NOTE: i personaggi sono nostri! Pherio e
Astre di Dhely. Pirecrate e Idrio di Kalahari. Anche se la divisione non
è così netta ci siamo suddivise i diritti d'autore in questo modo.
L'ambientazione è in una Sparta ideale (non cercate troppe coincidenze
spazio temporali, non ce ne sono troppe!) ma tutto ciò che siamo riuscite
a recuperare dei veri usi e costumi dell'antica Sparta è stato utilizzato.
Di odio. Di
amore parte
XII
di Dhely &
Kalahari
Se il filo del destino era immutabile, il suo si stava ormai dipanando a
una velocità tale che, anche solo tentare di rallentarlo sarebbe stato
impensabile.
Kakeo. Suo padre. Pherio.
Astre scosse il capo, troppe domande, troppe poche verità svelate su cui
lavorare, nessuna risposta. Tutto ancora in bilico, avvolto in una nebbia
indistinta e impenetrabile.
Sparta.
La Grecia e le colonie e la Persia e l'Egitto anche, lontano e remoto da lì,
erano pieni di motti e racconti sulla sua pura forza, sulle sue asciutte
leggi, sulle crudeli ma giuste vite che i suoi abitanti avevano in sorte
di vivere. I capelli portati lunghi per qualunque greco erano simbolo di
scarsa purezza, di ignoranza, di viltà, ma se si trattava di uno spartano
. .anche gli ateniesi, loro malgrado, all'elenco di epiteti infamanti che
affibbiavano con leggerezza a chiunque abitasse nella città a loro
rivale, non potevano non aggiungere che essi erano forti e saldi. E da
molte parti sorgevano voci di ammirazione per quel modo di vita tanto
consono agli antichi costumi, come se in Sparta il tempo non fosse
trascorso, dopo Licurgo.
Sparta. L'aveva avuta come meta ormai un anno e sette mesi prima, aveva
abbandonato la sua dimora consapevole di star facendo un'azione giusta, di
non poter fa altro di più saggio, eppure, in una minima parte del suo
animo, ben nascosto, c'era gioia. Sparta, dove gli antichi avrebbero
potuto rinascere e si sarebbero sentiti a casa. Dove le epopee potevano
trovar vita anche sotto il sole del presente e non più solo in un
anfiteatro con attori e il coro.
Sparta.
La città senza mura era sorta, spoglia, sulla terra rossa e brulla, al
suo arrivo. Niente palazzi degni di tale nome, niente giardini, niente
polle artificiali. Nulla. Solo un pugno di anziani, tanto possenti che
parevano in grado, ognuno di loro, di tenere da soli a freno una decina di
giovani del suo paese, a salutarlo.
Non c'erano ragazzi, fuori città per gli allenamenti, come avrebbe saputo
più tardi. Solo la città vagheggiata da molti e vista da pochi, così
piccola, semplice e squallida che. . ah che delusione era stata! E che
stupore, poi, scoprire la sottile arte diplomatica che quel borgo misero
sapeva intessere, straordinariamente, con le corti al di fuori dalla
Grecia visto che, solitamente, con le altre città raramente ci si
scambiava parola! Furbi, scaltri ed allenati erano coloro che da lì
venivano inviati in ambasciata presso i popoli stranieri.
E scaltro era stato il suo ospite, quel nobile Panfilo, Kakeo, eroe di
molte guerre e infinite battaglie che, per essere ripagato della sua
ospitalità aveva chiesto di affinare l'educazione del suo unico nipote
maschio, Pherio, nell'arte della conversazione, della diplomazia, per fare
di lui, in futuro, un eccellente ambasciatore, un perfetto diplomatico, un
politico in una città dove la politica non avrebbe dovuto esistere.
Esisteva, invece.
Pherio l'aveva stupito. Conosceva perfettamente gli scritti politici
ateniesi, asiatici, conosceva i regimi di governo, sapeva le dipendenze
diplomatiche, i più comuni sotterfugi, era come se fosse cresciuto in un
palazzo imperiale al centro del mondo e non in quella misera città
polverosa. Suo zio aveva profuso tutte le sue abilità, tutte le sue
conoscenze per renderlo adatto al ruolo di ambasciatore di Sparta presso i
potentati più grandi che miravano alla conquista della Grecia e Pherio
non l'aveva deluso.
Le voci che giravano per Sparta, ora, descrivendo il modo in cui aveva
condotto la sua squadra, secondo uno schema d'attacco persiano, dava
ragione ai tanti anni in cui Kakeo s'era premurato di addestrarlo, di
fargli imparare tutto ciò che si potesse dal nemico. E Pherio aveva
dimostrato d'aver imparato ciò che di fondamentale doveva, e di saperlo
utilizzare, quando il caso l'avesse imposto.
Astre si allacciò le mani dietro la schiena, scuotendo lentamente il
capo.
Ora che Pherio aveva imparato tutto quello che da lui avrebbe potuto
imparare, o quasi; ora che suo padre era morto, il nobile Kakeo avrebbe
acconsentito a proteggerlo tenendolo con sè semplicemente perchè era il
suo amante?
Non lo credeva affatto possibile. Era scaltro, il vecchio, e poteva avere
tutti i ragazzi che desiderasse, escluso quello che più di tutti bramava,
e poi ..bhè, proprio di colui che non poteva toccare era geloso,
gelosissimo. Ed era geloso di quello che gli aveva visto crescere negli
occhi per Astre, era geloso della loro silente intimità, della loro
vicinanza, chissà cosa immaginava accadesse da tempo tra loro .. Eppure
Kakeo non l'avrebbe eliminato senza tentar di ricavare un utile pure dal
suo cadavere, di questo ne era certo.
Merce di scambio? Garanzia per una qualche azione? L'unica cosa che
sollevava Astre era il sapere di esser considerato ormai troppo addentro
agli oscuri, antichi segreti e complesse alleanze intrecciate lungo i
secoli dai Panfili con quelli che chiamavano nemici, perchè fosse
semplicemente venduto come schiavo.
Almeno l'umiliazione di essere messo a spezzarsi la schiena per lavorare
la terra gli sarebbe stata risparmiata.
Sospirò tra i denti una maledizione nella sua lingua natale e scosse di
nuovo il capo. I suoi passi, silenziosi come quelli di un gatto,
percorrevano a vuoto le strade di Sparta, vagando senza meta cercando
sempre ed istintivamente i percorsi in cui avrebbe potuto incrociare meno
gente possibile.
Pherio era ritornato a Sparta la mattina precedente e l'aveva potuto
vedere solo da lontano, durante la cerimonia della lettura dei nomi di
coloro che erano tornati Spartiati. In piedi, immobile, i capelli lucidi
sotto il sole, silenzioso, nessuna espressione sul volto. Solo la sua
attenta osservazione gli aveva permesso di notare quel trattenere un po'
il fiato, il movimento un po' legnoso quando aveva dovuto torcere appena
il busto sulla destra.
Una costola incrinata. La sua abilità di medico non aveva rivali, Astre
lo sapeva, e sapeva pure che Pherio era stato fortunato. Molti erano
quelli che avrebbero gioito a vedere ritornare dalla prova la sua testa
staccata da quel suo bel corpo.
Rimaneva il fatto che Pherio non l'aveva cercato e Astre stesso sapeva che
non era neppure uscito dal Campo. Ma era poco probabile che suo zio non lo
avesse avvisato, tramite i loro soliti metodi, segreti a tutti, della 'novità'.
Di suo padre defunto.
Del rovesciamento totale degli equilibri di potere tra di loro.
Pherio non era venuto a cercarlo, era una silente condanna a morte? Una
delle successive albe avrebbero trovato il suo cadavere senza vita? O
meglio, magari non l'avrebbero mai più trovato. Kakeo avrebbe riferito
agli Anziani che il figlio del suo amico di Mileto era sparito, avrebbero
battuto le campagne intorno alla città per giorni, settimane, mesi,
forse, e poi avrebbero deciso che non ne valeva più la pena. E Astre si
sarebbe congedato dal mondo in quel modo?
Credere davvero questo di Pherio era saggio? Era corretto? Astre non lo
sapeva. Voleva con tutto se stesso credere di no, eppure . . eppure Pherio
non l'aveva forse tradito con Pirecrate? Non aveva forse preferito un suo
simile a uno straniero, un barbaro come lui era? Pherio, dopo tutto, era
cresciuto con l'assillante ricordo del barbaro che era stato suo padre, un
uomo che stigmatizzava, per suo zio, l'intero comportamento di una razza.
Che vedesse in Astre lo stesso 'straniero' che credeva sua madre avesse
visto anni prima in suo padre?
Si fidava di lui? Astre strinse gli occhi, sollevando il capo. Si fidava
di Pherio al punto di affidargli la vita spontaneamente, e non perchè non
potesse far altro?
"Astre?"
La sua voce, *quella* voce alle spalle lo fece sobbalzare appena. Quando
si voltò riuscì a ricomporre lo stupore sotto una maschera compassata ed
elegante ma davvero non l'aveva sentito avvicinarsi. Indossava la tunica
carminia della presentazione, si era semplicemente strappato di dosso i
monili e l'armatura scintillante per muoversi più rapido e leggero. Era
bellissimo, nobile e altero in quello straccio disadorno come solo lui
riusciva ad essere.
Ora gli altri ragazzi erano ritornati alle loro dimore, una delle più
uniche che rare giornate in cui era concesso agli spartani di rinchiudersi
entro i nuclei famigliari, per festeggiare un ragazzo che era tornato
uomo. Kakeo, si ricordò Astre, non aveva preparato nulla per Pherio e
aveva proibito anche ad Aspasia di mostrare alla città la sua gioia e la
sua soddisfazione o, anche, di approntare qualcosa di speciale per il
ritorno del nipote. Che tornasse spartiato era semplicemente il minimo che
si aspettasse da lui.
Astre lesse stanchezza e un'ombra di dolore in quegli occhi chiari, se
avesse potuto ne sarebbe stato rapito, ma tacque in silenzio il suo
apprezzamento, piegando appena le labbra in un elegante gesto di saluto.
"Bentornato, Pherio Panfilo. Dovrei congratulari con te, ora, ma non
so che parole siano quelle adatte per rivolgermi a colui che è appena
divenuto spartiato."
Pherio fu colpito. Astre si stupì dal vederlo quasi ondeggiare sotto un
peso che faticava a sostenere, un'ombra di amarezza gli camminò sul viso
e mosse, istintivo, un passo indietro, come se la troppa vicinanza, ora
che a dividerli c'erano così poche spanne, non sarebbe stata conveniente.
"Le solite che ci sono state tra di noi, Astre, andranno
benissimo."
Non era quello che voleva dirgli, Astre se ne accorse subito e s'incupì.
Forse era paura, forse irritazione o solo senso di vendetta, ma sentì
l'odio mordergli le viscere, e desiderio di ferirlo, tanto quanto aveva
fatto con lui. Un ghigno acre gli torse le labbra e quegli occhi come
ematite brillarono pericolosi, ferini, illuminati da riflessi grigi e
preziosi, scuri come il cuore della notte.
"Allora il silenzio è più opportuno per noi, non credi?"
Lo vide assurdamente impallidire. Pherio più bianco di quello che fosse
di solito era una vista strana, sembrava sul punto di cadere senza sensi
sul terreno della strada, invece abbassò gli occhi, quasi timido, quasi .
. Astre non seppe trovar le parole.
"Astre, perdonami se sono stato scortese. Ho udito quel che è
accaduto a casa mentre ero via."
Astre si tese. Un attacco? Una condanna? L'arroganza solita in cui era
cresciuto venne a sostenerlo, rovesciando completamente il senso della
frase gentile pronunciata dall'altro, fingendo una incomprensione che non
c'era stata, alzando bene la voce, mantenendola piana e tranquilla,
contrappuntando in maniera ineccepibile il sussurro morbido con cui gli
aveva parlato lo spartano.
"Credevo sapessi già che tuo zio mi fottesse."
Quegli occhi azzurri e trasparenti, come solo alcune giornate di primavera
in alta montagna possono essere, si spalancarono. Stupore, dolore,
*gelosia*, tutt'insieme. Quel volto sconvolto, in un lampo, si contrasse.
Si morse la lingua prima di riuscire a dire qualcosa di cui avrebbe potuto
pentirsi, le guance arrossate da troppi sentimenti e troppo forti, sollevò
una mano di scatto, come se desse un ordine.
"Come . . -la sua voce si ruppe, di colpo. Astre si domandò
inutilmente cosa volesse dire: 'come osi'? Forse . . Pherio chiuse gli
occhi, cercando di ritrovare un poco di compostezza, strinse i pugni lungo
il corpo- Volevo solo dirti che. . che mi dispiace per . . per tuo
padre."
Astre rise, una risata amara, tagliente.
"Credevo fossi dispiaciuto che un vecchio mi mettesse le mani
addosso!"
Pherio divenne una furia, Astre non l'aveva mai visto così irato. Sentì
appena la sua mano sulla spalla, veloce e forte, spingerlo contro il muro
della casa che delimitava la via stretta e vuota, la sua schiena vi si
schiantò contro e avrebbe forse perduto l'equilibrio se il corpo di
Pherio non gli si fosse parato di fronte. La pelle contro la pelle, gli
occhi negli occhi, il corpo premutogli contro.
Astre deglutì di fronte a quell'odio, ma riuscì a sorridere di nuovo.
"Sei un idiota! -un sussurro velenoso, sconvolto. La sua stretta
sulla spalla divenne più forte, insopportabile, quasi- Non . . "
Il fiato gli mancò di nuovo nella gola, potè solo fissarlo di nuovo, e
di nuovo tacere.
"Sarò idiota, ma tu sei un ipocrita -Astre gli sputò contro- Cos'è,
ti innervosisce adesso sapere ciò che hai visto da te mesi fa? Oppure
vuoi sapere come mi fotte tuo zio?"
"Taci!"
Quelle iridi assurde scintillarono di troppe cose perchè Astre potesse
coglierle, e comunque troppe erano l'ansia e l'angoscia e la rabbia che
gli mordevano nel cuore perchè davvero potesse mettersi a porsi la
domanda riguardo ai sentimenti dell'altro. Astre sorrise di nuovo,
freddissimo, crudele. Voleva assaggiare una parte della vendetta che gli
spettava. .
"O forse vuoi sapere com'è Pirecrate quando scopiamo?"
Pherio tremò. Da capo a piede, Astre sentì quelle membra lunghe ed
allenate, attaccate alle proprie, scosse da un terremoto. Lo stupore gli
colmò il viso, l'espressione.
"Pirecrate?" riuscì a chiedere quasi rauco, il fiato in gola,
la voce tremante, forse a un palmo dalle lacrime, o forse, più
probabilmente, irritato a morte.
"Sì, Pirecrate, il Dimano, perchè? Ci sono problemi?"
Pherio gli lasciò le spalle continuando a fissarlo in viso, il cuore
palpitante in gola e tutto il resto del mondo un uragano confuso. Mosse un
passo indietro, e un altro. Riuscì anche a parlare, a far uscire il fiato
dalla gola contratta.
"No, nessun problema."
E mosse un altro passo, e un altro, poi si voltò, scomparendo rapido
lungo una strada secondaria. Astre si lasciò scivolare seduto sulla terra
battuta, incrociò le ginocchia e chiuse gli occhi, lottando per non
piangere. Dal dolore o dalla frustrazione non lo seppe dire.
___
Fece scorrere le mani sul proprio grembo, tra le dita la veste a
carezzargli la pelle, il riflesso del suo corpo perfetto in ogni curva, in
ogni giuntura, nel rame, lucido, davanti a lui. La luce fioca e sparsa
nella stanza grande ed ampia, vuota, disegnava la sua ombra sfumata per
terra. Nello specchio i lineamenti erano contratti in un'espressione aspra
ma troppo tesa per impedire piccoli sussulti dei muscoli sotto la pelle,
ed il leggero tremare di quegli occhi tradiva ogni austerità, strappando
alla sofferenza l'ultima fragile maschera.
Pirecrate strinse i pugni e cercando di non rabbrividire, alzò gli occhi
per guardare l'immagine davanti sè. Per posare gli occhi sul riflesso di
un giovane quasi completamente svestito, se non per la stoffa rossa tra le
mani a coprirgli il sesso e parte delle cosce. Era come se ciò che
vedesse non fosse lui e sentiva di rifiutare intimamente quel corpo che
gli era stata via di macchia, anche se nessuno mai l'avrebbe saputo. Arrivò
a sfiorare i propri occhi nel riflesso e si osservò un istante, ma li
riabbassò immediatamente, nascondendoli per metà sotto le palpebre.
"Perchè?" chiese a niente e nessuno sull'orlo dell'isteria, il
cuore nel petto come se fosse al termine d'una corsa estenuante, il
respiro violento in corpo.
Cercò di regolarlo, tentando di rilassare i muscoli tesi sulla schiena da
fare male, con calma, per riprendere il possesso e il controllo delle
proprie carni. Controllo. . controllo del sudore che gli imperlava la
pelle calda, controllo dei propri occhi, sguardi, controllo della propria
voce, controllo di ciò che poteva accadergli: non sentiva più, non
riusciva più a credere di essere in grado di controllare ciò che gli
girava intorno. Come. . come aveva potuto permettere che tutto quello
accadesse?
Ho tentato. .
Non hai fatto abbastanza.
Ci ho provato ma non avevo più forze!
Sei un debole.
Non sono debole!
Come tuo padre.
NON SONO COME MIO PADRE! NON SONO DEBOLE!
"No!" esclamò a gola serrata e si costrinse ad alzare lo
sguardo, di nuovo, per affrontare quello che aveva davanti. Si obbligò a
far scivolare gli occhi non sul volto, lì no, non poteva vedersi, non
voleva vedersi, ma sul collo, sul petto e sulla pancia; in quel punto si
bloccò, il fiato incastrato tra i denti e poi arrivò a guardarsi
l'addome dove già arrivavano quelle cicatrici chiare che si portava da
tanto tempo addosso. .
Era periodo di prova: ai ragazzini più piccoli non veniva dato da
mangiare, erano totalmente esclusi dalla mensa. Questo serviva a farli
abituare sin da giovanissimi all'astinenza che, se fossero divenuti
cittadini, avrebbero dovuto saper fronteggiare durante i periodi di marce
forzate. Lo stomaco al piccolo Pirecrate brontolò violentemente al
pensiero del cibo e si guardò intorno, iniziando a camminare come un
vagabondo, rivolto verso un punto qualsiasi, cercando di trovare qualcosa
da poter 'prendere in prestito'.
"Pirecrate!!" una voce ansante dietro le spalle e lui, il volto
zozzo di terra e provato dalla fame, si voltò interdetto perchè mai
nessuno lo chiamava mai per nome. Di solito quando gli si rivolgevano
dicevano o 'figlio di traditore' o 'Dimano'... Il pensiero lo fece
distrarre e, vedendo che qualcosa gli fu tirato, d'istinto l'afferrò.
Quello continuò a correre ansante e scomparve dietro un angolo. Pirecrate
osservò perplesso, per un attimo, la palla morbida di pelo che si
ritrovava tra le mani e ..
"Se ti prendo!" questa era la voce di un adulto, minacciosa,
poco lontana.
Pirecrate guardò da una parte, dall'altra, di nuovo a sinistra e poi a
destra e il volpacchiotto tra le braccia lo morse, affondando le piccole
zane appuntite nella carne ancora tenera. Il bambino si lasciò scappare
un'esclamazione di dolore e smovendo il braccio in aria lo fece staccare
con forza ma in quel momento si rese conto della situazione: qualunque
bastardo fosse passato, per non farsi beccare in flagrante gli aveva
passato l'animale. . O dei!
I ragazzi affamati potevano rubare, ma se erano colti in flagrante erano
disonorati a vita.
In una mossa rapidissima riacchiappò l'animale e lo nascose sotto la
propria veste, mettendovi le mani sopra per impedirgli di scivolare via e
di muoversi visibilmente, nella speranza di non essere beccato e punito
per qualcosa che non aveva fatto. L'uomo svoltò l'angolo con passo rapido
e furioso, adocchiò il ragazzino in mezzo alla via.
"Hai visto un ladro con un volpacchiotto, Dimano?" gli fu
domandato, l'animale iniziò a dimenarsi mordendogli un fianco e
graffiandogli con gli artigli posteriori l'altro.
"E'. . è passato un altro bambino ed è andato. . giù. ."
indicò col capo impedendosi dall'urlare dal dolore. L'adulto guardò la
strada e, vedendola deserta, tornò a fissare il proprio sguardo glaciale
su quel bambino che essendo figlio di un traditore, non poteva altro che
averne il sangue.
"Non ti credo." disse, piano e minaccioso, chinandosi dalla sua
altezza verso di lui.
Pirecrate strinse i denti in quel momento: un bambino di sette anni contro
l'espressione ostile e diffidente di un uomo molto più grande. Assicurò
maggiormente la presa sull'animale che gli stava straziando le carni e con
fermezza, senza tremori nella voce, ribattè.
"Libero di non credermi, ma io non sto mentendo." e anche se in
quell'istante le ginocchia minacciarono di cedere e gli occhi di
chiudersi, resistette.
Perchè doveva.
L'uomo esaminò attentamente quello sguardo deciso, scosse il capo e si
allontanò in cerca del piccolo ladro. Pirecrate sciolse di fretta le
vesti con un ghigno irato e tirò via dal proprio corpo quell'animale
maledetto che corse via lasciando impronte carminie in terra. Il ragazzino
si resse con forza la pancia con una mano, poggiando l'altra ad un'asta di
legno per sorreggersi. Sapeva che se si sarebbe inginocchiato o se si
fosse lasciato abbandonare a tera non sarebbe più riuscito ad alzarsi. Ma
faceva male: i fianchi...o cielo i fianchi... non si guardò, ma s'appoggiò
al muro per avere anche l'altra mano libera per reggersi i punti laterali
che gli stavano facendo appannare la vista dal dolore. Come se gli
avessero infilato dei ferri roventi nella carne.
Si lasciò scappare un grido soffocato, rauco ma appena udibile tra i
denti serrati.
"Ma guarda che ti sei fatto! -esclamò un ragazzo davanti a lui,
quello che gli aveva passato disonestamente l'animale e che era tornato
per prendersi ciò che era suo- Sei uno stupido, morirai per quelle
ferite!" lo rimproverò
"No, molto meglio morire senza cedere al dolore; se non riuscivo a
resistere e mi facevo scoprire, quel che ci guadagnavo era una vita
disonorevole." gli rispose con negli occhi disprezzo odio e
sofferenza. D'un tratto il calore dalle ferite divenne insopportabile e
gli percorse tutto il corpo fino ad arrivare alla testa e lì perse i
sensi.
Si guardò, di nuovo, nello specchio di luce rossa e vide spiccare
nonostante il carminio dei riflessi, delle lunghe scie di sangue scarlatto
come le viscere della terra. Abbassò il capo e si vide le unghie
affondate nella carne sopra la cicatrici. .
___
Pirecrate il Dimano.
Pirecrate il figlio del traditore.
Pirecrate degno figlio di Sparta.
Pirecrate!
Era strano? No che non lo era!
Pherio scosse il capo, sconvolto, correndo giù verso il Campo, verso i
dormitori.
Dove avrebbe mai potuto andare se non lì? Erano vuoti, i ragazzi non
c'erano, tutti erano a festeggiare a casa o con gli amici. E poi poteva
forse avere un altra meta?
Il fiume probabilmente era gremito di gente e di ritornare a casa non ci
pensava neppure, con il rischio che correva di trovarsi di fronte quel .
. quel . .
Suo zio.
Suo zio *e* Pirecrate. Dei, Pirecrate!
Tra tutti gli abitanti di Sparta, della Grecia, del mondo intero perchè
Pirecrate?!
Perchè era nobile, pensò, dandosi dell'idiota. Perchè . . i motivi
erano mille e mille ancora e infine non avevano alcuna importanza. C'era
un motivo perchè un ragazzo giovane e bello, simile a una sera orientale
com'era Astre, passasse notti e notti nel letto di suo zio? No, non
esisteva o, comunque, non riusciva a trovarlo.
Non ci era mai riuscito. Aveva ragione Astre, lo sapeva da tanto, l'aveva
sopettato da ben prima di averli visti insieme ma cosa poteva fare?
Uccidere suo zio? Torcergli quel maledetto collo? Affondare una spada in
quel petto, in quel corpo che osava toccare e possedere quello di Astre? Sì,
certo! Che soluzione sarebbe stata?
Nessuna. Astre non era stato obbligato da suo zio, di questo ne era certo,
se divideva il suo letto con lui era perchè lo *desiderava* . . e se lui
non ne capiva il motivo non era colpa di Astre!
Ma adesso anche Pirecrate! Pirecrate che aveva la sua età, che non
possedeva nulla che anche lui non possedesse! Era forte tanto quanto lui.
E intelligente. E prestante. E dannazione non era da meno di Pirecrate in
*nulla*!
In nulla.
Pherio si fermò all'ingresso dei dormitori, silenziosi e vuoti, alzando
gli occhi al cielo. Da quell'angolatura si poteva intuire una parte del
tetto del tempio della dea Artemide, scintillante pacato sotto il sole e,
improvvisamente, la vista gli si fece confusa.
Non era vero.
Pirecrate non aveva i capelli biondi. Pirecrate non aveva gli occhi
azzurri. Pirecrate non era pallido come una fanciulla che non fosse mai
stata sfiorata dai raggi del sole. Pirecrate era uno *spartano* non un
mezzo barbaro.
Pirecrate non aveva il suo *aspetto*. Il marchio del disonore.
Deglutì con forza, stringendo le palpebre per asciugarsi le lacrime che
gli stavano sorgendo negli occhi. Prese un lungo, profondo respiro e
s'incamminò lentamente verso il Campo ritrovando, dentro di sè quella
forza che gli era venuta meno per chissà che ragione.
Nei dormitori, in pieno pomeriggio, non avrebbe avuto nulla da fare,
almeno al Campo avrebbe potuto allenarsi.
Che razza di pensieri stupidi erano stati, i suoi! Astre era libero di
scegliersi chi volesse come amante, a legarli non c'era nulla, e non ci
sarebbe *mai* stato nulla oltre a quello che non fosse già presente, ora.
Non poteva, in sincerità, trovare insostenibile una situazione simile,
una situazione che lui stesso aveva contribuito a creare!
Una situazione che lui stesso aveva *voluto* creare. Strinse i pugni,
sorridendo con sdegno a se stesso. Il vincente era solo chi rimaneva in
piedi dopo una battaglia, era la punta della spada che delimitava la verità
dall'errore.
Pherio sentì il petto gonfiarglisi d'orgoglio e rabbia. Lui non doveva
nulla a nessuno, mai gli era stato donato altro che disprezzo e incredulità,
tutto ciò che era lo doveva solamente a Sparta, che l'aveva reso forte, e
alla sua dea, che lo proteggeva in cambio di un giuramento solenne che
s'era impegnato a rispettare a costo del proprio onore. Gli altri,
chiunque altro, non valeva nemmeno la pena di un suo fiato.
Nessuno riusciva a stargli al pari con un spada in mano, nessuno mai
l'aveva gettato nella polvere, giusto suo zio pareva che in passato fosse
stato più abile di lui . . ma Astre non era suo zio, e Pirecrate ..
Pirecrate l'aveva sempre sconfitto.
Se Astre aveva deciso di rotolare fra le braccia di un valente spartiato
denotava solo di aver avuto buon gusto, ma mai avrebbe potuto trovarsi un
compagno migliore di quanto sarebbe stato lui. Pirecrate era il meglio che
potesse trovare, probabilmente, appena alle sue spalle, ma proprio perchè
non era alla *sua* altezza Pherio si trovò a disprezzari lievemente.
Gelosia? Era stato geloso di Pirecrate? Non esisteva un solo motivo perchè
Pherio Panfilo fosse geloso di lui. E Astre .. bhè, Astre poteva tenere
con cura tutto il suo orgoglio e la sua boria, poteva ricominciare ad
intessere tutte le sue stramaledette arti, profondere tutto il suo
impegno!
Ma lui mai e poi mai avrebbe infranto il giuramento.
E se ora sentiva male al cuore..bhè, sarebbe sopravvissuto. Le ferite, più
sono profonde più ci mettono tempo a guarire.
__
"Di dov'è?" chiese l'uomo scuro al mercante, afferrando il
mento allo schiavo con forza.
"Ellade." rispose il venditore di schiavi facendosi vicino, mani
nelle mani appiccicaticcie.
"Anni?" esaminò quel viso giovane e ancora senza barba.
"Diciassette" disse il mercante dalla veste colorata con un
sorriso smieloso.
"Quanti anni hai?" chiese direttamente al giovane parlando
Greco, aspettandosi una risposta. Ma tutto ciò che ricevette fu una
faccia contrita a labbra serrate, uno sguardo di astio profondo e di
impudente sfida. Lo ricambiò per un attimo per poi lasciare la presa e
senza dire niente andarsene più avanti in cerca di uno schiavo più
docile.
Il venditore andò davanti al ragazzo, gli ordinò di girarsi, ma Idrio
non mutò affatto atteggiamento e, se era possibile, divenne ancora più
scuro in volto.
L'uomo sbuffò, gli prese un polso ferito e sfregando con forza il proprio
pollice contro la parte più lesionata, sanguinante, e stringendo lo fece
inginocchiare in terra e gridare dal dolore. Gli diede un calcio in volto
e lasciò la presa.
"Sei uno schiavo, greco. Se ti ammazzo non ci perdo niente!"
affermò gelido per poi allontanarsi in vista d'un altro cliente.
Idrio sentì i propri occhi riempirsi di lacrime per l'umiliazione: nudo,
rannicchiato su un palco, davanti a tutti i passanti. Mai nella sua vita
aveva mai immaginato che potesse esistere umiliazione peggiore... Ma non
doveva perdersi d'animo. Gli sarebbe stato inutile e, seppur la voglia di
scoppiare in lacrime era fortissima, sbattendo le palpebre le ricacciò
via.
Anche se sentì il proprio petto rompersi in più pezzi di quanti fossero
prima.
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