Di
odio. Di amore
parte XIV
di Dhely e
Kalahari
Pirecrate guardò prima fuori dalla finestra, per vedere se qualcuno era
in giro, poi si voltò verso Astre che trafficava con le corde intrecciate
di un sacchetto di lino chiaro.
"Bene, adesso la strada è libera -gli si rivolse- Puoi anche
andartene! -lo fissò, per un attimo, si corrugò nel vedere che si
arrotolava le maniche della veste leggera- O no, no, no no: scordati di
toccarmi, Astre! Io non sono come Pherio. Puoi andartene senza essere
visto e dire di avermi medicato -quello continuò tranquillamente,
imperturbabile- Astre?"
"Sì?" gli rispose, muovendo in modo secco la testa nel
tentativo di scansarsi i capelli che gli scendevano sugli occhi.
"Vattene. Immediatamente. Da. QUI!"
Lo straniero socchiuse gli occhi, sospirando con una mano sul petto e
tirando fuori tutte le sue doti tragiche.
"Ma come! Pherio s'è umiliato di fronte agli anziani per te e tu . .
"
Pirecrate ruggì quasi, ponendoglisi di fronte, lo sguardo pericoloso,
pronto a far valere con la forza le proprie ragioni.
"Pherio avrà avuto i suoi motivi, e li chiariremo tra noi quando sarà
il tempo. *Tu* non centri, per cui esci da qui!"
Astre si corrucciò appena poi scosse il capo. Lui non centrava, eh? Oh,
bene, interessante questa incredibile visione delle cose! Invece, chissà
come, lui era certissimo di centrarci tanto quanto quei due odiosi e
arroganti spartani. Non si aspettava di certo, però, che quel Pirecrate
lo capisse. Intrecciò le dita con le dita e sospirò.
Pirecrate non aveva proferito soltanto un sillaba di niente, era quasi
certo che non l'avesse detto a nessuno, ma Astre non si lasciava
sconfiggere dal silenzio. Era un abile osservatore e un medico che,
nonostante la giovane età, aveva avuto a che fare con molti, e degli
ottimi maestri gli avevano insegnato i trucchi del mestiere. Osservare e
tacere, e lasciar parlare il corpo, non la bocca. E poi mettere insieme i
dati . . per esempio, quel capitano trovato morto. Guarda caso proprio il
capitano di Pirecrate che, secondo le voci più nascoste (la versione
ufficiale che parlava di morte durante la battaglia) era stato
assassinato. . e ancora Pirecrate.
Il suo sguardo allucinato più del solito, la sua fobia di essere toccato,
il suo arretrare davanti a chiunque facesse segno d'avvicinarsi, allo
stesso modo di una fiera che vuol nascondere una ferita . .
Astre non era uno stupido, no. Se uno più uno faceva due, due più tre
faceva cinque e non c'era dissimulazione che potesse tenerlo lontano dalla
verità: conosceva quel tipo di reazione. Inconfondibile ed elementare,
quanto inevitabile
...
"D'accordo, Dimano. Io non ti toccherò, se non vuoi, ma almeno
permettimi di prepararti questa medicina."
Sollevò appena il piccolo sacchetto che sprigionava un intenso profumo di
erbe essiccate. Pirecrate si adombrò di nuovo e di nuovo sbottò.
"Tu devi aver preso troppo sole! Vorresti che mandassi giù uno dei
tuoi veleni?" domandò incredulo con tutta l'intenzione di
spingercelo a forza quello straniero fuori dalla *sua* stanza!
"No, Pirecrate, ti giuro che non morirai per questo, e ti giuro anche
che non starai peggio di quel che stai. Ti servirà. Se non ti fidi di me
pensa almeno a questo: -gli scoccò uno sguardo dolce, appena velato-
pensa a quante volte, se avessi voluto, avrei già tentato di
ucciderti?"
Pirecrate tirò le labbra in un ghigno: non aveva neppure pensato che
Astre potesse volerlo *uccidere*! Solo che . .
"Va bene, fammi bere quello che devo e poi vattene!" disse
infine rassegnato.
Vide il sorriso di Astre farsi, per una volta, sincero.
"Non così in fretta, spartano! Mi serve un fuoco e dell'acqua calda,
e un po' di tempo. Promettimi che quando tornerò sarai qui, se si fredda
è da buttare e queste erbe, qui, non si trovano. Non mi va di sprecare le
mie scorte."
Pirecrate borbottò qualcosa che sembrò un assenso, ad Astre bastò, e si
allontanò chiudendo con leggerezza la porta alle sue spalle.
"Come mi piace quel ragazzo!" declamò il giovane dai riccioli
scuri saltando in piedi e stiracchiandosi, battendo in terra le punte dei
suoi sandali con un'ala dorata accanto alle caviglie. La giovane dai
capelli abboccolati e rigirati in bellissime ciocche solari scosse il capo
sorridendo e odorando un fiore, la veste rosa lungo tutto il suo corpo.
"Hermes!" lo intimò invece la donna coi capelli corvini quanto
la notte e gli occhi azzurri di roccia fluviale, riprendendo la propria
lancia, poggiata su un albero lì vicino. Nello specchio d'acqua sul
terreno era riflessa l'immagine di quel mortale che preparava i suoi 'rimedi'.
"Minerva, fattelo dire: sei noiosa. Liberissima di proteggere chi ti
pare ma potrò avere io le mie *personali* preferenze?" rispose il
dio alzando il proprio scettro.
"Quel barbaro sta ingannando un greco!" ribattè Minerva
cercando con uno sguardo l'appoggio di colei che le era da sempre poco
simpatica, ma che riusciva qualche volta a 'ragionare' con Hermes:
Afrodite, in quel momento, purtroppo per la dea dei piani di battaglia,
impegnatissima al rifarsi le unghie, per niente contenta della forma che
l'ultima ninfa aveva dato loro limandole.
"Ma è per il suo bene, possibile che tu sia così cieca!"
Hermes si sollevò da terra, sorridendo astuto e sfrontato alla dea che lo
guardava con occhi di ghiaccio.
"Assurdo: se lo venisse a sapere Zeus che prediligi un barbar-"
"Macchè barbaro e barbaro! Ancora con questa storia dei barbari e
dei Greci!"
"I barbari vanno tenuti lontani da qualsiasi uomo Greco: non potranno
mai convivere." sentenziò Artemide comparendo nell'aria seguita
dalle proprie ninfe. Afrodite l'osservò, con un fare sa superiore.
"Artemide, io quei capelli non li avrei conciati a quel modo, proprio
no: hai la faccia rotondetta e tirati giù non ti stanno bene"
constatò a voce alta, sorridendole, ipocrita.
"Preferisco andare a caccia che perdere tempo inutilmente
acconciandomi i capelli, cara la mia Afrodite!" ribattè la dea della
caccia, sprezzante.
Afrodite se la guardò un pò, soffiandosi sulle unghie, che *ora* avevano
un aspetto presentabile. Ascoltò per un pò le solite battute e si
accorse che Hermes aveva iniziato a sbadigliare. La salutò, ignorando
quelle 'vecchie' acide e *zitelle* di dee.
"Tu che ne pensi, Afrodite?" le chiese ad un certo punto
Minerva, gli occhi spiritati. Lei, comunque stavano i discorsi, aveva una
sola opinione
"Al cuor non si comanda..."
Astre bussò due volte, leggermente, alla porta di Pirecrate e scivolò
oltre la soglia portando tra le mani la tazza di creta bollente. Lo
spartano, solo in quella stanza piccola e spoglia lo fissò, corrucciato.
"Sei già qui? -disse in tono seccato e, quando Astre gli porse la
ciotola, arricciò il naso- Per Zeus! Batte in fetore tutte le cose che
abbia mai odorato!"
Astre si concesse un sorriso.
"Ti assicuro che non è peggio di quella schifezza di zuppa che
mangiate sempre, qui a Sparta" ribattè ironico e Pirecrate lo guardò,
fulminandolo.
"Bada a come parli, straniero!"
Astre scosse il capo e gliela porse. Lo guardò, stoico, annusarla con
circospezione e poi ingoiarla in grandi sorsi, torcendo la bocca in
smorfie di disgusto. Allontanò la ciotola con un gesto secco,
spingendogliela fra le mani.
"Eccoti accontentato, tu le tue maledette medicine! Adesso
vattene!"
Astre poggiò la creta su una nicchia piccola del muro e sospirò, quasi
rassegnato.
"No, adesso aspettiamo che faccia effetto."
La reazione di Pirecrate fu immediata, ma non inattesa.
"Non avevi parlato di effetti!"
"Non me l'avevi chiesto, e poi da' solo un po' di sonnolenza, tutto
qui. Ma non è saggio che un medico non segua il suo paziente quando
assume dei medicamenti, lo sai? Si tratta di etica"
"Non m'importa un accidente della tua dannata etica! -sollevò una
mano, furioso, per sbatterla contro il muro su cui Astre aveva appoggiato
la schiena quando la debolezza lo colse, inchiodandogli le gambe,
facendogli tremare le ginocchia. La fronte gli s'imperlò di sudore e gli
occhi gli si velarono. Sentì la voce tremargli ed all'improvviso si colse
non più padrone del proprio corpo e in preda a questo un'assurda
sensazione di *benessere* e tranquillità lo invase. Cercò in fretta di
riafferrare il corso almeno dei propri pensieri ma a nulla valsero i suoi
sforzi. Riuscì appena a muovere un passo e un capogiro più forte lo
prese- Cosa. . maledetto, cosa .. "
"Nulla, Pirecrate. -la voce di Astre gli sfiorarò il lobo di un
orecchio, ma le sue mani, addosso, non c'erano- Riesci ad arrivare al
letto? E' meglio se ti distendi."
Non lo toccò, seguì solo da vicino quei passi lenti e sempre più
pesanti, prima che quell'aitante giovane corpo si schiantasse sopra il
duro giaciglio. Quegli occhi erano lievemente velati da una patina
trasparente, ora, come se fosse uno di quegli eletti sacerdoti pronti alla
divinazione, il volto rilassato, il combattimento disperato che la sua
mente stava portando avanti per riprendere coscienza perso fin
dall'inizio. Astre gli sorrise, conciliante.
Lo vide riprendersi un attimo, quasi arrivare sotto la superficie di quel
velo d'acqua sotto le palpebre e sbatterle un paio di volte e poi
sospirare. Astre, col volto concentrato, si voltò, trafficando un attimo
ad accendere il lume ad olio posato sul rozzo e piccolo tavolo di legno.
Spezzò con gesti secchi e decisi foglie e boccioli di erbe profumate in
piccoli pizzichi e li gettò su quella fiamma. La loro fragranza invase
subito la stanza che prima odorava soltanto di roccia, come una caverna.
Per un attimo Astre ripensò alle proprie di stanze, sempre piene di
quell'odore e di certo mai odoranti di pietra. Si portò le mani in petto
per un attimo chiudendo gli occhi e poi si scosse, allungando una di
quelle mani eleganti di farfalla
per prendere dal fondo di una sua tasca un contenitore traslucido di olio
profumato.
Guardò, da sopra una spalla, lo spartano che pareva vedere un altro mondo
e sentì un sorriso affiorargli sulle labbra. Raccolse nei palmi ciò che
doveva egli si sedette accanto, sul letto, poggiando le cose sul terreno
vicino.
"Pirecrate...? Mi senti?" sussurrò sbilanciandosi sopra quella
forma con un braccio poggiato sul cuscino, ma senza toccare un solo
millimetro di pelle
Lo vide sbattere le palpebre e sforzarsi di mettere a fuoco il suo volto,
corrucciando la fronte.
"Non è questo che .. che mi avevi . . detto . . "
La sua voce raspava in gola, ma suonava già così poco convinta che non
sembrava affatto quella di Pirecrate.
"Ti avevo detto che non ti avrei toccato e come vedi, non lo sto
facendo -sollevò le mani sottili e bianche- Come ti senti?"
Pirecrate chiuse gli occhi serrandoli come a volerli difendere, la fronte
aggrottata di nuovo, e di nuovo le labbra torte in un ghigno. Gli sfuggì
un sospiro e si passò con rabbia una mano sulle palpebre chiuse per
cercare di chiarirsi la vista, detergendosi la fronte sudata. Fece un
movimento brusco come cercando di cacciare una zanzara fastidiosa
"Brucio! La pelle, la carne ..che mi hai dato, Astre?"
"Nulla che non avrei dovuto, Pirecrate -si alzò di nuovo e inumidì
una pezzuola nell'acqua contenuta in una brocca. Gliela posò poi,
delicatamente sulla fronte e, sentendolo agitarsi nervoso, si premurò di
rassicurarlo- Non sono io, Pirecrate . . tocca: è solo stoffa. Stoffa
umida. Ti darà sollievo."
Lo vide tremare, irritato, di nuovo come una bestia, in gabbia, che aveva
assunto veleno, adesso quasi avvinta dalle spire del sonno eterno ma
ancora pericolosa. Le sue dita presero la pezza bagnata e sospirò nel
farsela scorrere sul volto quasi febbricitante. La posò sulle labbra,
avide, e la succhiò.
"Ho sete! -il tono era quello di uno che si fosse appena accorto di
stare per morire dalla disidratazione dopo giorni passati in un deserto,
Astre si limitò a sfilargli la stoffa dalle dita che lasciarono la presa
docilmente, reimmergerla nell'acqua e, dopo averla strizzata, posargliela
di nuovo sulla pelle- Dell'acqua . . dammi dell'acqua."
"Non puoi bere."
Di fronte allo sguardo incredulo, le pupille dilatate, Astre rise.
"Come. .?"
"Le erbe devono fare il loro effetto e l'acqua le diluirebbe rendendo
inutile tutto questo. Pensa ad altro, ora."
Pirecrate si tese nervoso, battuto quasi, la pelle completamente madida di
sudore, le membra quasi tremanti, i muscoli gonfi come dopo una lunga
fatica.
"Pensare ad . . ad altro . . maledizione a te! -sbottò lasciandosi
andare e chiudendo gli occhi febbricitanti- Quando starò bene ti giuro
che . . che ti farò a pezzi . . -prese un profondo respiro come se gli
mancasse l'aria, ma questa volta, cercando di scuotere il capo, la forza
che riuscì a metterci era quasi nulla e si limitò a sospirare- Brucio .
. l'Eurota
. ."
Astre sorrise di nuovo.
"Non è saggio pensare a un fiume se hai sete e non puoi bere. Pensa
a . . a qualcuno piuttosto .. "
Lo vide chiudere gli occhi, deglutire a vuoto un paio di volte, stringere
le scarne coperte tra le mani e poi . . le labbra si tirarono non per un
ghigno, o per un'espressione amara, ma per sorriso splendido, che si tese
su un volto solitamente serio, troppo. Astre aguzzò le orecchie
preparandosi ad una conferma.
"Idrio . . "
Astre sobbalzò, fu talmente stupito di non udire il nome di Pherio da non
riuscire a capire a chi si riferisse. Poi si ricordò: l'ateniese . . Che?
L'ateniese?! Pirecrate e l'Ateniese!? Ma era assurdo! Lo sentì lamentarsi
piano, uggiolare quasi nel sono drogato in cui era caduto, eppure Astre
continuava a non poterci credere, anche se sapeva che non poteva avere le
forze per dire un qualcosa che non gli nascesse da dentro. L'ateniese . .
per gli dei! Pherio aveva accettato di essere il sostituto di un ateniese
nel cuore e nella mente di Pirecrate? Era per questo che si erano
picchiati, alle terme? Scosse il capo, avrebbe avuto tempo per pensarci,
ora . . ora doveva occuparsi di altro.
Il panno, nuovamente umido, glielo posò alla base della gola. Non lo
aveva ripiegato in quattro e a dividere le sua mano dalla pelle sotto cui
il sangue pulsava con lentezza c'era solo quel pezzo di stoffa. Lo vide
contrarsi, tremando, tendendo i muscoli. Astre, con gli occhi toccati da
una luce sottile, gli si chinò sull'orecchio.
"Idrio...lui, potrebbe toccarti?"
Un sussurro e in risposta un gemito. Quando le dita dell'altra mano si
posarono nude sulla pelle del suo petto lo sentì sussultare con forza,
spalancò gli occhi, fece per scattare a sedere ma il suo corpo non gli
obbedì. Rimase giù, supino, stringendo forte gli occhi e aprendo e
chiudendo le labbra senza emettere un suono.
"Non . . non sei Idrio, tu . . "
"No, Pirecrate, sono Astre, ricordi?"
Un sospiro gorgogliato, lo sforzo di modulare delle parole che approdò a
nulla. Astre gli passò le dita leggere sul volto, scostando i riccioli
scuri che sulla fronte. La sua pelle, al tocco gli tremava, ardente
com'era.
Seguì il bell'arco delle soppraciglia prima di affondare le dita nei
capelli spessi e madidi di sudore, pettinandoglieli piano indietro. Seguì
poi il contorno duro della mandibola fino al mento, salì sulla guancia,
sfiorò il naso e appoggiò un polpastrello sulle labbra morbide. Un nuovo
sospiro, un nuovo tremito, e Astre le sentì dischiudersi appena, la
lingua del giovane gli solleticò le dita, mordendogliele piano,
succhiandole appena.
Si trovò di colpo di fronte a due occhi per un attimo affogati in paura e
odio e vergogna, poi di nuovo luminosi, anche se lontani, un po' persi.
"Brucio, Aste . . brucio . ." sospirò e il giovane persiano
sentì freddo sui polpastrelli umidi
Vide quelle mani forti aggrapparsi alla veste che indossava e strapparsela
quasi di dosso, sfiorandosi con disperazione la pelle, cicatrici antiche
sul ventre che scintillavano sotto la lucentezza del sudore. Astre gli
sorrise.
"Posso toccarti ora?"
Pirecrate chiuse gli occhi, sentì la rabbia crescergli e un nuovo sospiro
irritato.
"Fai finire tutto questo . . brucio . . basta . ."
Astre prese il contenitore e si vuotò dell'olio sul palmo della mano. Lo
scaldò appena prima di posarlo su una spalla di Pirecrate. Lo spartano si
tese di nuovo, ancora scosse il capo con forza, ancora si morse un labbro.
Ma i ricordi erano troppo opachi per potergli dare più di una leggera
situazione di disagio, che invece affiorò istintiva in tutta la sua
forza.
"Sto facendo quello che mi hai chiesto, ti sto dando sollievo . .
posso continuare?"
"Co . .cos'è? Cosa fai?"
"E' solo olio, serve per rilassare i muscoli, sei troppo contratto,
senti?"
Passò le mani, leggere sulla curva della spalla seguendo il solco netto
disegnato dai muscoli duri del braccio. Quando arrivò al polso si dedicò
alla mano, le dita forti, il palmo ampio, e poi su di nuovo, movimenti
lenti e concentrici, il collo, carezze leggere e nuovamente forza per
impastare i muscoli dell'altro braccio. Quando fu il turno della mano
sinistra, Astre vide l'altro braccio sollevarsi, l'altra mano affondargli
nei capelli, e con forza lo strinse contro di sè, le sue labbra ardenti
contro le proprie, ansimanti, esigenti, affamate. La sua stretta di ferro
gli fece quasi scricchiolare le ossa, si dibattè leggermente finchè
Pirecrate non lo lasciò respirare.
"Non ho finito, Pirecrate!"
"Oh, sì invece . ." un sussurro appena, un suono che non era
quello della voce di Pirecrate. . andava bene, andava bene così . .
Un nuovo bacio, labbra e denti, con forza di nuovo lo strinse a sè, Astre
gli si sfregò contro, mettendoglisi a cavalcioni. Gli scivolò fuori
dalle labbra chinandosi sul suo collo brunito, lo sentì gemere, lasciando
andare la presa; quando, a furia di baciare e leccare gli lambì un
capezzolo, il guerriero si tese, mugolando, tirando indietro il capo,
arcuandosi sotto di lui come un ghepardo in corsa. Astre gli passò
addosso le mani, scivolandogli lentamente tra le gambe.
A Pirecrate sfuggì qualcosa dalle labbra, come un rifiuto, ma il suo
corpo non si tirò indietro e Astre non si fermò. I movimenti nervosi dei
muscoli di quelle coscie erano troppo secchi, Astre semplicemente chinò
il capo, dischiudendo labbra.
Il primo gemito di Piecrate fu un 'no' udibilissimo, deciso, quasi
spaventato, il resto si perse negli ansimi, pochi, che precedettero il
godimento.
Astre sorrise, leccandosi le labbra, guardando quel corpo lucido e
meraviglioso sotto di sè. Le palpebre socchiuse, le labbra appena
discoste, il fiato grosso che gli riempiva veloce i polmoni e un braccio
posato sulla fronte.
Si mise sulle ginocchia, tendendosi verso il contenitore dell'olio e ne
versò un lungo filo su quel ventre duro e compatto di muscoli e pelle
abbronzata.
Lo sentì sorridere.
"Per gli dei, Astre . . e adesso che fai?"
"Continuo quel che avevo iniziato. Tu rilassati."
Di nuovo le mani su di lui, il suo petto ampio, forte, l'addome tornito, i
fianchi, nodi duri di muscoli e tendini e poi il ventre sfregiato ma
lucido e comunque bello. Le cosce, poi, forti e lunghe come quelle di un
puledro, nervose, i cui muscoli scartavano e tremavano al tocco delle sue
dita lunghe e pallide contro quella pelle brunita. Astre sorrise di nuovo
nel vederlo scattare a sedere, le sue braccia afferrarlo e di nuovo
stringerlo e di nuovo baciarlo.
"Cosa mi hai dato . . questo . . tutto questo è . . non ha senso .
."
"Qualcosa che ti facesse bene, null'altro che questo . . ho forse
sbagliato?"
Gli sorrise, lo sguardo di Pirecrate era di fuoco, e pareva ormai quasi
padrone dei suoi pensieri. Il suo corpo, pensò Astre, ci avrebbe messo un
po' più di tempo. Il fatto che, anche se avesse voluto, non era probabile
riuscisse a picchiarlo, gli riuscì stranamente consolante.
"No. -sussurrò Pirecrate, prendendolo per un braccio e
costringendolo giù, sul materasso duro- Direi proprio di no."
Astre sentì il suo peso addosso, i suoi denti che gli morsero un orecchio
e soffocò un tremito nel sentire quelle mani scure fargli aprire le
gambe.
Gemette, quando gli afferrò un lembo di carne del collo mordendolo,
mentre le sue dita gli sfioravano la schiena, sollevandogli il bacino,
Astre si puntò con le ginocchia e sorrise.
Aveva sentito che una dose superiore di quella droga aveva permesso ad
alcuni uomini di avere rapporti per giorni e giorni consecutivi,
fortunatamente a Pirecrate ne aveva somministrata poca . . affondò il
capo nel materasso quando le mani di Pirecrate lo presero per i fianchi,
sollevandolo ancora, penetrandolo.
Gli sfuggì un gemito dalle labbra, e un altro, al ritmo delle spinte
dello spartano. Sfregò il capo con forza contro la tela ruvida che
copriva il giaciglio e si ritrovò a singhiozzare. I denti dell'altro gli
morsero la base del collo, di nuovo, e di nuovo si mosse dentro di lui. E
di nuovo, dannatamente, Astre pensò a Pherio, quel bastardo, e a cosa
avrebbe provato se ci fosse stato lui, e non Pirecrate, se l'avesse
accarezzato, toccato, spogliato, baciato, posseduto, se fosse venuto
dentro di lui, se avesse potuto assaggiarne il seme, se . . Pirecrate gli
colò fra le cosce con un gemito ansimante, Astre tremò soffocando un
sospiro più forte degli altri.
Pirecrate, inginocchiato dietro di lui, lo fece rotolare sulla schiena,
con uno sguardo strano sul volto. Astre lo guardò, bellissimo, scuro e
lucido, davvero pareva fatto di bronzo e invece era caldo come una
fornace, ardente come il cuore del sole. Gli fece scostare di nuovo le
ginocchia, in silenzio, Astre sollevò appena il capo.
"Che fai, adesso?"
Pirecrate gli rispose con un sorriso audace sul volto, ferino, attraente.
"Adesso tocca a te . ."
Astre spalancò appena gli occhi a guardare quel capo sprofondare fra le
sue ginocchia, quei capelli scuri sfiorargli la pelle morbida delle gambe,
e sentire quelle labbra ardenti stringersi intorno al suo sesso. Riuscì
solo a non farsi scappare dalle labbra un nuovo gemito.
___
"Acqua . . datemi dell'acqua per favore . . -supplicò, come
riuscisse ancora a mettere un piede avanti all'altro un mistero: la sabbia
rovente gli aveva già strappato alla pelle ogni sensibilità, i tendini
erano tanto irrigiditi da sembrare le corde di una cetra troppo tirate; i
polsi cinti in una corona di sangue gocciolante sotto i raggi inflessibili
del sole, la lingua secca non aveva più energie neanche per poter
deglutire. Ridotto a supplicare, imiliato fino ai calcagni, per un misero
sorso- Acqua . .per favore! . . a-acqua . ."
E cadde in ginocchio su quel terreno aspro: la sabbia gli ferì le
ginocchia.
L'uomo sul cammello vide l'ombra accasciata riflettersi sulla duna e fermò
l'animale prendendo un piccolo contenitore chiuso e una frusta. Scese, si
mise dietro a quello schiavo buono a nulla e lo sferzò una, due, tre
volte fino a che quello si rialzò sulle ginocchia tremanti.
Idrio credeva di stare per morire quando qualcosa gli fu a forza infilato
tra le labbra e, quando s'accorse che era un contenitore di liquidi,
stralunò gli occhi e vi si attaccò con voracità.
Il tè arabo bollente gli scese in gola e gli venne da rigettare, ma
l'Arabo gli tappò la bocca con una mano chiudendogli il naso.
"Irshamet. . bevi!" disse, seccato, quello e tornò sull'animale
per riprendere un viaggio che per fortuna sarebbe finito presto. L'oasi di
Firuzeh già si poteva vedere all'orizzonte come un puntolino, quasi un
miraggio: bella e vigorosa come sempre, e, assieme a lei, le tende del
Kebir, del Grande. Così i mercanti del deserto e delle corti appellavano
quel grande signore, seduto sul trono dell'impero del commercio, ma il suo
nome era Kassim.
Lì sapeva di poter vendere bene quello schiavo così giovane e così
evidentemente avvezzo ad essere trattato troppo bene: il signore dell'oasi
di Firuzeh soleva commerciare spesso anche con i grandi signori degli
Harem nel deserto e gli avrebbe insegnato l'ubbidienza. .
"Siamo quasi arrivati, schiavo". Idrio alzò il capo, scotendolo
per spostare il cappuccio del lungo mantello che gli copriva tutto il
corpo. Cercò d'aguzzare la vista, ignorando il bruciore degli occhi, per
cercare di vedere qualcosa poco lontano totalmente distorto dalla forza
dei raggi del sole.
Poi chiuse alla propria mente tutto quanto, arreso ormai al suo destino:
in qualsiasi posto sarebbero giunti, che si chiamasse Asia, Persia o
Egitto, per lui non avrebbe fatto differenza . .
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