NOTE: i personaggi sono nostri! Pherio e Astre di Dhely. Pirecrate e Idrio di Kalahari. Anche se la divisione non è così netta ci siamo suddivise i diritti d'autore in questo modo. L'ambientazione è in una Sparta ideale (non cercate troppe coincidenze spazio temporali, non ce ne sono troppe!) ma tutto ciò che siamo riuscite a recuperare dei veri usi e costumi dell'antica Sparta è stato utilizzato.

Di odio. Di amore 

parte VIII 

di Dhely & Kalahari


L'Eurota perdeva il suo gorgogliare mesto al di là della lieve barriera ombrosa di quel salice antico, una lieve rientranza e l'acqua diventava lenta, una polla quasi immobile in cui pallide ninfee galleggiavano indisturbate nella penombra perenne. Durante gli anni di grande siccità quel luogo diveniva un acquitrinio malsano, ma mai si seccava, come se non appartenesse davvero a quel paesaggio solitamente brullo e secco. L'erba era verde, fili di smeraldo, mentre tutt'intorno non erano altro che paglia, fusti dorati abbrustoliti dal sole, lucenti quasi eppure pallidi, così simili ai capelli di Pherio che quasi Astre sentì male al cuore.

Pherio.

I capelli di grano maturo, dorati e preziosi, fini e lucenti come raggi di sole e quegli occhi così azzurri come raramente aveva incontrato pietre preziose di quella pura limpidezza. Miele d'acacia, trasparente e profumato, oppure una di quelle pietre del nord, gialle e strane, ecco a cosa somigliava. E lui altrettanto prezioso e raro.

Pherio.

Prezioso e bello, sì, come una pietra preziosa, e pudico e remoto, distante, parole rare e ancor più rari gesti, tutte cose che parevano rendere ancor più luminoso e attraente quel corpo misurato e forte. Figlio di barbari . . un uomo possente e aitante doveva essere stato suo padre se da uno straniero era nato un figlio simile, incarnazione di equilibrio. Un giovane, mortale Febo, altrettanto luminoso.

Pherio.

L'unico che riempiva i suoi sogni e i suoi pensieri, l'unico che non aveva ceduto, l'unico che mai gli avesse detto di amarlo guardandolo con uno sguardo così intenso e profondo e *sincero* . . al contrario di tutti gli altri che lo avevano omaggiato con quell'affermazione, Astre era certo della sua onestà, e avrebbe potuto giocarsi la vita puntando sull'assoluta serietà con cui aveva parlato. Eppure gli si era negato.

Astre strinse i denti. Un 'no'. A *lui*. Come poteva sopportarlo? Cercava di convincersi, ancora e ancora, che tutto quello lo faceva solo per possedere quel corpo chiaro come la statua crisoelefantina di Zeus tanto decantata: avorio e oro intarsiati e uniti in un'unica opera perfetta, ma c'era qualcosa dentro di lui che, ogni tanto, rideva, e gli ricordava, sussurrando, che forse un rifiuto non avrebbe dovuto scottargli così tanto, che non avrebbe dovuto tormentarsi in quel modo per un semplice, rozzo spartano mezzo barbaro . . un uomo che non valeva nulla, che non era degno neppure di baciare il suolo su cui lui, Astre, poggiava i sandali . .

Poco male. Si scosse, sospirando e sollevando l'acqua tra le mani a coppa e rovesciandosela sul capo, e sorrise dal piacere. L'afa era una cappa pesante sulla città, come una coperta fastidiosa che tagliava il fiato nella gola ma su, sulle vette del Taigeto, durante la notte precedente aveva piovuto era quell'acqua fresca e limpida, fragrante quasi, dava un piacere sulla pelle riscaldata. Scosse il capo e sorrise, pensando agli unici esseri che lo affascinavano nel grande pantheon greco: le ninfe figlie della natura, meravigliose con le chiome intrecciate di foglie e fiori e i piedi bianchi a sfiorare onde pure e fresche. In grado di camminare sulle acque come un cigno che si posi delicatamente sopra un velo di seta.

Nella trasparenza dell'acqua che si riverberava in ombre e riflessi, ad Astre parve di intravedere sguardi e sorrisi sussurrati, lievi giochi intessuti nel mezzo di un pomeriggio luminoso e piacevole.

Un respiro tranquillo e si voltò lentamente, annuendo gentilmente col capo a quella figura scura che, improvvisamente, s'era come materializzata accanto al tronco nodoso del salice. . Il vento carezzò i rami smeraldini della pianta che danzarono dolcemente e, passandovi sotto senza scostarli, lui, un passo dietro l'altro, con leggerezza ed eleganza, usciva dall'acqua, che gli scivolò via dalla pelle come mille piccole stelle.

"Hai tardato. -la voce sussurrata, lo sguardo scintillante, malizioso, sotto le ciglia lunghe e arcuate - Come al solito."

Vide quel volto bello essere solcato da un sorriso, i denti bianchi esporsi come un lampo o come una collana di perle perfette appoggiate su un corpo perfetto, una statua di bronzo brunito con i muscoli definiti e tesi sotto una pelle liscia e luminosa. Pirecrate gli rispose staccandosi con uno scatto dal tronco dell'albero, fissandolo diretto negli occhi. Quello sguardo da cacciatore scintillava pericoloso e, insieme, attraente, scivolando leggermente sul corpo del persiano, vestito solo di gocce d'acqua.

"Non te ne sei andato."

Astre gli si fermò a un passo, sempre sorridendo.

"Perchè avrei dovuto? Dove potevo trovare un posto migliore di questo?"

La distanza fra loro fu fatta svanire. Astre accettò la mano dell'altro posarglisi addosso, sfiorandogli la pelle con la punta dei polpastrelli, tremando appena. Piegò il collo sotto l'attacco di Pirecrate, le sue mani che si intrecciarono ai capelli, tirandogli indietro il capo, quelle labbra voraci aprirsi sui denti, lasciare che lo spartano gli mordesse la pelle profumata e umida.

Astre seguì docilmente le spinte di Pirecrate, scivolò sul tappeto soffice che li circondava aprendo le braccia, sfiorando quella schiena forte seguendo la linea definita delle vertebre, accarezzandogli appena i fianchi, impastando con i palmi quella pelle tiepida che si tese mentre  muscoli si inarcavano. Il guerriero lo inchiodò sotto di sè, pesandogli addosso, lasciandogli appena lo spazio per muovere le gambe, cingendogli la vita tra le cosce nervose e nude.

Astre sorrise di nuovo e di nuovo gli si tese fra le braccia, passandogli le ani intorno alle spalle, accogliendo quel morso che gli bloccò un labbro, succhiandoglielo, affondando le dita fra i muscoli frementi come quelli di una belva sudata e vibrante. La tunica corta e leggera di Pirecrate non offriva una gran copertura, il persiano sollevò appena il bacino nel sentire l'urgenza dell'altro, facilitandogli il movimento.

Un affondo.

Come se fosse stato semplicemente un affondo portato, con eleganza, contro un nemico.

Uno scatto.

Come se fosse stato il morso letale inferto da una tigre ad una tenera vittima, stringendo le mascelle intorno alla gola palpitante e indifesa. 

Il suo corpo scuro, ardente, scivolò dentro a quello di Astre con un sospiro, godendo del contatto con quella pelle umida e fresca, assurdamente piacevole in quel pomeriggio ardente in cui l'aria pesava sui polmoni. Lo spartano gemette e il persiano gli rispose, echeggiandolo. Null'altro in tutto il cosmo che loro due a danzare una danza antica, il cui ritmo si perdeva nelle radici del mondo.

Il bacino sottile che si mosse, seguendo quello più ampio e saldo dello spartano, ondeggiando, i loro odori che si mischiavano, quello speziato e arcaico di Astre e quello più amaro e pungente del guerriero che parevano contrappuntarsi, in quegli istanti, perfettamente. Pirecrate che dava il tempo ad entrambi con una cadenza veloce, che tagliava il fiato nei polmoni e confondeva i sensi. Astre strinse con forza gli occhi al sentire i denti del guerriero affondargli nella pelle alla base del collo, gli passò una mano fra i lunghi capelli scuri, mossi e selvaggi e sorrise quando il piacere giunse a sommergerlo.

Piccole stelle gli scintillarono sotto le palpebre serrate mentre il suo mondo pareva coagularsi solo in un eterno, assoluto presente, i profumi, le sensazioni . . fino a che un lampo di consapevolezza squarciò tutto, un solo pensiero: chissà cosa avrebbe provato se al posto di quella statua di bronzo, quell'Ares guerriero, ardente di passione e desiderio, ci fosse stato la creatura di luce e oro che riempiva la sua mente e . . il suo cuore?

Pherio . .

Pirecrate gli crollò addosso, il suo respiro veloce, il suo petto ampio a pesare contro il suo, poi un respiro più profondo degli altri e si voltò, rotolando sull'erba. Astre gli sorrise guardandolo mettersi in piedi, scrollandosi di dosso la polvere, cercando di sistemarsi i capelli in una coda stretta mentre un sorriso li aleggiava, leggero, sulle labbra. Era semplicemente tutto finito, null'altro che questo, nessuna pretesa . . che altro, poi, pretendere o desiderare? Non gli serviva null'altro, no?

"Quando partite?"

Lo sguardo di tigre gli scivolò di nuovo addosso, su quel corpo nudo e lascivo, senza vergogna, poi si strinse nelle spalle.

"Mi pare strano che tu non lo sappia, comunque è domani all'alba."

Astre si voltò sul ventre intrecciando le braccia per sostenersi il capo mentre un broncio scherzoso gli piegò le labbra, guardandolo da sotto in su.

"Vuoi dire che questo è un saluto?"

Lo spartano gli si inginocchiò accanto, passandogli una mano fra i capelli corti, ancora e sempre stupito di quel comportamento, di quell'atteggiamento e di quell'assurda, incredibile posa, di quel corpo sottile, dai muscoli tonici ma sottili e allungati. E ancor di più stupito dalle proprie reazioni, da quelle carezze, da quei baci ardenti dedicati a quella pelle chiara e morbida . . quella pelle che non faceva altro che, in continuazione, ricordargliena un'altra. 

"Per un mese. Tu farai attenzione?"

Lo sentì ridere sprofondando il capo fra le braccia come a nascondersi da quegli occhi troppo penetranti.

"E' preoccupazione, la tua?"

Pirecrate si rimise in piedi, sorridendogli a sua volta.

"Forse. - gli lanciò uno sguardo luminoso - Non si può mai dire come si comporterà uno straniero a Sparta."

Astre si sollevò in ginocchio, tendendosi sotto quello sguardo, offrendosi alla carezza dei suoi occhi con un'assoluta mancanza di pudore. Si mise a quattro zampe, mosse due passi, la schiena flessuosa gli si strusciò contro la gamba, ridendo, un gatto meraviglioso che lo guardava di sottecchi.

"Non temere, Pirecrate. Non credo che un altro amante potrebbe soddisfarmi tanto quanto mi soddisfi tu."

Lo spartano camuffò un sorriso abbassando di scatto la mano su quel capo coperto di capelli scuri come la notte. Lo tirò in piedi di colpo, stringendoselo addosso, baciandogli le labbra come con furia.

Astre dischiuse le labbra a quella lingua vorace, tremò contro quel corpo duro e ampio, gli cinse la vita e, quando si staccò per respirare, si fece sfuggire un cenno di disappunto. Pirecrate non gli rispose nulla, allontanandosi da lui in silenzio. Si passò una mano fra i capelli e gli voltò la schiena, allontanandosi senza aggiungere altro che uno sguardo luminoso.

Astre sorrise scuotendo il capo, poi si voltò verso l'acqua, una ninfea sbocciata scintillava nella luce filtrata che penetrava il fitto intreccio di foglie che coprivano il cielo. Davvero non aveva mai incontrato un amante simile. Chissà se Pherio sarebbe stato all'altezza?

Sospirò piegando di nuovo le ginocchia, facendosi sommergere dall'acqua, affogando i pensieri nel fresco liquido che, magari, avrebbe potuto donargli una risposta . . una risposta a una domanda che non era stata posta. Eppure Pherio era un'immagine ferma e fissa nella sua mente, quei suoi capelli lunghi, impossibili, luminosi e strani come se fossero davvero solo un sogno, quei suoi occhi trasparenti, azzurri, meravigliosi, che potevano poter spogliare un'anima con un solo battito di ciglia.

E quel 'ti amo'.

E quel 'no'.

Ti amo ma: no, non ti tocco, non ti toccherò. Ti amo ma: no, non sarò tuo.

Hai il mio cuore, null'altro. Non posso. Non voglio.

E niente baci o carezze, null'altro era arrivato da lui, non un sorriso speciale, non domande o richieste o aspettative. Anche ora, quando assisteva in silenzio all'allontanarsi sdegnoso di Astre, non una sola domanda sfuggiva da quelle labbra troppo belle per essere vere, non una richiesta, non un silente rimprovero.

Nulla, solo silenzio. Ciò che doveva dire, quel maledetto aveva già detto e per lui non c'era appello.

Astre chiuse gli occhi, sospirando. Era dolore quello che sentiva dentro?

Certo. Amarezza per il rifiuto. Voleva Pherio solo perchè non lo poteva avere, solo per quel 'no', e gli avrebbe fatto rimpiangere ogni attimo, ogni respiro, ogni . . ogni *pensiero* . .
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Pirecrate cercò di farlo ma alla fine non riuscì ad ignorare il nodo che gli chiudeva lo stomaco: Idrio. . Aveva pensato che fosse stata semplice attrazione fisica e per tale motivo aveva accettato di coricarsi assieme a quello straniero ma, o il suo corpo si era inchiodato su Idrio, oppure non era semplice appagamento quello che cercava.

"Assurdo" disse con convinzione a se stesso fermandosi, tentando di convincersi da solo.

Lui? Infatuarsi di un Ateniese, di un musico per giunta? Figuriamoci! Lui che aveva altro da fare che pensare a cose come l'amore - al pensiero lo  stomaco si strinse ancora di più ma Pirecrate decise fosse fame - e poi. .e poi. . E poi basta! Era assurdo e neanche doveva pensare a queste assurdità: faceva sesso con Astre perchè lui ci stava, perchè aveva quel modo di sottomettersi che gli piaceva e non perchè non passasse notte che guardasse il cielo pensando a due occhi più chiari di quelli d'Artemide!
E quello strano modo di comportarsi che si era insinuato nel suo carattere, bè quello si spiegava con. .era qualche demone che aveva deciso di divertirsi  un pò ma appena lo Spartano sarebbe tornato in piena forma gliel'avrebbe date lui, al demone! E sì. .certo. .

"Come no."

Riprese a camminare seccatissimo perché, più cercava di buttare sotto altre semenze la verità, più quella gli si parava davanti nella sua inevitabilità e semplicità. Non poteva essere amore il suo: aveva visto tanti uomini a Sparta stare accanto a qualcuno una vita prima di riuscire ad amarsi e lui che aveva parlato solo due volte con una persona - un Ateniese!- non poteva essersi innamorato. Non era appagamento fisico quello che anelava perchè oh, se Astre non gliene dava!; ma ogni volta che lo lasciava si voltava sempre perchè era Idrio che voleva vedere in terra, tendendogli le braccia e intrecciare le loro dita mentre Pirecrate si stendeva su di lui. Astre era bello, era affascinante, nascondeva molte più cose di quanto non dasse a vedere, ma non era quello ciò che Pirecrate desiderava.

Anzi no: non voleva possederlo lui voleva . . averlo accanto.

E oltre quei discorsi c'era il fatto che Astre appartenesse a Pherio e lui non sapeva cosa fosse accaduto tra i due però non aveva il diritto di fare ciò che faceva in fondo. Ed era come se si sentisse di tradire Pherio e Pherio . . un suo compagno, uno spartano come lui, un *nobile* spartano che non gli aveva mai parlato di certe cose, che mai s'era confidato riguardo al persiano che suo zio aveva ospitato presso la sua dimora e che . .

Ah no adesso basta! Ma che gli succedeva? Cos'erano quei discorsi assurdi?!?

Che gli aveva fatto quell'Ateniese per ridurlo in quella condizione: mai, nella sua vita, aveva avuto dei sensi di colpa per qualcosa che aveva fatto, mentre adesso ne era pieno. Per fortuna che il giorno dopo sarebbero partiti e non avrebbe avuto assolutamente tempo per mettersi a pensare . .
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Da quanto si trovava su quella barca? Da quanto il suo stomaco brontolava?

Da quanto l'unica finestra sul mondo esterno era un'apertura nel legno, con tre sbarre verticali? Lo schiavo non lo sapeva: sapeva solo di avere fame, voleva poter alzarsi e sciogliere i muscoli delle gambe lasciando scricchiolare le ossa, asciugandosele al sole tiepido di quel pomeriggio che pareva infinito, voleva conoscere il suo destino, e che almeno fosse definitivo perchè di vivere ancora nell'incertezza non era certo di riuscire a sopportarlo. .

Non aveva più lacrime da piangere, più voce per gridare, più forze per ribellarsi; tutto ciò che poteva fare era afferrare con i polsi, legati tra loro da pesanti ceppi, le bucce che gli venivano date da mangiare e che sapevano di terra e di sporco ma erano le uniche cose che poteva utilizzare per sfamarsi. Anche le caviglie non gli scioglievano e le corde mordevano la pelle mentre lui stava rannicchiato in un angolo opposto alla finestra per  vedere il blu profondo e senza speme del mare.

Un suono acuto gli giunse alle orecchie e sorrise: sulla finestra apparve la sua aquila, di ritorno da chissà che volo, che entrò nello spazio pieno di oggetti e, camminando sul pavimento ancora sporco del sangue della violenza, giunse dal suo benefattore.

"Ciao Pirecrate. - con voce flebile disse l'essere umano, allungando le mani senza far stridere troppo la pelle lesa al di sotto delle corde, per accarezzare quella splendida aquila ormai cresciuta. Quando sarebbe finito quel viaggio per mare? - Cos'è? - domandò e prese ciò che l'uccello gli porgeva - Un pesce?- l'animale mosse la testa su e giù, chinando il becco a terra vicino al 'bottino' - Per me?-  poi scosse il capo piumato beccandogli delicatamente un dito - Grazie. ." quell'aquila dallo splendido piumaggio era l'unico essere che ancora si preoccupava per lui. .

Fece un respiro profondo cercando di inalare il più possibile aria di mare, in modo da calmarsi, in modo da ritrovare uno straccio di dignità: avrebbe trovato un modo per tornare a casa, avesse dovuto metterci anni ma lui avrebbe rimesso piede ad Atene!

Si fece questa promessa anche se non poteva sapere che in futuro lui stesso non avrebbe voluto far ritorno nella sua amata città.
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Pirecrate scese giù in città ma non ebbe voglia di andare nel proprio dormitorio perchè avrebbe trovato ragazzi eccitati per la partenza e più del solito propensi a fare chiacchericcio; di recarsi al fiume neanche ci pensò perchè avrebbe trovato chi dava il commiato a qualche 'amico' più giovane. 

Decise allora, dopo avere dato occhiate lunghe intorno a sé, di recarsi all'altare di Licurgo, poco prima del tempo di Artemide. La città era sempre così tranquilla, ma, specie quando il sole iniziava a tramontare, sembrava trattenere il respiro perchè presto sarebbe sorta la pallida dea cui era consacrata.

Strani pensieri gli solcarono la mente, pensieri che seguivano un loro corso come un fiume cheto cheto ma lo facevano con energia nascosta: per lui quella partenza significava una cosa sola, cioè poter divenire Spartiato. 

Spartiato e poter finalmente partecipare alle vere battaglie, Spartiato per dimostrare che lui *valeva* e per non dover più abbassare il capo perchè quello che era riuscito a divenire era solo e soltanto merito suo,  Spartiato . . Ma c'era qualcosa che gli mancava, come uno strano nostos algos, un 'dolore per il ritorno', una nostalgia che gli si era insidiata nel cuore e tutto dalla prima volta che Astre si era chinato su di lui e aveva . . Arrossì in quel momento il vergine che non era più e si mise a sedere ai piedi di un grande albero vicino all'altare. 

Il vento era dolce e non fece altro che aumentare la sua tristezza. Sì, era proprio tristezza la dolce agonia che gli teneva prigioniero l'animo, un sentimento che non aveva mai provato perchè per lui c'erano stati, fino ad ora, ira, rabbia e paura; ma la tristezza, quella sensazione che gli levava tutte le energie: non l'aveva mai sentita dentro di sé . . 
Eppure domani il suo sogno si sarebbe avverato, il primo vero coronamento  per tutti i suoi sforzi, per il suo sudore e per il suo sangue.

Ma quanti padri aveva visto in vita sua? Quanti ragazzi ne avevano uno anche se alcuni lo avevano perso in battaglia? Lui non sapeva cosa significasse perchè lo aveva lasciato quando era tanto piccolo da non serbarne alcun ricordo. 
Ci si può disperare per qualcosa che non si conosce? E poi trovarsi da soli in mezzo a persone che a malapena ti tollerano, sempre in disparte con l'unico modo di giocare attraverso una piccola spada, sin da bambini. Gente che ignora te e guarda solamente le azioni che fai, le giudica e poi ti condanna o loda a secondo che siano giuste: ma mentre per Pherio gli altri avevano tutti un  occhio di riguardo, zio a parte, per lui c'erano solamente sguardi veloci sempre sprezzanti. Era sempre stato così e lui . .se solo fosse stato un *padre* a disprezzarlo sarebbe stato diverso, o sì che sarebbe stato diverso . . Uno strano impeto gli nacque dal profondo del petto e sentì gli occhi inumidirsi ma cacciò subito quella debolezza e d'istinto s'arrampicò a tutta velocità sull'alto albero, fino da poter vedere il tempio immobile e perfetto, duro e netto, appoggiandosi su un ramo. Lì non potè più trattenere  niente e, con sua grande vergogna, non riuscì a cacciare via le lacrime; ma stranamente non ne aveva voglia: non voleva più tenersele dentro. . non quel giorno. . non ora. . poi sì. . ma adesso doveva o sarebbe morto. . 
Pianse singhiozzando piano, gli occhi celesti che riflettevano i raggi dorati e arancioni del sole, come se fossero quelli di Apollo splendente.

"Avrei voluto che tu fossi qui." disse a suo padre, di cui per orgoglio non aveva mai domandato niente a nessuno, di cui sapeva il nome solo perchè la gente si divertiva a ricordarglielo. .

Per il resto della sua vita avrebbe pianto solo un'altra volta
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"SVEGLIA SVEGLIA!" urlò l'uomo del dormitorio dalla porta per far alzare i ragazzi.

"Accidenti proprio ora!" grugnì uno ancora mezzo addormentato vicino al  letto di Pirecrate. Questo non si era svegliato e giaceva pancia in giù sul legno del letto. Aprì un occhio e fece ciò che non aveva mai fatto  in vita sua: prese il cuscino e se lo mise sopra il capo. Quasi li udì i rumori dei piedi dei ragazzi che un pò scattarono in piedi, un pò se la presero comoda perchè pochi erano riusciti a dormire dall'attesa o dalla paura della partenza.

"Pirecrate sveglia - sentì la voce di. . come si chiamava?. . ah sì, Antinoo, ma la ignorò del tutto: voleva dormire!- Pirecrate. . " non s'accorse che la voce aveva raggiunto un tono 'divertito'.

Antinoo guardò Pirecrate ancora sdraiato beato sul letto e allora prese il secchio pieno d'acqua gelida, ricevendo risate complici da altri ragazzi che assistevano alla scena. Lo alzò e con un gesto deciso tirò l'acqua su quel corpo caldo dalla letargia del sonno.

"Ahhhhaha!" sbottò a sedere Pirecrate per la cattiva sorpresa e si girò con una luce omicida negli occhi, cercando chiunque avesse quel dannato secchio per torcergli il collo.

"Ragazzi avanti! - l'uomo si riaffacciò e quando vide uno tra i più permalosi della camerata bagnato come un pulcino dalla pioggia non potè nascondere un sorriso divertito - Pirecrate non dirmi che hanno dovuto svegliarti con l'acqua gelida!" continuò riprendendo poi la strada del corridoio.

Pirecrate si girò lentamente verso l'unico che era rimasto ancora nei paraggi e che ancora, sfacciatamente, teneva il secchio in mano e *sorrideva*. "Io. . io ti ammazzo, vieni qui!" scattò in piedi e iniziò a rincorrere il ragazzo più giovane attraverso i letti e l'intero dormitorio,  ormai completamente vuoto. Antinoo non era veloce quanto lui e ben presto si ritrovò con le spalle al muro, in posizione di netto svantaggio davanti ad un toro.

Ma il suo sguardo era sereno.

"Non puoi farmi niente, altrimenti non ti fanno partire. - disse piano ma non goliardamente, ben sì in tono serio - Lasciami!" finì e fu più una richiesta  decisa che un ordine. Pirecrate tenne lo sguardo duro incollato sul suo ma Antinoo guardò di quegli occhi solo la profondità, solo quella bellezza così grande che mai mai mai aveva visto da così vicino: il massimo che aveva raggiunto era stato durante la fustigazione.

Lo Spartano più forte lo lasciò andare, i capelli così splendidamente bagnati e nonostante l'acqua che gli aveva lanciato sulla pelle fosse fredda, Antinoo ebbe più gelo quando il proprio corpo fu costretto a staccarsi dal suo. Anche se mai avrebbe voluto lui come amante almeno avrebbe potuto guardarlo da lontano e poi rattristarsi durante tutte le notti senza luna che lo aspettavano: per fargliela pagare della secchiata Pirecrate sarebbe dovuto tornare, non da lui, ma. . sarebbe tornato. .

Era come se lo avesse obbligato ad una promessa.

E Pherio era davvero un uomo fortunato.
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"Astre!" chiamò Pherio entrando nella stanza che occupava il giovane più grande ma era completamente vuota: le cose in perfetto ordine quasi maniacale, quegli strani oggetti dalla fattura ricercata e dall'uso inimmaginabile che scintillavano discreti alla luce dell'alba, nessun'altra risposta al suo richiamo che l'eco svegliatosi nella stanza.

Si guardò intorno con un sospiro, ritornando sui suoi passi. La strada che, dalla sua antica dimora portava al Campo e poi, più su, fino alle camerate, si snodava dritta sotto i suoi sandali ma per un attimo fu davvero indeciso, come se stesse ondeggiando sul bordo di un precipizio con le gambe poco salde, timoroso che lo tradissero proprio in quell'istante in cui più avesse avuto bisogno.

Quanta fatica, quanto dolore, quanto assurdo impegno era stato dedicato a quella meta? Ecco, fra un mese, un mese esatto, trenta giorni di passione e fatica, sarebbe potuto essere nominato finalmente Spartiato, un cittadino completo, un uomo, finalmente Spartano davvero, non più solo mezzosangue, non più sole il nipote beneficiato dalla clemenza di uno zio troppo potente per poter essere dispiaciuto. Spartiato.

Spartiato, finalmente degno agli occhi del mondo, e sarebbe tornato come *miglior* Spartiato, senza fallo, finalmente il suo nome avrebbe avuto l'omaggio che si meritava, minimo, di fronte ai suoi compagni. Il resto, l'onore e la gloria al di fuori di Sparta sarebbero venuti con gli anni, di questo era certo, ma dopo tutto chi era migliore di lui tra le mura invisibili e invitte della loro sacra città?

L'inizio e la fine di un'intera vita, eccola, ora, lì, a portata di mano, un mese, un mese solo, e finalmente..

E l'unica cosa a cui riusciva a pensare era il non essere riuscito a salutare Astre?! Era tutto così strano, assurdo, era probabilmente tutta colpa del comportamento dell'altro ragazzo, il suo lento e progressivo allontanarsi, quel non essergli più perennemente attorno. . non che gli desse fastidio poter, finalmente, riuscire a camminare libero, senza un'ombra silente che lo seguisse, senza quello sguardo addosso, senza . . bhè, sì, certo che era un sollievo! Aveva sbagliato nel dirgli che si era innamorato di lui, e poi da quando uno spartano si innamorava di uno straniero? Da quando un Panfilo perdeva la testa per un . . un . . un rifiuto, uno straniero, un *barbaro* che, quale che fosse la sua posizione in patria, si mostrava sempre per l'inetto inferiore che era! Come poteva *lui* provare *qualcosa* per . . eppure era quello che sentiva dentro a smentire ciò che sapeva, ciò che voleva e doveva . .

Quegli occhi, come se fossero stati evocati da chissà che pensiero o desiderio velato, sorsero da un angolo della strada, il suo passo silenzioso e disteso, veloce e insieme composto e insieme un sorriso appena accennato mentre, fra le mani sottili, teneva un fascio di erbe profumate. Incrociò i suoi occhi in quelli azzurri e trasparenti di Pherio e si tirò leggermente indietro, come a lasciare il passo sulla strada polverosa.

"Credevo fossi già partito.- la sua voce era piatta e tranquilla, notò l'irrigidirsi lieve dello spartano ma non ne fece parola, indicando invece, con un cenno del capo, il Campo che si vedeva lontano brulicante di vita e di squadre di ragazzi in partenza. - Ho sentito molto tempo fa il segnale della sveglia."

Pherio chinò appena il capo stringendosi con forza nelle spalle.

"Sono stato assegnato stamani alla squadra che, per ultima, lascerà Sparta. E sono stato incaricato di portare dei documenti a uno degli efori, per questo sono qui, ora. Ti saluto ora, Astre."

Astre chinò appena il capo come se si fosse trovato a discorrere con un qualcuno che conoscesse solo superficialmente, niente in quegli occhi scuri e lucidi, nulla in quella voce modulata  sempre gentile.

"Che i tuoi dei ti assistano, spartano."

Pherio era sul punto di parlare di nuovo, di chiedergli qualcosa, qualsiasi cosa, ma vide la sua schiena sottile voltarsi verso di lui e si morse la lingua. Ben altri dovevano essere le cose che occupavano la sua mente, ora, non certe sciocchezze senza alcuna importanza. . Un lieve refolo di zefiro disceso direttamente dal cuore del cielo gli mosse appena i capelli raccolti strettamente sulla nuca, e un ciuffo più corto degli altri gli cadde negli occhi. Se li scostò con un cenno brusco.

Quei capelli biondi come una colata d'oro.

Quei capelli luminosi e strani.

Quei capelli che sua cugina, quand'era bambina, passava ore a pettinare, affascinata, lei come tutti, ognuno rapito da quelle sfumature aliene, da quel fiume di luce che gi riposava sulle spalle.

Quei capelli che lui, se avesse potuto, non solo si sarebbe tagliato, ma pure avrebbe strappato. Capello per capello magari, per cancellare il simbolo del disonore, per cercare di far dimenticare a tutti il suo peccato, un peccato di cui lui non era colpevole ma che stava comunque scontando. Per strapparsi di dosso l'unica macchia che, agli occhi di Sparta, lo rendeva indegno. Si chiese se davvero, divenendo Spartiato, certi pensieri sarebbero stati accantonati, certe occhiate non sarebbero più sorte naturali.

Chissà se sarebbe poi riuscito a *ritornare* Spartiato.

Il cielo azzurro scintillò sopra di lui, lucente come gli occhi trasparenti della saggia Minerva, armata e altera. Lei, forse, l'avrebbe protetto, come sempre aveva fatto da quando, anni prima, in segreto e silenzio a lei s'era consacrato, a lei dedicando ogni sforzo e ogni vittoria, il suo nome invocando in tutti i momenti di difficoltà. Lei era stata ad ispirarlo nell'esprimere ad alta voce quello che sentiva di provare per Astre e a lei aveva obbedito ed ora. .

"Pherio!- la voce giovane e conosciuta arrivava dalla strada, affaticata e tagliata dall'ansimare felice. Teriandro giungeva, le ali ai piedi, dal Campo, con un'espressione di assoluta felicità dipinta sul volto - Pherio! Pherio, c'è una meravigliosa novità!"

Il Panfilo lo fissò, sospettoso. Cos'era quella mancanza di decoro e quell'agitazione, eccessiva pure per il giorno di partenza per il mese di addestramento, temuto ed insieme agognato da tutti loro? Teriandro aveva le guance arrossate e, di fronte a lui, si posò i palmi sulle ginocchia, cercando di riprendere abbastanza fiato per riuscire a parlargli. 

"Che succede da sbraitare in questo modo lungo la strada? Stavo arrivando, avresti potuto attendermi al Campo."

Lo vide ridere, felice, scuotendo con forza il capo mentre con una mano, indicava un luogo alle sue spalle.

"Vengo proprio dal Campo! Hanno assegnato le squadre!"

Troppi erano i ragazzi e per rendere più reali ad un vero scontro le esercitazioni, li dividevano in piccole squadre, ognuno con il proprio capitano di riferimento, proprio come in un vero esercito. I capitani erano di solito Spartiati, uomini assegnati a quell'impiego durante il mese di addestramento, e non sempre si aveva la fortuna di trovare un insegnante come diretto superiore anche se, tutti sapevano, qualunque cittadino maschio di Sparta sapeva condurre una squadra come chiunque altro. Chi mai poteva essere assegnato loro perché la notizia uscisse dal ristretto circolo dei graduati e perché Teriandro, appresa la notizia, ne fosse così entusiasta? Pherio, in silenzio, ringraziò tutti gli dei disponibili che suo zio fosse troppo anziano per poter chiedere un onore simile perché sapeva che, in quel caso, molto probabilmente non sarebbe sopravvissuto.

"E chi mai sarebbe per costringerti a una simile euforia?"

"Sei tu! - Teriandro gli batté una spalla con un colpo forte, facendolo appena vacillare - Tu! Ti hanno assegnato una squadra! E non sei ancora Spartiato!"

Pherio cercò di capire se fosse una felicità senza parole quella che gli bloccava il cuore in quel momento, o solo la morsa gelida del terrore. Perché gli era stato assegnato un compito simile? Le norme non prevedevano che un ragazzo si prendesse la responsabilità di una squadra durante il mese di addestramento, in cui si rischiava davvero la vita, in cui si combatteva con armi affilate, con dardi pesanti e lance appuntite! Chi mai aveva potuto avanzare il suo nome durante la riunione preliminare? Chi mai avrebbe potuto affibbiargli un onere simile unito a un onore tale in grado di metterlo in luce come null'altro prima?

Gli bastò chinare un poco il capo, e un respiro venne a portargli alla mente la risposta a quella domanda silente. Se poi di una risposta unica si potesse trattare. . famiglie che ritenevano i Panfili indegni della troppa influenza che avevano a Sparta avrebbero potuto obbligarlo a dimostrare la sua scarsa abilità. Oppure suo stesso zio avrebbe potuto costringerlo a una prova simile. 
Oppure . .

Il sole stava iniziando a brillare in cielo, Pherio si schermò gli occhi cercando di fissarlo poi sospirò, Teriandro che ancora brillava per la gioia.

"Andiamo, Teriandro. Ci staranno attendendo al Campo."

E che la divina Minerva guardasse davvero sulla terra dei mortali per proteggerlo e condurlo, era certo di averne bisogno. Perso in questi suoi mesti pensieri non vide Astre, a pochi passi da loro, che seguì la sua schiena allontanarsi per la strada polverosa, senza dire una sola parola.
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Pleto guardò il gruppo che gli era stato assegnato mentre assisteva al carico del carro, dove c'erano tutte le armi e le coperte per la notte dei  ragazzi a lui sottoposti. L'ultimo fascio di spade fu gettato sopra le altre con clangore e leggerezza, pareva un terribile temporale che rumoreggiasse  all'orizzonte. . Ma la sua mente e il suo sguardo erano tutti concentrati su ben altro.

Uno, fra i ragazzi, in particolare lo aveva squadrato con aria sorpresa, con quei meravigliosi occhi blu di un torrente sotto la luce della luna, non appena era venuto a sapere che era lui a sovraintenere il gruppo: Pirecrate.

Quello splendido figlio di un cane che già una volta s'era rifiutato di compiacerlo, che si era ribellato, come probabilmente era nella sua natura fare, ed era riuscito a fuggire solo grazie al fatto che non poteva percuoterlo senza che qualcuno sentisse: non ci sarebbe voluto molto per far stare buono e piegare un ragazzino di dodici anni. E da allora lo aveva evitato con una cura stupefacente e quando era stato costretto ad incrociarne lo sguardo i suoi occhi erano di fuoco rabbioso. Era proprio tutta quella ribellione ardente, quell'indomito spirito di cui vedeva remoti i riflessi in certe occhiate assassine, a renderlo ancora più desiderabile . . Non solo finalmente avere in lacrime quel maledetto senza creanza, quel piccolo ribelle, figlio di un ribelle senza onore, forse destinato a ripercorrere le orme del suo sciagurato padre. No, non solo, ma sentirlo pregare. Sentirlo cedere, una volta sola nella vita. . se quell'altro disgraziato,disonore di Sparta, quel moccioso mezzo sangue dei Panfilo riusciva a batterlo su un campo di battaglia, perchè non avrebbe potuto essere sconfitto su un campo che a lui, da quel che ne sapeva, non era congeniale?

Questa volta Pleto non avrebbe chiesto: avrebbe preso direttamente ciò che voleva e quell'impertinente con un corpo tanto meraviglioso da far invidia agli dei avrebbe pagato il doppio.

"No, Pirecrate caro, stavolta ti sottometterai." sussurrò mentre faceva partire il cavallo e i ragazzi, naturalmente, a piedi.
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