NOTE: i personaggi sono nostri! Pherio e Astre di Dhely. Pirecrate e Idrio di Kalahari. Anche se la divisione non è così netta ci siamo suddivise i diritti d'autore in questo modo. L'ambientazione è in una Sparta ideale (non cercate troppe coincidenze spazio temporali, non ce ne sono troppe!) ma tutto ciò che siamo riuscite a recuperare dei veri usi e costumi dell'antica Sparta è stato utilizzato.

Di odio. Di amore 

parte X 

di Dhely & Kalahari


"Pirecrate. . - un sussurro echeggiando si perse tra i legni scricchiolanti dell'imbarcazione sbattuta in ogni dove dalla tempesta. L'aquila rispose credendo che l'invocazione fosse rivolta a lei e si avvicinò all' unico amico di sempre, che l'accolse sul grembo - Hai paura?" domandò il ragazzo con due occhi lontani, di un grigio scuro come la superficie di un mare specchio di tempesta.

Un tuono squarciò l'aria, la pioggia si fece più fitta e il vento più cupo: acqua e luce tenebrosa entrarono dalla finestra. Qualcosa cadde, accanto a lui: l'aquila si mise sulle zampe semiaprendo le ali ed emettendo un suono acuto, ma il giovane non si mosse, troppo perso in se stesso.
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"Serrate le fila!"

Quell'ultimo urlo Pherio non seppe dire da dove riuscì a strapparlo. Era certo che già da ore non avesse più fiato in gola, più aria nei polmoni, più saliva in bocca e più sangue in corpo, tutto quello che gli rimaneva era quello che gli scivolava copioso giù dal braccio destro, rendendogli scivolosa l'impugnatura della spada.

Sotto quell'elmo dannato il caldo era insopportabile, il sudore gli colava negli occhi e non poteva far nulla per tergerselo, in più la polvere . . dei, la polvere! E il dolore in tutti i muscoli intorpiditi e troppo stanchi, urlanti alla sua mente solo di riposarsi, di offrire il collo al fendente avversario e di dormire, finalmente.

Invece no. Il sole, alto nel cielo, era torrido e inclemente ma lui doveva preoccuparsi di ben altro, ora. Si voltò rapido su un fianco, schivando una spada, parando un colpo da sinistra con lo scudo. Cercò di prendere un profondo respiro ma non ci riuscì, qualcosa gli premeva sul costato, probabilmente s'era rotto una costola. . un ghigno dolorante gli si dipinse sul viso.

"L'ala desta avanti! Avanti! Pirecrate! - Lo indicò con un cenno del capo e un movimento rapido ed ampio del braccio - Pirecrate, falli muovere! Voglio lo schieramento rotto fra due minuti!"

Pirecrate lo vide, abbassò lo sguardo inspirando con tutta la forza che si sentiva e poi tirò fuori violentemente la voce arsa, come un leone che alzando la testa chiomata verso il cielo ruggisca potente

"Andiamo! Siamo o no i valenti che domani vedranno albeggiare vincitori!" e s'alzò quel suo fiero ruggire sopra il clangore della battaglia, sopra tutti gli sfregamenti di spade contro spade e contro le carni ed armature; accompagnò l'incitazione con un movimento nell'aria pesante, che sembrava densa come poteva esserlo l'acqua, e parve squarciarla e tagliarla in due pezzi irricomponibili con la spada: indicò l'orizzonte ma i suoi occhi erano puntati sui nemici come quelli di Ares prima di scagliare una lancia su un cinghiale.

I ragazzi dell'ala destra trovarono in lui la loro stella polare e fecero ciò che per istinto l'animo suggerì loro: la seguirono. Le labbra di Pherio poteron esser viste piegarsi in un sorriso sotto l'elmo e mosse un passo di lato, coprendo il fianco di Plistarco, le gambe tremanti per la stanchezza. 
Era una sciocchezza che un capitano come lui, col potere di scegliersi chi volesse come compagno di fila, decidesse di mettersi al fianco di uno che, si sapeva già all'inizio, sarebbe stato solamente un uomo già morto da trascinare.
Ma se era suo destino che quel ragazzo perdesse la vita lì, durante quella prova, non l'avrebbe fatto con disonore, l'avrebbe obbligato a combattere come il più valoroso degli uomini, se fosse stato necessario l'avrebbe trascinato nel centro dei combattimenti tirandolo per i capelli.

Quel dolore che gli opprimeva il costato, era un colpo parato per lui e al posto suo. Ma lì si combatteva, e non c'era tempo per certe lamentele . .per che motivo poi? Erano compagni, bisognava pararsi il fianco l'un con l'altro. Se Plistarco avesse potuto, avrebbe rifatto la stessa cosa per lui.

Si voltò appena, per seguire un suo combattimento con la coda dell'occhio, poi, come una lancia gli si infilò fra le gambe,  facendogli perdere l'equilibrio.


Pherio riuscì a non rovinare a terra, continuando a tener alta la spada, sgusciò ad un attacco ritornando in piedi parando un altro affondo. Si avvicinò a Plistarco e con la rabbia in corpo gli afferrò una parte della veste che usciva da una spalla dell'armatura e lo tirò a forza.

"Plistarco! Avanti! Serra la fila!"

Clangore di spade e scudi che cozzavano senza tregua. Vide il ragazzo annuire, poi i suoi occhi spalancarsi, improvvisamente, e la bocca aprirsi in un'esclamazione di assoluto silenzio. Pherio si voltò spaventato di cosa potesse aver visto nel campo avversario per assumere un'espressione simile. . ma nulla era di fronte a Plistarco . . scostò di nuovo lo sguardo e vide il tetro e carminio scintillare della punta di una spada infilata da dietro nel petto.

Pherio lasciò andare la veste e vide il giovane già morto accasciarsi nella polvere. . attaccato alle *spalle*? E non era un attacco diretto a Plistarco, no, era per lui . .vide lo sguardo scintillante di Polinice ridergli in faccia da sotto un elmo.

"Peccato, Panfilo, sai, a volte anche i migliori sbagliano a menare un affondo."

Pherio sentì una scossa gelida passargli lungo la schiena. Un covo di copra inviperiti sarebbe stato meno pericoloso . . Riuscì a trovare la forza per ringhiargli un sorriso prima di voltargli le spalle.

Il capitano Polinice gli balzò al fianco, aiutandolo a parare un assalto, la sua voce rideva di scherno.

"Ma lo sai, figlio di un barbaro, che ai nemici non si mostra mai la schiena?"

Pherio rise in risposta.

"Non avrei onore se avessi timore a mostrare la schiena a certi nemici, Polinice, armati di spade senza filo e buoni solo a sputar veleno! C'è un combattimento da vincere, ora, che mi pare più importante."

Per un attimo Pherio sembrò davvero un dio, un Apollo guerriero sceso fra le fila degli spartani per combattere una scaramuccia di addestramento per i propri ragazzi, quando il sole riverberò sulla spada arrossata dal sangue e gli occhi, dal fondo di quell'elmo crestato, parevano più luminosi di una stella e più penetranti di quelli di un'aquila. Presto quel raggio di sole fu oscurato da una nube leggera, e il giovane balzò all'attacco con un grido, ma Polinice rimase ancora attimi immobile a fissare il luogo ove quel giovane arrogante aveva osato rivolgergli cotali parole ingiuriose e si accorse. . si accorse di aver avuto paura nel fissare quegli occhi troppo chiari.

Pherio era scattato in avanti, una corsa leggera sul terreno accidentato in equilibrio tra parate e affondi, raggiunse un lieve rialzo del terreno e si schermò gli occhi, come a cercare di vedere la situazione al meglio, poi sorrise, o fu quello che sembrò a chi gli era più vicino, ritornando a fronteggiare i nemici che lo avevano inseguito.

Pirecrate era davvero quello che s'era aspettato, aveva visto l'ala destra più avanti di quello che aveva osato sperare, quasi nel cuore dello schieramento. Ora, se gli altri non avessero risposto con una rapida mossa avvolgente, avrebbero di certo rotto le loro fila. . In fondo il loro compito era prendere il grosso dell'esercito di sorpresa, no?

E che sorpresa più grossa era che attaccarli seguendo uno schema che non era solito degli Spartani bensì utilizzare un modulo veloce dei Persiani? Aveva avuto cinque soli giorni per insegnare ai ragazzi tutto quello che Astre gli aveva detto a riguardo degli attacchi di sorpresa delle truppe scelte del re di Persepoli, ma si stavano comportando bene. Pirecrate era *nato* per comandare uomini.

Si voltò verso i ragazzi che erano alle sue spalle.

"Voi, saldi! Coprite i lati e reggete! Io vado avanti!"

Correre gli faceva male i polmoni e i muscoli delle gambe, rattrappiti dalla fatica e dagli sforzi. Tutti si domandavano, quando passava, perché mai un capitano non prendeva posto *dentro* lo schieramento dei suoi uomini ma corresse di qua e di là in quel modo, ma Pherio non si preoccupava di certe occhiate. I Re di Sparta era così che combattevano e lui lo trovava più comodo che stare ingessato in una sola posizione. Se doveva urlare ordini ragionevoli a un gruppo di uomini che, per una scelta a tavolino, si erano sparsi per tutto il campo doveva vederli e doveva poterli sentire. E se, dannazione, non era *così* che si combatteva, bhè, per gli dei!, che quegli Spartiati che ora stavano comodi a Sparta venissero lì e gli facessero vedere come bisognasse fare per far *meglio* di così!

Il fiato in gola era sempre più corto quando giunse al fianco di Pirecrate.

"Come andiamo?"

Pirecrate sorrise, feroce, combattendo come una furia.

"Bene capitano! Non preoccuparti di noi, non abbiamo bisogno di nulla, non è vero ragazzi?!"

Un urlo all'unisono sorse dietro di lui, Pherio si limitò a sorridere mentre, per un attimo, quelli che li stavano affrontando si erano immobilizzati come dallo spavento. Sembravano davvero un sol'uomo. Era davvero quello che voleva che fossero. Pirecrate era davvero in grado di fare quello che lui non sapeva e non poteva.

Dovevano solamente stingere i denti per ancora qualche ora. . e poi, se gli dei avessero voluto, quella battaglia avrebbe avuto fine.

Annuì in silenzio a Pirecrate e riprese a combattere.
__

Il Dimano rimise la propria spada nel fodero, udendo il rumore vischioso del rame imperlato di sangue contro il cuoio. Scosse il capo muovendo in avanti le gambe che rischiarono di cedergli sotto il peso immane della stanchezza, ma riuscì a camminare e, passando vicino ad un ragazzo steso a terra nella propria pozza di sangue col volto rivolto a Gea, lo prese tra le braccia afferrandone lo scudo e tornando verso l'adunata. Lì depose il cadavere e chiuse gli occhi a quel compagno meno baciato da Fortuna quel giorno o meno benvoluto dalla dea perchè nato troppo debole.

Ma anche i suoi occhi gli si chiudevano dalla spossatezza fisica e mentale: il giorno dopo avrebbe gioito, eccome se lo avrebbe fatto!, ma tutto quello che voleva in quel momento era poter sdraiarsi, poter coricare le gambe e le braccia stanchissime e godere dei doni del sonno ristoratore. Si diresse vicino ai ragazzi del suo gruppo e di già la sera iniziava ad adombrare le cime dei monti e le valli profondissime, mentre l'aria era tinta ancora dei lampi della battaglia.

"Bisogna accendere un fuoco - disse arrivando fresco fresco Pleto ai suoi ragazzi che già s'erano seduti in terra, i volti stravolti e distrutti e le spade accatastate poco più in là. Quelli del suo gruppo erano tutti presenti e anche *Pirecrate*, naturalmente - Pirecrate, va te a raccoglierla: segui quella strada e sali per un pò. Lì ci saranno abbastanza alberi." gli ordinò e lo vide farsi forza per non disobbedire all'ordine.

Ricordava bene quanto fosse stancante quel mese d'addestramento: era una memoria che difficilmente scoloriva dalla mente di uno Spartiato. I rumori della prima battaglia, il primo sangue sulla propria lama e il dover riuscire a sopravvivere alla notte senza mangiare niente. Chi arrivava alla mattina era Spartiato.

A vincere era il più furbo e il più forte.

"Va bene." il Dimano disse cercando di assumere la camminata più dignitosa possibile, avviandosi verso il punto che aveva descritto Pleto.

L'uomo vide quella schiena forte riMpicciolirsi piano piano, poi andò all'adunata dei capisquadra in cui segnalava che tutti della sua squadra erano presenti ed infine tornò vicino alle tende. Per un attimo guardò il sentiero che aveva preso Pirecrate, che di sicuro doveva arrivare ancora in cima, e poi non visto sgusciò favorito dalla luna nuova per prenderlo. In mano un fascio di corde, sapeva che nessuno sarebbe venuto a cercare Pirecrate anche se avesse ritardato di molto perchè nessuno avrebbe avuto occhi altro che per se stesso e per il proprio giaciglio.

Seguì la piccola stradina che si inerpicava difficoltosamente sulla montagna a passi spediti: anche lui aveva partecipato allo scontro ma era abituato a ben altro. Vide chiaramente le impronta lasciate dal ragazzo che più saliva più strusciava i piedi nel terreno pietroso e sentì le proprie mani iniziare a sudare per l'anticipazione di quello che sarebbe successo.

Ora o mai più.

Poi lo vide, con la spada in mano menare colpi ai rami che venivano falciati in malo modo: l'arma, era evidentissimo, gli stava pesando tra le mani ma la concentrazione e la spossatezza erano tali che non s'accorse subito dell'arrivare di qualcun altro.

Poi Pleto fece apposta a schiacciare con un sandalo un ramoscello secco in terra, che schioccò tra i mormorii del bosco. Pirecrate sentì i capelli dietro il collo drizzarglisi e si voltò di scatto cercando di riuscire a tenere almeno l'arma puntata verso chiunque gli fosse dietro.

Pleto.

Fece un passo indietro e ringhiò come avrebbe potuto fare un giaguaro, a denti stetti e con occhi di lingue bollenti.

"Stai lontano!" intimò e cercò con lo sguardo una via di fuga ma tutto quello che aveva alle proprie spalle era un intricato intreccio di rami e davanti una strada sbarrata.

In trappola. Il pensiero lo fece raggelare e tentò di scovare nel proprio corpo le energie per potersi opporre a quella figura che con un sorriso di scherno gli si avvicinava.

"Che c'è, Dimano, non ti piace la mia faccia?" chiese lasciando scorrere a terra il primo giro di corda per averne a disposizione e si godette la prima occhiata di timore del ragazzo, che subito però si trasformò in rabbia.


Scattò in avanti cercando di dare un colpo frontale con la spada ma Pleto si scansò all'ultimo secondo e con un piede colpì i suoi facendolo cadere a terra. Gli si affiancò e diede un calcio al polso che ancora teneva la spada; l'arma scivolò lontano.

Pirecrate alzò lo sguardo verso di lui e si girò di lato tentando di prendere quel poco di terreno che gli sarebbe bastato per alzarsi e correre via verso l'accampamento ma le gambe questa volta gli fallirono, i muscoli troppo dolenti. Un calcio, due calci nello stomaco e fu costretto a prostrarsi a terra dal dolore mentre una strana letargia cominciava a prenderlo: era la sua mente che voleva obbligare il corpo al riposo.

"Non provare a sfiorarmi!" sospirò a denti stretti cercando in sè qualche forza che ancora poteva essere nascosta. Strinse con forza iraconda la terra sotto le dita ma anche i tendini dei polsi gli cedettero e si immobilizzò, lo stesso respirare troppo doloroso ai fianchi.

"Sai, solo se tu fossi un mio pari protesti avere l'ardire di dirmi una cosa simile. Ma tu sarai Spartiato solo domani mattina all'alba." sentenziò ghignando Pleto sciogliendo del tutto la corda ed afferrando un polso del giovane, ma non si aspettava che quella con l'altro braccio lo afferrasse e lo tirasse a terra.

Chiuse gli occhi per un secondo ma li riaprì ed acchiappò il ragazzo che era quasi riuscito ad alzarsi, facendolo rotolare di nuovo nella polvere mentre tutt'intorno il bosco pareva tacere. Velocemente lo schiacciò a terra col suo peso, petto contro schiena, e gli afferrò le braccia che avevano tentato di afferrargli la testa - e se ci fossero riuscite gli avrebbe spezzato il collo - e le legò in un soffio d'Eolo torcendogliele dietro il dorso.

"LASCIAMI!" gridò Pirecrate scalciando e cercando d'inarcare la schiena più che poteva, tentando di ribellarsi come una Furia strepitando e lanciando maledizioni.

Pleto cacciando con soddisfazione quel poco di terra che aveva dal viso si scansò da quel corpo meraviglioso; alzandosi in piedi e lo osservò: le mani, tentando di liberarsi dalla presa delle corde, si dibattevano dietro la schiena, i muscoli tesi delle gambe scoperti quasi fino alle natiche dal vestito sollevato e pieno di polvere. Il viso quasi del tutto coperto da una massa di capelli selvaggi.

"Proprio adesso che possiamo inziare a divertirci? Non ti rovinerei mai un divertimento, Dimano!" disse l'uomo slacciandosi la cintura della veste, che cadde a terra con un tonfo pesante.

Pirecrate si quietò un attimo sentendo un rumore che non poteva essere ciò che pensava, ma non appena sentì di nuovo quella mani sulla pelle delle sue cosce non ci vide più  e con l'ultima risorsa che poteva sentire al di là delle proprie forze si mise su un fianco ed afferrò tra le ginocchia la testa di quel maiale schifoso e, approfittando della sorpresa, finì il giro riuscendo a portarlo a  faccia a terra, il collo in una presa. Se solo fosse riuscito ad applicare abbastanza pressione avrebbe potuto . .

Un qualcosa di viscido gli carezzò l'interno della gamba e lanciando un urlo represso di disgusto e di schifo lasciò la testa all'avversario per scansarsi. Fu un grave errore: Pleto gli afferrò le gambe e gli costrinse le ginocchia a terra, guardandolo in viso.

"Qualcosa non va, Dimano? Mi era sembrato di capire che ti piacesse aver la mia testa fra le cosce. ." sospirò avvicinando il proprio viso a quello impietrito del ragazzo.

Pirecrate serrò le labbra per non farle tremare e chiuse gli occhi, distogliendo il capo. Pleto lo osservò a lungo prendere respiri profondi, quel torace di muscoli scolpiti da un Fidia alzarsi ed abbassarsi in una posizione di remissione: non stava più lottando. Forse per l'esaurimento totale delle forze o forse per la rassegnazione . . no, quel ragazzo non si sarebbe mai rassegnato ad un'imposizione simile. Ma c'era un modo per saperlo con esattezza.

Poggiò le proprie mani sul ventre del Dimano, che si contrasse con forza al tocco e sciolse la corda che gli teneva la veste aderente al fianco, per poi farla scorrere al di sotto della vita. Durante le notti, passate a soddisfare da solo il proprio piacere, si era immaginato che avrebbe preso quel ragazzo e gli avrebbe strappato gli abiti di dosso ma si sorprese talmente affascinato da quel muoversi e contrarsi di muscoli da rimanerne estasiato. Scansando la veste fino all'addome, i peli del pube quasi visibili ormai, vide delle profondissime cicatrici chiare sulla pelle bronzea.

"E queste?" chiese e si chinò per leccarle.

L'unica reazione fu un altro irrigidirsi della carne sotto la pelle ma lo ignorò del tutto iniziando a mordere ciò che in realtà era materia sanguigna al posto del bronzo, il caldo al posto della freddezza di una statua. Ma una cosa l'avevano in comune: erano entrambi immobili. Con le mani scansò del tutto la veste e sentì quel corpo essere scosso da tremiti fortissimi quanto percepì se stesso eccitarsi al contatto con quella carne tremante.

Iniziò a strusciarsi contro il giovane immobile, che ancora teneva la testa reclinata e gli occhi serrati, iniziando a morderlo nella zona intorno al collo e cercando di stimolargli i capezzoli, che però rimanevano morbidi sotto le sue dita. Allora li morse con forza e li costrinse ad irrigidirsi, sentendo un'esclamazione soffocata da quelle labbra che per un attimo si erano schiuse. Cercò anche con le mani di animare quel membro che rimase invece dormiente e nessuna lotta. Nessuna ribellione.

Si arrabbiò e si alzò prendendo il ragazzo con sè e sbattendolo poi di nuovo in terra, ventre in giù e gli si scagliò contro. Prese tra le dita, stringendo, le natiche, costringendo i muscoli interni a non contrarsi sotto la pressione dei suoi pollici e gli entrò quasi del tutto. Non un grido, non un sospiro più pesante o un'escamazione feroce. Immobile e rigido, ma così eccitante che non potè fare a meno di iniziare a spingere per poterlo sentire completamente intorno a sè. Fu lui l'unico a gemere e a lasciarsi andare in mugolii sfrenati mentre si godette totalmente il piacere che gli stava dando quel maledetto cane.. infame e . .ohhhhhh. . infame. . sì. . infame e indegno anche se..ahhhn al diamine! Aumentò la velocità, un colpo più forte degli altri ed un inarcarsi-irrigidirsi ancora più accentuato della schiena ed un indurirsi
maggiore dei muscoli che ora Pleto sentiva premergli contro cercando di evitargli di muoversi e che se non fosse stato così eccitato avrebbero di sicuro avuto la meglio.
 
Uscì quasi del tutto da quella caverna profonda e rovente e con una mossa vigorosa lo fece girare in modo da ottenere ancora altro piacere per il cambiamento dell'angolazione. .e accidenti se lo sentì. Rientrò, mugolò e quasi si perse, vicinissimo all'orgasmo più allucinante che aveva ed avrebbe mai avuto in tutta la sua vita. Continuò e affondò ancora, sempre con più forze, ogni volta sempre con più potenza che riuscivano a dargli le gambe, quando finalmente il suo sesso si contrasse dentro quel corpo. Spalancò gli occhi e tra quell'istante e l'abisso di perdizione che gli avrebbe dato l'orgasmo vide anche quelli del giovane aprirsi.

Pirecrate schiuse le palpebre che rivelarono due iridi come due Furie rigide nella propria posizione ma coi tendini completamente in tensione, le narici spalancate e i vasi sanguigni gonfi. Pronte in qualsiasi momento a scattare in avanti e a sbranare.

Se Pleto non fosse stato trascinato via dalla marea salmastra del proprio piacere sarebbe stato paralizzato dal terrore.
__

Un grillo, saltando, atterrò sul suo petto e Pherio guardò il piccolo animale che indisturbato ricominciò a fare cri-cri. Gli sorrise ma, cercando di allungare una mano per sfiorarlo, quello se ne saltò via in cerca di una macchia d'erba in quello spiazzo arido ed ancora insanguinato. Quando era fanciullo quello di rincorrere i grilli era uno dei suoi giochi preferiti, ma ora anni erano passati, il solo ricordo sfocato poteva sembrargli una benedizione.

Il giovane sospirò portando le mani dietro il capo e osservando le stelle dalla sua posizione supina, fuori dalla tenda perchè il caldo lo opprimeva, rischiava di schiacciarlo sotto la sua non clemenza, e perchè se qualcuno aveva la vigliaccheria a colpire alle spalle figurarsi se non l'aveva per infilarsi in una tenda e sgozzarlo nel cuore della notte.

Il cielo era chiarissimo: Artemide lo baciava in tutto il suo splendore e le stelle sembravano pietre preziose e rarissime incastonate nel suo lungo mantello di seta. Un cielo notturno che abbracciava tutta la terra e che faceva sentire protetti, osservato, al centro di qualcosa: come desiderava che anche As. .

Scosse il capo con forza scattando a sedere ed ignorando tutte le proteste diffuse dei suoi muscoli per mettersi a camminare pur di distogliersi da quei pensieri che lo avrebbero portato dove lui assolutamente non voleva andare. Ma anche i suoi piedi non sembravano volergli lasciare le redini e passò al centro del campo, rasentando le tende, in direzione dello strapiombo che s'inabissava poco più in là. Lì si fermò ad osservare, a sentire le carezze gelide dei soffi di Eolo che venivano da quel precipizio e s'arricciavano ascendendo; si sciolse i capelli lasciando che fossero anche loro carezzati dall'aria, ma si circondò il corpo con le braccia autoavvolgendosi in un pò di calore umano. Alzò gli occhi al cielo così blu ed intenso da potercisi perdere senza più avere voglia di ritornare e vide una stella accendersi con vigore e poi precipitare verso la montagna.

Rimase qualche secondo ad osservare ancora il manto blu d'Artemide ed un brivido lo colse, ma non fu per il freddo, non fu per la stanchezza e non fu per le vertigini. I suoi piedi si mossero automaticamente e seguì la scia che quell'astro aveva disegnato sul ventre di Urano: ripassò accanto alle tende, seguì un sentiero che saliva e che già in precedenza aveva esplorato e giunse in un altro piccolo spiazzo che già in precedenza aveva visto. 
Ma tutto intorno a lui era silente e mille occhi sembrarono spiarlo da dietro le coltri delle foglie.

Un passo in avanti, un altro e un altro ancora fino a che non giunse di nuovo davanti a un piccolo strapiombo e vi si sedette incrociando le caviglie stringendosele tra le mani. Osservò il campo che, alla sua sinistra, un pò si riusciva a scorgere se la sua vista non lo ingannava e respirò profondamente l'aria fredda e pungente della notte. Poi un rumore, un movimento, poco distante da lui e voltò di scatto il capo alla sua destra. Una figura nell'ombra che gli cancellò all'improvviso tutti i pensieri che gli si stavano affollando sulla superficie della mente.

"Chi sei? - domandò cercando di far rallentare i battiti del proprio cuore per poter avere lucidità necessaria a poter lottare se ce ne fosse stato bisogno, ma dall'ombra ad uscire fu Pirecrate.- Ah, sei tu." finì sbuffando e scansandosi un pò per fare spazio all'altro per sedersi; Pirecrate sì s'avvicinò, senza dire una parola, ma si sedette lontano almeno tre piedi. 
Guardava il vuoto sotto di loro.

Pherio si trovò un rospo in gola: non sapeva che dire, come se adesso tra loro due ci fosse un divieto di parlare a bloccarlo. Si sforzò di non fissarlo, ma non potè fare a meno di guardare quella figura così stranamente silenzionsa, così alienamente quieta, così anomalamente pesante nei movimenti e nel respiro; poi vide quei polsi appoggiati sulle ginocchia pieni di sangue.

"Che è successo?" domandò cominciando seriamente a preoccuparsi.

Lui e Pirecrate, anzi, soprattutto Pirecrate, non si erano mai scambiati quasi niente tranne furia ed insopportazione, eppure nel momento in cui l'aveva visto condurre quei ragazzi, ai suoi ordini, *lui* completamente fiducioso, aveva compreso che in realtà erano destinati a qualcos'altro che odio.

Amicizia, di quelle che neanche l'onore o la morte possono disgregare.

"Niente." gli rispose calmissimo, voltando un pò il capo e sorridendo di un pallido sorriso, gli occhi inespressivi.

Quel modo di porsi del viso lo colpì come un dardo d'Apollo perchè, in un certo senso, la conosceva, ma come una persona che non ha mai visto la pianta giovanissima ed ora la vede pur conoscendo il vegetale poi cresciuto, non lo riconosce in essa, non poteva sapere  di cosa effettivamente si trattasse. Solo la sua anima gli suggeriva che qualcosa non andava. .

"Oggi, in campo, sei stato davvero bravo. ." sussurrò allora, pregando di riuscire a trovare un appiglio lungo le mura scoscese e impossibili e scivolose che il Dimano aveva innalzato intorno tutto il suo essere.

"Anche tu." rispose adesso guardandolo in pieno volto, il fantasma di un sorriso sulle labbra.

"Come mai qui, non riesci a dormire?" continuò intrecciando le mani sopra le ginocchia.

"No." questa volta un tono cupo gli aveva abbassato la voce, quasi a sfiorare il dolore.

"Hai tutte le ragioni: domani è il grande giorno. Qui vicino c'è una fonte, andiamo a bere un pò?" domandò.

Aveva visto quella sorgente pochi giorni dopo il loro arrivo perchè era andato ad esplorare, non l'aveva sfiorata neanche con un dito nè aveva proferito parole di essa ai suoi ragazzi ma adesso aveva voglia di andarci: quella notte non sarebbe morto comunque di sete. .
 
"Va bene." disse il Dimano e con un movimento fluido Pherio si alzò e gli porse una mano in segno d'amicizia, spontaneamente. Pirecrate l'osservò, spalancò gli occhi ma non l'afferrò: si alzò da solo.

Pherio gli sorrise credendo si trattasse dell'orgoglio di quel caparbio, ma non poteva intuire che, invece, era l'orrore di Pirecrate a venire a contatto fisicamente con un'altra persona.
__


La porta si spalancò sul mondo oscuro e la luce bianca che si inflisse sul pavimenti e nelle sue iridi dilatate lo accecò per un momento; il giovane, lasciando aperto solo una spirale d'oceano blu sotto le pupille, vide entrare un uomo, il quale lo afferrò per i polsi legati e ormai dalla pelle del tutto distrutta per trascinarlo fuori: i piedi erano instabili contro le assi della barca e le caviglie fragili, i muscoli troppo deboli ed intorpiditi per guizzare agli ordini di una mente ancora più distrutta. Chiuse gli occhi prima di varcare la soglia d'uscita per negare ciò che gli si sarebbe parato davanti ma non appena sentì il sole cocente sulle proprie spalle, l'aria umida di un porto, li aprì di colpo e vide distendersi fino a dove gli occhi potevano arrivare un'immensa città. Una città: non più acqua ma terra, non più bucce di frutta ma pane.

Non più Grecia ma Asia.

Non fu il caldo opprimente dell'estate asiatica, che ormai era alle ultime battute ma fino alla fine sarebbe stata torrida, quanto il pensiero d'essere ormai lontano dalla propria terra come lo è Prometeo dalla felicità, ad inchiodargli i piedi sul pavimento e a divenire pesante come non lo sarebbe mai stato. Le labbra gli tremarono e gli occhi cercarono la collina dell'acropoli -forse si era sbagliato e aveva visto male-, un qualcosa che fosse rialzato, ma quella città era completamente piana e nessuna polis greca mancava di quella parte tanto importante che ne era il culmine: il luogo dove vivevano i sovrani o si riunivano le assemblee, dove il popolo in caso di pericolo poteva rifugiarsi.

"Avanti!" gli fu imposto e col cuore sanguinante scese dalla barca, sentendosi così piccolo davanti a tutta quella immensità pericolosa, così indifeso davanti a *tutto*. . Ingoiò le lacrime anche se non potè evitare di seguire l'uomo dalla veste color porpora nelle strade con gli occhi lucidi, ma alti, pieni di tutto quell'orgoglio che nasceva dalla consapevolezza di essere Greco.

Eppure che aveva fatto per meritarsi *questo*? In cosa aveva offeso gli dei, cosa non aveva fatto, oppure cosa aveva detto? Non aveva mancato di ritegno e timore divino e non aveva mai avuto la presunzione da tentare di sfidare e credere di poter vincere la Moira, lui non era Ulisse, lui non era Edipo. Scendere nelle oscure caverne di Dite, bere poi l'acqua del Lete sarebbero stati molto meglio che essere lontano dalla propria patria, in mezzo a gente ignorante di qualsiasi buon costume, dell'etica, dell'arte e della raffinatezza. .

Arrivarono in una grande piazza e l'uomo gli sciolse le mani e la pelle martoriata dei polsi fu lasciata respirare; il ragazzo li mise in una brocca d'acqua proprio lì accanto lasciando che rinfrescasse tutto il pungente calore che quell'operazione aveva risvegliato nella sua carne. Intorno a lui le lingue sembravano quelle di Babilonia, indistinte e confuse, blateranti, impacciate, goffe, casuali e con la coda dell'occhio vide un gruppo di uomini, nudi, su un rialzo e una folla di persone lì davanti e sempre quel gran vociare. . D'istinto comprese che era un banco di schiavi.

"Che io. .?" domandò a se stesso chiudendo forte i pugni nell'acqua ormai rosata. Sopra la sua testa, oltre lo schiamazzo, udì il suono acuto ed alzò il capo per vedere Pirecrate volare ad ali stese. Libero.

Pirecrate. .
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