NOTE: i personaggi sono nostri! Pherio e
Astre di Dhely. Pirecrate e Idrio di Kalahari. Anche se la divisione non
è così netta ci siamo suddivise i diritti d'autore in questo modo.
L'ambientazione è in una Sparta ideale (non cercate troppe coincidenze
spazio temporali, non ce ne sono troppe!) ma tutto ciò che siamo riuscite
a recuperare dei veri usi e costumi dell'antica Sparta è stato utilizzato.
Di odio. Di
amore parte
IX
di Dhely &
Kalahari
L'alba rosata sfiorava il cielo con la punta delle dita, rischiarando
appena la volta per preparare il mondo ad accogliere in maniera degna il
maestoso carro solare che, presto, sarebbe sorto ad occidente. La lieve
rugiada scintillava sui prati e sulle colline morbide che circondavano
l'orgogliosa e invitta Sparta mentre, lieve, la brezza fresca proveniente
dalle vette del Taigeto che aveva accompagnato il sonno di soldati e
contadini, ora si ritirava in lontananza, sfiorando chissà che terra,
dando refrigerio a chissà che sonno.
Astre strinse con forza le palpebre. Nessun sonno era venuto a rendergli
visita, una notte lunga si stendeva ora alle sue spalle, e proprio quando
avrebbe potuto intravederne la fine, l'uscita nascosta in quei pallidi
raggi iridescenti, proprio ora si scoprì a non volerlo fare. Le palpebre
le serrò con forza e rabbia. Non voleva vedere il sole. Non voleva vedere
il grano ondeggiare sotto l'assalto delle prime falci, non voleva vedere
quella distesa d'oro scintillante sotto il sole estivo crollare a terra
sotto un'arma affilata, era un orribile segno e lui . . lui non voleva
vedere, dall'alto dell'Acropoli, l'Eurota illuminarsi e brillare come se
fosse stato di argento liquido, con infinite sfumature azzurre, un azzurro
che sapeva trasparente e spumeggiante, scrosciando fra le rocce e i sassi.
Astre non voleva vedere nulla che gli riportasse di fronte agli occhi quel
figlio di un cane che gli stava distruggendo la vita, anche con la sua
lontananza. Ora non possedeva neppure due braccia forti e calde in cui
affogare, in cui tentare di annegare i proprio ricordi . .
Erano appena partiti, due giorni senza Pherio. . Astre strinse i denti,
furioso con se stesso. Era stato sciocco, avrebbe potuto farlo morire
avvelenato giorno per giorno fino al punto che il suo cuore gli si
schiantasse in petto, mentre Sparta tutta avrebbe creduto ad un incidente.
Avrebbe potuto legarlo a sé con un filtro, ne conosceva a decine, e
avrebbe potuto spezzare il suo orgoglio obbligandolo a disonorasi in
pubblico.
No . . no, ucciderlo sarebbe stato meglio. Era già successo: un amante
che non lo aveva compiaciuto, un nemico subdolo, una decina se ne era già
andata per merito delle sue arti e il rimorso Astre non sapeva neppure
cosa fosse. Rimorso? Rimorso per aver difeso il proprio onore? Per aver
preteso che venissero riconosciuti i propri diritti? Per possedere ciò
che desiderava? No, non esisteva il motivo di provare rimorso per una cosa
simile, e non ne avrebbe provato neppure nei confronti di Pherio.
Un mezzosangue. Non solo greco, no, spartano e mezzosangue, mezzo barbaro,
biondo, con gli occhi azzurri come il sole di primavera!
Pherio.
Colui che gli aveva detto di no.
Sentì il desiderio folle di affondare le dita nel suo petto, come se
fosse una vittima sacrificale, un capretto steso sull'altare degli dei, e
strappargli il cuore con quelle sue stesse mani che avrebbero potuto
dargli così tanto piacere se solo gliel'avesse lasciato fare. .
Come godeva Pirecrate! Il corpo di Astre lo infiammava dal piacere, lo
incontrava e lo schiacciava sotto di sé con forza e desiderio insieme.
Come poteva credere che non avrebbe potuto dare piacere, allo stesso modo,
a Pherio? Pirecrate urlava e gemeva dentro di lui come se mai avesse
conosciuto un uomo in tal modo. E allora con Pherio? Che si fosse
sbagliato?
Ma no, certi sguardi non poteva non comprenderli, e il silenzio dello
spartano sul suo compagno era quantomeno insolito. Tanto quanto era
insolito l'accanimento con cui ogni volta gli si parava di fronte per
combatterlo. E quella volta che insieme erano ritornati dal fiume? Con
Pherio bagnato fradicio come se avesse fatto un bagno, i capelli lunghi e
umidi, intrecciati e annodati come se una mano avesse giocato a lungo con
loro e la pelle bruciante dalla febbre al punto di rendergli difficoltoso
porre un piede davanti all'altro? Come era potuto tornare dalle sponde
dell'Eurota da solo in quelle condizioni? E perché, se fosse stato
Pirecrate a ritrovarlo febbricitante in riva al fiume e ad aiutaro a
riportarlo al Campo, perché si erano separati fuori dalla città come se
non avessero voluto farsi vedere fianco a fianco?
Cosa mai c'era di così grave da tenere nascosto?
Cosa?
Astre sorrise lievemente: l'unico erede dei Dimani, l'ultimo della sua
famiglia a cui erano morti tutti gli altri componenti, zii, zie, nipoti,
amante del primogenito maschio erede diretto di Kakeo Panfilo? Era un buon
motivo, quello, per tenere nascosta una relazione, soprattutto per Pherio.
Conosceva bene quel biondo guerriero e lo sapeva più scaltro di uno
scorpione nel deserto. Forse Pirecrate non ci aveva fatto caso,
probabilmente per lui non era una cosa importante, ma Pherio sarebbe stato
davvero disonorato a vita se si fosse saputa per certo una cosa simile.
Ora, quando fossero entrambi tornati Spartiati, nulla di tutto questo
sarebbe rimasto valido, entrambi degni, entrambi cittadini . . il nobile
Kakeo non avrebbe di certo apprezzato ma Astre era certo che egli sarebbe
stato geloso anche della donna che Pherio avrebbe sposato, un giorno.
L'unica cosa che non potesse fare a suo nipote era ingravidarlo e allora
si inventava modi sempre nuovi per tormentarlo.
Se avesse saputo ora, o anche solo sospettato, di Pherio e Pirecrate,
sarebbe andato dal Dimano e l'avrebbe strozzato con le sue mani sulla
pubblica piazza, ne era certo. E allora perché, Astre corrugò la fronte,
perché non gliel'aveva detto?
Perché non aveva fatto in modo che lo venisse a sapere? Un sorriso acre
gli piegò le labbra, come se, nel sonno, lo stesse visitando un sogno
delizioso. Era sincero quando aveva detto a Pirecrate che raramente aveva
incontrato un amante simile, fuoco e forza, velluto e bronzo . . capiva
Pherio, Pirecrate era instancabile e nervoso, un vero purosangue degno del
nome che portava, fuoco fuso gli scorreva nelle membra e fuoco gli
zampillava dal corpo nell'orgasmo.
Eppure . . eppure Astre aveva avuto la strana sensazione che Pirecrate
fosse. . vergine, durante il loro primo incontro, mentalmente soprattutto,
come se l'idea di toccare il corpo di un altro uomo fosse stata sì
presente nella sua mente, ma non l'avesse mai creduta realmente attuabile.
E allora?
Bhè, qualunque fosse stata la verità sapeva che, allo scoprire che il
nobile Astre aveva avuto una relazione con il fulgido Pirecrate, per
Pherio sarebbe stato un duro colpo. Avrebbe voluto farlo morire
lentamente, un'agonia infinita si meritava per quello che gli aveva fatto
passare . .
Astre si mosse appena, la pelle che gli si increspava come al passaggio
lieve di un refolo tiepido addosso. Sentì della mani a percorrergli la
spina dorsale e si tese.
Pherio, sì.
Avrebbe allungato le mani verso di lui, avrebbe ceduto al desiderio,
geloso di Pirecrate come lo era stato di suo zio . . ecco le sue mani
leggere a sfiorargli la pelle, a seguire i contorni del suo addome,
carezze leggere e il suo profumo ad avvolgerlo.
Ecco. Così sarebbe accaduto. Il tocco silente di quelle mani abituate a
reggere una spada, sottili e forti insieme. Astre si tese, arcuando la
schiena, la sua pelle morbida sarebbe stata una delizia, unita al fresco
di quell'alba e alla luce ancora indecisa.
Le sue labbra piene a baciargli il collo, le dita a scivolare piano fra le
gambe, carezze quasi timide. . denti scoperti a riempirgli la pelle di
leggeri morsi . .sentiva in sottofondo lo scrosciare dell'Eurota, lontano.
. sì, sarebbe stato bello amarlo lì, magari con il sole a giocare fra le
fronde degli alberi, illuminando quei capelli di riflessi infiniti e poi
quegli occhi . .
Astre tremò di nuovo. Delle braccia ad avvolgerlo, mani affamate, una
bocca avida . . strusciò il bacino contro quello di Pherio, alle sue
spalle, soffocando un sussurro.
Era quello che aveva sempre desiderato, dalla prima volta in cui l'aveva
visto, la sua pelle addosso, il suo sapore sulla lingua, il suo odore tra
le dita e il suo sesso . .oh dei, Pherio . . il suo sesso fra le gambe. .
Le sue anche si tesero mentre dalle labbra gli sfuggì un gemito che
sembrò un sussurro misto di dolore e piacere, un alito gli sfiorò il
lobo, quelle labbra meravigliose stavano per formare il *suo* nome in un
sussurro, come sempre aveva sognato e desiderato e pregato . .
Astre urlò quando due mani lo scossero con violenza.
Pherio?!
Sbatté le palpebre, il volto contratto di Kakeo lo inchiodò al presente,
un presente in cui lui giaceva nudo nel letto del nobile spartano, in cui
le sue mani erano le uniche che potevano accarezzarlo, la sua voce la sola
che potesse cantare il suo nome.
Astre si concesse un ghigno quasi di derisione.
"Cosa c'è, nobile Kakeo?"
La sua mano forte lo tenne immobile, le braccia tenute ferme e intrecciate
sopra il capo quasi fosse un prigioniero.
"Chi stavi sognando, piccolo vizioso?"
Astre si torse un poco sotto quello sguardo ma, non riuscendo a sfuggirli,
si limitò a sospirare, rispondendogli con gli occhi scintillanti d'ira.
"Hai detto, tempo fa, che quel nome non potevo pronunciarlo quando
fossi stato sotto le tue coltri."
Uno schiaffo sonoro diede voce alla sua indignazione.
"Non puoi sfidarmi, giovane Astre! O questo non l'hai ancora
imparato?!"
Quella voce quasi rimbombò nella piccola stanza disadorna, l'uomo
sembrava improvvisamente alto e imponente nella sua furia. Astre si
limitò di nuovo a sorridergli caustico.
"Non puoi toccarmi se io non voglio, ricordati!" chiuse appena
gli occhi, quelle lunghe ciglia danzarono un po' nell'aria di fronte allo
spartano interdetto e furioso.
Poi rise. il nobile Kakeo scoppiò in una fragorosa risata affondando di
più le dita in quei polsi sottili, scuotendoli.
"Ah, sì? E cosa mi potrebbe trattenere dal prendermi il mio piacere
contravvenendo alla tua volontà? - lo sguardo di Astre scintillò tanto
quanto quello dello spartano, ma non riuscì a non sentire una punta di
timore bucargli l'anima - Tuo padre? La mia meravigliosa *amicizia* con
lui?!"
Kakeo rise di nuovo e gli si avventò addosso, le sue labbra a chiudergli
le proprie, invadendogli la bocca con la sua lingua. Astre, schiacciato
dal suo peso, si limitò a gemere agitandosi un poco.
"Come osi! - il fiato ingrossato non gli impedì di sputare il suo
disprezzo - La tua mano non può neppure osar pensare di sfiorarmi contro
il mio permesso! Sai chi sono io, lasciami! "
"Tu non sei più nulla, mio giovane, bellissimo Astre.- lo spartano
rise e Astre sentì freddo al cuore. - Tuo padre è morto. - si chinò su
di lui, sfiorandogli l'orecchio con le labbra - Ci sono rimasto solo io a
proteggerti . . "
Astre chiuse gli occhi di colpo. Non voleva guardarlo, non voleva vederlo,
non doveva dovergli rispondere, non voleva degnarlo di . . suo padre era
morto? Ma come era possibile! Era un errore! O meglio, era una menzogna
che quel . . quel . .
"Astre? - la voce di Kakeo era bassa, invitante e piena di scherno -
Diàghe tà skèle (apri le gambe)."
Astre strinse con forza le palpebre, trovando difficile deglutire. Aveva
bisogno di tempo per *pensare* . . dischiuse appena le labbra per
ordinargli di lasciarlo ma il fiato gli morì in gola. Sentì qualcosa che
gli si agitava in petto. Prese fiato, ansimando, deglutendo il pianto.
L'immagine del sogno si ridisegnò di nuovo davanti agli occhi. Un
guerriero che non sembrava greco, un dio disceso per errore tra immortali.
Capelli di grano, occhi d'acquamarina.
Pherio . .
Astre aprì le gambe e si perse nel sogno.
___
"Avanti, montate le tende!" ordinò Pleto non appena furono
arrivati nel grande spiazzo tra le montagne che serviva ogni anno per
permettere ai valenti di iniziare a vivere veramente e ai miseri di perire
prima di poter essere danno alla polis.
La strada era stata tanto ripida e i ragazzi, dopo averla percorsa tutta
la notte a piedi e quasi di corsa, erano stanchi ma erano anche abbastanza
affaticati da non sentire il freddo che attanagliava e che condensava i
loro respiri davanti ai loro visi.
Pirecrate prese un fascio di spade e lo portò dove doveva accatastarle.
Rimase accovacciato per riprendere un po' di fiato e le guardò, immobili
e gelide, pensando a quanto presto avrebbero iniziato a stridere e sorrise
al pensiero. Poi alzò il capo e notò che il grande spiazzo era adiacente
ad un'immensa parete rocciosa: ne vide la punta indorarsi per i primi
raggi dell'alba. Il sole alle sue spalle, un triangolo di luce
piccolissimo tra i fianchi dei monti, sorgeva, mentre quella parete bianca
si illuminava lentamente, dalla punta verso il basso. Come se Apollo fosse
stato un amante che con i polpastrelli sfiori l'amato dalla fronte, le
labbra, il collo e il petto seguendo una linea perfettamente verticale,
come se fosse stata disegnata. Ed era dall'età dell'Oro che, sicuramente,
Febo si alzava dando vita splendente a quella pietra bianchissima con
lentezza e pazienza, ma quello spettacolo agli occhi di Pirecrate era
novello e lo lasciò senza fiato.
Un rumore di qualcosa che cade poco lontano lo riportò alla realtà: a un
ragazzo erano cadute della spade e adesso veniva strillato e punito dalla
guida del suo gruppo. Pirecrate si alzò e dirigendosi nel punto in cui
gli altri montavano le tende per non stare senza far niente, notò che
più avanti quella spianata sprofondava in un precipizio che pareva
cantare. D'un tratto si trovò come un attore, al centro di una grande
cavea di un anfiteatro divino: da quell'abisso spiravano arie strane e
venti forti come se fosse stato un coro ditirambico che li schermava dal
resto di tutto la Grecia e del mondo fino alle colonne d'Ercole; Apollo
che sorgeva dietro ai monti scuri, Artemide che veniva cacciata dal
fratello ritirandosi dietro una cima, pallida, e le nuvole d'oro di Zeus
erano tutti spettatori, grandi, potenti, divini e impazienti che
attendevano l'inizio di una tragedia. Silenziosi ma presenti più di mille
popoli in piazza.
"Anfitrione, hai idea di come si metta questo coso?" domandò un
ragazzo tirando una corda in aria, spazientito.
"E che vuoi che ne sappia io?!" rispose l'altro
"Date a me!" si intromise, innervosito, Pirecrate afferrando
corda e pali.
"Pirecrate!" rispose uno lamentandosi e iniziarono a discutere.
Pleto, dopo aver portato il carro in un angolo, tornò nella sua zona e
vide Pirecrate ed Edoniade azzuffarsi a parole; sorrise con malizia e si
avvicinò lentamente ai due ragazzi, poggiò una mano sulla spalla
d'entrambi anche se non trascurò di affondare bene le dita in quella di
Pirecrate.
"Che succede qui?"
Il Dimano si ritrasse lanciando a Pleto un'occhiata assassina e storse la
bocca per il disgusto. Avrebbe voluto potergli dare un pugno ma riuscì a
controllare la furia appena in tempo prima che gli fosse causa di rovina:
un mese, si trattava soltanto d'un mese e sarebbe stato *libero* da quasi
tutte le catene che pesantemente lo abbracciavano sin da quando era
fanciullo. Un mese sarebbe volato come Ermes, no?
Lo sperava.
"Pirecrate, trenta giri di campo; Edoniade quindici. E il primo che
si ferma ne fa il triplo - sentenziò Pleto con un tono severo anche se
non riuscì a nascondere la luce oscura che gli brillava negli occhi
davanti all'espressione irata e a disagio del Dimano. - Voi che fate,
poltrite? Se tra mezz'ora non è tutto pronto fate la stessa fine di quei
due, intesi?" urlò e nessuno rispose: tutti i ragazzi che erano
rimasti semi immobilizzati ripresero le loro faccende di sistemazione il
più velocemente possibile.
__
Pherio fissò il cielo scuro sopra di loro e si sentì quasi soverchiare
dalla fatica. Aveva un cavallo, quello era vero, ma come poteva
avvantaggiarsi in quel modo mentre i suoi compagni arrancavano tra le
pietre aguzze? Non era certo in quel modo che si dimostrava il valore e la
gerarchia, lì non erano ateniesi! In compenso, in quel modo, i carri
andavano più spediti, alleggeriti com'erano dal carico che sopportava il
destriero che doveva essergli destinato. Erano partiti tardi e quando
sarebbero giunti al luogo deputato al loro accampamento l'alba sarebbe
già stata un lontano ricordo. Pherio sussurrò qualcosa sotto i denti poi
scosse il capo. Pazienza, doveva portare pazienza, l'esame che si stava
apprestando ad affrontare era duro ed impegnativo ma la preoccupazione non
poteva che essergli d'impiccio.
Si voltò di tre quarti, appena in tempo per sorreggere con un braccio uno
dei suoi compagni, barcollante per la stanchezza. La via accidentata di
fronte a loro era difficile e Pherio scosse il capo di fronte all'occhiata
dubbiosa del capitano dell'altra squadra, accoppiata alla propria.
Polinice ghignò appena, divertito, poi gli voltò la schiena e Pherio si
chiese se non fosse stato un lampo di soddisfazione quella che aveva visto
brillare nello sguardo dell'altro capitano di fronte alla sua difficoltà.
Non era qualcosa di realmente importante. Con la mente esalò una
preghiera alata alla luna che, in cielo era sorta, un'unghia di luce
perlata che faceva impallidire appena le stelle che le sorgevano accanto.
Artemide la cacciatrice, Artemide la casta, Artemide la feroce gemella di
Apollo. Poco in sintonia con quella figura remota e fredda, altera e
sanguinaria insieme, eppure quella dea aveva seguito e cadenzato ogni
secondo importante della sua vita, vicina, com'era da sempre, a Sparta
tutta e alla sua famiglia in particolare, e sperò che non volesse
abbandonarlo proprio in quel frangente.
Strinse in un gesto secco le spalle di Plistarco, scotendolo poco nel
sentirlo più saldo, gli scoccò appena uno sguardo pacato prima di
battergli una mano su una spalla e staccarsi da lui al sopraggiungere di
un ambasciatore veloce che sforzava il suo destriero pericolosamente su
quel terreno accidentato.
"Polinice! Pherio! Le vostre squadre sono al completo?" urlò
l'uomo a cavallo vestito di porpora e con una spada al fianco.
Polinice frenò il proprio cavallo, che scartò nervoso, e Pherio corse in
avanti a tenergli le briglie, rispondendo al nuovo venuto con un cenno
secco del capo.
"Siamo tutti qui. Abbiamo ricevuto, a Sparta, l'ordine di
raggiungervi a marce forzate."
"Bene, vi attendono. Ma gli ordini successivi sono mutati."
Null'altro, il cavaliere porse un rotolo a Polinice e voltò il cavallo
sollevando una mano in segno di saluto. Il capitano srotolò il papiro di
scatto poi sorrise di nuovo, porgendogli il rotolo.
"Pare che questa volta faremo gli assalitori, Pherio. I tuoi credi
che saranno pronti?"
Pherio si limitò a scorrere veloce l'ordine che aveva di fronte poi
sospirò.
"Se dobbiamo lo saremo."
Riuscì a camuffare l'amarezza nella sua voce ma Polinice continuava a
sorridere, come se potesse leggergli dentro. E in effetti non era
difficile intuire cosa stesse pensando. Proprio il suo esame più
importante doveva essere così arduo: essere addirittura capitano di una
squadra non era per nulla la cosa più semplice che potesse capitare a un
giovane non ancora Spartiato. Un manipolo di ragazzi che non avevano mai
lavorato insieme, obbligati ad essere dal lato più debole dello
schieramento, col solo il vantaggio della sorpresa . .
Le armi poi erano vere, e l'urto della battaglia sarebbe stato
estremamente veritiero. Solitamente dietro l'elmo degli attaccanti si
nascondevano abili Spartiati, veterani di molte guerre, che difficilmente
sarebbero stati scalfiti da giovani che, seppur vigorosi, non avrebbero
menato che affondi inesperti. Lui era capitano, sarebbe riuscito a
riportare tutti i suoi indietro a Sparta? Riavvolse il rotolo. Lui non era
uno Spartiato normale, lui portava con sé il nome dei Panfili, lui era il
migliore e avrebbe dimostrato questa sua eccellenza in ogni modo.
Polinice rise smontando da sella, battendogli con forza una mano su una
spalla, ridendo a gola spiegata.
"Non dirmi, capitano, che temi di perdere la vita!"
Pherio abbassò la voce, tenendo i suoi occhi fissi in quelli dello
Spartiato, senza tema.
"Non ho paura di morire, ma sono preoccupato per i miei
ragazzi."
Lo sentì ridere di nuovo.
"Un vero capitano!"
Non riuscì a rispondere altro, una nuova pacca che gli spezzò il fiato
in gola.
___
"Ma sì, ti dico che è vero!" insistette l'altro ragazzo
allacciandosi la veste dopo gli allenamenti.
"Ma tu stai *scherzando*!" rispose ancora una volta Antinoo a
occhi spalancati, bocca aperta, completamente incredulo di una simile
diceria che solo tale poteva essere: Pirecrate che aveva una relazione con
quel mezzo barbaro? Era assolutamente ed esclusivamente ridicolo e non ci
avrebbe mai creduto neanche se. . se l'avesse visto. Però, se li avesse
visti di certo avrebbe. . No! Era impossibile e non sarebbe mai successo:
non uscire dall'ombra perché alla luce del sole c'era Pherio era un
conto, ma se ci fosse stato *quello*. .
"Li ho visti coi miei occhi: il mezzo barbaro si è recato alla
laguna e poi Pirecrate ha preso la stessa strada, tornando poi per primo.
Si devono essere incontrati per forza! E poi Pirecrate lì non ci va mai,
noi facciamo gli allenamenti in quella parte da cui si vede la strada che
porta su, lo sai, Antinoo, e mai è salito lì. Evidentemente quell'Astre
. ."
"Non ti azzardare neanche a dirlo!"
Antinoo scattò in piedi rosso in viso ed irato come non mai, afferrò la
propria spada e la depose tirandola nel cesto per camminare a passo
spedito verso la Xenostasis (luogo di soggiorno di un ospite). Lo avrebbe
verificato di persona se quella diceria era vera: non poteva attendere un
secondo di più con un dubbio simile.
Uscì dal Campo e ben presto raggiunse il luogo dove alloggiava quel
mezzo-barbaro, che da giorni neanche si vedeva più di tanto in giro, per
fortuna. Spalancò la porta della sua stanza e lo trovò seduto al tavolo,
una guancia appoggiata sulla mano, con davanti un libro.
"TU!!" esordì con più violenza di quanto avesse immaginato.
"Che vuoi?" chiese secco Astre girando la pagina del libro e
cacciandosi una goccia di sudore dal volto, un'espressione annoiata.
Antinoo, per l'ira di non essere degnato di attenzione, si avvicinò alla
scrivania e battè un colpo sul legno, facendo sobbalzare il libro e il
gomito di Astre appuntato su di essa.
"E' vero che stai con Pirecrate?" domandò cercando gli occhi di
quell'insolente.
"E che t'importa? - ribatté Astre sollevandogli le mani dalle pagine
delicate e chiudendo il libro, per fissarlo poi intensamente negli occhi
con un sorriso di scherno - Come se Pirecrate ti degnasse d'uno sguardo. .
"
"C-come osi. . non è affare tuo questo! Ti ho fatto una domanda: sì
o no?" continuò con gli occhi lucidi di furia ma anche di
sofferenza; Astre alzò elegantemente una delle sue sopracciglia lunghe,
seccato da quello Spartano innamorato che gli veniva a rompere le scatole
proprio quando aveva da fare!
"No, non sto con Pirecrate, - il volto tirato di Antinoo aveva
iniziato a rasserenarsi- è *Pherio* che sta con lui - finì alzandosi in
piedi per sistemare il libro su un piccolo scaffale dove ne teneva altri
due. Antinoo era rimasto di sasso nella conferma dei propri sospetti ma
sospirò perché il pensiero in fondo avrebbe potuto anche accettarlo, col
tempo - Tuttavia non è che a me e a Pirecrate non piaccia 'divertirsi'
ogni tanto." finì con una certa enfasi.
"CHE COSA?! - e gli saltò addosso incollandolo al muro - Ripetilo se
ne hai il coraggio!"
"Fa caldo, staccati."
"Ri-pe-ti-lo!"
"Ma sei sordo? Ho detto che ci piace divertirci! Lasciami - e Antinoo
lo lasciò andare, dandogli la schiena. Era soltanto un incubo: Pirecrate
con un barbaro? Pirecrate che preferiva lui ad un mezzo-barbaro? Anche se
si fosse trattato, dannazione, di essere un sostituto di qualcun altro,
lui doveva valere più di un barbaro! O NO???!- E' Pherio che devi
prendere per il collo, non me!"
Finì Astre, gonfio di rabbia e furia. Pherio . .solo quel nome bastava
per renderlo assatanato dall'ira che gli bolliva nelle vene, ricordandosi
del modo in cui lo stava trattando quel pulcioso che neanche era del tutto
Spartano! Pherio e i suoi dannati occhi di luce! Pherio e quei suoi
capelli, il suo corpo, il suo sorriso . . dannazione! Tutto quello e non
era per lui! Voleva essere lui a fargliela pagare fino a farlo piangere,
fino a schiacciargli tutto quel dannato orgoglio che lo gonfiava come un
pallone!! *Doveva* essere lui a fargli inghiottire quella boria, quel suo
osceno negarsi, quel suo sguardo che pareva accarezzarlo e quelle mani che
mai si posavano su di lui! Batté un piede per terra cercando la reazione
di quello scemo d'uno spartano che si ritrovava davanti e che aveva osato,
con la sua semplice presenza e due domande stupide, riaccendere quel fuoco
dentro di lui.
"Allora è vero che stanno insieme. . - sospirò Antinoo ricacciando
dentro il dolore che voleva uscire, poi si voltò di scatto - e tu,
*barbaro*, non azzardarti più neanche a *sfiorarlo* altrimenti ti rompo
il collo!"
"Senti, lattante, se Pirecrate non ti si fila non dipende da me,
quindi datti una calmata!" ci mancavano solamente le stupidaggini di
un pollo che non aveva il coraggio per provarci a tediargli la vita!
Astre giurò a se stesso, guardando quell'Antinoo abbattuto e irritato
uscire dalla sua stanza quasi di corsa, che, quando fosse tornato a casa,
avrebbe fatto in modo di cacciare dalla sua dimora tutti i Greci perché
per tutte quelle cose che aveva visto, per tutta la vita ne avrebbe avuto
abbastanza!
___
Pherio ormai riusciva a contare i suoi ragazzi e notare che fossero tutti
illesi senza neppure dover voltare il capo, cosa che, d'altra parte, non
sarebbe riuscito a fare. Era così assurdamente stanco . . aveva sempre
creduto che la campagna di otto giorni cui tutti gli Spartiati e i ragazzi
si sottoponevano una volta l'anno per allenamento fosse la cosa più
terribile che chiunque loro avrebbe mai potuto sopportare in tempo di
pace, ma quella maledetta prova era peggio . . molto peggio: non dormivano
a sufficienza, di mangiare non se ne parlava a meno che non si avesse
voglia di brucare l'erba - e pure di quella c'era poco- e bere stava
diventando un lusso.
E poi mancavano ancora dieci giorni prima dello scadere del mese.
Ma Plistarco non ce l'avrebbe fatta. Strinse i denti. Forse se si fosse
concentrato abbastanza avrebbe potuto passargli una parte della sua
volontà, avrebbe potuto tenerlo in piedi ancor un giorno e un altro e un
altro. Plistarco, semplicemente, aveva deciso che sarebbe stato sconfitto
e nulla avrebbe potuto evitargli quel destino. Pherio si chiese se
esistesse qualcosa che potesse fare e la risposta era deprimente: magari,
se al posto suo ci fosse stato un capitano esperto, che conosceva le
parole adatte e l'atteggiamento giusto . .la stanchezza gli stava
fiaccando lo spirito ma mai nulla era servito ad annebbiargli il giudizio
e sapeva cosa e quanto pretendere da se e dagli altri.
Pherio si diresse a grandi passi verso la tenda al centro
dell'accampamento dove i capitani ricevevano gli ordini ed esponevano lo
stato della propria squadra. Socchiuse quasi con dolore le palpebre, lui
non era adatto a fare il capitano: lui poteva andare avanti fino alla
morte ma non aveva l'indole di uno che trascina, gli mancava
completamente.
Nella penombra soffocante della tenda si capiva perché, solitamente,
durante le guerre, gli spartani non perdessero tempo nel montarle per
proteggersi, l'aria era soffocante e stagnante, disagevole, molto meglio
era dormire all'aperto, sotto le stelle, con l'aria fresca che alleggeriva
il sonno e rendeva più pronti. Pherio attese il suo turno, le labbra
piegate in una smorfia amara. Poteva sopportare quella stanchezza che gli
era cascata sulle membra e che pareva non volesse più andarsene, ma il
peso che aveva sul cuore quello no.
Il fallimento.
Non era abbastanza abile per essere un capitano. Anche se conosceva le
mosse, la tecnica, sapeva perfettamente come schierare gli uomini, la
strategia migliore da tenere, l'atteggiamento esatto, - nulla di questo
aveva segreti per lui -, gli mancava ciò che, nella sua assenza, gli
vanificava tutti gli sforzi: non sapeva parlare ai ragazzi, e i ragazzi
non parlavano con lui. Non che non si fidassero, Pherio aveva visto in
loro una sicurezza e una fiducia nei suoi confronti davvero commovente, ma
c'era come un muro che impediva loro di comunicare.
Pherio non sapeva come stessero davvero, cosa pensassero, cosa volessero,
non più di quanto sapesse cosa intendessero dirgli le stelle che si
muovevano in cielo.
Un muro, sì. Qualcosa che lo divideva, come sempre, dal resto di Sparta.
Il figlio del disonore. Anzi peggio, un *potente* figlio del disonore, per
cui non poter neppure provare pietà ma solo diffidenza, se non odio.
L'avevano proposto capitano per questo, ora lo capiva bene. Chissà, forse
si aspettavano che cadesse schiantato sotto la fatica e le
responsabilità. Forse volevano che rinunciasse, che domandasse la pietà
di ritornare fra le fila dei ragazzi, insieme agli altri.
Ma coloro che l'avevano condannato a quello, non sapevano che il suo
posto, se non era lì fra gli Spartiati, non era neppure fuori fra i
ragazzi. Astre avrebbe riso all'intuire quei pensieri nella maniera di chi
sta un piedistallo in confronto agli altri, ma Astre, lì, non c'era. E
neppure a Sparta, ormai, pareva che il ragazzo avesse più tempo per lui.
Scosse il capo. Non aveva importanza. Doveva onorare suo zio dell'avergli
permesso di vivere a Sparta come un uomo libero e non come uno schiavo,
secondo la legge. E questo era un ottimo modo per cercare di ripagare il
debito che aveva con lui. Che fosse tornato a Sparta vivo o morto, avrebbe
dovuto riportare indietro un onore intatto ed immacolato, null'altro. E
non solo per suo zio, anche e soprattutto per sé. Il suo nome sarebbe
rimasto lindo e perfetto attraverso gli anni avrebbe mostrato al mondo
quanto valeva . .
"Pherio Panfilo!"
La voce decisa lo chiamò avanti, un passo fermo e scattò sull'attenti.
Polinice era al suo fianco, chiacchierando a bassa voce con un altro
anziano Spartiato che non prendeva parte agli allenamenti ma era lì in
veste di controllore.
"Ordini eseguiti, signore, sono tutti ritornati. Ho il permesso di
farli andare?"
L'anziano di fronte a lui scosse il capo, con una strana espressione sul
volto, sembrava . .dispiaciuto? Pherio si corrugò appena ma non disse
nulla.
"Capitano, la tua squadra si deve spostare. Siamo giunti all'ultima
parte dell'allenamento. Due giorni per il trasferimento, sette per
l'allenamento e uno per la battaglia, in questa piana. Tutto chiaro?"
Pherio annuì in silenzio mentre sentì Polinice agitarsi sorridente.
"Andiamo Aristarco! Se sei così serio il ragazzo qui mi si spaventa
e non riuscirò a farlo lavorare!"
Il vecchio Aristarco si strinse le mani, feroce.
"Non è uno scherzo, Polinice! Tu e i tuoi di Sparta dovreste
smettere di 'giocare' in questo modo con la vita dei nostri ragazzi!"
Le mani si abbassarono in un gesto lento, come a richiedere di quietare
gli animi.
"Aristarco, queste sono lotte interne fra di noi, il ragazzo è
meglio che stia fuori da queste beghe, non credi?"
Aristarco sorrise appena, indicando Pherio, immobile e silenzioso a un
paio di passi da lui.
"Questo povero ragazzo c'è dentro fino agli occhi ma, proprio
perché è un'eccezione che sia qui, con la mia autorità mi concedo di
permettergli uno strappo alla regola. Dimmi, Pherio dei Panfili, c'è
qualcosa che vorresti per questa ultima battaglia? Ti concedo una
richiesta sola e prometto che, se sarà ragionevole, farò di tutto per
venire incontro al tuo bisogno."
Pherio si stupì. Questo favore era quasi inaudito nella sua semplice
preziosità. Una richiesta? Gli era concessa una richiesta, una richiesta
sola. Una squadra in più, scegliere il campo di battaglia, partire non
immediatamente ma l'indomani mattina, tutti meglio riposati, razioni di
cibo o acqua . . Pherio socchiuse gli occhi, vide la sua squadra, i
miglioramenti che aveva fatto, l'unità che aveva raggiunto, la fragile
amalgama che lui non riusciva a cementare .. ecco, qualcuno che potesse
essere centro e fulcro e spirito del gruppo. Qualcuno in grado di
infiammare gli altri ragazzi con un unico fuoco, per farli muovere,
pensare, respirare e vivere come un unico uomo. Qualcuno che riuscisse in
ciò che lui non poteva, qualcuno che potesse portare la sua squadra
proprio dove lui voleva, nel modo in cui lui desiderava. Vincitori
innegabili della tenzone.
Pherio fissò Aristarco, serio in viso, consapevole quasi fisicamente che,
da quella richiesta, dipendeva l'onore che avrebbe riportato a Sparta e,
ancora peggio, il numero di ragazzi vivi che sarebbero ritornati Spartiati.
"Chiedo di poter avere nella mia squadra Pirecrate dei Dimani."
Polinice sobbalzò dallo stupore.
"Ma perché! - sbottò irato - Quel figlio di un traditore?! Non lo
voglio fra i piedi, non lo voglio dalla mia parte! Che razza di richiesta,
ragazzo! La tua squadra è ben equilibrata e, anche se quel cane è
dannatamente abile con la spada, l'insieme del tuo fronte d'attacco non ha
bisogno di una persona come lui!"
Aristarco intrecciò le dita lentamente, riflettendo.
"Sì, ragazzo, dimmi il perché di questa richiesta."
"Perché lui ha lo spirito di condurre i ragazzi, riuscirebbe a
trascinarli anche nell'Ade se volesse e a tirarli fuori con altrettanta
facilità. E se di qualcosa la mia squadra ha bisogno, ecco, è di uno
come Pirecrate, fragoroso come un Ares sanguinario e altrettanto amato dai
soldati per il suo ardimento. Mi avete domandato di esporre una richiesta,
questo è ciò che chiedo."
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