero perché purtroppo ora dobbiamo cavalcare in 
fretta verso la nostra oasi!"

Astre sollevò arrogante il capo in un gesto secco, poi socchiuse appena le 
palpebre, guardando i due greci ai suoi piedi e sorrise, appoggiandosi 
pesantemente a Dionide, accettando le braccia dell'uomo a circondarlo con un 
sorriso luminoso.

_____

L'ennesimo sospiro sfuggì dalle labbra di Pherio, e solleticò la spalla di 
Pirecrate. Il Dimano sfiorò, battendolo piano, un ginocchio dell'altro che 
gli sedeva attaccato alla schiena, sorridendo percependo il nervosismo che 
gli squassava le membra. Astre non faceva altro che sospirare piano, sottili 
parole che si perdevano nel vento ma che all'udito di quel Dionide dovevano 
risultare chiare come il cielo che li sovrastava, e le labbra dei due 
s'accostavano alle orecchie in un gesto di così intima ed inequivocabile 
complicità che persino lui, Pirecrate, che di queste cose ne masticava poco, 
non poteva non sentirsi toccato, non poteva non accorgersene.

E non solo un sensuale e vicendevole toccarsi appena, perché quell'appena 
esprimeva più di ansimi e gemiti, no: c'era complicità e una sorta di 
reciprocità.

Pherio sbuffò al suo gesto, appoggiandogli per un attimo il capo sulla 
spalla, un peso che appena sentiva attraverso gli strati di stoffa.

Pherio doveva essere stanco, e il sole sembrava fiaccarlo molto, per non 
parlare dei rossori che gli tormentavano la pelle. Li aveva notati.. la 
notte prima. Forse non ci aveva fatto subito caso, ma alla luce della prima 
alba, quando con gli uomini a cavallo sembrava essersi accompagnata la 
morte, aveva intravisto, nelle parti lasciate scoperte da un attimo di 
disattenzione, chiazze rossastre.

La fronte del Panfilo, liscia se non per le pieghe della preoccupazione, 
subito si staccò dall'anfratto sicuro delle spalle tornite ma, quando 
Dionide spronò ulteriormente le bestie che partirono alati gli zoccoli 
sorvolando le dune dorate, il giovane dagli occhi azzurri dovette stringere 
le mani alle falde della stoffa che, ai fianchi del Dimano, s'allargava tra 
le dita del vento.

Era un volo, un volo fantastico. Forse era tutto un sogno davvero.

La mano di Pirecrate s'insinuò tra le pieghe delle vesti, tra le strette e 
rinfrescanti ombre alle sue spalle, trovando la mano di Pherio. Le redini le 
teneva tra le dita della destra, con la sinistra sciolse dal loro stringersi 
le dita di Pherio semplicemente volendolo, e si portò quella mano intorno 
alla vita. Il petto di Pherio lo sentì aderire ancora di più alla schiena, e 
un calore che era differente dall'afa che trasmetteva il giorno corse di 
nuovo tra loro due.

Pirecrate, come scottatone, ritrasse la mano per riprendere saldo le redini 
di un cuoio duro e resistente, mentre Pherio, preso alla sprovvista da 
quello scostarsi brusco, dovette riaggiustare in fretta il suo equilibrio, 
avvolgendogli la vita con entrambe le braccia.

Troppo vicino. Era troppo vicino al Dimano, lo sentiva essersi teso, e ora 
c'era come un tremito nelle sue membra, un qualcosa che riecheggiava le 
proprie. Dannato quel Dionide che aveva loro offerto di aiutarli, e dannato 
più di tutti Astre che aveva garantito per loro e che aveva chiesto che 
potessero non essere portati da qualcun altro degli uomini in blu, ma 
insieme sulla stessa cavalcatura! Da quando poi Pirecrate sapeva condurre un 
cavallo?! Pirecrate non era stato che addestrato superficialmente a montare 
un animale, perché doveva essere lui a tenere le redini? E perché mai . . 
perché mai sentiva tutta quella confusione e quel timore e . .

"Se vuoi farmi morire, Pherio, stringi di più! Mi stai soffocando, per gli 
dei!"

Pherio ringhiò qualcosa allentando la presa. Nonostante il vento corresse 
veloce intorno a loro il sudore gli colava sugli occhi, portandovi sale e 
bruciore. E le spalle, la pelle della schiena era tesa, come se si stesse 
per squarciare, rovente e secca, come se sopra vi fosse stato cosparso del 
veleno. Era stata una fortuna che fosse stato Pirecrate a montare per primo, 
non avrebbe potuto sopportare le mani di qualcuno a toccargli la schiena.

Chiuse appena gli occhi nella luce abbacinante, schermandosi appena nella 
lieve ombra che riusciva a carpire dietro le spalle di Pirecrate, attento a 
non toccarlo.

Il caldo era terribile, come ci si poteva aspettare, ma da quando quello 
scorpione l'aveva punto, un fuoco ardente gli bruciava le viscere, aveva 
sempre sete, una sete che lui stesso non trovava naturale, una sete che 
avrebbe potuto consumare tutta l'acqua dell'universo e che non sarebbe stata 
placata. Era una specie di febbre, ma il suo corpo era troppo stremato, 
probabilmente, per lasciarsi andare in convulsioni. E ora quelle ampie 
scottature, e senza acqua a sufficienza per dare almeno un po' di ristoro..

Troppe calore, troppe fiamme.

Pirecrate.

'Forte del fuoco'. Pherio sorrise slacciando del tutto le braccia che gli 
cingevano la vita, sarebbe stato comunque in equilibrio, al contrario di 
Pirecrate lui sapeva *come* si montava un cavallo: strinse saldo le cosce 
non premendo sulle ginocchia, posò le mani sul fianco dell'animale e prese 
un respiro. Notò appena lo sguardo di Pirecrate voltarsi verso di lui, un 
mezzo sorriso che scintillava titubante sotto ciglia arcuate da domande non 
espresse, ma non vi diede peso.

Un'aquila slittò non vista giù dal cielo sereno, proiettando un'ombra simile 
dal rimando oscuro dei rami di faggio destato dal tuono, e s'accostò 
passando rapida tra le falcate lunghe dei neri destrieri. Le ali larghe si 
destreggiavano bene anche rasoterra e con un colpo solo riuscivano a 
librarla di nuovo accanto ai loro capi.

Pirecrate seguì il fiero volatile con uno sguardo intenso e, quello gli 
occhi acuti voltando, ne incontrò a sua volta il mirare. In un solo istante 
mille immagini si schiusero innanzi agli occhi dello Spartano, come un fiore 
che colpito dall'alba si apre in mille petali sparsi di fine rugiada.

L'aquila chinò il canuto capo, inarcando le ossa cave della schiena, dandosi 
forte la spinta all'ascesa verso il cielo dorato dal fulgido disco solare. 
Tornò a volare alta, neanche più la sua ombra si scorgeva planare sull'onde 
infinite del deserto.

___

"I'ehder non s'è destato e pur giace pallido come Selenia profunda 
nell'uranio. . Dionide è convinto di potergli recar salute con qualche gemma 
verde di pianta remota, e miracolosa. E creder che sòle esser un individuo 
ragionante e realista il nostro diletto fratello. . Tu piuttosto pari aver 
cavalcato, domino, grandi e lunghi venti. Se ne hai desiderio ti porgo 
qualcosa, ma credo preferirai andar prima a far visita al tuo amico."

L'aquila con un balzo alato volò sul tavolo accanto ad Are'heia di lì 
lanciando un'occhiata ai due drappi che, congiunti in alto da fili dorati e 
intarsiati di seta, erano onde d'oceano sotto le spinte forti del vento e il 
raggiare luminoso del sole che riusciva a penetrare in quel punto. La luce 
in scie accecanti ed abbaglianti correva lungo le stoffe ondulanti ed esse 
lasciavano intravedere, come le porte di un sancta sanctorum, il tesoro 
inestimabile che proteggevano dagli spiriti maligni.

"Ti fò partecipe d'una cosa che non devi lasciar comprendere al nostro 
frate, aquila che se' venuta con lo straniero: egli ha sguardi che ogni filo 
indovina nell'intricato intrecciarsi d'un tappeto. In cuor mio gravano tali 
pensieri: miglior cosa sarìa stata se I'ehder fosse morto. Pene saran per 
lui, e sofferenze, dolori per noi"

L'aquila lo fissò attentamente, lasciando vagare gli occhi da lui ad Idrio 
che giaceva sdraiato e dormiente sparendo e tornando alla vista a seconda 
dei movimenti delle tende.

"Se non spirerà nei dì che qui seguono, lo farà dal dolore in seguito. Ma il 
mio diletto fratello Dionide non lo lascerà andar via mai. Di ciò sia io, 
Are'heia iben Fan Kassim iben Ha A Lem iben Iah Len, che tu, aquila che 
nascesti tra i pini frondosi di Grecia, abbiam fin troppa coscienza. Va', 
va' ora dal tuo amico, movi le ale innanzi al suo volto tiepido, e stagli 
vicino. Io vado ad apprestargli le acque per pulirgli le vulna oramai 
rosate. Va', ché sento il nostro diletto fratello apprestante, va' da 
I'ehder, ché chi al tuo medesimo nome il capo volta appellato, io sento 
veniente."

_____

Astre per smontare dalla sella corvina e dura del cavallo bruno sollevò 
elegantemente la coscia tornita che nel movimento si scoprì, sensuale nella 
noncuranza e nelle linee morbide e sode. Il mantello seguì quelle braccia 
che danzavano gaie nell'aria rovente e le dita del Re si intrecciarono a 
quelle calde e brune del suo fedele che or ora scendeva dal destriero.

"Firuzeh è mille volte più bella, più florida di quel che mi ricordavo! - 
esclamò, tirando con se', ammaliante, Dionide, assottigliando il volto in 
un'espressione gravida di significati- Grande è la mia gioia, signore 
dell'oasi."

"E l'onore è il mio, assieme alla gioia. - rispose Dionide, facendo un cenni 
agli inservienti di accogliere Astre come meritava. Poi si voltò verso gli 
Spartani, beneficandoli con uno sguardo benevolo - Voi, siate i benvenuti in 
questa mia terra remota, Spartani. Siete ospiti e qualunque cosa abbiate in 
cuore sarò felice di esaudirla, nelle mie possibilità: avete restituito il 
Re a questa terra, - guardò Astre che li guardava, già remoto, già coi piedi 
sui tappeti soffici dell'ingresso a quell'immenso agglomerato di tende 
nobili e preziose - e che Re!"

Congiunse le mani in un gesto morbido, le portò innanzi al volto e accennò 
un inchino. Pherio rispose col medesimo movimento e con altrettanta grazia, 
ed eleganza, spossato nella mente, assurdamente stanco nel corpo. Lo sguardo 
vittorioso di Astre lo ricambiò con un sorriso gelido e a Dionide rispose:

"Nel deserto le strade non si vedono, le si creano. Non era prospettata la 
nostra ospitalità in questo luogo, ma dalla magnificenza e prestanza del suo 
signore non possiamo far altro che aspettarci una piacevole pausa - dormire, 
anche in terra, lontani dal mondo.. l'anelava, eccome se l'anelava! Anzi, 
ancora di più: ne aveva un bisogno estremo come mai era stato in tutta la 
sua vita. .- Vi ringrazio anche a nome del mio compagno."

Pirecrate tuttavia non si prestò molto propenso a ringraziare Dionide: gli 
lanciava sguardi di fuoco, e altrettante fiamme minacciavano le iridi 
abissali del signore di Firuzeh.

"Sarete stanchi: entriamo all'ombra. Vi farò mostrare i vostri alloggiamenti 
e, naturalmente, siete ospiti al mio tavolo stasera. Di qualunque cosa 
abbiate bisogno fatene cenno."

Si voltò, seguendo Astre già scomparso all'interno. Pherio sentì un forte 
giramento di testa e velocemente andò sotto l'ombra, fresco riparo, offerto 
dai drappi sollevati e tenuti per l'aria da pilastri celati da lunghe stoffe 
chiare. Pirecrate si tolse il cappuccio del mantello e indugiò nel guardarsi 
intorno: donne spiavano come spicchi di luna o di sottecchi o da dietro le 
tende; gli uomini con cui avevano galoppato a lungo conducevano via i 
cavalli dalle possenti zampe e i polmoni roventi; il sole calava, già cedeva 
sull'ombra dell'Orizzonte. Lo Spartano sentì un brivido nelle membra, e 
cercò Pherio con gli occhi. Abbandonò il suo mirare quel gioiello ed entrò 
nell'immenso ambiente che gli attendeva. Per terra il tappeto leggero s'era 
affossato al passaggio prima del Persiano, poi di Dionide, di Pherio e 
infine il suo.

Riusciva a distinguere i contorni dei piedi di ciascuno, ma erano troppo 
intrecciati tra loro, troppo a vicenda s'annullavano, che delle impronte si 
riuscisse a distinguere altro che, in fondo, un doloroso incedere di 
destini.

_____

Il caldo s'era tramutato in febbre, o forse era sempre stato febbre e lui 
non aveva mai avuto il tempo di nominarla, oppure . . oppure quello era 
semplicemente il caldo di quelle zone, che consumava, rendeva arida e secca 
pure l'anima di coloro che non erano nati sotto quel cielo troppo ampio e 
troppo pieno di luce. Come la sua pelle arrossata si stava tagliando, 
squamandosi come un deserto tormentato, così il suo cuore si stava 
spaccando, venato da profonde crepe secche, e non c'erano balsami o unguenti 
per quello, nulla esisteva perché fosse di sollievo . .

Sollievo . . Pherio ricordava i morbidi, dolci anfratti dell'Eurota che 
popolavano i suoi ricordi da ragazzino, l'unico luogo che conoscesse ove 
nascondersi dal mondo, dai suoi doveri per quelle poche ore che riusciva a 
rubare per se stesso. Ricordava le spiagge sassose, le pietre aguzze e 
scure, i pesci sottili e argentati e il loro guizzare sottile dietro cui 
perdere lo sguardo per ore e ore di solitudine e pace assoluta.

Quello era ciò che sognava, ora, dimentico quasi di dove fosse, e di cosa 
stesse facendo lì, ignoti i sentieri che i suoi piedi percorrevano, ignoti i 
suoi stessi sentimenti che gli squarciavano il petto con artigli d'arpia. Ma 
anche lì, chissà come, Pherio riuscì a giungere a una limpida distesa 
d'acqua.

Non era un fiume gorgogliante, ma un lago piccolo e lucente, calmo ma dalla 
superficie limpida che rifletteva il cielo come una goccia d'acquamarina. Il 
pavimento era sassoso, le pietre chiare e bianche dalla consistenza lattea 
scintillavano gentili sotto un lieve strato liquido, e parevano stare 
intonando una arcaica, remota canzone al cielo che rimandava luce a fiotti 
che s'intrecciava con le foglie spesse delle palme e degli altri arbusti dai 
rami fioriti, esplosi di colori tanto sgargianti che Pherio mai aveva visto 
uguale, neppure sulle coste dei regni fenici, a sud. Ampie corolle rosse e 
carminie si spalancavano intorno a pistilli gialli, petali d'un blu 
incredibile accanto a infinite sfumature di arancio e giallo e verde . . il 
verde poi. . il deserto che fioriva era una spettacolo degno degli dei, 
pensò Pherio, non poteva credere potesse esistere tanta vita tutta insieme.

Eppure. .

Eppure troppa luce, come sempre, che accecava, che toglieva perfino il 
fiato. Pherio si schermò gli occhi, doloranti. Era stanco, voleva riposare e 
il riposo era solo nell'ombra, nella fresca penombra di un anfratto che 
sapeva d'ingresso all'Ade, dove finalmente riposare . . senza luce . .

Un canto. Un passero, forse, un uccello dalla livrea sgargiante come quei 
fiori, ma piccolo, le ali veloci e sottili, quasi una farfalla, ma con le 
piume e il petto rosso come l'amore e la coda blu cobalto e il becco giallo 
come schegge d'oro. Un frullare d'ali e un volo seccato perché Pherio col 
suo avvicinarsi aveva disturbato l'animale nascosto in uno strano cespuglio 
dalle foglie dense, il verde cupo ma scintillante, quasi simile a quello 
degli olivi anziani della sua Sparta.

Piccoli fiori bianchi erano incastonati fra quegli smeraldi, e tanto piccole 
erano le corolle tanto intenso e fresco e speziato ne era il profumo, 
incantevole. I rami, poi, si sollevavano appena, intrecciandosi contro un 
fusto di pianta, lì accanto, per poi ricadere a sfiorare la superficie 
dell'acqua, lasciando come una nicchia naturale che nascondeva una lastra di 
calcare bianco striato di rosa ricoperto appena da un palmo solo d'acqua 
mobile, non di più.

L'ombra interrotta solo a tratti da raggi di penombra intrecciati a 
stilettate di sole, rare seppur dorate come il più prezioso dei doni, il 
profumo unico, ovunque, che si alzava verso il cielo come una preghiera, 
proprio come il lieve infrangersi delle piccole onde che si srotolavano 
sulla roccia liscia, nascosta alla volta. Una nicchia piccola, riparata, un 
luogo ove nascondersi, ove rannicchiarsi e giacere, forse per sempre: 
riposo.

Un tempio.

Pherio sorrise appena crollando sulle ginocchia: un tempio! Ad esso era 
avvezzo! In esso sapeva come vivere e come . . cosa pretendere, cosa sperare 
e come combattere i desideri impossibili e annientare le smanie che potevano 
bruciargli l'anima. Il riposo, poi . . il riposo. .
Scivolare sotto l'arco disegnato dai rami era semplice, dopo aver gettato di 
lato le armi e la tunica, col mantello, a metà immersi nell'acqua, senza 
prestarvi attenzione. Si tese sulla pietra umida, poi si rannicchiò, 
portandosi le ginocchia al petto, poggiando la guancia sul palmo, il ventre 
duro a contatto con l'acqua e la roccia liscia, la schiena dolorante appena 
schizzata, e tenuta umida dal fitto intreccio di foglie stillanti un succo 
denso e liquido, che dava sollievo, misto al vapor acqueo che al lago 
ritornava, come lacrime preziose.

Pherio sfinito nel corpo e nella mente, le membra sconvolte, l'anima in 
fiamme, chiuse gli occhi e si sopì, nudo, sotto un cespuglio che carezzava 
la superficie scintillante dell'oasi di Firuzeh.

_______

L'aveva cercato ovunque, girando tra ogni tenda non sapendo in quale avesse 
potuto entrare e in quale no, aveva chiesto in giro, a gesti e segni, aveva 
domandato ad Astre e a Dionide, agli uomini che li avevano accompagnati lì, 
aveva chiamato il suo nome addentrandosi nella vegetazione che circondava il 
lago, e s'era spinto fin nei luoghi che era ovvio fossero meno visitati 
dalla gente di Firuzeh.

Conosceva abbastanza Pherio per sapere che se era scomparso in quel modo, 
era perché voleva restar solo. E uno come lui non poteva aver molta 
solitudine in un luogo ove solitamente si radunavano le donne a lavare le 
vesti o a tingere le stoffe, oppure dove i fanciulli si avventuravano nei 
loro giochi, o i ragazzi iniziavano a imparare a tirar di scherma.

Pherio, Pirecrate lo sapeva meglio, forse, di chiunque altro, non era una 
persona che potesse essere lasciato in pace troppo facilmente, di sicuro 
attirava l'attenzione come il miele le mosche. E di certo il miele non è che 
doveva essere troppo contento di tutte quelle mosche che gli ronzavano 
intorno!

Ma lui, dannazione, aveva bisogno di parlare a quel Panfilo, e subito! Era 
lui il suo capitano, no? E al suo capitano ora doveva domandar disposizioni! 
Doveva capire quali fossero gli ordini, ora, e lo priorità, e. . bhè, poi 
era anche un po' in ansia per Pherio, non era da lui allontanarsi in quel 
modo senza avvisare nessuno. . ma solo un poco, dopo tutto Pherio era abile, 
e di certo sapeva difendersi da solo.
Già. L'oasi di Firuzeh poi non era grande, non poteva non trovarlo!

Sbuffò mollando un calcio risentito alla superficie placida del lago che lo 
fissava tranquillo, come un enorme, gentile occhio. Fu proprio in quel 
momento che intuì, a pochi passi da lì, un qualcosa di rosso galleggiare 
appena trattenuto da un masso sporgente. Si mosse come un lampo, 
raggiungendo il basso scoglio, e raccogliendo il manto: indiscutibilmente di 
Pherio! Proprio come non potevano che essere dello spartano la tunica e . . 
la spada! Pherio aveva abbandonato la sua spada?!

Pirecrate si guardò intorno, preoccupato.

"Panfilo! Dove ti sei cacciato! - un trillo furioso di uccelletti irritati 
per tale chiasso gli fecero eco, Pirecrate non vi fece neppure caso- Pherio! 
Dannato! Salta fuori!"

"Che bestia rumorosa sei diventato, Pirecrate! - una voce appena sussurrata, 
un mezzo sorriso che si udiva appena nel tono leggero, ovattato, quasi. - 
Sono qui."

Pirecrate si voltò su se stesso e rimase di sasso nell'intuire la piccola 
apertura nell'arbusto, e il corpo chiaro che vi scintillava dentro, i 
movimenti lenti a cercare di uscire senza spezzarne i ramoscelli, l'acqua 
dell'oasi ancora addosso, come un abito scintillante.

"Cosa ci facevi qui?!"

Pirecrate si sentì improvvisamente ridicolo: era stato preoccupato per 
Pherio! *Lui* era stato in ansia per quel maledetto mezzo barbaro! Come se 
se lo meritasse! Come se gli dovesse qualcosa! Uno Spartiato che non sappia 
badare a se stesso in una situazione così poco pericolosa non è uno 
Spartiato degno! Non . .

Ci mise un attimo a comprendere i movimenti dell'altro. Al posto di mettersi 
in piedi sulla terra, si voltò su un fianco scivolando verso il centro del 
lago, e solo quando superò il piccolo gradino di roccia che gli permise di 
avere l'acqua all'altezza dei fianchi, si voltò verso di lui, percorrendo un 
lungo cerchio per raggiungere i suoi abiti.
Li scrollò lievemente quando si accorse che erano bagnati, ma si strinse 
nelle spalle, avvolgendosi la tunica stretta ai fianchi.

"Pherio! T'ho fatto una domanda!"

Il Panfilo non sollevò neppure lo sguardo su di lui, si sedette all'asciutto 
ad allacciarsi i sandali, lui ancora fradicio, i capelli zuppi, la stoffa a 
cingergli il corpo stillante acqua. Ma pareva non gli importasse.

"Mi stavo riposando e rinfrescando. Il signore di Firuzeh forse non ci ha 
dato il permesso di vagare liberi per l'oasi? Avevo bisogno di acqua. Il 
sole del deserto è molto forte, m'ha devastato la pelle della schiena."

Pirecrate strinse appena gli occhi: lui non si era mai scottato, da che si 
ricordasse, se non quella volta con il calderone di razione, al campo, 
quando con troppa urgenza aveva allungato la mano, o quando facevano 
addestramento con le frecce incendiate e i movimenti primi e goffi di 
inesperienza si pagavano con lunghe striature ardenti sulle braccia. Ma la 
pelle di Pherio, così bianca, spesso, anche sotto il sole ben più clemente 
di Sparta, s'era arrossata e per giorni non poteva portare pesi sulle spalle 
se non a prezzo di grande sofferenza. Ora, nel deserto, pareva non servisse 
neppure il costante avvolgersi nel mantello, la sua pelle chiara era troppo 
delicata, sembrava, per quei climi, nonostante la sua tempra e la sua 
volontà fossero notevoli.
E, molto probabilmente, sospettò Pirecrate, indossare indumenti umidi era un 
conforto lieve, esattamente come rimanere coricato all'ombra, appena lambito 
da acqua fresca. .

"Dovresti domandare ad Astre. - disse il Dimano, pacato- sicuramente lui ha 
qualcosa che potrebbe esserti d'aiuto."

L'occhiata fredda di Pherio fu una risposta sufficiente, o per lo meno fu 
quello che il Panfilo pensò, ritornando presto a concentrare la sua 
attenzione sui nodi dei lacci di cuoio dei suoi sandali. Non aveva proprio 
voglia di rivolgere la parola ad alcuno, tantomeno a Pirecrate, e ancor meno 
se dovevano parlare di Astre.

"Io torno alla tenda, ora. - disse poi con tono pacato, non attendendosi 
alcuna risposta o commento essendo quella semplicemente l'espressione di un 
dato di fatto, e di un ordine insieme. - Dopo il pasto di stasera vedi di 
farti trovare, dobbiamo fare il punto della situazione."

"Perché m'hai baciato?"

Le dita di Pherio che, veloci, stavano legandosi la spada al fianco, 
fallirono, lasciandosi sfuggire un legaccio. Il Panfilo si voltò di scatto 
verso Pirecrate, più stupito che furioso, anche se non ne sapeva bene il 
motivo.

Un passo verso l'altro, poi sorrise, amaro, una delle solite pieghe che 
solcavano il suo viso chiaro, e lo scherno aguzzato dall'intelligenza.

"Si vede che era il tempo in cui i barbari andavano in calore, Pirecrate. - 
scosse appena il capo, i capelli pesanti d'acqua gli ristettero quasi 
immobili appiccicati alla schiena- Ma non temere, è cambiata la luna da 
allora."

Sorrise ancora nel vedere il rossore iroso spargersi sulle guance di 
Pirecrate, il suo reagire stringendo con forza i pugni e trattenere sulla 
lingua chissà che risposta tagliente, una risposta che forse Pherio avrebbe 
preferito.

"Sul serio, Panfilo! Perché?!"

"Sei stato tu a dire di farlo, mi pare, - un sospiro falso - e che se non 
avessi cominciato io l'avresti fatto tu. Forse, se volessi davvero saperlo, 
dovresti prima domandarlo a te stesso!"

Pirecrate chiuse gli occhi, tendendo le dita, liberandole dalla stretta in 
cui le aveva rinchiuse. Prese un respiro, cercando di rilassarsi. Non era lì 
per litigare: nonostante tutto quello che gli si agitava dentro, non 
*voleva* litigare con lui, non voleva allontanarlo. Ricordava, ora, il suo 
sguardo di quella notte, e gli era parso quello di un fanciullo dal volto 
triste. Ricordava il modo in cui Pherio accarezzava, e sembrava proprio 
quello di chi non avesse mai avuto nulla da accarezzare, fosse pure un cane, 
e che non avesse mai ricevute carezze, neppure interessate e falsamente 
gentili.

E ricordava pure le voci che giravano su di lui a Sparta: Pirecrate, che non 
era mai stato considerato degno da nessuno, e quindi non pericoloso, non 
spaventava quelli che a mezza voce sussurravano al confidente i pensieri più 
turpi e atroci che albergavano nelle loro menti. E Pirecrate aveva sentito 
di sussurri che giuravano che Pherio non fosse mai stato toccato da alcuno, 
che suo zio Kakeo, nella segreta prepotenza del suo potere, avesse per anni 
fatto in modo che chiunque avesse anche solo desiderato con troppa forza 
mettere una mano sul suo chiaro nipote fosse morto nel volgere d'una notte, 
e che Pherio fosse casto, tanto che forse avrebbe dovuto essere sacrificato 
alla dea Artemide in vista di una battaglia pericolosa e incerta, nuova 
Ifigenia, oppure che fosse mantenuto vergine per venire offerto a chissà che 
autorità.

Assurdità, ovviamente. La verginità in Sparta non era un dono speciale per 
nessuno, non era una qualcosa di prezioso che ai ragazzi venisse insegnato 
di conservare, non esistevano tabù in quel senso neppure per le fanciulle, 
se non per quelle destinate al tempio, e non aveva sentito che di un pugno 
di ragazzi rimasti casti fino alla maggiore età. Pherio, poi, sinceramente, 
attraeva gli sguardi e le attenzioni di tutti, avrebbe potuto possedere, o 
essere posseduto da chiunque, come poteva non. . e poi c'era Astre! 
Figurarsi se Astre non. .

Pirecrate trattenne il fiato, spalancando gli occhi, per la prima volta 
*vedendo* davvero Pherio.

Non era possibile! Pherio non. . dei, non era possibile! Non Pherio! A 
Sparta aveva avuto uno stuolo, un nugolo di pretendenti! E probabilmente non 
solo a Sparta! E poi suo zio. . suo zio era uno che l'avrebbe 
tranquillamente obbligato, se Pherio non si fosse concesso spontaneamente, 
non era certo Kakeo il tipo d'uomo che mostrasse remore simili!

E allora. .

"Sei . . sei vergine?!"

Lo scintillare pericoloso e insieme terrorizzato di quegli occhi azzurri 
valsero più di mille parole. Pherio si tese, il volto torto in 
un'espressione chiaramente disgustata.

"E' per questo che m'hai baciato Pirecrate? Perché pensi che non abbia mai 
toccato un uomo?! E volevi esserlo tu per vantartene?"

"No! - Pirecrate tese in avanti le mani, al cielo i palmi, come a mostrare 
la sua non volontà di aggredire - Non intendevo mancarti di rispetto!"

"Ebbene l'hai fatto, Dimano! Ma adesso non ho tempo per te!"

Si voltò di scatto, quasi Pirecrate riuscì a sentire l'aria mossa da quel 
corpo sottile muoversi in fretta, e fu invaso dal profumo . . i fiori sotto 
cui aveva dormito un intero pomeriggio avevano donato alla pelle di Pherio 
la loro decisa fragranza che ora colpì il petto del Dimano quasi con una 
carezza fisica.

Pirecrate si tese, socchiudendo gli occhi, come non fosse del tutto padrone 
dei suoi movimenti. O come se, semplicemente, stesse obbedendo a ciò che 
vedeva troppo chiaro dentro di se'.

Pherio. . Quei capelli, quelle braccia che da essi erano tenute in una dolce 
prigione, quella tunica grezza su una pelle così soffice..

Si mosse, veloce, sotto i sandali sottili e consunti ciottolarono le pietre 
rotonde. Il capo di Pherio a voltarsi, gli occhi spalancarsi appena, due 
pietre lucide e trasparenti di cielo. Le sue mani che affondarono di nuovo 
in quella cascata di fili d'oro, il piede che tolse il terreno da sotto 
quello del Panfilo, sbilanciando entrambi, entrambi rovinando nell'acqua.

E di nuovo un bacio, circondati dalle bollicine che i loro corpi avevano 
tirato giù. Pirecrate sollevò il capo quasi immediatamente, seguito dal 
Panfilo che lo guardò con odio.

"Come .."

"Pherio ora mi ascolti invece: sei bello, Pherio. *Tu* sei bello. - le sue 
parole andarono a segno: lo vide arrossire, timido, e poi ancora arrabbiato, 
come un animale che si sente preso in trappola, pronto a fuggire o ad 
attaccare per difendersi- E' per questo . . solo per questo che volevo che 
tu mi baciassi. E poi. . io e te Pherio! Ci hai mai pensato seriamente a noi 
due! Abbiamo avuto solo sofferenze .."

"Ciò che abbiamo fatto era semplicemente e solo il nostro dovere Pirecrate! 
Il nostro dovere per Sparta! Il nostro onore e la nostra dignità. . io non 
voglio perderli! - fece una pausa, il fiato improvvisamente spezzato in 
gola- E'. . tutto quel che. ."

"No, no Pherio! E' qui che sbagli: non è tutto quello che abbiamo."

"Pirecrate, il sole ti ha dato alla testa. Fammi alzare, fammi alzare!"

"No!"

Tacquero, l'acqua intorno a loro si placò tornando a scintillare sopra 
piccole onde concentriche spinte dai lievi movimenti dei loro corpi. Erano i 
loro cuori a battere impazziti e ora, petto contro petto, l'uno sentiva 
nettamente quello dell'altro.

Pirecrate rinsaldò la presa che teneva su Pherio, stringendolo ancora più 
forte a sé.

"Mi sono stancato Pherio. . non voglio più doveri che non portano a niente."

"Sparta .."

"Sparta è lontana. Adesso, qui, ci siamo solamente io e te Panfilo.."

Pherio ringhiò, gli occhi lucidi come due stelle sul punto di esplodere.

"Se tieni alla tua vita Dimano non osarti mai più pensare a una cosa simile! 
Non .. "

"E allora rispondi! Perché non rispondi, Panfilo, cos'è che ti fa tanta 
paura?"

E Pirecrate vide qualcosa che mai avrebbe pensato di poter vedere, o 
immaginato . . non sapeva neppure potesse accadere mai una cosa simile. Gli 
occhi di Pherio si ruppero. Divennero profondi, di un colore indescrivibile, 
cupo, sfumato di viola, fuochi arcani che ardevano morti in teche di 
ghiaccio e una, una sola, singola lacrima scintillò ai bordi delle palpebre, 
mescendosi con l'acqua viva.

Pherio si mosse veloce e poderoso, scrollandosi di sotto il suo tocco, 
sollevandosi elegante, le spalle dritte di un generale, nobile, fiero ed 
eretto, senza più dire una sola parola. Velocemente s'allontanò, scomparendo 
alla vista.

Pirecrate si lasciò ricadere indietro, sbuffando e mirando il cielo azzurro.
_____



Continua...







Fictions Vai all'Archivio Fan Fictions Vai all'Archivio Original Fictions Original Fictions