NOTE: 'La poesia narra l'universale, la storia il
particolare', cioè la prima racconta di ciò che può verosimilmente succedere
la seconda di ferma ai particolari freddi e tosti. Ci è parso molto più bello
narrare attraverso la poesia dunque, senza trascurare però qualche minimo
elemento della storia. Morale di queste quattro righe? Non andate a dire in giro
che i persiani hanno inventato il ferro. ^*^
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Di odio.
Di amore
parte XVI
di Dhely e
Kalahari
Erano in ritardo di cinque giorni e lui odiava essere in ritardo, in
qualsiasi circostanza, anche per partire in una spedizione cui era
obbligato a partecipare!
Per cinque albe Sparta si era riunita nello spiazzo di fronte al tempio di
Artemide, e per cinque volte uno degli anziani era uscito dal recinto
esclamando ad alta voce che le sacerdotesse non avrebbero dato la
benedizione per quella partenza, e che tutto era rimandato al giorno
successivo.
Astre era stufo, *stufo*, marcio di tutto quello. A casa sua le
sacerdotesse e gli dei in generale avevano sempre il buon gusto di
profetizzare quello che ci si *aspettava*, e di certo non di far partire
una spedizione preparata da un anno, in ritardo! Corrugò appena la bella
fronte liscia: a meno che non bisognasse trovare una scusa valida per
rimandare una partenza, ovvio.
Il suo passo era leggero, era silenzioso, per natura, ma ora Astre era
davvero inconsistente come Hermes dai piedi alati e riusciva a muoversi
nella notte oscura come un'ombra che scivola sull'ombra. Percorse le
strade di Sparta, immerse nel buio e nei rumori sfocati del sonno mai
disteso di quella città perennemente in armi. Neppure i gatti si
accorsero di quella presenza, che cercava di capire ..
Cinque giorni. Da cinque giorni Pherio non si faceva vedere in giro se non
raramente, scompariva appena dopo il tramonto e in tutta la città non si
avevano più tracce di lui. All'alba era presente all'annuncio in piazza
come tutti gli altri, l'adunata successiva al Campo, la distribuzione dei
compiti e lui riusciva sempre, chissà come, a non aver nulla di lungo da
fare. Prima di mezzogiorno era già, di nuovo, perso chissà dove. In un
luogo che Astre non riusciva a trovare, il che non era mai avvenuto..
Sparta non era grande, e non possedeva chissà che posti remoti o
eccessivamente sorvegliati da non riuscire a raggiungerli.
All'inizio aveva pensato a Pirecrate, ovvio . . ma non era da lui,
per lo meno non la maggior parte del tempo. Anzi, dovevano anche vedersi
estremamente poco, da quel che aveva notato e da quello che aveva
strappato a Pirecrate stesso.
In compenso, l'anziano Kakeo era nervoso come una biscia cui avessero
appena calpestato la tana, inavvicinabile e burbero: lavorava fino a piena
notte su pergamene cui non gli aveva permesso di gettare neppure
un'occhiata distratta. Era strana tutta quell'agitazione, quel nervosismo
in un uomo solitamente saldo e deciso come lui. Non bisognava essere
particolarmente perspicaci per accorgersi che qualcosa di molto grave si
stava compiendo, forse non qualcosa di particolarmente segreto ma di certo
imbarazzante per la famiglia dei Panfili.
E anche se tutti fingevano di non essersi accorti di nulla, Astre non lo
credeva davvero possibile. Scivolò con leggerezza nel giardino interno
della dimora dei Panfili, un ilota lo superò senza neppure vederlo. Il
buio era quasi totale, Astre aguzzò lo sguardo e intuì due ombre più
scure delle altre allungarsi sotto gli ulivi antichi, nello stesso punto
dove, mesi prima, aveva visto l'anziano Kakeo schiaffeggiare Pherio dopo
la fustigazione rituale.
La luna era nera in cielo, e solo le stelle brillavano pallide e distanti,
ma quella chioma chiara scintillava comunque sotto quei deboli raggi.
Pherio s'era sciolto la treccia, ora i suoi capelli gli riposavano sulle
spalle come un manto pesante e prezioso. Dava le spalle ad Astre,
schiacciato dietro ad un alto ulivo, ma parlava con qualcun altro che gli
era di fronte, alto e imponente. Suo zio?
Le voci sussurrate infrangevano appena il silenzio denso della notte, i
loro movimenti secchi denotavano nervosismo, ma ben poco altro Astre, da lì,
poteva udire e intuire. Trattenne il fiato, in ascolto.
"No! - la voce giovane di Pherio proruppe in un tono più alto del
precedente, venato d'ira - Tu lo sai, zio! C'eri anche tu al Tempio!"
Non udì risposta.
Astre si tese per vedere e quasi sussultò dalla sorpresa. Le due ombre
erano divenute una sola.
Il bracciale alto di rame che Pherio portava dalla nomina a Spartiato,
brillava anch'esso, e su di quello spiccavano nette e scure le dita
avvolte e pesanti di Kakeo, che teneva il giovane accanto a sé, vicino,
come per.. si stavano *baciando*?!
I due volti erano confusi in un'unica macchia scura.. non era possibile!
Astre sentì qualcosa bloccarglisi nello stomaco. Da sempre aveva saputo
che Kakeo avrebbe solamente voluto prendere fra le braccia suo nipote e .
. e fargli tutto quello che gli veniva in mente, ma era certo che Pherio
non avrebbe ceduto in quel modo, senza porre resistenza, neppure se si
trattava di suo zio.
Pherio era .. Astre si posò una mano sulla bocca per non farsi sfuggire
un gemito .. doveva essersi sbagliato . . in effetti . . socchiudendo gli
occhi, e osando un altro passo, sempre nascosto da un antico e contorto
ulivo, osservando la scena da un'altra angolazione vide chiaramente i loro
profili, netti e staccati, Kakeo che parlava, sottovoce, un sussurro
inudibile, e il capo di Pherio scrollarsi leggermente, irritato.
Astre sospirò. Qualunque cosa si stessero dicendo di tanto grave, in quel
momento, parve non avere alcuna importanza. Pherio *non* stava permettendo
a nessun altro di baciarlo, le sue labbra erano ancora caste e . . Astre
deglutì corrugando la bella fronte. Non era di questo che doveva preoccuparsi,
però . .
Pherio mosse un passo indietro, il capo chino, una posa affranta, quasi
mesto, lui che aveva sempre vissuto nell'arroganza.
"Domattina dobbiamo partire, non possiamo attendere oltre."
L'anziano sospirò annuendo in silenzio. Non disse null'altro, incrociando
le braccia sul petto, fissò, senza profferir verbo, il nipote
allontanarsi in silenzio, quella colata di oro fuso che brillava pallido
sotto le stelle, incantato e incantevole manto che gli sfiorava le spalle,
lucido e unico.
Neppure Astre riuscì a staccargli gli occhi di dosso. Quando fu uscito
dall'ingresso principale, si scosse e si decise a seguirlo, sempre in
silenzio. Ricalcò le sue orme, vedendolo a una decina di passi da sé,
sprofondato in chissà che pensieri. Almeno avrebbe finalmente compreso
dove aveva passato gli ultimi giorni!
Fu quasi dispiaciuto a vederlo entrare nei dormitori dei ragazzi, nello
passar davanti alla porta della stanza di Pirecrate senza fermarsi e
infilarsi nella propria. Attese lunghi attimi, ma nulla si mosse, sentì
solo il silenzio provenire da oltre la soglia, quando si arrischiò ad
avvicinarsi. Pherio era semplicemente andato a dormire. Da solo.
Bene.
Astre torse le labbra in un gesto acre. In sostanza non aveva ancora
capito nulla di quello che stava capitando, come se fosse stato incantato
aveva seguito Pherio senza meta, l'avrebbe pedinato anche se avesse
percorso tutta la notte a piedi, anche se si fosse perduto in chissà che
sentieri .. si passò una mano sugli occhi, poggiando la schiena sulla
porta della stanza del ragazzo con un sospiro. *Lui* e non Pherio, s'era
perduto in vie e strade che non avrebbe dovuto percorrere, lui era
smarrito, ora, lui aveva perso di vista lo scopo, lui non trovava più in
cielo la stella che conduceva i viaggiatori!
Aveva scambiato quella chioma chiara per la stella polare, e ora . . ora
era affondato in un pantano denso, il cui fango gli impediva i movimenti,
e gli rendeva più difficile la fuga.
Strinse i denti, deglutendo l'amarezza e la solitudine. L'indomani
sarebbero partiti. Poco altro avrebbe dovuto contare.
Il carro li precedeva di ore, il cavallo di Pherio nitrì irritato,
mordendo il freno. Sparta sarebbe presto scomparsa dietro una curva della
strada, nascosta dietro colline più basse di quelle su cui sorgeva
l'Acropoli, ma più vicine. Vide Pirecrate voltarsi sulla sella per
guardare un ultima volta la città, esattamente come Astre, inconsapevoli
l'uno dell'altro. Il medesimo gesto ma due emozioni diverse a dipingersi
sui loro visi.
Pirecrate era teso, emozionato, era la prima volta che si allontanava così
tanto da Sparta, lui che raramente aveva superato l'Eurota per cacciare.
Sparta era la perla a cui tornare, la città meravigliosa per la cui
gloria affrontare di tutto, anche la morte, o cose peggiori della morte.
Fuoco e ardimento e volontà scintillavano in quello sguardo reso cupo
dall'aspettativa, e il suo corpo teso fremeva dall'impazienza di correre a
capofitto verso quel futuro che ora si apriva di fronte a loro,
sconosciuto come la strada che stavano per calcare.
Astre aveva invece uno sguardo da rapace, lui che aveva girato quasi tutto
il mondo civile, lui che aveva *visto* cosa c'era fuori di Sparta, e anche
cosa c'era dietro il velo di leggende che si intessevano attorno alla
superba Lacedemone, guardava la strada alle sue spalle con distacco:
nulla di tutto quello aveva forse per lui una reale importanza. Disprezzo,
forse, di certo un briciolo di sollievo gli tremava in petto, Pherio
riusciva a sentirlo fin lì.
Non gli importava. Pherio conosceva quella strada accidentata che portava
alla piccola caletta che era il 'porto' di Sparta, la flotta era composta
solo di alcune barche e schiavi a mantenerle, null'altro che il minimo
indispensabile per certi viaggi che non potevano effettuarsi via terra.
Pherio conosceva le barche, quasi unico tra gli Spartiati, e parecchie
volte aveva partecipato a quella spedizione quando era fanciullo.
Conosceva bene Delphi, le rotte da seguire per arrivarci e la noia mortale
di quel posto a cui bisognava portare doni per avere, in cambio, parole
fumose e labili. Sua madre, quand'era davvero ispirata, poteva essere
molto più chiara di tutto lo stuolo di sacerdoti e sacerdotesse presenti
sull'isola!
La strada fece una brusca curva per seguire le radici di una collina;
Pherio cercò Pirecrate con gli occhi, voltandosi appena.
"Ci aspettano al tramonto, stasera. Sarebbe meglio se ci
sbrigassimo."
Pirecrate venne avanti.
"Il capitano è già là? -all'annuire di Pherio, sorrise, spronando
il cavallo- Se la tua era un richiesta di correre, puoi parlare
chiaro!" e schizzò via, vivace e contento: impaziente.
Pherio sorrise, voltandosi appena a vedere Astre e l'altro ragazzo con
loro.
"Andiamo, muoviamoci!"
Per seguire Pirecrate sfiorò con leggera decisione i fianchi
dell'animale. Quello tese la pelle in quel punto e scuotendo il capo prese
prima il trotto per poi volare velocissimo ad uno dei galoppi più veloci
di tutta Sparta.
Alle spalle, insieme alla sua città, solamente una nuvola di polvere.
___
Pirecrate sguainò la propria spada e la mise contro il sole guardando la
lama affilatissima essere circondata da una corona di luce. Con un gesto
secco e fermo la fece roteare un paio di volte, godendo del suono
piacevole che faceva saettando per l'aria. Alzò lo sguardo e da lontano
poté vedere la terra apparire tra la foschia: la Grecia, la sua Grecia,
che stavano costeggiando per arrivare a Delphi, città d'Apollo, sperava
il più velocemente possibile. Si stava annoiando lì, sulla nave: non
aveva niente di meglio da fare che sedere sul rialzo della poppa con la
schiena appoggiata al legno.
Rifocalizzò il proprio sguardo sulla splendida spada che il mito voleva
fosse stata forgiata da Vulcano in persona nelle viscere della sua dimora.
Ed era in mano ai Dimani da quattro generazioni, da quando fu donata dal
dio al suo progenitore Letide durante una battaglia. Dacché ne sapesse a
Sparta nessuno aveva una simile spada: la più resistente di tutte, non
aveva il colore solare del sole ma quello freddo ma infallibile
dell'argento.
E pensare che moltissimi Spartani con la scusa del tradimento di suo padre
avevano tentato di sottrarla alla sua famiglia: inganni ed astuti discorsi
avevano intessuto pur di portarla via dalla stanza sacra in cui era
conservata.
Ci sarebbero anche riusciti se, dopo aver convinto la Gerousia (e non che
lì pochi ve ne fossero interessati), fecero aprire quelle porte e avevano
trovato la stanza vuota.
L'arma era stata rubata.
Il ragazzo sorrise al ricordo poggiandola sul proprio grembo. Come poteva
dimenticare quella notte in cui si era infilato attraverso una finestra,
essendo da piccolo molto più sottile di ciò che era ora, e atterrando
contro il pavimento duro aveva preso l'arma che gli spettava e che a
nessuno, nessuno mai, avrebbe permesso soltanto di sfiorare. Non aveva
potuto opporsi con le parole perché troppo piccolo, ebbene allora lo
aveva fatto coi fatti!
Era corso via, l'aveva nascosta tra le rocce dell'Eurota con la promessa
che sarebbe tornato e avrebbe difeso a costo di tutto quell'arma che era
della sua famiglia. Quando, verso l'alba, Kakeo aveva quasi strappato le
tende alle porte del dormitorio degli acerbi giovani, con un ringhio sulle
labbra, lui aveva alzato il capo e lo aveva fissato venire verso il
proprio letto con quei passi pesanti. Lo aveva squadrato con occhi di
fiamme e afferrandolo per la veste lo aveva buttato giù dal letto.
"Dove è la spada dei Dimani?" aveva chiesto. Il giovane
Pirecrate si era alzato in piedi e aveva fatto un passo indietro, ma solo
per poter guardar meglio quell'uomo tanto più alto di lui negli occhi.
"Lo avete detto voi stesso. Appartiene alla famiglia dei Dimani, alla
mia famiglia: non avete il diritto di impossessarvene!"
"Sono gli anziani a decidere, non un bambino insolente. Consegna
immediatamente la spada!"
"Mai!" aveva ribattuto e non era riuscito ad opporsi quando
l'uomo lo aveva preso per un braccio e aveva iniziato a trascinarlo fuori
dal dormitorio sotto gli occhi degli altri bambini che al suo contrario
erano rimasti terrorizzati dalle parole, dal tono e dall'alterigia di uno
che tra pochi mesi sarebbe divenuto un anziano e avrebbe fatto parte per
l'età avanzata della Gerousìa.
"Fate presto a prendervela con me che sono un bambino, Kakeo!"
"Anche se lo avessi chiesto a quel traditore di tuo padre si sarebbe
rifiutato!", questa risposta troppo tagliente per uno scudo ancora
giovane e sofferente lo aveva azzittito.
Non aveva più parlato, anche quando avevano tentato di fargli dire dove
avesse messo la spada, anche quando avevano tentato di costringerlo, anche
quando lo avevano lasciato tre giorni legato da una delle candide colonne
del tempio d'Artemide. Ma il vero istigatore della Gerousìa era stato
Kakeo: era abile e furbo abbastanza per rigirare i discorsi dove preferiva
e dove voleva che andassero. Perché una spada invincibile, che
costringeva le altre a spezzarsi, doveva trovarsi in mano ad una famiglia
di traditori? A Sparta tutto è di tutti, aveva detto davanti agli altri
anziani, e nessuno può pretendere d'avere qualcosa per sé. E l'arma
sarebbe finita alla fine in mano di chi la meritava e questi non poteva
esser altro che il giovane Pherio.
Quel bambino, sebbene costretto i primi tempi della sua vita in un recinto
sacro, cresceva come un figlio di Ares. Ma naturalmente i suoi fini li
tenne per sé.
E se non fosse intervenuto un altro anziano, conoscitore del cuore
ambizioso di Kakeo e amico di Aristide, quel giovane ragazzo sarebbe stato
giustiziato in pubblica piazza, con una spada trapassata nel cuore da un
esecutore, dopo che in un modo o in un altro lo avessero costretto a dire
dove si trovasse la spada.
Ma Pirecrate queste cose non le ricordava: sapeva solo che dopo esser
stato sciolto dalle corde attaccate alla colonna del tempio, era stato
anche assolto da una degli anziani più grandi, che gli permise di tenere
la spada.
"I tuoi antenati hanno meritato quell'arma ed è giusto che ai Dimani
appartenga" aveva detto, semplicemente, sorridendo.
Quell'uomo sarebbe spirato nel sonno l'anno successivo, ma nessuno
Spartano aveva osato mai andare a fondo ad una questione che tutti
sapevano meglio lasciar perdere. Kakeo era pericoloso più che mai, adesso
che morto Paride, era divenuto l'uomo più potente ed influente di tutta
Sparta.
Soffiò ad un certo punto una leggera brezza ed il ragazzo socchiuse gli
occhi dalla sua postazione privilegiata, rimettendo nel fodero quell'arma
che gli era costata tanta fatica, ma soprattutto sopportazione perché,
naturalmente, la sconfitta che Kakeo aveva riportato gli era bruciata
talmente tanto dentro che non aveva mai perso un'occasione per umiliarlo e
per farlo apparire sempre in cattiva luce agli occhi di tutta la sua
polis. E, nonostante adesso la nobile Lacedemone gli mancasse, sentiva in
cuor suo che quel viaggio era scritto nel suo destino da sempre.
E poi, sinceramente, non avrebbe più avuto il coraggio di guardare
nessuno negli occhi dopo che lo avessero costretto ad affrontare la
punizione più terribile che ad uno Spartano si potesse dare. Arrossì
violentemente.
"Prendi, Pirecrate!" udì chiaramente da dietro e voltandosi
ebbe appena il tempo di afferrare qualcosa lanciatogli da Astre arrivato
adesso adesso lì. La guardò: una bella mela rossa. Adesso che ci poneva
mente sentiva una gran sete. La morse ma non disse niente all'altro che
gli si sedette accanto.
"Che facevi?" chiese quello mordendo il proprio frutto e
poggiando le spalle sul legno per sentire l'aria che, tiepida, gli
sfiorava i capelli, il sole che già era sceso un po' dallo zenit e
s'apprestava ad imporporare il cielo di rosso.
"Pensavo a delle cose passate." gli rispose Pirecrate
scansandosi di qualche centimetro per lasciare che Astre si mettesse più
comodo.
"Tipo?" osò domandare il giovane persiano dando un altro morso
alla mela e dovendo ammettere in cuor suo che aveva lo stesso sapore di
quelle che aveva mangiato a casa sua.
"In generale..." disse lo Spartano richiudendo gli occhi
per assaporare l'aria a lui così estranea di mare.
"E' tua quella spada?" continuò Astre notando per la prima
volta l'arma, mai vista indosso a Pirecrate, che non aveva affatto
l'aspetto di una spada greca. Il Dimano se la slacciò e gliela porse
avvertendolo.
"Se la fai cadere te la faccio seguire." ma non era tanto serio
come tono: in un certo senso era nata della confidenza tra due persone così
diverse.
Astre analizzò con attenzione il fodero che per i livelli Lacedemoni era
molto lavorato e poi l'elsa: sottile e leggera, eppure incredibilmente
resistente (non aveva bisogno di provarla per saperlo: si vedeva), e
rivestita nella parte in cui v'era l'impugnatura di una pelle scura ma non
corrotta. Non poteva essere... Allora si decise a sguainarla e vide il
proprio volto perfettamente rispecchiato nel. .
Ferro. Era ferro. Non poteva esser altro. Ferro. . Come potevano i Greci
conoscere il segreto delle officine sotterranee persiane?
"D-dove l'hai presa?"
"Appartiene alla mia famiglia da qualche generazione: fu donata ad un
mio progenitore durante una battaglia"
"Altri hanno visto questa spada?"
"Certo: è uno dei tesori di Sparta"
"Anche Kakeo?"
"Sì. . perché?"
"Niente -non poteva essere vero! Il re di Persia aveva introdotto una
legge severissima riguardante quei pochi che venivano costretti ad
estrarre e lavorare il ferro nel più assoluto riserbo e segreto. Ed in più
era già tempo che i Dimani la possedevano . .- Hai intenzione di
offrirla come dono a Delphi?" domandò tirandola fuori del tutto e
tenendola con delicatezza tra le mani: da una parte l'elsa, dall'altra la
lama. Eppure non si tagliò, come se fosse abituato a tenere un'arma in
mano. . questo Pirecrate lo notò. E prima mai aveva visto Astre aver in
mano qualcosa che al massimo non fosse un arco.
"Come dono all'oracolo? No!"
Astre però già non lo ascoltava più: se Kakeo aveva visto quella spada
di sicuro aveva trovato la maniera di venire a sapere onde fosse venuta.
Sarebbe stato un guaio per l'esercito persiano e per la Persia stessa se
fosse venuto alla luce il segreto che custodiva tanto gelosamente nel caso
qualcuno avesse l'ardire di sfidarne la potenza. Ma era possibile che
l'anziano e furbo Spartano fosse venuto a conoscenza di quel segreto?
Forse..
Una smorfia oscurò quel viso illuminato dal sole che già calava dentro
il mare e rimise dentro al fodero la spada: doveva assolutamente trovare
il modo per farla sparire, anche se questo avrebbe portato dispiacere a
Pirecrate.
Ma in ballo c'erano troppe cose che non avrebbero mai dovuto neanche
correre il rischio.
__
Un tuono più forte e più vicino rischiò di squarciare le vele
dell'imbarcazione.
Astre uscì dalla propria nicchia reggendosi alle pareti che si muovevano
in continuazione e vide Pirecrate correre assieme a Pherio verso l'esterno
dell'imbarcazione. Li seguì, anche se con un po' più di difficoltà e
affacciandosi li vide intenti ad aiutare i marinai a sistemare le
vele, tirandole su.
Era quello il momento adatto.
Veloce rientrò e, raggiunta la nicchia di Pirecrate, aprì la porta ed
entratovi iniziò a frugare per l'angusto spazio in cerca di quella spada.
Scansò le ruvide coperte e guardò sotto il letto ma dell'arma nessuna
traccia; continuò nella sua ricerca e, a carponi per non cadere, esplorò
tutte le assi del pavimento.
Ad un certo punto una suonò in modo leggero al suo bussare; la scansò
trovando un lungo drappo che avvolgeva qualcosa di lungo. Presa la spada e
uscendo dalla parte opposta del corridoio guardò se ci fosse qualcuno in
giro: passò un marinaio di corsa con delle corde in mano e Astre non fu
visto nascosto nell'ombra delle grandi nuvole tetre sopra le loro
teste. Poi un nuovo tuono squarciò tutto e uscì allo scoperto sotto la
pioggia che gli martellava la pelle.
A passi decisi arrivò a poppa, si appoggiò al legno e tirò fuori da
sotto le pieghe della veste l'arma, pronto a scaraventarla dentro le onde
che si gonfiavano e sbattevano sulla barca.
Ma esitò.
Una qualche strana forza fermò il suo braccio e, per quanto ci provasse,
non riusciva a scacciare quella sensazione che quasi gli mozzava il
respiro e che gli faceva rimbombare nel cervello la domanda: posso davvero
far questo a Pirecrate?
"E' soltanto una spada!" ringhiò all'aria e quel flebile
suono non raggiunse le orecchie per via del vento che scuoteva tutto con
forza.
Rimorso. . una cosa che non aveva mai conosciuto adesso faceva vacillare
la sua mano. Aveva fatto morire uomini e donne pericolosi, sia in maniera
veloce che in modo tremendamente lento e angosciante; li aveva visti
esalare l'ultimo rantolo, cacciati via dalla vita per opera sua e non
aveva mai avuto un minimo ripensamento.
Ed adesso esitava a buttare una spada a mare?
No, non era paura ciò che lo bloccava: Pirecrate avrebbe potuto incolpare
un uomo della nave o lui senza trovare la minima prova. Ma lo sguardo che
aveva avuto quando gliela aveva mostrata, la fiducia ingenua che aveva
dimostrato. . Basta, basta! Che gli succedeva?
Fece dei passi indietro fino a che non appoggiò la schiena contro il
legno che schermava la parte in cui dormivano i marinai e i viaggiatori su
quella piccola e scomoda nave. Rimise la spada allacciata alla propria
cintura mente iniziò a piovere ancora più forte: possibile fosse
cambiato fino a quel punto? Possibile che non riuscisse più a calpestare
qualsiasi cosa gli fosse molesta o spiacente?
Non lo seppe; rientrò nel corridoio e veloce rimise la spada dove
Pirecrate l'aveva nascosta, per poi fare ritorno nella propria nicchia e
serrare la porta cercando di chiudere lì fuori tutti i timori ed i
pensieri che lo stavano tormentando. .
___
"Che acquazzone terribile! Sembra che gli dei vogliano ritardarci
ancora!"
Pirecrate esclamò scotendo il capo come una belva fradicia e irritata.
Pherio lo degnò appena di uno sguardo freddo.
"Comunque sia, hai udito il capitano: il vento aumenta ancora e la
nave non può affrontare questa tempesta ancora per lungo tempo, dobbiamo
fermaci. A Delphi ci aspetteranno."
Pirecrate lo fissò, interdetto e stupito di fronte alla leggerezza con
cui il Panfilo parlava della sacra isola in cui il Dio parlava
direttamente agli uomini, ma non disse nulla. Sapeva a priori che
qualsiasi cosa avesse detto Pherio lo avrebbe fatto innervosire più di
quanto già non lo era, e non gli andava di litigare, almeno per adesso.
Il mezzo barbaro era più irritato e scostante del solito, assente, con la
mente puntata a tutto tranne che alla missione: Pirecrate cominciò a
pensare seriamente che quella missione non avesse una qualche reale
importanza per il Panfilo. Anche con il capitano il suo comportamento era
ambiguo: obbediva agli ordini, ma pareva saperne più di lui e spesso
l'aveva visto tacere con gli occhi lampeggianti di collera e d'orgoglio
silenti, limitandosi ad accettare come dovuti gli sguardi degli altri.
Astre, poi, non lo degnava davvero d'un solo sguardo. Non che fossero
affari suoi, ma . .
Pherio si guardò improvvisamente intorno con fare nervoso passandosi una
mano sulla fronte per asciugarsi la pioggia dagli occhi.
"Hai visto Astre?"
Sembrava . .ansioso? Pirecrate corrucciò appena la fronte. Pherio non era
*mai* ansioso, poteva innervosirsi, poteva arrabbiarsi, ma non era solito
avere quel tono. E chissà perché, inerente a questa novità c'era Astre
.
.
"L'ho visto andare nella sua cabina quando ha iniziato a peggiorare
il tempo, perché?"
Pherio non rispose; mosse nervoso quel paio di passi che lo dividevano da
ciò che cercava. Sollevò di malagrazia la tenda che delimitava il
piccolo spazio privato destinato ad Astre e lo trovò disteso sul suo
giaciglio con, dipinto sul volto, un'espressione morbida, a metà fra il
seccato e il compiaciuto.
"Cosa succede? -chiese gentilmente Astre- Qualcuno di voi grandi
guerrieri ha bisogno delle cure del medico perché soffre il rollio di
questa nave?"
Pirecrate notò la rabbia illuminare lo sguardo chiaro di Pherio simile a
un lampo di Giove tonante, poi lo vide irrigidirsi, sospettoso e gli voltò
la schiena, ritornando sul ponte senza dire un'altra parola.
Astre sospirò irritato a sua volta. Pirecrate non chiese nulla, anche se,
forse, si ammonì, avrebbe fatto meglio a farlo. Dopo tutto erano suoi
compagni e una simile tensione avrebbe potuto rovinare la spedizione . .
Tornò nuovamente sul ponte controllando che tutte le corde reggessero
bene e ne strinse una: era troppo lenta.
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