Eccoci qua!
Avevate pensato che dopo la pausa estiva, la pausa sessione autunnale di esami universitari, la pausa di inizio scuola, la pausa di natale capodanno ecc ecc ci fossimo dimenticati di voi, eh? E soprattutto pensavate che avremmo lasciato i nostri poveri tormentatissimi eroi spartani e persiani? Non sia mai!!!!
Eccovi il seguito!
Promettiamo solennemente,io e Kalahari, che questa fic avrà una fine! Poveri voi che dovrete sorbirvela TUTTA!!!!
NOTE: i personaggi sono nostri ecc ecc..
Di odio e
di Amore
parte
XIX di
Dhely e Kalahari
Pherio procedeva a passi lunghi e rapidi in quei corridoi enormi e sgombri, conosciuti da lui meglio di tanti sacerdoti che vi vivevano. La sua irritata sicurezza spingeva alcuni che avrebbero dovuto incrociare la sua strada a ripiegare per altre vie: l'aspetto aveva quello Spartano d'un dio ribollente di odio furioso.
Irritato, sì, lo era, e a morte, con i folli intenzionati a mettersi fra il dio e lui, pretendendo di interpretare le parole della Pizia quando lui stesso era in grado di farlo molto meglio di tutti loro messi insieme. Questo era il modo in cui gli uomini guastavano le opere belle degli dei! Aveva lui orecchi per udire e occhi per vedere? Ecco, null'altro serviva! Non stupidi sacerdoti che strusciavano le vesti lunghe sui pavimenti lucenti! Non uomini che sussurravano frasi nel buio delle sale in cui la vergine dava voce ai voleri dei superni! Gli uomini erano nati per stare su un campo di battaglia con una spada in mano, a difendere la propria terra e il proprio onore, non invadere con la propria stolta presenza ambiti in cui erano ignoranti!
Beata Sparta: da sempre, e per sempre, si lasciava guidare dai vetusti e saggi insegnamenti di Licurgo, e non permetteva quell'orrore che infrangeva ogni buon senso e macchiava i templi e rendeva fumo parole divine!
Sparta. Per lei era andato a chiedere il responso, sebbene il cuore stava in petto come un macigno doloroso. La Pizia non vi aveva fatto parola e ciò era un bene: non abbisognava di consigli, lui, aveva solo necessità di più forza, più costanza . . doveva solo riuscire a resistere a . . a ciò a cui stava resistendo da tempo.
Si passò una mano sugli occhi. Dannazione a Pirecrate e ad Astre, alla propria caparbietà e agli dei che parevano proprio avergli voltato le spalle! Perché, per quanti sforzi facesse, non riusciva a togliersi dalla mente quell'immagine: la mano scura di Pirecrate sulla schiena nuda, bianca e flessuosa di Astre, il collo sottile lievemente inclinato ad appoggiare il capo su quelle spalle ampie! E quella mano, maledetta, quella mano a cingergli la vita, sfiorando quella pelle e sentendone la consistenza e assorbendone il profumo! E maledetto Astre che non fuggiva quel contatto, ma vi s'abbandonava ad occhi socchiusi, il volto velato da quei capelli che, come cortine di seta preziosa, lo avvolgevano schermandogli il viso, nascondendo al cielo quegli occhi di notte estiva!
E maledetto era soprattutto lui! Lui, il migliore, il più abile, il più nobile seppur mezzosangue, il più fulgido esempio di quanto gloriosa fosse Sparta, lui! Innamorato! La mente invasa da un unico pensiero in grado di fargli dimenticare anche i suoi doveri, i suoi obblighi .. e non solo quello, no! Lui innamorato d'un *persiano*. Il nemico.
Deglutì dolorosamente. Neppure finiva lì: non *un* persiano, no. *Il* persiano. Il Re senza corona, ancora principe ma destinato al trono. Colui che potendo avrebbe attaccato la Grecia per piegare ai propri capricci e voleri la libertà eterna delle città. Un pugnale nel cuore, ecco quello che avrebbe dovuto donare ad Astre! Ecco cosa si meritava! Ecco cosa avrebbe fatto, se non ci fosse stato quell'ordine di portarlo in Egitto.. e lui ce l'avrebbe portato, a costo di trascinarcelo per i capelli! Oh sì! E pregava che gli egizi lo uccidessero in una maniera dolorosa, senza pietà alcuna, nel modo stesso in cui lui avrebbe voluto fare, e che non avrebbe mai potuto . .
Astre. Si guardò le mani, stringendole.
E Pirecrate. Ma come aveva potuto? Quale demone funesto lo aveva condotto a credere di potersi fidare di Pirecrate? Uno Spartano, sì, di nobile famiglia, sì, ma figlio d'un traditore! Di un uomo che non aveva posto pensiero due volte all'abbandonare un campo di battaglia, per gli dei! Che aveva abbandonato i propri compagni per andare chissà dove, per fare chissà che cosa, per non pensare poi a tutte le versioni che erano circolate all'interno di Sparta. E lui era stato così ingenuo da lasciare che un sentimento strano e di sicuro contro giustizia divina lo accostasse all'ultimo Dimano, un cane relitto tra i lupi.
Non che lui, Pherio, fosse un qualcosa di diverso. Sangue barbaro fluiva nel
suo corpo. Si strinse le mani intorno alle spalle, abbassando il capo, appoggiandosi ad una delle ruvide colonne interne di chissà che corridoio. Le ombre e le luci battevano le une contro le altre, si spezzavano a vicenda ma nessuna riusciva a contaminare l'altra. Contaminazione.
Miasma.
Perché per gli uomini non poteva essere altrettanto? Perché le colpe di un padre dannavano per sempre un figlio e tutta la discendenza quando non scontate?
La testa iniziò a battergli, serrò i denti, tremando. Loro due, però, stringendo i conti, non differivano in molto. Entrambi erano maledetti, per sempre, fino a che qualcuno con nelle vene quel sangue infetto non avrebbe pagato il pegno a Zeus. E Pirecrate lo aveva tradito, Pirecrate aveva stretto chi a *lui* spettava di diritto, e ciò faceva molto più male che pensare Astre sotto le coperte di suo zio!
Perché Pirecrate era... chi più di tutti mai era arrivato vicino a considerare amico.
Rise, riprese a camminare, barcollando due passi, una mano appoggiata al muro, fece due respiri profondi.
Perché Pirecrate, poi, avrebbe dovuto aver riguardo per lui? Lui che aveva passato la fanciullezza da solo, con sua madre, nel recinto del tempio, e solo quand'era stato il tempo di iniziare il suo addestramento militare suo zio l'aveva accettato nella sua dimora. E Pirecrate aveva iniziato ad odiarlo sin dall'inizio.
Da subito lo aveva guardato storto con quegli occhi di freccia robusta e appuntita, seppur ancora fanciulli.
Perché al contrario degli altri aveva i capelli rasati, perché al contrario degli altri era pallido, perché al contrario degli altri non riusciva a batterlo. Mai! Gli dei tutti lo sapevano: *mai*! Pirecrate non valeva i suoi sforzi! Pirecrate non era degno, e suo zio aveva ragione a trattarlo come lo trattava, sopportandone appena la vista, come se con la sua sola presenza rovinasse l'equilibrio e la forza di Sparta!
Ma se lo sapeva, allora qual era la cagione di tanto dolore. Un'assurdità senza nome che squarciava i visceri e piantava le grinfie nel cuore? Perché al quotidiano struggimento per Astre s'apponeva anche quella bestia aggrumata intorno all'immagine di Pirecrate?
Aveva davvero creduto in Pirecrate. Aveva sentito che con l'ultimo dei Dimani avrebbe potuto... e cosa si ritrovava ora? Tradimento. Da parte di chi amava, e da parte di chi avrebbe desiderato accanto più di tutti come la persona speciale che nella vita di un essere umano è l'amico. Ma bene. Meglio sbagliare nelle cose quando le conseguenze ancora non sono esiziali. L'importante era che avesse appreso la sua lezione di vita.
Il cuore, quella fonte di dannazione, gemette, ma la mente immediatamente soppresse quel moto irrazionale. Si impose un freno a quei pensieri futili. E poi.. Non si trattava di lui o quei due: era l'intera Grecia a pendere dalle sue azioni e dalla sua abilità. Un fardello che non gli pesava per la mole, bensì per tutto quello cui rinunciava. Doveva portare Astre in Egitto, per la Grecia, per Sparta.
Intrecciò le mani dietro la schiena, tendendo i muscoli, cercando di respirare più tranquillamente. Era un mezzosangue, questo nessuno poteva negarlo e lui per primo non lo avrebbe fatto. Tuttavia la metà Pamphila era abbastanza per purificare la lordura barbara. La discendenza dimana si sarebbe dileguata come polvere estiva mente i figli suoi e della famiglia cui apparteneva sarebbero stati investiti di gloria eterna. Rapsodi di tutte le età avrebbero cantato il suo coraggio e la sua intraprendenza.
Come l'errante tra le campagne viene piacevolmente sorpreso, d'improvviso, da tutto il silenzio che lo circonda, così Pherio si guardò intorno scoprendo di trovarsi in uno dei
piccoli giardini interni, di solito appannaggio dei sacerdoti. Un sorriso spontaneo mitigò la piega della bocca. Un giardino: un fazzoletto di terra che, strappato al monte scosceso, sfiorava in quel lato l'enorme tempio del dio e rigogliva di piantine e fiori normalmente selvatici, lì curati dall'uomo. Niente a che vedere coi ricchi, meravigliosi spazi allestiti per incantare gli ospiti. Piccole piante aromatiche godevano della luce di Febo: la menta frusciava piano spandendo il suo fresco aroma nell'aria, e altre piante odorose, utili per purificarsi, fondamentali per la Pizia e i bracieri ardevanti nel tempio.
Sbatté un paio di volte gli occhi in quella luce dal sapore di alieno, e si sentì improvvisamente stanco, i sensi ad un tratto velati, sul corpo tutta la fatica d'un Tantalo.
Ecco: forse era l'aroma placido e candido effuso nel fievole vento intorno a lui, o l'orma dolce del Sole appena riflessa nella immensa pietra calcarea, eburnea e lucente, dalle fulgide vesti d'un tramonto, oppure perchè il divino vaticinio stavolta non l'aveva subito avuto, ed appena era riuscito a sostenere l'autorità incombente della personalità di quella vergine giovinetta investita dal dio, di poco oltre il velame di lino argenteo e leggero; forse a cagione delle oscure ore che da poco avevano visto il proprio termine, che lo avevano svuotato di energie e desideri, in quell'istante si sentì leggero, quasi liberato, purificato, dai gravami sul suo animo. Senza preavviso i tendini si sciolsero, l'angoscia allentò i suoi artigli e Pherio riuscì di nuovo a respirare.
Dentro di sè vide con chiarezza estrema i propri sentimenti, quasi come scolpiti in un cristallo trasparente, e gli obblighi che s'era assunto. Ed era tutto più simile al fissare un'alba pulita, che non un profondo caos: lo scoprire se stessi. Prese un profondo respiro, socchiudendo gli occhi, poi un altro, e un altro.
Percepì un sorriso al suo fianco, una presenza di cui non s'era accorto: un anziano sacerdote avvolto nelle vesti candide ora lise e trasandate, piegato dalla vecchiaia come un antico ulivo, nodoso e storto. Negli occhi una saggezza sconfinata.
"E' strano vedere un uomo di Sparta, quale tu sei, godere così a fondo della tranquillità d'un simile luogo, straniero."
La sua voce era bassa e tremolante, pareva faticare ad uscire. Pherio gli si avvicinò offrendogli il proprio braccio forte.
"Porgo le mie scuse, anziano, se in qualche modo ho arrecato disturbo ai vostri pensieri o azioni."
"Disturbato? Tu? Oh, ragazzo, non farmi ridere! Guardarti mi fa venire alla mente gli anni giovani e gloriosi del mio passato! Sei una benedizione per me! - la voce si abbassò allungando un braccio secco per posare le dita avvizzite sul polso di Pherio, sorridendogli in un ghigno contorto- Io, Spartano, vidi il grande Leonida combattere! Con questi occhi!"
Pherio sobbalzò, appena toccato tosto rapito. Il grande Re di Sparta caduto alle Termopili! Lui l'aveva visto! Ma . . quanti anni poteva avere? Sbatté le palpebre un paio di volte, incuriosito, per poi lasciar perdere, godendo ascoltando in umile silenzio il racconto di quelle giornate che conosceva a memoria, ma che mai si sarebbe stancato di sentir narrare.
Astre sobbalzò violentemente sentendo quella voce alzarsi, dura, a chiedere il permesso di entrare nelle sue stanze. Non l'aveva sentito giungere, immerso com'era in altri pensieri, in altri dubbi. Si voltò appena a fissare, stupito, il nobile Pherio metter piede oltre la soglia della sua prigione, col volto stranamente rilassato, pacato quasi, se non fosse stata per la ferrea determinazione sempre
riflettente nelle iridi chiare.
"Ti devo parlare."
Astre dischiuse appena le labbra per rispondere. Gli fuggì dalle labbra un ghigno amaro. Parlare? Non aveva nulla da dirgli: erano come carceriere e prigioniero, che parole potevano esserci tra di loro? Che frasi avrebbero *dovuto* esserci? Strinse le spalle.
"Parla, dunque."
"Fra due giorni partiamo. -il principe sollevò bene il viso per piantargli gli occhi nei suoi. Lo vedeva saldo ma non duro. . . da quel che i suoi sensi per forza di cose appannati gli suggerivano, un sorriso sarebbe potuto esplodere su quel volto in ogni momento...- Preparati, spero riuscirai a portare con te il meno possibile."
"E' un ordine, spartano?"
"Prendila come vuoi."
"E' questo il tuo modo per farmi scontare il fatto di averti *tradito*, Pherio? Di essere andato a letto con tuo zio, con un tuo amico, con un tuo * compagno* ; con dei tuoi concittadini e non averti *aspettato*? Se questo è un modo per umiliarmi, sappi che . . "
E ancora una volta si trovò spiazzato. Un sorriso, come un bocciolo, stava sbocciando poco a poco: le labbra tirate mostravano lo
scintillio dei denti, un pallido, timido rossore sfiorava le guance, i capelli sciolti sulle spalle, lui che mai si disfava la treccia se non quando andava a dormire . . ma perché? Astre non riuscì a domandarglielo, arretrando di un passo verso il muro alle sue spalle.
Vide il lampeggiare di quelle iridi azzurre come mai, traboccanti di luce e . . passione? Sentì le forti mani posarglisi sulle spalle, e quelle labbra morbide, in una posa che non poteva, che non .. *doveva* essere . .
"Compagno, Astre? Non ho mai avuto compagni, né dentro né fuori la mia città. Io e Pirecrate intendi? - mutò quel fiore dai mille colori, stupore, scosse il capo di fronte al suo annuire - Io e Pirecrate, insieme! Solo a un persiano sarebbe potuta venire in mente un'idea così folle!"
Astre ringhiò la sua rabbia, cercando di scrollarselo di dosso come un'ossessione terribile, ma non riuscì a mettere forza in ciò che faceva.
"E tu. -il suo sguardo mutò, più profondo, dava spavento, quella voce vibrò su corde quasi languide ma sferzanti- Tu . . persiano . . Astre, puoi andare a letto con chi vuoi, quante volte preferisci. Mio zio, Pirecrate, i miei maestri, i miei compagni, *tutti* gli spartani . . anzi, con tutti quelli che vuoi. Con tutti quelli che trovi per strada. Puoi provare a scappare con ognuno di loro, puoi dare loro tutto, passione, amore, il tuo corpo, il tuo cuore, la tua anima, tanto nulla di ciò cambierà ciò che sei."
Astre si strinse nelle spalle, sentendosi in trappola: la schiena premeva contro un muro e di fronte quel Pherio abbagliante gli stava impedendo qualunque via di fuga. Percepì una scossa scuotergli le membra quando sentì quelle mani piantargli le dita nelle spalle, per tirarlo di più a
sé. E poi una furia sorda e pulsante crescergli dentro, forse mista a paura, o forse solo orgoglio ferito. Un respiro forzato penetrò il muro invisibile dentro i suoi polmoni, ingoiò a gola rigida e sussurrò scandendo ogni sillaba in quel suo greco orientale.
"E dunque cosa sarei, io, agli occhi di un nobile spartano quale tu sei, non raggiunto, pare, dalle banalità di questa vita?"
Non si aspettava si muovesse in quel modo. Sentì la presa allentarsi, e una mano straccarsi per scivolargli fra i capelli. Una carezza che lo fece vibrare. Cercò di mantenere uno sguardo saldo e scintillante, cercò di far rimanere viva la fiamma della rabbia ma tutto crollò, cedendo e rovinando via senza neppure un sussurro. Le mano di Pherio addosso, una carezza lenta, pacata, estenuante, i suo capelli che gli si arricciavano intorno alle dita.
Ad Astre mancò il fiato a sentire quella mano scivolargli ora sul volto, come a saggiare la sua pelle, circondargli a coppa il mento, sollevandogli il volto. Aveva Pherio davanti agli occhi, il suo viso preso in pieno da un raggio di luce che, chissà perché, era entrato di colpo dalla finestra, e i suoi occhi erano divenuti due fuochi scintillanti, e i suoi capelli erano raggi di sole e la sua pelle bianca brillava dello stesso chiarore della luna piena. Astre sentì quasi dolore nel guardarlo, eppure non riuscì a staccare gli occhi.
Le mani, entrambe, gli scivolarono di nuovo nei capelli, Astre si sentì morire.
"Tu sei mio. .- quegli occhi azzurri se li sentì puntati addosso, come se potessero giungere alla sua anima e denudarla. Tremò sotto le sue dita e si ritrovò a sorridere. Non trovava più una direzione per far scorrere i suoi pensieri ma, in quell'istante . . - Tu sei mio. Da chiunque tu ti faccia possedere. A chiunque tu ti abbandoni. Qualunque cosa tu desideri, o sogni, o fai. Sei *mio*."
La sua bocca addosso, le labbra sulle labbra. Ad Astre tremarono le ginocchia, un calore assurdo gli squarciò il petto, una luce innaturale gli ferì gli occhi. Per un attimo tutto fu cancellato, il suo regno, la sua origine, Sparta, Delphi, il dio, Pirecrate, l'Egitto. Nulla.
Tutto era lì. Che lo abbracciava, lo stringeva.
Astre singhiozzò, dolorante, sollevando le mani e passandogliele intorno alle spalle. Lo strinse con forza e si trovò a sorridere ebbro di gioia di fronte alla forza dell'altro, al sentirsi come sollevato da terra, quelle braccia che lo inchiodavano lì e allo stesso tempo lo tenevano insieme.
Da sotto le palpebre chiuse intuì la luce scemare e svanire, ma non importava. Sentiva quel corpo premuto contro il suo, le labbra affamate, bere e mangiare di lui, i piccoli morsi intorno alla bocca, quelle mani affondate nei capelli che stringevano e le carezze leggere che riusciva a dargli sfregando appena il suo corpo con l'altro.
Pherio, Pherio! Avrebbe voluto urlare.
Urlare e ridere e piangere tutt'insieme. C'era Pherio che lo stava *baciando* con forza e passione assurda. E quel fuoco che li bruciava entrambi, quelle mani pallide addosso, ad accarezzarlo, a conoscere la sua pelle e il suo corpo, rapide ad infilarsi sotto la veste, a saggiarlo, a stringerlo, ad accarezzarlo, a farlo tremare e gemere.
Astre dischiuse le labbra nel sentire i baci serrarsi in fila e scivolargli giù lungo la gola, seguendo la curva del collo. Si sentiva impazzire, come affogare in un mare di passione e calore. Poté solo affondare le dita in quella massa lucente e morbida di capelli, e accarezzarli e tirarli, e lasciarsi accarezzare da essi, e sentirseli addosso, come addosso era quel corpo, e quella bocca e quei *denti* che lo mordevano, facendolo ansimare e gemere.
Mosse il bacino, tremando, contro quello di Pherio, e lo sentì eccitato, tanto quanto lo era lui. Astre sollevò il capo, le guance umide di lacrime di cui non voleva sapere la provenienza. Che gli importava? Pherio. C'era Pherio lì . .e . .
Singhiozzò di dolore sopito nel sentire quei denti affondargli nella carne tenera della base del collo. Sorrise circondandogli la vita con una gamba, lasciandosi puntellare sul muro, inchiodato lì dal peso dell'altro. Quelle labbra lo succhiavano come a volergli strappare l'anima e Astre . . Astre gliel'avrebbe lasciato fare . . gemette di nuovo, le mani di Pherio raggiunsero il suo petto, tormentandogli i capezzoli.
Un movimento brusco col bacino e Astre riuscì a staccare Pherio, gli tirò i capelli, obbligandolo a sollevare il viso, e su quelle labbra di nuovo si avventò succhiando e baciando, avvinghiandoglisi addosso, sentendo il corpo più muscoloso del suo premergli addosso, il fiato dell'altro farsi sempre più rapido e il cuore battergli addosso, il petto contro il petto.
Lasciò che le sue mani bianche gli corressero dalle spalle giù fino ai polsi, obbligandolo a sollevare le braccia, inchiodandogliele sopra la testa con una stretta ferrea, mentre la sua bocca, sulle labbra, baciava e succhiava, e suggeva e giocava con la lingua e beveva il suo sapore e succhiava di nuovo, come un dannato, come se da quello dipendesse più che la propria vita, come se anche lui fosse perso, senza via di scampo, in un piacere senza nome, in una nebbia indistinta in cui non ci fossero indicazioni.
Sentì quella voce che mai aveva ceduto, gemergli sulle labbra, poi il suo corpo di nuovo stringersi convulso al suo. Astre si mosse, nervoso, cercando di liberarsi, avrebbe voluto affondargli di nuovo le dita nei capelli, continuare a sfiorare la sua pelle, sentire quel corpo sotto i palmi, e desiderava . . ah . . Pherio ..mai, mai era stato portato a un grado simile di eccitazione solamente con un bacio . . oh, sì, perché quello era *solo* un bacio, e lui conosceva mille e mille cose che avrebbe potuto fare a Pherio . . che Pherio avrebbe potuto fare a lui . . che avrebbero potuto fare *insieme*. . ah, dei! Pherio . . essere suo? Ma c'era mai stato un istante della sua vita in cui non era stato *suo*? No mai . . oh, dei . . mai, mai, mai!
Pherio! Avrebbe voluto urlare . . ma preferiva avere le labbra occupate da quel bacio che non finiva più, e che se fosse morto soffocato, che bella morte! Aprì di nuovo le gambe, premendosi con forza contro di lui . .Pherio era eccitato! L'idea, lì, in quell'istante lo fulminò con una forza devastante. Pherio . . Pherio . . Pherio . . il suo nome era divenuto una preghiera, e il suo corpo . . oh dei! Di nuovo e di nuovo gemette muovendoglisi fra le braccia e di nuovo lui cercò di liberarsi da quella presa che lo immobilizzava al muro e di nuovo non vi riuscì.
Prigioniero.
Si trovò a sorridere, quasi impazzito dalla felicità, quasi folle, quasi . . Pherio premette i polsi, quasi gli avrebbe fatto male se fosse stato in un altro momento . . Astre mugolò. Pherio?
Pherio staccò con lentezza le sue labbra da quelle del persiano, e ancor più lentamente mosse un passo indietro, tenendolo fermo contro il muro. Abbassò lo sguardo su quel corpo pallido forse quasi come il suo, la sua veste sgualcita, i muscoli tesi e frementi, quando incontrò di nuovo i suoi occhi Astre riuscì solo a mordersi un labbro, confuso, quasi spaventato.
Il ragazzo biondo che aveva di fronte lo fissava. Bellissimo, sudato, spettinato, i capelli che gli erano da manto, lo sguardo acceso dall'eccitazione, quelle labbra gonfie e rosa che parevano non attendere altro che un bacio. . Lo vide sorridere appena, sfiorandolo di nuovo con lo sguardo, e gli sciolse i polsi, allontanandosi di un altro passo, in silenzio.
Di nuovo Astre sentì il bisogno di chiamare il suo nome. Pherio. Ma, questa volta, per domandare, per . .per cercare di ..*capire*? Lo guardò. In quegli occhi azzurri, in quell'espressione scolpita come una statua di Adone, il più bello che fosse mai vissuto, Astre lesse la risposta a una domanda che non aveva ancora formulata. E si sentì tremare le ginocchia, e il cuore in petto quando lo vide allontanarsi di un altro passo, e un altro. Per poi lentamente voltarsi, immobilizzarsi di fronte alla porta che portava via, in corridoio . . lontano . .
"Phe .. Pherio."
Riuscì ad articolare. Lo vide fermarsi, ma non voltarsi. Le sue spalle dritte, decise, i suoi capelli meravigliosi. . cosa dire? Cosa dirgli? Una preghiera? Non sarebbe servita. Un'affermazione? Che non fosse stupida? Tutto ciò che c'era da dire l'aveva già detto Pherio stesso: 'sei mio.'.
"Astre."
Lui sobbalzò. Il suo nome, null'altro. Vide la sua mano posarsi sulla porta e aprirla, gentilmente. Dalla gola non gli scappò più nulla, concentrato com'era a cercare di dire qualcosa . . qualsiasi cosa che avesse avuto senso.
Pherio. Sono tuo, sì. Sempre, per sempre . . oh, dei, Pherio! Non uscire, non andartene! Stai qui, per favore! Qui ,con me, ancora un po' . . ti prego! Non lasciarmi solo, non ora, non adesso che . . che non so, è cambiato il mondo? Sono mutate le stelle in cielo? Mi hai baciato! Pherio mi ha baciato! Oh dei! Pherio mi ha *baciato*! E ora mi fa male il cuore e non so che dire, che fare per tenerlo qui perché io . . Pherio . . da quanto ho sognato . . desiderato . . perché te ne vai ora? Perché! Dove ho sbagliato? Cosa ho sbagliato! Cosa vuoi che faccia? Che dica? Dimmelo, dimmelo e non andartene! Ti prego . . Pherio .. non vuoi toccarmi? Non farlo, se non vuoi, non lo farò neppure io se me lo chiedessi, se lo volessi . . ma non andare . . Pherio .. dei, ti prego, Pherio . . stai qui con me, ancora un po', lasciati guardare, voglio . . guardarti . . ti prego . . sei così bello .. Pherio . . Perché? Dimmi perché . .
"Co . . cosa significa?"
Riuscì a sussurrare. Lo vide fermarsi al di là della soglia, già fuori, già assurdamente lontano.
"Lo sai, Astre. Lo sai benissimo. - sospirò voltandosi, guardandolo dolce - Non sono solito parlare a vanvera. Dico ciò in cui credo. Dico solo ciò che provo. Lo sai."
'Ti amo, Astre, ma non ti tocco, non ti toccherò.'
Mai... un'eternità quanto dura.
Ma perché?! Astre si passò una mano sulle labbra, il suo sapore ancora fortemente lì, e il profumo del suo corpo addosso, il ricordo fresco della forza del suo abbraccio . . Chiuse gli occhi sentendolo allontanare. Il cuore gli pesava in petto, ma non avrebbe dovuto. No. Lui lo sapeva. Pherio gli aveva regalato un bacio ..oh dei . . Pherio l'aveva *baciato* . .
Chiuse gli occhi con forza, una forza estrema, per trovare equilibrio, per trovare se stesso, il proprio orgoglio, per trovare ciò che *doveva* dentro il caos che era divenuto la sua anima e, quando li riaprì si trovò sudato. Seduto sul proprio letto.
Passandosi una mano fra i capelli si accorse di essere spettinato, come se si fosse appena destato da un sonno .. un sogno?! Scosse il capo con rabbia. Il sole non era ancora sceso dietro l'orizzonte, stava solo cominciando ad arrossare il cielo pallido. In grembo il rametto di olivo donato dalla piccola Moira. Un respiro secco.
"L'hai tenuto!"
Una voce fresca dal centro della sua stanza. Astre sobbalzò, la Piccola Moira veniva avanti con le mani strettamente allacciate dietro la schiena, il volto luminoso e franco dei bambini, e le guance appena arrossate, come reduce da una corsa.
Astre sentì una lama di luce trapassargli il cervello, e il dolore non riusciva a travalicare la sensazione di spaesamento che gli aveva preso le membra.
"Perché non avrei dovuto? - rispose. -era... un regalo per me."
La bambina rise.
"Sì, sì, perché sei il mio favorito! -gli corse accanto prendendogli una mano e gli posò un bacio sulla guancia. Fissandolo negli occhi, ritornò seria. - Ma tu devi ricordarti una cosa!"
Astre chinò appena il capo di lato stringendo il rametto fra le dita.
"Cosa?"
Lei arretrò saltellando, fino a mettersi al centro della stanza, e rise di nuovo.
"Tu ti sei dimenticato della cosa più importante di tutte! - fece una giravolta e si fermò, serissima, piantando quegli occhi che sapevano di abissi infiniti di conoscenza dentro di lui - Devi saper distinguere tra ciò che è e ciò che appare."
Una pallida nebbia si mosse, mille e mille serpenti, attorno ai piedi della fanciulla, e poi l'avvolse come un manto e nel grigio indistinto che era divenuto il suo campo visivo Astre vide come un uomo, un ragazzo, vestito alla foggia greca, una caduceo in mano, degli strani sandali e il volto velato da quella nebbia che gli impediva di vederne le fattezze. Qualcosa dentro di lui si sollevò a render grazie di questo, era certo, ghiacciato com'era ora, dal terrore e imprigionato da una forza superiore, che non sarebbe uscito vivo dal esser messo di fronte al vero volto di qualunque essere fosse quello che ora era di fronte a lui.
"Tu che sei sacerdote di Hermes Trismegisto. Tu che sai come leggere le stelle. A te gli astri parlano, e le viscere di un'aquila, e i fumi densi di incenso e ambra, a te che sempre hai mostrato rispetto per i miei insegnamenti, io ti ricordo il mio insegnamento più grande. Sappi distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è, leggi oltre i veli che gli uomini mettono di fronte alle proprie azioni e sappi riconoscervi in esse il vero significato. Non farti ingannare da una menzogna, tu, che sei il maestro dell'inganno. Il mio favorito tra i mortali .. "
Dolore. Ora il dolore era concreto, forte, gli penetrava dagli occhi per spaccargli il cranio. Si piegò su sé stesso, gemendo e uggiolando pietosamente finché la nebbia si sollevò, lasciandolo confuso, indeciso e incredulo.
Si passò una mano sulla fronte, madida di sudore e si sentiva le ginocchia tremare. Cosa .. si premette le tempie. Domandarsi ora cosa fosse successo sarebbe stata una domanda stupida. Ma mai, in tanti anni di pratica, era mai riuscito ad evocare . . un *dio* ? Tremò di nuovo stringendosi nelle spalle. Era un segno, un dono: cosa gli aveva detto? Non si stupì di trovare a fatica quelle parole nascoste dentro di lui, strettamente avvolte nella nebbia , come se non volessero farsi trovare, come se dovessero essere trovate solo al momento giusto.
'Distinguere ciò che è da ciò che appare.' Corrugò la fronte: distinguere il sogno dalla verità. Il sogno, dunque era stato mandato per quel motivo: per metterlo alla prova. Strinse i denti, furioso. Lui era re, Re di Persia, non una cortigiana che si potesse sbattere al muro, possedere in quel modo, e lasciarla lì, abbandonata a se stessa, in lacrime! Lui era il re di Persia!
Scosse il capo con forza. Questo era mostrarsi deboli, questa era una debolezza che lui non poteva assolutamente avere. Aveva messo un uomo al posto di una stella e l'aveva fatto diventare il fulcro intorno a cui far ruotare la propria vita: una cosa che lui *non* poteva permettersi, una assurdità. Lui non era un uomo qualsiasi, lui era Re. E Pherio era solo un giovane Spartiato che non aveva ancora acquistato gloria sul campo di battaglia, il cui nome era famoso fra i tempi solo per il suo aspetto.
Bene, ma Astre era *Re*. Strinse i pugni mettendosi in piedi. Il sogno dalla verità. Il bacio non era stato vero. Le carezze erano menzogna. Il suo affetto. 'Tu sei mio'. Finto, tutto finto. E allora, per tutti gli dei, per ogni granello di sabbia, per ogni pensiero veloce e fugace come il vento...la verità, Aleteia, qual era?
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Una bussare secco e una voce che lo strappò dalle sue meditazioni.
"Astre? - lo vide entrare senza aspettare il permesso, si tese. Pherio! Il sogno? Lo guardò bene. Non c'era traccia di sorriso sul suo volto. La treccia era stretta e perfetta, gli arrivava alla fine dei glutei ed era chiusa da un cordino di cuoio. La mano posata sulla cintura, accanto al luogo ove, solitamente, portava la spada. Non un'espressione sul suo volto, bello sempre e dannatamente, e *ancora*, un Adone. Un'attrazione che lo prendeva per i piedi e lo faceva scivolare senza neanche dargli un'occasione, una soltanto, di difendersi. E adesso non un sogno, ora, no: era Pherio. Quegli occhi.- Ero venuto ad avvisarti che si parte fra . . - lo Spartano sollevò appena un sopracciglio, socchiudendo le labbra- Astre? Ti senti bene? Sei pallido..."
Continua...
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