NOTE: i pg sono nostri. Sono *tutti* e *totalmente* nostri!!! E li strapazziamo quanto ci pare!!
^_=!
NOTE2: questo è un capitolo con molti pensieri, alcuni flashback e vari - numerosissimi a dire il vero- contorcimenti mentali. Avvisiamo fin da ora che magari in alcuni frammenti la lettura sembrerà un po' disagevole.. e forse non capirete subito chi è il soggetto che parla in prima persona.. però è *così* che deve e vuole essere ..vi tocca sopportare!
^_=!!
Di odio e
di Amore
parte
XXII
di
Dhely e Kalahari
Idrio si sollevò come da un incubo nebuloso, denso, le cui spire gravavano ancora sulle sue membra sottili. Serpi di nebbia dai riflessi rossastri d'uno scarlatto intenso sibilavano sfiorandogli il volto e i polsi, stringendo e tagliando come se le squame fossero di appuntite lame e fuoco cocente.La sofferenza era oscura, come un sudario greve l'avvolgeva e sentiva le membra tese e immobilizzate in una posa così dolorosa.. cercò disperatamente
di far uscire la voce ma la gola riarsa tacque gemendo e la disperazione gli
tendeva i muscoli in uno spasimo ghiacciato. Solo ciò che poteva muovere adesso, gli occhi, gli ripudiava colto dall'orrore che gli premeva addosso e
sull'anima ancora .. il ricordo su di essa impresso a fuoco di Dionide riverso al suolo, gli occhi spalancati e vuoti, il sangue a incrostargli i capelli, i lineamenti contratti e sofferenti in un oblio senza riposo né pace.. Dionide che era caduto per proteggerlo! Dionide si era fatto uccidere
per tentare di salvarlo! Dionide! Un guaito dolorante gli sfuggì dalle
labbra. Dionide aveva affrontato quel.. quel mostro, quel dio malvagio per lui! Una lacrima gli solcò la guancia, carezzandola con dolcezza ed asprezza insieme,
segno della sua ritornata coscienza, che ora non poteva trattenersi dal
versare. Dionide! La sua anima urlava dallo strazio, la pena per l'altro e la propria
paura indistintamente unite, un'unica sensazione che gli impediva soltanto di
respirare. Dionide!Ma almeno Dionide non era solo, qualcuno sarebbe accorso e si sarebbe preso cura di lui. I suoi fratelli, la sua gente .. non poteva essere troppo tardi, non poteva essere già morto! Dionide era forte, Dionide avrebbe resistito .. come poteva sopportare l'idea di Dionide morto?! Dionide che era così gentile e onesto! Dionide che l'aveva salvato dalla fine e dall'umiliazione e curato con pazienza, che l'aveva guardato e l'aveva *visto*. Dionide che l'aveva amato con una tenerezza inaudita! Dionide che aveva capito e aveva accettato.. anche ciò che non poteva capire..Dionide.. com'era caldo e confortante il suo abbraccio, e l'assetava di esso
il ricordo lieto ora che...
'Piangi! - una voce rude e crudele gli traversò il costato - Piangi pure, Ateniese! Il sale serve a render più saporita la pietanza e voglio che il mio ospite ne rimanga entusiasta!'La voce.. quella voce.. Idrio non riuscì a trattenere che altre lacrime seguissero i sentieri tracciati dalle prime, supplicando il dio delfico di concedergli la sua
pace.
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Il dolore era quasi qualcosa di concreto, forte, che premeva violento
sulla bocca dello stomaco. Il cielo sopra di lui era immenso, disperatamente
vuoto come se gli dei che aveva imparato a pregare fin da quando era piccolo
non ci fossero più. Solo stelle, manciate di punti luminosi che lo fissavano
da lontano con un'algida indifferenza. E la terra sotto di lui era fredda
come un grembo sterile.Chiudere gli occhi gli era quasi impossibile, strane voci gli
sussurravano nella testa quando si trovava in quella striscia d'ombra che separava
la veglia dal sonno ed ora esse erano forti, facevano male, ferivano. Un
senso di mancanza gli batté improvvisamente all'altezza del cuore, come se
avesse perso qualcosa d'importante, qualcuno che era legato a sé a doppio
filo. Era una sensazione simile a quella che aveva provato a Creta, attendendo
che il tempo fosse clemente e favorevole alla loro partenza, quando si era
accorto che sua madre doveva essere scesa nell'Ade ..era partito con la
morte nel cuore sapendola ormai a un passo dalla soglia fatale ma non
aveva avuto bisogno di messaggeri o dispacci per sapere della sua dipartita.
Non aveva potuto far rimandare la missione di un solo giorno ancora, lo
sapeva bene, e così non gli era stato concesso di starle vicino, anche se, e
di questo ne era certo, lei non si ne sarebbe neppure accorta della sua
assenza. Era da così tanto che ormai viveva rinchiusa, sola, nel suo mondo
divino che raramente lo riconosceva. . Pherio si morse un labbro.Ma ora di che perdita stava soffrendo? Chi stava sentendo allontanarsi?
Che lui, figlio di una sacerdotessa toccata dalla divina Artemide, avesse
assorbito in parte la sensibilità straordinaria di sua madre era ormai fuor di dubbio, ma lui non aveva voci precise che parlavano, solamente
sensazioni indistinte che gli bruciavano dentro. E non capiva. Non capiva.Non voleva capire?Sentì Pirecrate muoversi leggero al suo fianco e dire qualcosa, sussurrato,ad Astre. Il persiano gli rispose, aliti di vento che si rincorrevano,
muti di echi. E il sordo battere ritmico del suo cuore che si perdeva nel
buio denso e vellutato di quella notte d'oriente.Il presente scolorò gocciolando nei ricordi strappati da una memoria che
ora brancolava nel buio, e Pherio si ritrovò a sentirsi sotto i piedi la
terra brulla e dura del giardino che circondava il tempio, la polvere rossastra egli olivi che vi affondavano le radici antiche e le querce dall'ampia
ombra in cui era bello lasciarsi rinfrescare e le piccole nicchie scavate
dal tempo o forse da mani troppo vetuste in cui nascondersi al mondo e
fingere di non sapere cosa fosse la luce e il sole, la luna e il cielo, ma
giacere nel buio morbido e silente che tanto diverso dal tempio in cui era relegato,non sapeva d'incensi e d'offerte, la cui aria non era pregna di preghiere
e canti e parole arcaiche che si riecheggiavano sempre e per sempre a tal
punto da far mancare il fiato. E risentiva le sue risate forti risuonare in quelle sale ampie e chiare,
le uniche risate che probabilmente il tempio d'Artemide avesse mai udito, e
i suoi passi veloci che correvano sui pavimenti grezzi e il sorriso dolce
delle sacerdotesse che vedevano e sopportavano con gentilezza quasi
materna ché sua madre non aveva tempo per preoccuparsi di cosa facesse lui.Poi la sensazione rollante di essere su una nave, e non gli
serviva guardarsi intorno per sapere che erano a Delphi, ormai ne
riconosceva l 'odore, ormai quella città era la sua città d'adozione tanto spesso
vi aveva fatto visita. Città grande, caotica, tanta gente che calcava
quelle vie, attratte dall'odore di quel tempio enorme che prometteva di svelare
il futuro ..il tempio.Solo un altro tempio.Quanti anni aveva? Cinque? Sei? Poche comunque erano le sue primavere,
e sentiva il marmo candido sotto le ginocchia, sentiva la schiena piegata,
la posizione di contrita aspettativa di fronte alla sacerdotessa che,
quella volta, non parlava. L'aria pregna di odori, incensi pesanti, e un
mormorio incessante. Al suo fianco il capitano della spedizione a cui era
stato affidato, e lui a cui era stato fatto il grande onore di poter assistere,così giovane, alla declamazione dell'oracolo.Non poteva alzare gli occhi, lo sapeva bene, ma era stanco, erano ore in
cui era lì inginocchiato immobile ad attendere che quella fanciulla si
decidesse ad aprire le sue labbra.. era così stanco, e la testa che doleva,
battente per gli odori e i rumori che lo circondavano.Era così stanco che sollevò lo sguardo. E vide una figura d'ombra dietro
a un chiaro, leggero telo di lino, piccola, sottile e, improvvisamente, lo fulminò quasi un sorriso intuito appena nell'oscurità, qualcosa che scintillò e lo chiamò senza scampo. Un respiro ed era lì, non sapeva neppure
lui come era riuscito ad arrivare così vicino al telo, sollevando una mano, il palmo che si posò lieve sulla stoffa, senza premere. Il sorriso si accentuò, suscitato
e sostenuto dal proprio, la figura si mosse, con sgomento dei sacerdoti già
furibondi, posando la mano in corrispondenza alla sua. E la Pizia fece una cosa che fino a quel momento non era mai stata fatta,
un onore che mai era stata donata a un'ambasceria. Non diede un responso,
ma elargì una benedizione.Una benedizione. E i sacerdoti atterriti che, se si fosse risaputa una cosa simile, le
altre poleis chissà che dramma politico avrebbero messo in piedi! Il suo
capitano così furioso che lui non avesse ubbidito agli ordini, piccolo
bastardo mezzo sangue! E lui che stava lì a fissare la figura dietro al velo,
piccola e sottile, fragile prigioniera di un tempio proprio come lo era lui..Di nuovo uno corsa a perdifiato, la terra in pendio sotto i suoi
piedi. Correre, correre come se avesse le ali ai piedi, come se con quella
fretta volesse sfuggire al dolore che gli trapassava la testa, una lama
ardente infissa fra gli occhi.Dolore liquido e luminoso come un'alba che lo accecava. Le lacrime come
una rugiada pietosa. Di nuovo inginocchiato, schiantato sulle ginocchia, le
mani fra i capelli ad urlare una sofferenza che non aveva mai avuto idea si potesse provare.Era lì, e non sapeva neppure dove fosse 'lì'. Notte, buio, solo piccole fiammelle ad illuminare la stanza interna e segreta di un tempio.Un altro tempio.Solo un altro tempio.Le mani sollevate, i singhiozzi a squassargli il petto, una preghiera gridata con tutta la forza che la sua piccola anima poteva possedere. 'Prendimi! Per favore, basta! Fallo smettere!'Non aveva nulla da dare alla dea dagli occhi cerulei, la divina Athena di fronte a cui era accasciato, quando sollevò lo sguardo vide la statua fissarlo freddamente, sdegnosa. Che dono per lei? Non incensi né fuochi aveva con sé.Non aveva nulla.Solo se
stesso. E se stesso offrì, su quell'ara vuota, in quella stanza silente. Se stesso, il suo corpo, il suo onore, le sue intenzioni. E quando l'ebbe fatto fu come
se un manto fresco e gentile lo avvolgesse, portandolo via da quel mondo, donandogli sonno, la fine del dolore..Quand'ebbe riaperto gli occhi si era ritrovato steso sul freddo pavimento di
pietra del tempio, di fronte la statua della dea. Aveva sollevato di nuovo lo sguardo e aveva visto, ai piedi di lei, un pugnale come illuminato dal primo raggio dell'alba che entrava dritto e stilettante
dall'ingresso. Un pugnale?Era un segno.La dea Athena voleva la sua vita, ora che gliel'aveva consacrata?Avrebbe potuto rifiutare?Che paura poteva avere della morte un bambino che non aveva mai vissuto?Pherio si era alzato in piedi, afferrando il fodero piccolo fra le mani e aveva sorriso. L'elsa era tiepida al tocco, le strisce di pelle che l
avvolgevano erano scure e piacevoli al tatto.Ma la lama era rotta! A metà, scheggiata e spezzata il bronzo lucido rifletteva i raggi del sole appena nato e lo sguardo di Pherio divenne pieno
d'ombre. Non la vita, no. Cosa?Chiedeva un segno ..Lei gli aveva dato un segno, ora lei ne voleva uno in cambio. Cosa donarle?Qualcosa di prezioso, di 'visibile'. . Sorrise, di nuovo, sollevando il pugnale mentre con una mano prese con forza la treccia dorata e pesante che gli riposava sulla schiena.Aveva visto gli altri doni, li aveva visti! Ori, preziosi, oggetti raffinati, decorati. Lui non aveva nulla. Il mezzo pugnale passò fra i suoi capelli, recidendoli di netto, corti gli scivolarono sul viso.Al ritorno da Delphi avrebbe iniziato l'addestramento insieme ai suoi coetanei. E la vergogna di portare i capelli corti, a Sparta, era qualcosa che ognuno cercava in tutti i modi di evitare..La treccia giaceva pesante fra le dita. La fissò stupito. Era sempre stato diverso dagli altri, ma Pherio non aveva mai avuto la fortuna, fino a quel momento, di conoscere suoi coetanei. Solo adulti aveva frequentato, adulti
o statue di templi vuoti, ed era ovvio sentirsi 'diverso', come se la diversità fosse potuta sparire con l'età. Ora invece si rese conto, davvero,
con forza, che quello non sarebbe mai successo.Che a Sparta nessuno aveva i capelli di quel colore.Che le parole folli di sua madre avevano un senso.Che lui era 'segnato'.Che volente o nolente sarebbe stato
diverso. Sempre.Suo padre, la sua stirpe, sua madre, i suoi capelli, i suoi occhi, la sua pelle.. straniero,
barbaro. Sempre. Per sempre.Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, e un altro e un altro ..Il mondo smise di correre sotto i suoi piedi. Improvvisamente fermo, finalmente saldo, immobile sulla terra, il sole gentile alto nel cielo sopra
di lui, e tutte quelle persone che lo circondavano ..Guardare, ora, era vedere come avrebbe dovuto essere e non era. Altri ragazzi della sua età, bambini di sei anni, all'inizio dell'addestramento.Come lui? No, non proprio come lui. Pelle brunite, capelli scuri, ricci morbidi, occhi profondi. Membra lievemente più pesanti delle sue, spalle più
larghe, più muscolosi, Pherio era di poco più alto di loro, nella media, ma era decisamente più sottile. E ovviamente più *chiaro*.Li guardava, e loro guardavano lui. Strane espressioni su quei volti acerbi ma chiaramente Spartani. Lo soppesavano, chiedendo chi fosse, quello che appariva così alieno ai loro occhi e che, per di più, non conoscevano. A Sparta si conoscevano tutti. Avevano corso insieme lungo le vie polverose, avevano passato estati insieme a giocare, giù all'Eurota scrosciante e fra
le sue bianche pietre ciottolose. Erano avvezzi a vivere insieme anche se fino a quel momento avevano vissuto entro le loro dimore, con le donne, le madri, gli iloti, e lui, lui chi era?Cosa ci faceva lì?E perché era così ..Uno sguardo più fermo degli altri, non più insolente, forse più curioso, lievemente incredulo ma acuto, forte. Fuoco bruciava dietro quelle iridi ombreggiate dalle ciglia lunghe. Figlio di Ares, sembrava, bellicoso e perfetto come una statua ma lievemente, anch'egli, discosto dai
ragazzi.
"Perché uno straniero è fra
noi?" Aveva domandato a un insegnante, un'unica increspatura a solcargli la fronte
color del bronzo, i capelli lunghi tenuti insieme da un laccio di cuoio, scuri e scintillanti, sembravano morbidi, gonfi com'erano da onde languide che si rincorrevano l'una con l'altra. Non gli si era rivolto a lui, direttamente, dopo tutto perché un giovane Spartano doveva parlare con uno
straniero?
"Tacete! Non è uno straniero, gli stranieri non sono ammessi all'addestramento! E' figlio di Sparta, come voi ..o per lo meno l'anziano Kakeo Panfilo lo sostiene
.."
Altre occhiate, commenti che si sommavano ai commenti, Pherio che si limitava a guardare. Che mondo strano e alieno! Non aveva mai visto Sparta se non quando passava con la delegazione per andare a Delphi, non ne conosceva le vie se non perché tormentava le sacerdotesse onde gli raccontassero della sua città, non ne conosceva i nomi, le case, ché di palazzi veri e propri non ce n'erano..Una risata
sottile.
"Guarda, Pirecrate! Forse c'è uno che è più bastardo di te!"Altre risate si risvegliarono e quello che aveva osato porre la domanda al loro maestro s'infuriò, i suoi occhi scintillarono, pericolosi, i suoi pugni
si strinsero, una specie di ruggito violento gli uscì dalle labbra come una fiera sul punto di attaccare."Osa ripeterlo, lurido
Ileo!"
"Silenzio!"
Ingiunse l'adulto con un tono che non ammetteva repliche, i due
contendenti si limitarono a guardarsi in cagnesco, sibilando fra i denti ma ubbidendo.Un altro di loro diede di gomito al suo vicino, ridacchiando
sottovoce.
"Pure io se avessi i capelli di quel colore preferirei tagliarmeli, piuttosto che portarli in
giro!"
"Se io fossi così preferirei buttarmi su una spada ..cosa vuoi che sia buono
a fare? Mezzo barbaro .."
"Per me è barbaro tutto! Non vedi, non reagisce! Per me non capisce la nostra
lingua!"
"Magari è solo
stupido!"
"Pirecrate è fortunato! Ha trovato l'amichetto
.."
"Uno così non dura neppure tre giorni!""Ma parli?! Secondo voi è
muto?"
E Pherio aveva sorriso. Semplicemente, aveva piegato le labbra appena, freddo,
distante.
"Parlo meglio di voi. - ed era vero, al tempio solitamente venivano accettate solo le fanciulle delle famiglie più influenti, e per ciò più colte, in grado di parlare tutti i dialetti fondendoli in un unico che
sapeva d'arcaismi antichi, eolismi e doricismi sottili, delle dolci inflessioni di Mileto; era segno di distinzione profonda conoscere quella
lingua dalle parole alate rivolte dai celesti Numi. Così Pherio si trovava a
parlare come un principe in mezzo a un branco di mandriani.- Ma non posso prendermela con degli stupidi perché pronunciano parole avventate. Dopo
tutto deve essere la vostra natura.
"Aveva suscitato un ringhio corale, l'adulto assegnato a loro primo giorno
di addestramento si era voltato di scatto fulminandoli con uno sguardo lampeggiante d'ira."Vi faccio fustigare tutti quanti! Piantatela, mocciosi
frignanti!"
Quello che si chiamava Pirecrate l'aveva guardato a lungo, un
po' disgustato, un po' incredulo.
"Avrai da dimostrare quanto vali molto presto, mezzo barbaro! Tienti le
tue borie per quando ne sarai degno!"
Ed ebbe in risposta solo un altro sorriso freddo e incurante. Pherio posò attentamente gli occhi sul loro insegnante, e da quel momento non glieli staccò più di dosso, come se quelli che lo circondavano non fossero degni della sua
attenzione. I capelli corti gli solleticarono il collo. Almeno non era in un tempio ..
e l'aveva pensato con un vero, profondo sollievo.....Un sorriso, prezioso come il richiamo della prima rondine a primavera, fluttuò nell'aria fresca di quella nottata. Un altro lo seguì, più austero, simile a quello scolpito sulle labbra delle statue dei giovinetti che venivano poste sui grandi spalti di Olimpia: vittoriose, orgogliose, ma
pacate, senza tracotanza. Così si immaginava la bocca fiera di Pirecrate che
chissà dopo quale parola, o frase, si era aperta come un bocciolo notturno. Le sue si piegarono, amarissime, stringendosi su sé: le gambe le sollevò verso il petto, e questo se l'abbracciò con le braccia intarsiate di muscoli
netti e definiti, forti ed armoniosi, pronti a guizzare. Pherio prese un profondo respiro, affondando il capo sulla pietra dura, le spalle graffiate dalla
sabbia.
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"Dove è questa
via?"
"Hai presente il bosco ad ovest, quello di
faggi?"
"Sì.. - Astre poggiò una mano sotto il mento, facendo oscillare le gambe, la
pancia che toccava il terreno caldo sotto di lui.- Ma non credevo ci fosse un
sentiero."
"E infatti non c'è: è per questo che nessuno se n'è mai
accorto!"
"Ma non se ne accorgevano che non c'eri, la
mattina?" Pirecrate portò il capo da un lato, sorridendo."Tornavo prima dell'alba... non è eccessiva la strada: dalle rapide dell'Eurota alla mia dimora, correndo, si riesce a farla
tranquillamente." Il principe appoggiò il capo su una di quelle cosce forti, assaporando il momento. Pirecrate calò una mano tra i suoi capelli, accarezzandolo come se fosse un gattino."E tu, Persiano, che facevi a casa tua per evadere dai
giorni?"
"Io.. giocavo con le
conchiglie."
"Con le conchiglie?" gli domandò, il tono tra l'incredulo ed il divertito."Sì, e non prendermi in giro, per favore! - scoppiarono a ridere entrambi, le risate soffocate dall'intento di non essere rumorosi per Pherio - E ne avevo
tante!" Lo disse con un certo orgoglio, lasciandosi cullare da quella dita sottili che conciliavano il
sonno.
"Che ne avessi tante, questo non lo
dubitavo."
"E sai, per quante ne avessi.. non ce n'era una uguale all'altra. Ho imparato ad osservare giocando con le conchiglie: le sistemavo una sopra l'altra, una accanto all'altra e poi mi divertivo a tirarle giù. Ci correvo intorno, ballando, battendo le mani e di nuovo mi mettevo in ginocchio per risistemarle. Intere clessidre scivolavano nella quiete attendendo che finissi, e il mio precettore si infuriava tanto.. era divertente vedere quei
lineamenti severi di Greco infuriarsi a tal punto!"
"Hai sempre avuto una predilezione a punzecchiarci, non è vero
Persiano?"
"Era un altro mio passatempo.""Ricordati però che giocare col fuoco non è
saggio.."
Era assurdo come entrambi fossero così totalmente convinti in animo di quel che stessero dicendo, eppure al tempo stesso non la prendevano a male per le
parole proferite dall'altro. Non avevano importanza tra loro due: non nasceva l'odio, non avevano.. valore, le parole. Erano vane.. no, non vane, ma leggere, senza peso. Come se fossero solo un velo che servivano a trasmettere qualcosa, forse una realtà troppo remota per poter essere trasmessa, altrimenti, una cortina per schermare da un sole troppo
intenso.
"Era un gioco meraviglioso, era un gioco che non finiva mai. E per questo una volta mi arrabbiai: volevo averle tutte e ordinai di prendere ogni conchiglia che si potesse prendere. Quando le ebbi tra le mani, quando mi scorrevano tra le dita, grandi e piccole, rosa, gialle, viola, e cadevano sui marmi delle mie stanze.. erano vuote. Non c'era dentro di loro neanche il rumore del mare. Piansi tanto.. - ammise, ma riprendendosi subito dopo aggiunse - per rabbia, sì, per stizza. Va bene, lo riconosco: ci rimasi male. Mi sentivo triste e non riuscivo a capirne il perché. All'inizio..
all'inizio credevo che alla fine le avrei trovate tutte, che avrei scoperto un
qualcosa che le accomunasse, un ultimo termine che ne delimitava l'inizio,
un qualcosa che indicasse.. la fine. Fin dove può arrivare la natura a scolpire.. Poi ho scoperto che non c'era, non c'era! -sollevò il capo,
appena, per volergli trasmettere con gli occhi quello che stava provando ora
ma quella carezza erano così languide e calde che troppo facilmente vi si
riabbandonò, non cedendo tuttavia: dentro di lui sentiva esplodere in una miriade di parole un sentimento che s'era insabbiato col tempo- Ed è stato confortante. Ed ho capito che anche se avessi avuto tutte le conchiglie del mondo, non sarebbero finite comunque. In ognuna c'era qualcosa di speciale, Pirecrate.. così belle... Ordinai di riportarle sulle spiagge, di gettarle di nuovo il mare: era casa loro, e io per un mio capriccio le avevo strappate ad
essa."
Un sospiro non trattenuto fu da suggello al suo piccolo discorso e fu di una
dolcezza incredibile quel sorriso che gli donò lo Spartano nella sua
compostezza.
"Lo sai che ti stiamo portando in Egitto,
Astre.."
"Sì, Pirecrate, lo so, e non ti incolpo di nulla. Vorrei solamente
che.."
Le parole gli morirono in bocca, decidendo che era meglio non parlarne adesso. Non era il momento e lui non era nella posizione per farlo. Desiderò
tuttavia, ardentemente, che il tempo opportuno per poter fare quel discorso a Pirecrate giungesse
presto.
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"Zio no, per gli dei, ti giuro! Zio no, non stavo facendo niente! -un bambino che supplicava un uomo. Un bambino dagli occhi impauriti, e dalle mani afferrate con forza da altre callose e impietose- Zio no! Zio no! ZIO!!
"Ti senti, sembri una femminuccia!"
"Non stavo facendo niente, non stavo facendo
niente!"
La voce che scemava, le grida troppo forti. Grida che cercavano una risposta, grida che avrebbero voluto una risposta! Sì, aveva gridato, sì, aveva gridato! Ma nessuno, *nessuno* che mai una volta avesse risposto a quelle urla. Aveva chiesto aiuto, aveva tentato di spiegare che faceva freddo quella notte! Che il gelo era stato punte di frecce acuminate, che
gli aveva congelato i piedi, che gli aveva congelato le labbra! E lui aveva
solo messo le mani tra le gambe per non dover patirlo anche lì! Alla ricerca
di un po' di calore in quella notte buia e senza luna.. che aveva fatto di
*male*!!!No, non lo capì allora e non lo capiva ora: troppo forte il muro di un
divieto di qualcosa che lui, bambino, neanche immaginava.Il ricordo, la sensazione di un giaciglio, al buio, di paglia, sul terreno inumidito dalle piogge. Non in casa, tra le mura, no: suo zio non ce lo voleva, diceva che doveva temprarsi, diceva che doveva diventare più forte di così, e allora fuori, appena accostato a un muro scrostato che però
non era riparo sufficiente alla pioggia portata di sghembo dal vento gelido.. e per tutta la notte l'acqua tra i capelli, la coperta pesante sulla pelle pallida, così simile alla rugiada mattutina..Su quelle ossa che ancora erano infreddolite s'abbatterono le scudisciate di
una canna vuota. E ancora e ancora e ancora. E quando cadde sulle ginocchia,
sul terreno ancora pieno di ghiaccio, quei colpi andarono sulle schiena nuda, forti, senza alcuna pietà. Il mondo gli s'era fatto oscuro innanzi agli occhi, e suo zio lo aveva afferrato per le braccia tirandolo di nuovo in
piedi. Poi, il suono della canna che batteva, abbandonata sul suolo ai suoi piedi, caduta dalla presa salda dell'uomo, una carezza, sulle guance, uno schiaffo.
Umiliazione....Pherio spalancò gli occhi, svegliandosi di colpo senza ricordarsi quand'era che s'era assopito. Un sudore gelido gli squassava le viscere, e si sentiva l'amaro in bocca come se avesse assaggiato uva guasta. Il terrore solo lentamente gli abbandonò le membra: un sentimento che lo inchiodava lì dov'era, reazione di un qualcosa che era accaduto così tanto tempo prima. Ma
ancora lo braccava.. che sogno orribile! Che sogno orribile: ce l'aveva ancora innanzi allo sguardo, e il petto veloce e silenzioso s'alzava e
s'abbassava. Astre e Pirecrate ancora sospiravano, però piano piano quei respiri pacati andavano scemando, perdendosi e svanendo nella notte
sovrana. Bene, ora avrebbe potuto addormentarsi, e godersi un meritato riposo. Ma aveva paura a chiudere gli occhi, perché temeva avrebbe trovato suo zio, di nuovo, oppure Astre, come spesso. E non sapeva decidere se fosse peggio: l'odio, o
l'amore.
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Pirecrate gli era rimasto accanto, un braccio pesante sul suo petto teso e slanciato: i muscoli dovuti all'esercizio dell'arco, un esercizio costante, coperti dalla seta chiara della sua pelle. Astre, un principe era nell'animo
un principe nel corpo: armonioso, sottile eppure allo stesso tempo robusto,come un ramo d'ulivo che si piega al vento ma da esso non è spezzato. Duttilità, una delle sue qualità; intelligenza, uno degli attributi che subito gli si accostavano; pazienza, bè: quella aveva imparato ad averla.Lo Spartano respirava tranquillo e beato. Astre unì le loro fronti. Pherio era lì accanto, Pherio era a non molti passi da loro e se il principe chiudeva le palpebre sottili e morbide lo riusciva a vedere.Nel suo cuore.Un albero che aveva messo radici profonde e s'era innalzato nel cielo del suo essere. Quasi una sfida a lui: era Re! Era un Re! Cosa può avere nel cuore un re? Il proprio paese e la sua prosperità, la floridità dei giardini, i colori dei fiori nelle città!Bello era il suo paese: non una donna; c'erano terre molto più in là del suo
mondo, lì dove sorge il sole, che erano donne: capelli lunghi e scuri,
occhi profondi e grandi, abissi in cui perdersi. La Persia invece era come un fanciullo: dispettoso, imprevedibile, affascinante, sorridente sempre e perennemente in procinto di procella. Un fanciullo che medita reclinato su un letto morbido, con le mani che accarezza la terra brulla; un fanciullo che attende, un fanciullo che vuole subito; un fanciullo germogliante d
innocenza, un fanciullo che si slaccia la veste davanti ad un adulto nell'attesa
di dominarlo; un fanciullo dagli occhi grandi e seri, dallo sguardo vivace, dalle occhiate sottili, dalle iridi
incandescenti. E lui era quel fanciullo: non cresceva mai, ma sempre era stato grande; imparava da tutto e da tutti, si prendeva quello che
voleva. A patto una cosa. A patto quello che forse era stato l'unico suo desiderio non capriccioso in vita sua, che mai sarebbe stato soddisfatto appieno, mai. Quell'albero,
quell'albero meraviglioso in un giardino fiorente, sì, bellissimo e
iridescente, ma.. Pherio. Tu - tum. Due battiti si persero nel nulla, come se all'improvviso il suo cuore si fosse trovato tra le stelle stesse, avvinto dal freddo ma dominatore di quelle stesse fiaccole luminose. Sorrise appena, accarezzando il fianco di Pirecrate, una profonda increspatura sulla sua fronte: gli occhi chiusi, le sopracciglia leggermente piegate, le labbra rigide.Un paradiso dove farfalle dalle ali smaglianti, dei colori dell'arcobaleno, fluttuano indisturbate; melegrane mature sotto i raggi eternamente primaverili del sole, limoni gialli come il grano del meriggio, le foglie di
smeraldo, simili a coralli saldi tra le correnti del mare. E, al centro, un
albero. Provocante, il più bello tra tutti, s'innalzava fiero, solitario ed orgoglioso: un tronco bianco, i rami spessi e armoniosi, sinuosi nelle loro piccolissime pieghe dove la rugiada si depositava al mattino; i ramoscelli dritti e saldi, le foglie che sembravano neve. Quanto sarebbe stato bello circondare con le labbra quelle foglie cristalline, splendenti come ghiaccio
e pure come crisalidi, e infondere in loro tutto il suo calore. Un calore sottile come i suoi occhi, volatile sempre diverso da se stesso. E accarezzare quel tronco, poggiarsi contro di esso, mettervi le orecchie sopra ascoltando il tiepido scorrere della
linfa. E quelle radici che sprofondavano nel terreno con grazia e dolcezza, quelle radici robuste e larghe. Sollevare il capo verso la chioma, e non distinguere la luce del sole dal suo splendore, e non sentire l'ombra fresca
sulla propria pelle ma solo luce luce e luce. A quel punto non si sarebbe più mosso di lì, e le sue braccia si sarebbero allungate simili all'edera, ma più spessa, un po' più scura di quel tronco puro: anche i suoi piedi sarebbero affondati nel terreno, e solo quell'albero lo avrebbe sostenuto fino a che le sue basi non fossero divenute abbastanza forti per quel mondo di immobile eternità.
I suoi capelli sarebbero divenuti forse fuscelli sottili, e avrebbero abbracciato quei rami, e le sue labbra si sarebbero fatte come una spaccatura in quel tronco profumato che la sua pelle sarebbe divenuta, e da mane a sera avrebbero bevuto la dolce linfa che trasudava il suo
amato..
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Il manto carminio s'opponeva all'incarnato serico e verginale della pelle, tutta esposta alla luce sottile che volava giù da quel cielo pieno di vuoto e di stelle. Le mani di Pirecrate addosso erano intarsi d'ebano sull'avorio,
ma si muovevano leste, nervose, strappandogli di dosso ogni brandello di stoffa, obbligandogli il collo a rimanere piegato all'indietro, le labbra socchiuse e pallide. Bianche, come quelle di un
cadavere. Bellissime. Bellissime le labbra di Pherio, così caste che violarle sarebbe stato un sacrilegio e una punizione celeste simile a quella di Prometeo, incatenato sempre e per sempre in tormento, come una spada di Damocle pendeva su fili di ragno.Immobili lo attesero, quegli occhi troppo chiari scintillarono appena sotto le tremule palpebre, fissando il volto aitante del Dimano chinarsi su di sé,
le labbra avventarsi sulle sue e poi chiudersi, morbido, una viola al tramontar dell'astro fulgente, senza forza
alcuna. Astre si muoveva nervoso, le sue dita volavano a spezzare fuscelli e a rendere polvere foglie essiccate, eppure non riusciva a staccare lo sguardo dai due spartani che giacevano a un passo da lui, i loro corpi uniti, premuti l'uno contro l'altro, e il respiro che si faceva sempre più rapido ...
troppo.
"Pirecrate! -la sua voce decisa non tremava, era sicura e ferma, suonava come un ordine - Più piano! Devi aiutarlo a respirare, non fargli scoppiare i
polmoni!"
Pirecrate si staccò da Pherio voltando appena lo sguardo verso il persiano, le mani avvolte intorno a quel volto freddo e sempre più
immobile.
"Lentamente, Pirecrate. Come se stessi respirando
normalmente."
Astre riuscì a deglutire guardando le loro labbra unirsi di nuovo, vedendo il petto di Pirecrate contrarsi, riempire l'addome di Pherio con il proprio fiato, sollevarsi un poco per posargli le palme appena sotto le costole e premere altrettanto
lentamente.
"Così?"
Una spada brillava poco più in là, infissa nel terreno di sabbia fine che, quanto rapidamente il calore abbandonava le spoglie mortali del Panfilo, si stava raffreddando. La lama era macchiata un poco dai fluidi corporali di un
animale morto, che ora scintillava nella dura scorza. Uno scorpione.Era stata una fortuna che Pirecrate l'avesse ucciso. Era stata una fortuna che Astre conoscesse la sua razza, e sapesse quale tipo di antidoto servisse
contro la sua puntura. Era stata una fortuna che, incedendo durante il viaggio, si fosse imbattuto in una pianta molto rara, quasi miracolosa, e l'aveva raccolta. Tutta era ormai quasi polvere.Era una fortuna insperata . . Senza Pherio tra i piedi Pirecrate non sarebbe
stato in grado di portare avanti la discussione diplomatica di cui era incaricato l'altro.Non erano arrivati ancora da nessuna parte, ed erano soli. Se il suo antidoto non avesse funzionato Pherio non avrebbe avuto alcuna possibilità di salvarsi. E Astre avrebbe potuto convincere Pirecrate almeno a riportarlo
indietro a Sparta. E Pirecrate non era scaltro e infido come Pherio: con lui avrebbe potuto parlare, magari avrebbe anche potuto farsi aiutare, ma al massimo sarebbe scappato. Non l'avrebbe portato dal Faraone, non l'avrebbe tradito, non l'avrebbe mai messo in pericolo di vita, e di questo ne era certo.Si inginocchiò accanto ai due Spartani con le mani che, assurdamente,
tremavano.
"Mettilo seduto. Aiutami a farlo
bere."
La ciotola grezza che teneva fra le dita conteneva un liquido scuro, amaro come il tossico. Nel buio avrebbe potuto sbagliare a miscelare gli ingredienti. Avrebbe potuto non aver riconosciuto la stirpe dello scorpione in maniera precisa. Nessuno avrebbe potuto rimproverarlo. Nessuno avrebbe potuto accusarlo di
qualcosa. Pirecrate sostenne il volto dell'altro, la presa salda. S'abbassò per farsi sentire
meglio.
"Panfilo questa devi buttarla giù tutta, in gola! -lo ammonì, vedendo che storceva le labbra e tentava di scansare il capo. Pherio strinse le palpebre
e quando riaprì gli occhi mezzi appannati fissò Astre. Il Dimano gli tenne i
capelli dietro la nuca, obbligandolo ad aprire la bocca- Non perdere conoscenza! . . devi bere . . mi
senti?"
Nelle suo tono c'era una sottilissima vena, così impercettibile eppure tanto
chiara ad orecchi attenti: dolore di perdere qualcuno di caro e sicurezza di
star facendo davvero tutto il possibile per salvarlo. Pirecrate non riusciva neppure a *immaginare* quello che invece Pherio sapeva. Dei persiani non bisognava fidarsi. Mai. Soprattutto di un principe dei persiani. Soprattutto di Astre.Avrebbe potuto somministrargli del veleno, così sarebbe stato sicuro che non
si sarebbe più svegliato, che non avrebbe mai più aperto quei suoi maledetti
occhi azzurri, ma non era necessario. Bastava fingere molto meno di così. Bastava fingere di preparargli un antidoto, fingere di sperare che sarebbe bastato.Bastava fingere di aver paura di non sentire più la sua voce, di non vedere più il suo volto. Bastava fingere che gli importasse di Pherio.Perché avrebbe dovuto metterci l'anima a fare ciò che sapeva? Era un ottimo medico, sapeva miscelare erbe, creare pozioni e antidoti come nessun altro ma uno scorpione era.. poteva essere anche un inviato divino. Potevano essere i Superni ad aver deciso la sua dipartita, e allora qualunque suo sforzo sarebbe stato
inutile. Pirecrate si sarebbe convinto della sua buona fede, Pirecrate si fidava di
lui. Astre lo sapeva. E Pherio era pericoloso. Pherio lo stava portando a morire! Pherio era un maledetto bastardo dal cuore di pietra, orgoglioso e superbo, un rifiuto che
voleva a tutti i costi cancellare ciò che non si sarebbe mai potuto. Non avrebbe mai smesso di essere il figlio di un barbaro. Non avrebbe mai smesso
di essere il borioso egocentrico che era. Non avrebbe mai smesso di ..Le labbra presero a tremare, quelle labbra bellissime da incantatore, esangui, le mani erano già immobili. Non era un buon segno.Avrebbe potuto morire anche se Astre avesse fatto tutto perfettamente. Avrebbe potuto essere salvo comunque
..
"Dei ..Astre, è gelato . .
"
Astre depose la ciotola poi scosse il capo passandogli le dita sul suo volto, teso,
immobile.
"Prendi il suo mantello e avvolgilo. Poi . . poi abbraccialo. E giaci con lui. Fa troppo freddo, bisogna
scaldarlo."
Vide lo sguardo di Pirecrate scintillare interdetto, un sentimento senza nome, o forse erano più sentimenti, e uno scatto a recuperare ciò che gli aveva detto.Un manto lo lasciò accasciarsi in sull'arida terra, Pirecrate, l'altro con un sol gesto l'adagiò sulla schiena, prese Pherio tra le braccia e, accostandoselo al petto, il capo del Panfilo reclinò all'indietro, abbandonato, quei capelli una pioggia di foglie dorate nell'autunno celeste degli dei. Una mano di Pirecrate vi affondò, accogliendoli tra le dita forti, e quasi congiungendo le fronti avvolse entrambi nel manto, scivolando
in terra con delicatezza. In quell'abbraccio ampio il corpo di Pherio sembrava ancor più perduto e indifeso eppure.. eppure era bello perso in quella stretta fraterna. Astre si strinse nel proprio mantello, sedendo accanto ad
entrambi.
"Cerca di dormire Pirecrate: domani, se Pherio starà meglio, avremo bisogno che almeno uno di noi sia in forma. Io devo stare attento a lui ..
"
Il greco non rispose nulla, si limitò a fissarlo in silenzio, quegli occhi opali turchesi impenetrabili. Si socchiusero poi, senza preavviso; a un passo dal cadere nel sonno, sfinito da una giornata assurda sotto un cielo alieno come non aveva mai avuto immaginare neppure negli incubi più remoti, lo vide muovere dolcemente una mano. Essa, protettiva, scivolò ancora una volta, tiepidamente, come una carezza gentile, tra quei capelli biondi e sciolti, morbidi come seta e altrettanto luminosi, portando la testa di Pherio verso una spalla del proprio corpo
ardente. Astre sentì improvvisamente male al cuore. Pherio avrebbe potuto morire.Sarebbe *dovuto*
morire. E lui sarebbe stato salvo, e libero. Pirecrate avrebbe potuto tornare a casa. Nulla di tutto quello avrebbe avuto seguito.Riconoscere la finzione dalla realtà. . Astre chiuse gli occhi lasciandosi sfuggire un sospiro amaro e pesante. Finzione? Dov'era la finzione? Erano quelle braccia scure a cui lui stesso aveva ordinato di cingere quella pelle
chiara? Era il profumo di Pherio così vicino eppure unito in maniera così forte con quello di Pirecrate? Era il vederli così *belli* insieme anche se sapeva che ..sì, ora *sapeva* che loro due .. ora che li vedeva uno accanto all'altro, uno nelle braccia dell'altro, ora che vedeva come Pirecrate lo stringeva, ora che aveva visto quello sguardo penetrante posarsi su quel volto pallido, ora lo
sapeva. Pirecrate aveva mai tenuto Pherio così? No. Eppure guardarli insieme era una
specie di sollievo, c'era armonia in quella vista, come se in un certo senso
l'uno avesse qualcosa che all'altro mancava. Eppure Pherio così immobile, con il volto troppo pallido anche per lui pareva già un'immagine dall'altro mondo e Astre non lo sopportava.La verità? La verità era che non sopportava l'idea di perderlo. Non così. Lui era un guerriero, era stato cresciuto per morire su un campo di battaglia, non in quella maniera infame. Non così: per un passo sbagliato tra le pietre alte per assicurarsi che nei dintorni non ci fosse nessuno.Non doveva importargli, eppure gli faceva male il costato a pensarci. E non riusciva ad immaginare cosa sarebbe successo se l'indomani l'avesse trovato senza più fiato nei polmoni, un simulacro immoto del ragazzo che era stato. Null'altro che il ricordo del .. dell'amore che era stato per lui.Faceva male, sì, assurdamente male. La finzione era non volerlo accettare. La menzogna era dirsi che non avrebbe pianto sul suo corpo se fosse morto.Non *voleva* che
morisse. Astre strinse le labbra. Era un'assurdità: Doveva pensare a se stesso, alla propria salvezza, al proprio futuro e non preoccuparsi di quello che sarebbe
potuto accadere a quel maledetto spartano che lo aveva trattato come un cane
fino a poche ore prima! Doveva volerlo morto! Doveva essere grato di quell'incidente!Allungò una mano e infilò le dita in quei capelli, li accarezzò piano, attento a non svegliare Pirecrate, se li avvolse intorno alle dita. . quanto
avrebbe voluto avere il tempo di dirgli che . . che era innamorato di lui ..E le stelle smisero di rincorrersi quando il cielo scolorò in un'alba che rimase per un lungo istante ghiacciata sul confine dell'orizzonte, oro era il pavimento di quel deserto immobile e silenzioso che riprendeva a vivere nella promessa del tepore dato dal cielo, riverberato anch'esso di oro. Ma oro rosso, non il pallido scintillare a cui era abituato
Astre.
I colori esplosero in un istante. Il carminio dei manti in cui erano avvolti
parvero un'enorme macchia di sangue, e il cielo divenne azzurro, così limpido e chiaro e terso da far male agli
occhi. Astre chinò appena il capo sul proprio grembo, sulle gambe incrociate aveva appoggiato il capo chiaro di Pherio, i suoi capelli erano una liscia striscia dorata che brillava alla stregua del più meraviglioso gioiello che mai avesse
indossato. Pirecrate si mise a sedere di scatto, il fiato mozzo in gola come se appena sottratto da un incubo. Sbatté un paio di volte le palpebre per focalizzare lo sguardo sul volto di Astre, poi abbassò il
volto. Astre sorrise. Districò una delle mani affondate e perse in quei fili dorati, che lo tenevano
prigioniero.
"Non fare rumore: deve riposare
ora."
Pirecrate era evidentemente sollevato, non lasciò scapparsi tuttavia un sospiro a mostrarlo. Scivolò fuori dal mucchio informe che erano diventati i
loro manti e si stirò le membra, sbadigliando e dandosi un'occhiata intorno.
Lanciò un'occhiata a Pherio, che ora respirava piano e tranquillo, e ad Astre. Quando ne incrociò lo sguardo sussultò nel vederlo lucido, fisso su di sé.
Astre chiuse gli occhi un paio di volte, aveva la vista annebbiata, si sentiva così male, così . . spaventato. E stanco. Se guardava Pirecrate, in piedi, non riusciva a non pensare al corpo che aveva stretto per una notte intera, non riusciva a non pensare al calore che aveva assorbito, al suo profumo che gli aveva intossicatole narici .. abbassò il capo sentendosi le guance umide, le mani che
tremavano. Cercò di mettersi in piedi sperando che così sarebbe riuscito a riprendere contatto con se stesso. Si scosse la sabbia dal vestito, tenendo il capo
basso.
"Astre...?"
Non vide, non udì, non percepì. Si buttò fra quelle braccia forti e salde, che davano una sensazione di sicurezza come neanche il più grande e protetto
palazzo reale. C'era troppo dolore, fatica e paura dentro di lui, e da troppo tempo. Aveva lottato, tutta quella notte senza fine, con gli spettri di ciò che gli si agitava in cuore: e ne era uscito completamente sconfitto.
Aveva tremato per Pherio, si era scoperto a non essere abbastanza forte per sopportare la sua assenza e ora tra quelle braccia, su quella pelle, Astre intuì il sentore di ciò che, più di tutto,
bramava. E il dolore si sciolse.La fatica evaporò.La tristezza si stemperò in un tocco di mani e labbra su una pelle che ne aveva sfiorata un'altra, che ne aveva scaldata un'altra, candida come l'alabastro e ben più
preziosa. Astre non riuscì a imporsi di fermarsi, né lo voleva. Aveva bisogno di quel calore, aveva bisogno di sentire sotto le labbra quel sapore, aveva bisogno di braccia che lo stringessero e cancellassero tutto.Non riuscì a smettere di piangere, lacrime bollenti gli arsero la pelle, e cercò singhiozzando e tremando come una lepre rimasta troppo tempo sotto la pioggia le labbra di Pirecrate. E sarebbero state calde, sì. E addosso a quella pelle bruna avrebbe sentito ciò per cui il suo cuore al pensiero di non sentire mai poteva frantumarsi ora, sì. E non lo avrebbe lasciato più andare: sapeva che l'aveva toccato, che su di lui c'erano di sicuro le tracce di Pherio, sì.Ma Pirecrate aveva sviato quel cercare, sfiorandogli il capo e conducendolo sulla spalla opposta a quella che, per quasi tutta la notte, aveva accolto la fronte di
Pherio. Astre si ribellò, preda ormai di un delirio senza nome: no! Non era quello che lui voleva, non era ciò che desiderava! Lasciami, Pirecrate, lasciami
fare..
"No Astre."
E ancora più rabbia, ancora più desiderio, ancora più passione sconvolse le membra del principe, che tentò in tutti i modi di trascinare Pirecrate nello
stesso turbine con sé.
"Che c'è, Pirecrate? Non mi desideri? - la voce uscì sensuale, roca, affannata e affamata - Io ti desidero invece.. Pirecrate - sfiorò l'orecchio
dell'altro con la lingua, passando poi alla spalla opposta su cui.. sì, ancora c'era.. Pherio: oblio, era solo quello tutto ciò che voleva. Solo ora, o forse per ancora diecimila volte: il tempo non aveva più importanza alcuna; c'era soltanto un presente doloroso da cui tentava di evadere -
Pirecrate.."
Pirecrate si sentì trascinare giù come se una belva infame gli si fosse aggrappata alle carni. Singhiozzò lasciando che la roccia reggesse entrambi,
tentando di scansare Astre, ma c'era una parte di lui che non voleva questo:
un altro viso era nei suoi occhi, un'altra voce. E il corpo di Astre era simile a quello di.. una supplica..Gli occhi, velati dalla passione, un attimo prima che stesse per afferrare Astre e fargli portare le gambe intorno alla vita mentre quello continuava ad assaltargli il petto come un cucciolo che cerchi il latte della madre, disperato, quegli occhi azzurri sfiorarono la sagoma di Pherio ancora avvolto nel carminio del mantello. Astre, troppo perso nel proprio oblio non
si accorse che il corpo dello Spartano si era paralizzato; tornò un poco alla realtà quando le braccia forti di Pirecrate lo staccarono da quel petto
che aveva conosciuto la pelle di Pherio, quella pelle chiara come il latte, pura e sicuramente dolce sotto le labbra, quella
pelle..
"Astre, no!"
"Pirecrate.. - continuò, cercando di liberarsi quella mani che gli imprigionavano le spalle e che lo tenevano lontano.. distante.. da quel profumo .. - Pirecrate!"Affondare sì, affondare e non vedere più la luce: perdersi.. e non dover sentire più niente. Né odio, né amore. Anche se quella mortale miscela d'odio e d'amore, era il sale della
terra.
"Astre.. mi ascolti?", Pirecrate lo vide smettere di dimenarsi e crollargli quasi fra le braccia.Un lievissimo sospiro, articolato in una parola che non era greca, gli raggiunse le orecchie, mentre sentiva il riempirsi e lo svuotarsi del petto del persiano. Lo prese in braccio: avrebbe voluto poterlo adagiare accanto a
Pherio, ma non lo fece. 'Tieni Astre lontano da me 'Sospirò poggiando quel corpo esausto per terra, lui seduto tra i due. Il sole aveva già abbandonato l'orizzonte, ma con quei due in quelle condizioni, non c'era altro da fare. Sfiorò con una mano il capo di Astre, che per quel gesto sospirò qualcosa che giunse alle orecchie di Pirecrate. Ancora una volta non era greco e lo Spartano non poté capire quei respiri pieni di dolore e sofferenza, che forse invocavano qualcuno.Forse era il vento: perché una brezza sottile parve rispondere al suo richiamo, passando le sue mani invisibili in quei capelli
scuri.
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Pherio sospirò seccato fra i denti una lieve maledizione, che sperò non raggiungesse le orecchie degli altri. Il passo leggero del Dimano si
poteva intuire in lontananza, scendere come uno stambecco da una strana
collina rocciosa, un contrafforte naturale che sorgeva dal nulla che li
circondava come un'escrescenza voluta dagli dei.
"E' come una conca protetta da spuntoni di roccia! Al suo centro una depressione e gallerie, tante, a occhio non sembrano profonde ma è di certo un ottimo luogo per riposarsi. - aggrottò appena la fronte- o per essere attaccati."
Astre si schermò gli occhi poi scosse il
capo.
"Qualunque cosa sia dobbiamo approfittarne: la notte sta per calare di
nuovo e siamo troppo all'interno, ormai, per sperare in temperature miti in grado di scaldarci. Il gelo di questa notte potrebbe uccidere una tempra ben più forte di Pherio, non completamente ripresosi dal
veleno."
"Ce la posso
fare."
La voce spezzata e dolorante fu sufficiente. Pirecrate annuì
stancamente.
"Anch'io sono esausto e se ci stanno tendendo un'imboscata lì dentro o qui non farebbe molta differenza: non potremmo mai allontanarci troppo per definirci al
riparo."
Pherio si appoggiò pesantemente ai piedi, infilandosi un pugno nel fianco, respirando a
fatica.
"Avete già deciso,
allora."
"E' l'unica cosa ragionevole da fare! - sbuffò Astre, poi fissò di nuovo
la strana costruzione che aveva di fronte- Inoltre, se non erro, nel deserto questa viene definita un tempio degli Antichi, un luogo di pace e guarigione. Almeno queste sono le notizie che riportavano i carovanieri al mio palazzo. Io da parte mia non ne ho mai visto uno.. ma nella mia immaginazione dovevano essere simili a
quello."
"In mancanza di meglio, allora, seguiremo i racconti di carovanieri e l'istinto del Principe e i nostri corpi che stanno urlando dalla
stanchezza."
"Abbiamo forse
altro?"
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Un tempio, Astre l'aveva definito tale e in effetti Pirecrate sentiva come una pace morbida e palpabile sciogliergli la stanchezza via di dosso. Forse era la suggestione, o forse era il fatto che tutti e tre erano effettivamente stremati tanto che Pherio non era riuscito a tenersi in piedi
per più di pochi istanti e ora era accasciato contro la parete, il fiato un po' pesante ma tranquillo, gli occhi semichiusi.Il Dimano gli passò una mano sulla fronte appena sudata e sorrise nel vederlo sbattere le palpebre, quasi allarmato."Riposa, Astre sta accendendo un fuoco, io esco a vedere
se riesco a cacciare qualcosa da metterci nello stomaco, tu cerca di riprendere le forze
che stanotte il secondo tocca a te!"Come risposta un annuire silente, non serviva in effetti nulla di più.
Fuori, all'aria aperta di nuovo Pirecrate sollevò lo sguardo e il cielo screziato di carminio sembrava una volta sanguinante, incandescente. Era riuscito ad arrampicarsi sopra una di quelle scale ripide di pietre arrotondate e piegate dai venti, e ora contemplava l'orizzonte muto, lasciando riposare i muscoli. E non si vedeva niente oltre al deserto da nessuna parte, e le loro scorte d'acqua stavano velocemente esaurendosi. Aveva notato le occhiate preoccupate di Astre nel controllare le bisacce, costruite rudimentalmente ma efficacemente grazie alle dritte del Persiano e
all'abilità pratica di loro Spartani. Pherio inoltre era bruciato da una sete terribile e continua: lo vedeva quando si attaccava per prendere l'acqua, bevendo il meno possibile per saggezza, ma lasciandola indugiare nella bocca, per illudersi che ce ne fosse di più.
Piegò il capo di lato, tirando i muscoli del collo, sospirando. Si sollevò, battendo i palmi sulle ginocchia, scrollandosi la sabbia di dosso. Saltò giù
dagli sbalzi d'altezza, atterrando con la grazia di una pantera Un ciuffo di
polvere si sollevò, posandoglisi sui piedi già sporchi di tutta la strada e irrigiditi dalla
stanchezza. Un'orribile sensazione lo pervase, come di essere braccato, un paio
d'occhi di fiera sanguinaria piantati su di lui ..scosse con forza i capelli scuri.Era stanco, e prima fosse riuscito a trovare qualcosa da portare ai suoi compagni, prima avrebbe potuto riposarsi..Spirò una brezza di vento che sembrava più una risata divertita, o un mugugnare appena pronunciato. Il Dimano si guardò intorno, mettendo mano alla spada, sfoderandola: il metallo fu muto nello scivolare lungo il fodero
consumato dalle intemperie, ancor forte però, e robusto. Non una pietruzza s'era mossa, sembrava che nessun animale abitasse quei luoghi, ma non poteva
fare a meno di sentire un brivido lungo la schiena. Si fidava del suo istinto, e guardingo non per un attimo lasciò la vigilanza sui dintorni, soppesando la spada in mano, aspettandosi che da un momento all'altro quel vigliacco uscisse allo scoperto.Come un irato respiro esce dalle narici nervoso, così il suo pensiero sembrò
trasudare dall'animo, e carpito dall'ombra.Poi un tuono, un ruggir di belva selvatica, un grido acuto che chiedeva vendetta, una roccia cadde schiantandosi, spaccandosi, e lui appena era riuscito ad evitare il grosso masso....Un masso che cade..... cadde spezzandosi un ginocchio, la sua superbia, in quel pomeriggio afoso. Un demone lucente dai capelli simili alle increspature del mare lontano sotto i colpi di Apollo, le iridi incandescenti di gelida vanità, le
labbra piegate nello scherno.
"Tutto qui?"
E non ci aveva creduto: come poter credere di essere stato battuto da uno strano esserino sbucato da chissà che anfratto scuro e marcio dei boschi? Più esile di lui nelle ossa, nei muscoli, nelle parole e nei pensieri: così sottile, così incredibilmente audace e astuto, e svelto. Uno che neanche, per Zeus, di cui neanche si sapeva
l'acendenza! I pensieri nella sua testa di bambino adulto erano sfrecciati simili alle falcate dei lupi d'inverno, e la sua reazione era stata ancora più veloce. Da quel momento perse innanzi agli occhi dei suoi coetanei anche l'unica traccia di stima: battuto da un mezzo barbaro. E oltre a questo non gli avevano mai perdonato il fatto che lui, figlio di traditore, sconfitto dal bambino luminoso, fosse in grado di umiliarli uno dopo l'altro.Le porte del mondo gli si erano chiuse, portando via l'ultimo barlume di luce e speranza: solo davvero questa volta, contro il nemico più forte e contro tutti. Ma grande aveva in petto una forza: calamitava gli sguardi, li
rendeva agguerriti con una sola parola, li bloccava con un gesto. Sul campo di battaglia, a capo delle schiere, solo, col volto rivolto ai nemici, il mantello che, sbattuto dal vento, s'aggrappava alle sua spalle indomite. Chi
lo aveva deriso, sempre ne aveva pagato lo scotto; e chi aveva sogghignato lo aveva messo a tacere, ammutolendolo. Paura..? Forse no..Ogni passo che muoveva portò con sé ricordi acri di anni ed anni: un viaggio
a ritroso verso il presente, una vertigine era cader nel pozzo del tempo e ripercorrere strade già battute, vedere visi noti, udire frasi che già gli erano state rivolte.. e qualcosa di pesante gli gravava sul petto, come respirare una nube ardente, bruciandogli i polmoni, adombrandogli la vista..
col dorso della mano si dovette asciugare gli occhi che lacrimavano, irritati e la stoffa sulle spalle gli graffiava la pelle come.....staffilate sulla schiena. Legni sottili e flessuosi di betulla che strappavano le carni, e s'abbattevano senza permettergli di respirare. I palmi stretti intorno alla sbarra ghiacciata, il sudore che gli rivolava lungo la schiena, le membra scosse da un brivido ghiacciato e la lava del disonore e della vergogna. Lacrime che non avevano neppure la forza di uscire. Crollare, cadere al suolo, la polvere rossastra in bocca, il sangue,
il calore torrido e insopportabile e sopra di lui una voce ferma, freddissima. Un sorriso che era una falce d'argento in una notte di
deserto.
"Pirecrate! - un ghigno di scherno, acre, orribile. Un paio d'occhi chiari, chiarissimi, che non mostravano nulla se non disgusto- Figlio di traditore. Indegno buono a nulla .. non riuscirai mai a starmi al pari.. "Cercò di sollevare il capo, la furia a mordergli il cuore eppure non riusciva a sollevarsi in piedi, poteva solo guardare i calzari di Pherio a un passo di lui, sentendo quello sguardo sdegnoso.Era come avere una lancia infissa nella schiena che ora si muoveva, scavandogli il costato, lasciandolo stordito, e lui non aveva neppure la forza di urlare..S'aggrappò allora alla figura di Astre, ben nitida nella mente, cercando di
resistere."
Astre è davvero bravo nell'ingannare la gente,
pare!"
"Piccolo, lurido e insignificante insetto greco! Indegno di me e di tutta la
mia schiatta! Cosa credi di essere al mio cospetto se non . . "
"Ah ma io sono
re!"
"Dimano rinuncia: non potrai mai
battermi"
Non potrai mai battermi..Non potrai mai..Non potrai..Non puoi..No..Il petto sembrò frantumarglisi, in quel momento fragile come un vaso battuto
in terra.
'Ti lasci trattare così? Non sei tu Spartiato? Non vuoi
ucciderlo?' Ringhiò.La voce vomitante rabbia furia gli urlava nella mente, stordendolo, strappandogli il cuore.'Quel lurido mezzo Panfilo mezzo chissà cosa.. non è degno di te. Ma tu non lo odi abbastanza: è per questo che non l'hai mai sconfitto.
.
'Che idea orribile, tagliente come un pugnale ..la sua spada gli brillava nel
palmo, il collo bianco di Pherio lì a portata. Bastava vibrare il colpo.. Ma
la sua mano non si muoveva! Cos'era che lo fermava?'Perché ti fermi? Rispetto? Rispetto di un barbaro? O peggio .. *amicizia*?!Sei davvero indegno, Pirecrate?'No! No! Lui non era indegno! Non era un traditore! Lui *non* era come suo padre! Lui non era come quell'infame vigliacco che lo aveva abbandonato nella tempesta più nera e furente! Per un Ateniese! Un ateniese..No, lui non era così.'Come sei allora Pirecrate? Dov'è tutto questo valore e questo coraggio di cui così tanto ti fai vanto?'"No, basta!"Due mani l'afferrarono, tirandogli indietro quei capelli selvaggi. Dita gli s'infilarono nel costato, labbra dure si chiusero sulla sua bocca, strappandogli un'esclamazione di dolore.Le stelle in cielo erano divenute fiaccole ardenti che s'abbattevano tra le rocce, e con un ultimo supremo sforzo portò le mani avanti. La sua spada, dov'era la sua spada!? Una smorfia gli si dipinse sul giovane volto, un singhiozzo proruppe dall'aitante
petto.
"Sei bello Pirecrate.. sei bello
veramente." 'Dovresti esser sprecato nell'ombra di Pherio? 'Pherio .. da anni lo sfidava! Da anni aveva incrociato la lama con lui, da anni aveva colpito e colpito e colpito per uccidere quel maledetto! Con nuova forza ogni volta, con un nuovo impeto, con un odio che non voleva arrendersi alla rassegnazione, che non ci voleva stare! Quella vergogna per Sparta!'Da anni sei stato battuto da uno come lui . . 'Da anni era caduto nella polvere ai suoi piedi, da anni aveva sopportato
la vergogna di venire colpito ma non ucciso, da anni era stato .. *graziato*! Quel maledetto d'un Panfilo non lo riteneva degno! Non combatteva per uccidere! Non voleva
ucciderlo! 'Non t'ha mai considerato un vero nemico, ma solo uno senza importanza.. senza valore, senza forza . . 'No! No!Le parole scolorarono in un arcobaleno insanguinato e qualcosa gli si mosse in petto, come se fosse il cuore ..ma non era il suo proprio cuore. Un grumo
scuro che toglieva il fiato e la pietà e i sentimenti. Una forza assurda e aliena gli calò sul petto, un avvoltoio scuro per divorargli le
viscere.
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"Pherio? - lo Spartano rispose sollevando appena il capo, gli occhi segnati dalla stanchezza e la fronte imperlata di sudore. Astre si prese le mani fra
le mani, inginocchiandosi all'altezza di Pherio. - Dov'è Pirecrate?"
Il Panfilo tentò di parlare, ma solo una parola senza voce gli uscì dalle labbra. Mettendosi in cipiglio tossì, sforzandosi di tener saldala voce e non farla incrinare sotto la stanchezza che gli sconvolgeva perfino la
mente.
"E' andato a vedere se ci fosse qualcosa da mettere sotto i denti.. Perché me lo
domandi?"
"Non lo so: non mi piace l'idea di stare
separati."
Pherio scosse lentamente il
capo.
"Avevi detto fosse un posto
tranquillo!"
"Sì, e lo è, il posto! Ho solo avuto..- Astre sospirò, distogliendolo sguardo da quel corpo spossato eppur sempre teso e nervoso, pronto comunque a scattare, a muoversi, un grumo di muscoli tesi e nervi frementi - niente, lasciamo
stare."
Pherio osservò il Persiano allontanarsi, battendo le rocce con un ramo secco. Si avvolse ancora di più nel mantello, ma decise che per combattere il freddo nelle ossa sarebbe stato meglio fare due passi. Si alzò, ignorando
la sensazione oscura che gli si faceva strada nell'animo, il che era facile visto che una battaglia la stava già combattendo, contro la spossatezza pesante, e la vittoria era sua solo a prezzo d'una grande
attenzione.
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Il dio lasciò crollare in terra il giovane Spartano, osservando quella massa
di muscoli armonizzati dai tendini d'acciaio cedere al suo potere sovrano. Sulle labbra inaridite e nutrite dal sangue si dipinse il ghigno di Ares, sollevando lo sguardo feroce al cielo
tremante.
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Camminare non era muoversi, era galleggiare in un'aria densa che soffocava mentre allo stesso tempo teneva in vita, e gli faceva assorbire un'oscurità cangiante e terribile, caustica e velenosa in cui si trovava così assolutamente a suo agio . . era nutrimento prezioso per quel se stesso che giaceva dormiente sul fondo della sua anima, era risvegliare la sua vera essenza, era trarre forza, e orgoglio e possanza e desiderio . . lussuria, sì, anche . . Un desiderio, invero, strano e nuovo, alieno gli bruciava nelle vene senza scampo, e ciò che bramava ora, era un corpo su cui riversare l'oscura cupidigia che gli palpitava in
petto. Annientare, distruggere, fare a brandelli, spezzare un corpo flessuoso, sottile e morbido: non quello d'un guerriero, non uno di quelli la cui vista
era solito, no. Morbido e delicato. Bellissimo. Come era strappare la bellezza da un corpo simile, deturparla ed umiliarla? Come poteva essere piegarlo e farlo urlare e.. peggio, molto peggio..Pirecrate sentì il sapore ferruginoso del sangue solleticargli la punta della lingua come se la violenza stessa lo stesse baciando con foga, ed egli
dischiuse le labbra affogando in quel contatto annichilente.Un corpo vivo da violare, da godere per le lacrime che versa e il sangue che
perde. Corroderne la pelle, svellergli gli arti. Torturarlo con crudeltà inimmaginabile, con fuoco e pece, con acidi e armi. Con le mani. E berne i liquidi fino a saziarsi, ingordo, e cibarsene ancor vivo e in vita tenerlo per riprendere da capo, sempre da capo giochi ancor più tortuosi, più terribili, fino a renderlo folle dal dolore e ancora e ancora..Ammaliato, Pirecrate tese una mano che improvvisamente gli apparve grande e
virile, scura ben più della sua, eppure era lui che sotto i polpastrelli sfiorava quella pelle sofferente e fremente, era lui che percepiva il terrore che dal fanciullo si diffondeva, era lui che godeva di quel contatto
e presagiva già i segni che sul candido corpo avrebbe impresso ..Il mondo fu inghiottito come da un vortice dal quale, probabilmente, non sarebbe riuscito a uscire neppure se avesse voluto: e ora Pirecrate non voleva altro che ubriacarsi dell'odore del sangue e della violenza.Violenza che conficcava le unghie nella carne e squarciava, di denti che azzannavano strappavano così la lingua poteva assaporare e la bocca riempirsi di sangue, come l'aria di urla e gemiti e singhiozzi. Violenza: un
corpo infranto, dipinto dai tracciati del suo proprio sangue, una mente sconvolta dal troppo dolore e dalla pena e dall'orrore che non trova neppure
più suoni da articolare o preghiere da sussurrare, dolore palpabile che diviene fuoco e lame, uno sguardo ghiacciato da preda torturata, i gemiti che gorgogliano in una schiuma carminia a macchiare le labbra perfette e dolci.Indicibile l'eccitazione.Indicibile il godimento.Indicibile il fuoco che scoteva le viscere di fronte alle ferite.Indescrivibile il desiderio e il piacere e il tono di quella voce non più umana, che piangeva e gemeva.Non più umana.. e Pirecrate sorrise all'idea che mai, mai più lo sarebbe stata.Che mai più ci sarebbe stata voce....Un lampo spezzò la corrente di quei ricordi che non erano suoi, ma ora era come se lo fossero veramente. Troppo il divario interiore, troppo grande la forza che lo possedeva, troppo intenso lo sgomento di sapere che era in realtà una parte di lui quella, troppo agghiacciante il suono di quelle labbra sottili spaccate da una violenza terribile,
inumana. O era la sua, forse? Non lo sapeva più, e non gli importò: c'era qualcuno che doveva pagare il fio dei suoi atti, e quella notte era la notte che avrebbe deciso i destini di molte
persone.
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Continua...
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