NOTE: i personaggi sono nostri ecc ecc..
Di odio e
di Amore
parte XX
di
Dhely e Kalahari
Una carcassa dilaniata giaceva in terra tra tante, gli occhi vitrei e torti,
la bocca schiumosa, il sangue inaridito dal forte sole. Il sole... la volta
celeste fulgeva platinata e l'odore dell'esiziale dea regnava, principe, sulla pianura vasta e cosparsa di laghi scarlatti. Pirecrate starnutì, forte, e in quell'istante scoppiò un fragore di lame.
Destò in lui la percezione, come sopita prima, dei dintorni, più martellante
più violento, fino a che, raggiunto il suo acme, divenne un suono più verosimile, udibile da orecchio umano. Forse attutito dall'operato di
qualche dio.Urla e lingue di fuoco, a consumare la vita. Guardò intorno a
sé: uomini, dagli elmi di bronzo, nel nome di Ares incrociavano le spade,
respingendosi; poi, come costretti da una catena invisibile e infrangibile, si rilanciavano l'un addosso all'altro.
I piedi premevano contro la terra increspandola, trascinando l'erba e le grida
insozzavano l'aria schietta di quella giornata autunnale. Così il sangue l'atra terra e il mondo l'acre odio.Istintivamente portò la mano ai fianchi, ma non v'era appesa alcuna spada.
Nessuno parve fare caso a lui, come se fosse solamente uno spettro che non
trovi pace, e vaghi per le desolate lande che lo attendono. Quando un paio
di duellanti gli venne quasi addosso, si scansò, ma la lama di uno gli attraversò il braccio. Fu come se fosse stato nebbia. Increspò le sopracciglia, cogliendo in un istante i tratti dei due: la furia
selvaggia, impetuosa, indomita, conficcò nel petto dell'altro, inciampato in
terra, la lama. Il vincitore scattando col capo, il bronzo affilato rilucente di sangue come rugiada, guardò in lontananza ma verso un punto
preciso.Uno Spartano. Come potersi sbagliare? La gloria, lo splendore turgido di
virilità, i muscoli come scolpiti di roccia. Ora, i contorni di tutto più
precisi, osservò che molti erano gli Spartiati sul campo di battaglia. Quello innanzi a lui s'asciugò con le dita il sudore della fronte, coperta
dall'elmo, e si voltò verso destra. Il profilo si stagliò netto contro il
cielo: il naso dritto come una rupe scoscesa, le labbra piene, gli occhi del
colore delle more, i capelli d'ebano intrecciati.
"Kakeo!! L'ala destra!!!" gridò, sollevando il braccio teso a parare il
fendente d'un altro che si era fatto avanti.
Pirecrate, scosso, puntò lo sguardo verso quel punto da cui aveva sentito la
replica. Vide un altro uomo, uno spartano, troneggiare su un rialzo di terra
Il rosso delle piume sull'elmo rivaleggiava con quello del sangue che gli copriva il corpo, la pelle scura come il fumo che si levava da un fuoco
scoppiato in quell'istante poco più in là. Fiamme lente, che consumano con
languore, pasciute dall'aria.Un altro figlio della nobile Lacedemone conficcò nel petto del nemico,
ornato d'ulivo, la spada, e si rivolse al gagliardo con parole che traversarono la mente di Pirecrate simili al lampo tonante del sommo Zeus,tremende.
"Aristide, io seguo Kakeo. I nemici da questa parte abbattili tu e gli altri."
Lontano di lì, Atena di pietra poggiava i piedi puri sulla linea d'unione
tra gli spioventi del tempio più sommo. Lo scudo di marmo tra le mani, gli
occhi riversati sui mortali, la lancia piantata al di là delle sue spalle,
fermamente, nel nobile marmo. Bianca, pura svettava sull'acropoli. Irata.
Pirecrate indietreggiò d'un passo, i piedi all'improvviso cedevoli. L'uomo
innanzi a lui si voltò, gli vide il volto inasprito dall'elmo e dal sangue.
Tremore scosse le membra gelate: Aristide... quell'uomo si chiamava Aristide
... Aristide...
"Fatevi avanti, codardi che non siete altro, Ateniesi! Fate vedere a un
figlio di Ares l'abilità dei perdigiorno!"
"Chi è che si pavoneggia come un
uccello?"
"Vieni ad assaggiare i miei artigli,
passero!"
"Saranno gli dei a favorire il migliore tra noi
due"
Si avvicinò un uomo, passando la spada da una mano all'altra; gli occhi
azzurri risplendevano come quelli di una civetta notturna. Aristide non si
mise in posizione, l'arma appena tenuta dalle dita, il sorriso sghembo ed insolente sulle labbra.Può non essere. Può non essere lui. Quanto veloce e martellante può essere
un pensiero intriso di speranza? Cos'era quel luogo? Perché? Una battaglia..
"Attento, Ateniese! E' contro uno dei valorosi Dimani che ti stai
scagliando!"
"I tuoi figli ti seppelliranno non prima della fine del
giorno"
"Mio figlio mi aspetta a casa e avrà gloria di cui
vantarsi!"
Scattarono, furiosi, frecce tenute sospese da un arciere invisibile,
protagonisti inconsci delle fila del destino, ignari fautori del miasma. Così legati attraverso i loro figli...La furia fece scricchiolare le lame, gocce di sudore e sangue schizzarono.
Il sole verticaleggiava, lento, impassibile: Apollo guardava con le labbra
immobili, la perfezione della stasi; perfino le mani tenevano con mitezza le
redini, ma nelle iridi intense splendeva tutta la luce dell'astro che riluceva tra le pareti di
Urano. E poi, in un attimo, una lama, nelle carni, di punta. L'Ateniese si accasciò
in terra; l'animo che già perdeva il corpo si colmò d'un impeto cieco: scattò avanti, ma inflisse allo Spartano solo una ferita di striscio. Quello
con un colpo secco, strappò e di nuovo riconficcò nelle carni dell'avversario la propria arma, nella schiena. L'ateniese cadde in terra, e morì.
Come nella burrasca continua, di gocce martellanti sulla pelle, un tuono all'improvviso sfalda l'aria cancellando il furore della pioggia e il battito
impaurito del cuore umano, così un grido straziante, dalle piante,soffocato, trapassò il ritmo delle lame che pesanti si abbattevano su altre
lame. Ma solo due parvero udirlo. Pirecrate si voltò. Aristide si voltò. Un movimento tra le foglie e frusciare, tra le radici, in direzione della
città. Lo Spartano scattò immediatamente e anche Pirecrate, ipnotizzato da
quel sogno. Sapere, voleva sapere, intuiva che era importante. Lo Spartiato dai lunghi capelli neri, lucidi di sudore, affondò la lama in
mezzo ad un cespuglio; la spada incontrò solamente i rami rigidi e le foglie
volatili. Velocissimo ancora uno strusciare, di ginocchia, sul terreno, e poi assolutamente nulla. Una lepre immobilizzata. Aristide, spazientito,
menò il colpo in diagonale che spezzò il tronco del cespuglio. Caddero i
rami, gemendo nel loro strazio inudibile.Una piccola creatura si copriva il capo con le mani, singhiozzando, le gambe
sottili e chiare tremavano. Le mani si scostarono dai capelli corti e uno sguardo terrorizzato lo fissò, per poi riempirsi di lacrime. Le palpebre si
chiusero, davanti ormai e per sempre l'immagine di un mostro dall'elmo
splendente, la corazza coperta di sangue, due occhi simili a quelli del grande gatto della vicina, che gli faceva così paura. Anzi no, erano ancora
più terribili.
"Matèr..."
Prima che Aristide potesse fare qualsiasi cosa un compagno gli giunse al
fianco e guardò il bambino accasciato a terra."Per Ares, Aristide! Che ne dici di dividerci la preda?"Il Dimano guardò con occhi di fuoco il compagno.
"Iolao!"
"Un prigioniero di guerra è un prigioniero di guerra, - si chinò sul bambino
afferrandogli un braccio di malagrazia e tirandolo in piedi- è magro, ma mi
occorre per sbrigare le faccende di casa, cosicché mia moglie abbia più tempo per i bagni di fango che le piacciono tanto. Si lamenta sempre,
Deodora...."
"Iolao - ammonì Aristide dandogli un colpo sul polso e liberando il
ragazzino che d'istinto si andò a rifugiare dietro le sue gambe - è un bambino, lascialo
stare."
"Dì che lo vuoi per tagliare le messi tue e di tuo figlio! Andiamo,
dammelo"
Ma il Dimano non accennò a muoversi e quando l'altro spartano gli si
avvicinò mettendogli ancora una volta la mano sulla spalla la schiaffeggiò.
"Aristide... non vorrai litigare per un marmocchio ateniese?"
"Questo bambino non verrà
toccato"
"E che vorresti fare, riportarlo a casa, accompagnandolo per
mano?"
Aristide emise quello che era proprio un ringhio, puntando alla gola dell'altro la spada. Quello avanzò e nello scatto il bambino fu spinto indietro,
addosso il tronco dell'albero. Il forte colpo alla nuca lo fece affondare in
un indistinto buio.Non voleva il Dimano ma, in un gesto sbagliato da parte di entrambi, la lama
affondò nel petto di un suo fratello Spartiato. Corse per le carni, affondando, lacerando. Iolao spalancò gli occhi e vomitò sangue dalla bocca
mentre Aristide si scansava, coperto da quel sangue fraterno. Vide l'ultimo
gemito di un fratello ucciso dalle proprie mani. Strinse i denti, scostando
lo sguardo. Appuntò la spada nel terreno e si pulì le dita con il mantello. Guardò il
bambino che aveva perso conoscenza e gli sfiorò la guancia con un polpastrello, per poi farlo passare innanzi alle labbra: respirava. Si sfilò
l'elmo lucente, poggiandolo accanto alla spada e prese la creatura in braccio. Doveva avere solo poche stagioni in meno del suo Pirecrate, sebbene
suo figlio dimostrasse già tutta la gagliardìa di una famiglia guerriera.Gli occhi gli corsero dove alle mura di Atene si combatteva. Frecce volavano
come chicchi di grandine sotto quel sole cocente e gli echi delle battaglie
fendevano la spianata. Nascose l'armatura che aveva sciolto dal proprio corpo dietro dei cespugli.Il cielo accecava, ma il suo splendore era freddo. Pirecrate ingoiò un
boccone amaro vedendo suo padre, un bambino in braccio, correre veloce per
il sentiero nel bosco. Verso Atene.
Un respiro, nel buio appena accennato, rischiarato da una luna invisibile
dalla finestra di quella stanza. Eros accarezzò la fronte contratta del giovane Spartano, osservandone i lineamenti in un buio non così atro da
impedirgli di vedere.
"A Zeus non piace che si sveli il passato ai mortali. Sai, la solita storia
dello sciopero minacciato dalle Parche..."
"Hermes, possibile che tu debba seguirmi
ovunque?"
"Fino a che ti crogioli nel letto con un mortale, non ti mollerò un solo
attimo."
"Io non ho fatto niente, in fondo: era giusto che Pirecrate sapesse il vero
motivo che spinse suo padre. Non fu abbandono del campo di battaglia, e l'ultimo dei Dimani non dovrà più vivere con l'ombra del miasma a rendergli la
vita un incubo."
"Tu non sei così generoso. Sei Eros, tendi sempre verso qualcosa, la
Perfezione, che non hai. E per raggiungerla aspetti solo..."
Il dio dell'Amore inclinò il capo in avanti, i suoi occhi sottili come il
sospiro del vento tra i rami inclinati del bosco.
"...Hermes, il buio ha mille orecchie. Lascia che il mio segreto rimanga soltanto
mio."
"E io?"
"Non forse è la stessa
cosa?"
Hermes rise, e scomparve. Soltanto un eco della sua risata scivolò veloce
per i corridoi. Eros poggiò le proprie labbra su quelle di Pirecrate, sussurrando:
"Sveglia..."
_____
"Sveglia..." Atene... Perché gli veniva in mente
Atene? Sfuggiva, sfuggiva quel sogno strano. E non doveva, non voleva.Il pavimento si rivelò stranamente soffice e le membra che stringeva alla
vita sottili ed elastiche, forti. Aprì gli occhi; ne vide avanti a sé un
paio così vicini, così chiari, così belli... il calore consistente d'una
pelle morbida, un respiro sottile ed affrettato.
"Pirecrate..." un sussurro, da una voce. *Quella* voce, inconfondibile,
poteva essere l'ambrosia degli dei... non se la sarebbe mai levata dal cuore
Con la coda dell'occhio riconobbe i tratti della sua stanza in Delphi, ma chi aveva tra le braccia... chi... Chiuse con forza le palpebre, scostando
il proprio corpo da quello che con tanto vigore aveva tenuto stretto, senza
cui ora che s'era allontanato, seppur di poco, provava un vuoto terribile.
Respirò, lentamente e riaprì nuovamente gli occhi, convintosi che voltandosi
tutte le illusioni dei sogni non sarebbero state più lì.
"Phìle Pirecràtes... pòs me pheugeis?" ancora più flebile, ancora più caldo,
dietro di lui.... Due braccia, carezzevoli, gli cinsero la vita con una delicatezza e
leggerezza estreme, gli tolsero il fiato. Le afferrò con forza, tentando di
non far tremare l'aria dentro di sé. Si voltò di scatto e sfoderò in un
lampo tonante di Zeus la spada che era riuscito a raggiungere, ponendola al
collo di chiunque stesse osando scherzare coi suoi sentimenti. Era tempo di
finirla."Pirecrate, non mi riconosci?" appoggiò il capo sul ferro. I capelli castani
scivolarono su quella lama impietosa e la pelle calda venne a contatto col
suo gelo, le labbra schiudendosi leggermente. Tremò il filo, premendo un pò
troppo, graffiando il collo. Pirecrate la scansò immediatamente portando le
mani sulla pelle ferita come da un sottile foglio di papiro, le sopracciglia
corrucciate e gli occhi profondi. Eros baciò un polpastrello indurito dalle
armi e sorrise, la bellezza e la fulgidezza divina trasparendo in tutta la
loro magnificenza anche in quella forma umana.
"Non sei tu..."
"Perchè no, Pirecrate?"
"Perchè non puoi essere
tu."
"Non ci saremmo dovuti più
rivedere?"
Cos'era che lo trascinava verso un abisso tanto profondo da cui sapeva bene
non sarebbe più riuscito a venire fuori? Quella spinta, quel comando imperioso del suo corpo e di un'intera parte del suo spirito? Un tranello,
un inganno, di questo sapeva l'Idrio che aveva davanti agli occhi, lo sapeva
oh dei se lo sapeva... non era lui. Non poteva. No. Non era Idrio. Ma lui
voleva fosse così. Gemeva dentro di sé, lo guardava, lo toccava, riusciva a
stringerlo, lo vedeva sorridere, lo sentiva parlare e bramava di poter accarezzare con la sua quella lingua rosea che pronunciando il theta si
posava tra i denti, sfiorando le labbra socchiuse.Un sudore gelido gli squassò le viscere, un forte giramento di
testa.
"Mi trovo nel tuo cuore,
Pirecrate?"
"Oh, Idrio..."
"Allora, Pirecrate?"
"Idrio, io..."
"Baciami, Pirecrate"
"Ti bacio, Idrio" si sporse in avanti, le sue labbra cercarono tentennanti
quelle dell'altro, guidate dal calore e dall'odore. Eros si lasciò accarezzare da quella bocca rovente, giocandoci, accarezzando
languidamente la pelle dello spartano.
Quando la sorgente del suo riso infuse di miele quella di Pirecrate, lo Spartano si riassopì, scivolando
stavolta in un riposo pesante, senza sogni.Eros si dissolse. Al suo posto, uno sciame di petali, tra le coperte, che
uno ad uno, seguendo il vento sottile, slittarono via.
________
Prese il corridoio principale, inondato da un'alta marea di luce, ancora
immerso in pensieri confusi. Sembrava lontana da lui anni quella notte appena trascorsa, eppure... poteva sentire ancora sulle labbra il sapore...
Bloccò il proprio assente incedere quando, d'improvviso, si trovò di fronte,
quasi comparso dal nulla come i demoni che gli avevano tormentato la notte,
un uomo chiaro, luminoso. Pherio, un viso così ben conosciuto, ora scolpito in un'espressione stranita
stupefatta. Tanto che impiegò qualche attimo per accorgersi che davvero fosse lui. L'altro si limitò a tirarsi un poco di lato senza cessare, tuttavia, di
fissarlo dritto negli occhi. Pirecrate stette immobile, sostenendo intensamente quel ciglio senza provocazione, senza acredine, ma tutt'altro
che carente di spirito. E, un attimo prima che entrambi riprendessero la propria strada, Pherio si scosse, prendendo anche se stesso alla
sprovvista.
"Pirecrate."
"Che c'è?" ribatté il Dimano voltandosi: si aspettava un rimprovero, o forse
una ripresa della discussione avuta il giorno precedente, ma Pherio non sembrava avere intenzioni ostili. I capelli legati più morbidi del solito,
in quella treccia che sempre si posava sulla schiena, e gli occhi lucenti,
ma tersi. Pareva appena uscito da un lungo sonno: il volto ultimamente sempre teso e segnato da pensieri e stanchezza era adesso sereno e
tranquillo. Come se, dopo mesi e mesi di discussioni interiori, fosse giunto
infine a una decisione e avesse stipulato una tregua con se stesso."Sto andando ad un tempio di Minerva, non lontano. Vieni?" gli domandò, così
a bruciapelo. Pirecrate lo scrutò, alzò un sopracciglio assorbendo con gli occhi il suo
sguardo e traducendo con l'animo la sua condotta. Eh sì, quella mattina si
erano svegliati tutti strani. Senza fiatare assentì, col capo. Presero a camminare fianco a fianco, il giovane uomo biondo più alto dell'altro per
qualche centimetro evidente. La strada serpeggiante, via via che s'allontanava dal recinto sacro, si
faceva sempre più stretta e pareva scavata, nella roccia, da secoli e secoli
di piedi che si sovrapponevano verso un'unica meta. Il sole già da un po'
calava, era a metà strada verso la notte, quando giunsero nei pressi dell'antichissimo tempio dorico dedicato a Minerva, pieno di ex-voto depositati
da anni e anni di peregrinazioni di popoli, greci e no, su quelle sacre strade. Pirecrate guardò per un lungo momento incantato le belle colonne rastremate
verso il basso, il loro piantarsi saldo sul terreno senza avere bisogno di
basi, ed il capitello semplice ed essenziale a reggere l'architrave. La strana forma che gli apparteneva, circolare, sembrava intonata con il resto,
tutt'intorno, il rado boschetto di ulivi che avevano attraversato per arrivarci, il quieto silenzio che lo circondava, il suo essere fuori dalle
mura del recinto sacro eppure così vicino ad esso da renderlo un luogo insieme raccolto e molto visitato. Anche se in quel momento non c'era alcuna
anima, come se fosse stato in attesa di loro e adesso li richiamava nei
segreti del suo cuore.Dalle metope immobili s'irradiava un'energia enorme.
Pirecrate fece il giro del tempio modesto in ampiezza ma armonico, per
osservare tutti gli avvenimenti scolpiti. Era rappresentata la sfida tra Poseidone dai piedi argentati e Minerva dall'elmo splendente: la dea, in una
metopa di particolare bellezza, piantava la bella lancia nel terreno, da cui
fiorì una foglia ed un ramoscello sottile sottile. Un triglifo, fortemente
scavato e su cui si disegnavano ombre, divideva quella piccola gemma preziosa dalla successiva, in cui un cavallo impennato affiancava l'ulivo
appena cresciuto. Proporzione forte, tratti decisi, vitalità, robustezza e
saldezza tutt'insieme, lo trascinarono per fulgenti attimi altrove. Tornato
nella parte frontale, non guardò neanche se Pherio fosse ancora lì: osservò
invece una metopa più lunga e larga della altre, in cui Minerva in piedi sembrava guardarlo, con gli occhi
immobili. Minerva... Poggiò i polpastrelli della destra su una colonna, scrutando le
pieghe del marmo. . Tornando alla realtà si guardò intorno alla ricerca di
Pherio. Ma non c'era. Ah, ma forse, come figlio di una sacerdotessa, poteva avere accesso al naòs
interno e come i funzionari del culto contemplare la splendida statua della
dea nascosta agli occhi degli altri mortali. Il Dimano guardò a destra, a sinistra, nessuno in giro. Salì i tre gradini e
quando arrivò tra le colonne prese un respiro e sereno domandò al marmo.
"Non me ne avrai per questo, vero
Minerva?".
La sua voce fece un po' eco. Guardò dentro e in fondo, nel cuore del tempio,
vide Pherio in piedi davanti a una statua di cui il busto, coperto dall'architrave della porta del naòs, Pirecrate non aveva visuale. Prima di
entrare nella cella si fermò ad osservare il prònaos ricco per doni e per
offerte, di tutti i tipi: oro oro e oro che nessun brigante greco si sarebbe
mai azzardato a toccare, onde non attirarsi la stizza divina. La luce filtrò
debolmente: quella marea dorata rifulse e, toccata direttamente forse dalla
mano divina di Apollo, in un angolo qualcosa brillò di un bagliore diverso,
seppur della stessa tonalità. Pirecrate, incuriositosi, si avvicinò e allungò una mano per prendere ciò che era un po' nascosto tra le altre cose:
dei capelli, una treccia dorata di tre passaggi, strettamente legata alle estremità da laccetti di cuoio scuri.Con essa ancora in mano si riavvicinò
all'entrata e la mise sotto la luce solare: una sola persona, tra quelle che conosceva, aveva dei capelli così
chiari. Possibile? Eppure poteva anche essere di qualche mezzo barbaro, o magari di chi aveva
ucciso dei barbari e .. i polpastrelli ne saggiarono la consistenza. Era abbastanza vecchia, la polvere e il tempo probabilmente avevano smorzato il
colore iniziale, che doveva essere d'un dorato abbacinante; non era morbida,
ma sembrava brillare della luce che si emanava da Pherio.Scosse un poco il capo accettando ciò che chiaramente dentro di sè aveva già
capito; la guardò ancora per un attimo e la rimise nella stessa posizione in
cui l'aveva trovata. Si rivide davanti Pherio, i primi tempi del loro addestramento, l'unico ragazzo in tutta Sparta che avesse il coraggio di
farsi vedere in giro con i capelli così corti. All'inizio aveva pensato che
anche lui, se fosse stato biondo, se li sarebbe probabilmente tagliati per
non farlo notare a nessuno, poi il tempo era passato, Pherio aveva preso a
farseli crescere e tutto era diventato abituale, anche quel colore impossibile sulla chioma del suo compagno.Invece era stata una dedicazione, quella. Più si avvicinava a Pherio e più intuiva che c'erano cose che mai aveva
soltanto sospettato dell'altro . . e più capiva che l'odio e l'invidia lo
avevano accecato per troppo, e che aveva eliminato troppe domande che, invece avrebbe dovuto porre. Non poteva negare che loro due avessero dei
conti in sospeso, però... era stanco di odiare, era stanco di provare risentimento e rabbia perenni: davanti a lui s'apriva una strada nuova, e
avrebbe tentato a seguirla. Entrò nel naòs, si guardò intorno per qualche secondo. Si mise accanto a
Pherio, concentrato nella preghiera, stante, e attese la fine di quello stato imperturbabile che sembrava la contemplazione di qualcosa ad occhi
chiusi; osservò la statua in legno della dea, illuminata sacralmente dalle
fiaccole del fuoco che brucia senza far fumo e rischiarata gioiosamente dalla poca luce che Apollo faceva entrare tramontando: la parte frontale del
tempio era rivolta ad Ovest.Il silenzio pacifico fu dolcemente spezzato dalla voce di Pherio, un suono
lontano perché sembrava venire da chissà che viaggio...
"Mi hai attaccato alle
spalle."
Le parole si persero nella volta che li sovrastava. La voce, di solito calda
ma squillante e decisa, era ora lievemente pastosa, come se fosse.. densa.
Come se lo raggiungesse da oltre una cortina spessa.
"Lo so."
"Allora?"
"Non mi avresti ascoltato
altrimenti."
"E' questo il vero perché?" ...'E Astre?' sembrava
palpabile.
"Vali molto di più di come parli e
ragioni."
"Perché oggi mi hai seguito?" la domanda lo colse
stranamente: non sapeva neanche lui il perché lo avesse fatto... aveva solo obbedito a un impulso
che gli aveva pervaso l'anima e che solitamente gli suggeriva il vero.
"I tuoi occhi mi hanno detto ciò che le tue labbra non dicono perché
impedite dall'orgoglio, Pherio."
Si voltarono l'uno verso l'altro nello stesso momento, guardandosi in volto.
Era un'offesa, ed entrambi ne erano ben coscienti: Pherio gli era stato assegnato come superiore e non avrebbe dovuto dargli dell'orgoglioso
arrogante, anche se entrambi sapevano che era vero. Ma le parole e le emozioni, i pensieri, che erano fluiti e ancora fluivano tra di loro non
erano quelli scambiati tra un comandante a un sottoposto: Pherio gli si era
rivolto come amico, e come amico gli aveva risposto. E come amico si sentiva
ora, il cuore stranamente pervaso da questa certezza.Ai piedi della statua stavano alcuni recipienti. Pirecrate ne prese uno e ne
tirò il contenuto addosso a Pherio, mettendosi a ridere ancora più forte,
senza poter evitare il contrattacco dell'altro.
"Accidenti a te."
"Non ho resistito!"
"Ma lo sai che il sale non si
leva?"
"A casa si mangia tutto sciapo...- si leccò le labbra, insaporite dai
bianchi cristalli- senti quant'è buono!"
Pherio lo fissò, non sapendo se ridere o rimproverarlo per l'infantilismo,
ma poi cedendo si leccò anche lui le labbra. Allora sì che rise, un riso
simile ad un sorriso pacato... e sollievo dentro di lui, riflesso in quelle
iridi chiare, come forse mai erano state. Sì, c'era sollievo, e una nuova
sicurezza. Tornò serio.
"Verrai in Egitto con me?"
Silenzio. Pirecrate scosse il sale dai capelli, che rimasero comunque
costellati da minuscole stelle saporite, e lo guardò negli occhi.
"Volentieri, lo farei. Anche se ti basterebbe comandarmelo: son stato
disposto ai tuoi ordini."
Pherio scosse il capo, lentamente, le labbra increspate ancora dal sorriso
precedente e da uno nuovo.
"Volevo sapere che ne pensassi prima che te lo ordinassi! - ricambiò con i
propri occhi, canali di un dialogo invisibile, lo sguardo, come se stesse per parlare di fronte agli dei: col cuore in mano - In questa missione ho
bisogno di qualcuno in cui possa confidare e non c'è nessuno, in tutta Sparta, di cui mi fidi più di quanto mi fido di te."
Astre, il principe per ora senza regno, fu l'ultimo a lasciare il proprio
alloggiamento con solo una piccola sacca di pelle appoggiata alle spalla, e
la solita immancabile espressione di sufficienza sul volto, anzi ora anche
più accentuata. Quando uscì al sole, arrivato all'ingresso di quel misero
edificio, socchiudendo gli occhi per la troppa luce, notò che già tutti
erano pronti. Non rispose allo sguardo annoiato e tagliente di Pherio e non
si curò neanche di guardare Pirecrate. Iniziò a camminare, seguendoli come
un cane che doveva seguire il proprio padrone, la mente rivolta tutta alla
fuga.Niente più lo legava a niente: allora se in un luogo gli conveniva tornare
era dove almeno fosse ritenuto qualcuno o qualcosa, anche se soltanto per il
sangue che gli scorreva nelle vene.Il vento soffiò come un lampo sulla terra. Qualche foglia, appiccicata al
terreno dopo esser stata sbattuta via dal temporale della notte scorsa e percossa dalla pioggia, si sollevò per metà; un'altra, più determinata,
riuscì a seguire la forte folata andando ad insozzare una gamba di Astre,
scoperta perché si teneva la veste leggermente sollevata per non permettere
che si macchiasse di fango. Non era una vecchia abitudine: dove camminava lui, a casa sua, c'erano solo pavimenti lucidi e si poteva fare avanti e
indietro tutto il giorno con la veste lunga senza ritrovarla scurita dalla
polvere la sera; era semplicemente il suo senso di dignità che non lo voleva
far abbassare al livello di quegli altri indegni. Quando passò davanti ad un gruppo in attesa d'entrare, riconobbe una della
bambine che aveva incontrato tre giorni prima e con un gesto lento ed
elegante del capo la salutò. Quella sorrise, arrossendo, sentendosi salutata
da uno che sembrava un principe tanto era bello.Poi accadde una cosa: Pirecrate si era bloccato apparentemente senza motivo,
fissando un uomo in fila, da un lungo abito bianco, molto semplice ma palesemente costoso. Astre passò accanto allo Spartano e scorse lo sguardo
che gli riluceva sul volto, aspro, minaccioso. Pherio stesso si voltò, lanciando occhiate veloci tra il Dimano e l'uomo, che scosse il capo con un
sorriso ironico sul volto.
"Qualche problema, *Ateniese*?" Pirecrate era evidentemente
indispettito.
"Mi chiedevo soltanto perché adesso a Delphi accettassero anche il fango
della Grecia." mise la mano sulla spada nel caso quel bastardo di uno Spartano osasse venirgli addosso. A Pirecrate si sgranarono gli occhi, ma
invece di scattare in avanti come fu il suo primo impulso, rispose.
"Razza di femmine.." con voce atona, riprendendo a camminare: la perdita di
fiato non valeva la pena. L'Ateniese ringhiò, ignorando sprezzante l'occhiata gelida di
Pherio.
"Altrettanto per chi se la prende con un gruppo di
ambasciatori!" Questa volta fu il Panfilo a ribattere, calmo, bloccando sul nascere
qualsiasi cosa impulsiva stesse per dire Pirecrate e anche qualsiasi azione
ne sarebbe sicuramente seguita.
"Nessuno ha levato un capello ai vostri preziosi ambasciatori: li abbiamo
trattati con tutti i riguardi". A queste parole, come se fossero state sputate addosso, un paio di quel gruppo vennero avanti, piantandosi innanzi
a Pherio.
"Gran bell'idea avete di ospitalità,
Spartani!"
"A Sparta tutta spiacerebbe sentire queste parole oltraggiose in bocca a chi
abbiamo trattato come si deve un ospite." era glaciale Pherio, gli occhi spenti, ma che celavano un guizzo pronto a divenir fuoco distruttore se
soltanto la volontà gli avesse lasciato campo libero.Un Ateniese più anziano scansò gli altri due senza dire nulla, scrutando per
qualche istante Pherio e poi Pirecrate, che tremando quasi fremeva per dare
una lezione a chi avesse osato offendere l'immacolato nome della Lacedemone.
Se Pherio non lo avesse intimato a stare zitto e fermo gli sarebbe saltato
in gola e avrebbe staccato la testa a chiunque avesse osato affermare
qualcos'altro.
"Licin-" tentò quello che aveva iniziato a guardare torvo Pirecrate non
appena si era avvicinato."Silenzio, Midoro. Nessuno intendeva offendere Sparta, ma è vero che, se
nessuno tra noi si sarebbe mai augurato di doverlo fare, sono soltanto i fatti ad avere spinto un animo che, ahimè, è sempre troppo
impudente."
"Niente mai abbiamo trascurato.". Licine, anziano ateniese ed esperto del
mondo, cercò ancora una volta negli occhi una macchia che potesse indicare
sospetto in quelle iridi. Nonostante molte fossero le cose che trattenevano,
non vi vedeva affatto menzogna, ma una risolutezza simile soltanto a quella
di chi sa di essere nel giusto e di dire il vero. Ma oramai che importava ciò che era vero? Gente che era stata mandata a
Sparta non aveva più messo piede nella propria polis, e questo alla folla
bastava. Una guerra sarebbe già scoppiata, se alcuni abili oratori non avessero trovato il
modo di rimandarla... ma era solo un intervento temporaneo: lo strazio dignitoso
delle famiglie e degli amici ricordava ogni giorno del torto e della perdita
subita a causa degli Spartani, di quegli animali senza ragione. Pherio si voltò ad osservare Pirecrate, che sembrava essersi quietato e poi
vide quell'uomo moderato salutarlo e tornare in fila, assicurandosi che anche gli altri facessero lo stesso. Evidentemente quello che era alla base
di tutto gli sfuggiva... Sparta ed Atene erano sempre state nemiche ma con
la Persia che premeva ai confini tentavano di non scatenare conflitti
interni. Sparta non aveva fatto niente: l'uomo aveva parlato di ambasciatori
ma il gruppo era stato rilasciato sano e salvo dalla città. Che potevano volere da loro? Una
scusante?
"Pherio andiamo!" ordinò il capitano e il Panfilo riprese a camminare, senza
voltarsi indietro. Ed era come se, indietro, non ci fosse nessuno a pochi passi da lui, ma accanto la sua era disegnata nel terreno umido l'ombra
chiara di Astre.
__
La poppa della nave indicò il sud partendo ed il vento gonfiò le vele, la
città sacra al signore del sole alle spalle. Il mare era calmissimo e mille
lucciole risplendevano nella sua superficie, abbagliando quasi gli occhi di
chi nella loro contemplazione indugiava. Fu così, piatto come l'olio dei verdi ulivi dell'Ellade, fino a che l'imbarcazione volò veloce verso Creta. Non appena il legno s'adagiò su quella riva già la pioggia cadeva sul regno,
ora plumbeo, di Poseidone.Contro ogni volontà di Pherio il re dell'isola non permise a nessuna nave di
partire almeno fino a che le piogge non finissero: il pericolo delle tempeste difficilmente lasciava scampo alle navi, resistenti che fossero.
Furono dunque ospitati alla corte del re in attesa delle prime giornate di
primavera: Astre chiuso nella propria stanza, più freddo della pioggia, perché nessuno sospettasse qualcosa di lui vedendolo andare in giro sempre
sorvegliato da qualcuno; Pherio facendo su e giù i primi tempi per tutti i
corridoi del palazzo reale, fino a che Pirecrate, con un'emicrania paurosa a
vederlo consumare i pavimenti e innervosito, gli propose di fare un po' di
allenamento. Pherio accettò di buon grado.Il Dimano, poi, cenava sempre alla tavola del re, come diplomaticamente
Pherio gli aveva spiegato dovesse fare, ma lasciava la sala non appena qualche giovane rapsodo venisse chiamato dal tiranno. Gesto scortese quello
dello Spartano, ma veniva lasciato correre: era risaputo che tale popolo non
gradiva versi che non servissero a sottolineare il ritmo della marcia... Non appena Apollo iniziò a rinvigorire la terra con raggi più saldi e più
vigorosi, il Panfilo insistette talmente tanto col re, amico dello zio, da
ottenere le partenza. Così lui, Astre e Pirecrate presero la prima nave di
commercianti cretesi che aveva come destinazione l'Egitto; gli altri
spartani tornarono nella loro amata polis con l'imbarcazione con cui fin lì
erano arrivati. Pirecrate, seduto come al suo solito sulla poppa della nave, si voltò verso
Pherio chiedendogli in quanto tempo sarebbero arrivati.
"Credo due mesi e saremo lì." rispose il Panfilo. Astre, lì vicino, rise, ironico e tagliente, appoggiando il capo, in questo
modo oscurando metà viso, sul braccio posato su uno degli alberi.
"Pesce di fiume, Pherio! Siamo nel mare, non più tra le vostre adorate
isolette! *Se* lo metteremo il piede in Egitto - falciò acre ma con la solita voce modulata e perfetta, riferendosi al fatto che quel *genio* nel
senso puro della parola era voluto partire ancora prima che l'inverno si placasse, cosicché avrebbero avuto più possibilità di incontrare tempeste-
lo faremo non meno che fra quattro lune nuove!"
Pherio, non affatto abituato ad essere ripreso tranne che da Kakeo, si morse
la lingua dalla rabbia ma non aggiunse un solo fiato. Non perché temeva che
Astre avesse ragione ma semplicemente perché aveva scoperto che ogni cosa
pareva andare meglio quando evitava di rivolgere la parola al persiano.Gli voltò la schiena, in silenzio, evitando anche di guardarlo e fissò lo
sguardo nell'ampio azzurro: il mare, limpido e freddo, che spruzzava miriadi
di gocce di spuma nell'aria umida. Si avvolse strettamente nell'ampio manto
carminio e si sistemò accoccolandosi fra ampie matasse di corde. I delfini
danzavano leggeri tra cielo e acqua, l'aria era piena delle grida garrule dei gabbiani che con l'avanzare delle ore si fecero via via più radi,
abituati com'erano a vivere accanto alle coste. Pherio sollevò lo sguardo schermandosi gli occhi dalla luce del sole tiepido
che pareva trafiggere tutto il cielo. Sua madre, spesso, quando guardava quello scudo dorato infisso nella volta celeste udiva delle voci e quando
era piccolo si sforzava anche lui di udirle convinto che prima o poi le
avrebbe sentite. Ma non c'era mai riuscito. Ora però aveva qualcosa dentro,
una strana musica accordata con il sentire della sua anima. Non era propriamente una 'voce', non c'erano parole, ma forse . . forse erano simile
alla nenia delle sirene che incantavano gli uomini e facevano sfracellare le
navi sugli scogli. Ma tutt'intorno a loro non c'erano scogli, non c'era nulla se non un'ampia distesa di acqua salata, di spuma e di scintille di
sole. Si strinse le ginocchia fra le braccia, posandovi sopra la fronte, sfuggendo
allo sguardo inquisitorio di Pirecrate. Notò appena con la coda dell'occhio
la figura sottile di Astre mettersi al riparo dagli schizzi di spuma e mettersi a leggere qualcosa, ma lì non doveva preoccuparsi troppo del
principe: non avrebbe potuto fuggire, non c'era che il nulla a circondarli .. chiuse, dolorosamente, gli occhi udendo il movimento che sorse al suo
fianco, la presenza di Pirecrate che gli si sedette al fianco.
"Ti vedo sempre più scuro in volto,
Pherio."
Aveva creduto sarebbe bastato uscire da Sparta, partire per quel viaggio che
da anni, lui e suo zio stavano organizzando, intessendo contatti diplomatici
personali e impalpabili con stranieri e persone che avrebbero dovuto essere
nemici. Avevano camminato, loro due, sul filo della spada che divideva la fedeltà dal tradimento, e ora che tutto stava per dimostrare che avevano
ragione loro, che non c'era tradimento, che tutto quello era solo per la
gloria di Sparta .. ora il cuore gli era pesante e l'anima gravava di ombre
dense.
"Nulla. Astre è convinto che gli spartani non siano adatti ad andar per mare
magari ha ragione lui."
Sorrise, un ghigno amaro a tendergli le labbra e poi il silenzio. Pirecrate
si aggrottò ma non aggiunse nulla, avvolgendosi anche lui nel proprio
mantello, rimanendo al fianco di Pherio.
Continua...
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