NOTE: i personaggi sono nostri. Pirecrate e Idrio sono di Kalahari, Pherio e
Astre di Dhely, gli altri sono in coproprietà!
Di amore di
odio parte
VII
di Dhely e
Kalahari
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". . proprio così! - finì sorridendo Aristide; Idrio rise con le
lacrime agli occhi - E' stato incredibile: avresti dovuto vedere la sua
faccia"
"Certo che ne hai passate di cose, tu!" affermò il ragazzo
accarezzando l'uccellino che teneva in mano, ancora seduto vicino ad
Aristide, Timoteo era su un altro carro.
"La vita insegna. ."
"Insegna bene!" Idrio esclamò facendo salire l'uccellino sul
braccio e prendendo dei vermetti da una ciotola che aveva raccolto prima,
per nutrirlo.
"Però le cose a volte si capiscono troppo tardi. . - disse piano
Aristide sprofondando in chissà che pensiero, poi - Sai, credo sia un'aquiletta
la tua."
"Un'aquila?" un uccellino così piccolo?
"Vedi gli artigli? Poi il becco è troppo appuntito. . "
E si mise ad osservare quel piccolo e dolce volatile. . doveva ancora
dargli un nome e un nome soltanto in quel momento occupava i suoi
pensieri.
"Pirecrate. . " sospirò e Aristide udendo sorrise, anche un pò
amaramente forse.
Continuarono a viaggiare, ormai lontani da Sparta e il paesaggio intorno
era spoglio e incustodito, senza vita. La cadenza era abbastanza spedita
ed i cavalli da traino li conducevano tra le rocce, costretti però a
fermarsi ogni tanto perchè qualche ruota vi si incastrava e allora si
doveva scendere e tirare fino a che i legni non fossero stati liberi.
Quella mattina avevano passato la fonte dell'Eurota ed avevano fatto una
brevissima sosta; nel frattempo Idrio aveva colto dei fiori e li aveva
intrecciati, come una volta quando non sapeva che fare sua sorella gli
insegnò, per poi lasciarli andare via col fiume neonato nella speranza
che qualcuno molto particolare li trovasse.
Pirecrate. .
Forse non lo avrebbe mai più rivisto sul serio o forse le loro vie si
sarebbero reincrociate. Idrio lo sperava così tanto, con tutto se stesso,
ma non poteva sapere come gli eventi avrebbero iniziato a correre perchè
solo agli dei o agli uomini, che essi desiderano possano, hanno la
possibilità di vedere il futuro. Ma allo stesso modo i Numi celesti,
terreni e acquatici, neanche lo stesso Zeus in persona, per quanto
vogliano proteggere o impedire gli uomini, sono limitati, loro che non
hanno confini, dalla Moira.
Il destino è inevitabile.
A questo pensava, amareggiato, Apollo splendente, signore della musica e
dei dardi, dall'alto del cielo dal suo carro brillante, che nessun uomo può
guardare senza pagare l'impertinenza, mentre vide i carri procedere e poco
più in là tra le rocce insidiose una gilda di ladri e briganti. Alzò
gli occhi verso l'Olimpo, quegli occhi splendenti come una stella, in
segno di rassegnazione ma. .
"Apollo!" Artemide su un cavallo bianco giunse pronunciando con
le labbra rosate.
"Sorella, che desideri?" il dio domandò.
"Sappiamo entrambi, noi dagli occhi che vedono a lungo, il destino
dove condurrà gli uomini. Ma io non posso permettere che Proserpina si
prenda la vita del giovane ateniese!"
"Tu parli per uno dei tuoi Spartani amati, Artemide, io allora che
sono il protettore del giovane che dovrei fare? Zeus così ha stabilito,
il filo è teso." ribattè il dio scansando lo sguardo dalla sorella
coperta d'una lunga e bianchissima veste.
Negli occhi argentati della dea brillò un guizzo.
Come il sole toccò un monte oscuro Idrio alzò il capo per guardare il
disco rosso come le fiamme di un focolare e sì sentì investito di un
brivido gelido.
"Ci accampiamo stanotte? - domandò, ma Aristide sembrava concentrato
nel paesaggio lì intorno - Aristide?"
"No. . - un'altra occhiata, stavolta indirizzata alla roccia ripida lì
accanto, che poco più avanti si apriva in una serie di scoscesità
rocciose - non ci accamperemo."
"Va tutto bene?" Idrio si annodò intorno al polso la treccia
fine che aveva fatto capelli corvini di Pirecrate.
"Sì. . " non aggiunse che quella zona non gli piaceva:
all'andata l'avevano percorsa di giorno e le bestie avevano appena
riposato, mentre adesso il sole stava scomparendo dietro l'orizzonte e il
cielo si faceva sempre più blu. Le stelle, come gelidi occhi di morenti,
si accesero su di loro.
"Aristide!" urlò da dietro Timoteo e Idrio girandosi vide che i
carri si erano fermati e . . una nuvola di polvere.
"Che succede?" domandò il ragazzo col cuore in gola, mentre le
rocce sembrarono animarsi dietro i legni poco distanti, con sopra uomini
in agitazione. Aristide non rispose niente e, veloce come un fanciullo,
scese dal carro e sciolse i cuoi ai due cavalli.
"In sella ragazzo!" disse fermo ed Idrio chiese con un *perchè*
nello sguardo. Un urlo agghiacciante venne da dietro ma non appena stava
voltando il capo fu afferrato da Aristide e, prima che potesse replicare
qualcosa, si trovò per terra.
"Lascia, lasciami Aristide! Pirecrate!" mozzicò il braccio
all'uomo, sfuggendo dalla presa, e prendendo l'uccellino che aveva ripreso
a pigolare nel suo piccolo 'nido' sul carro. Che succedeva? Suoni di spade
giunsero alle orecchie e poi un fischio vicinissimo: una freccia gli passò
accanto alla testa conficcandosi nel legno.
"AH!" esclamò scostandosi e Aristide lo afferrò per un braccio
e lo costrinse a mettersi in sella, poi prese una spada che giaceva sul
carro e se la mise alla cinta.
"Tu vai!"
"Ma Aristide. . "
"Vai ho detto!"
"Che succede?" un'altra freccia volò e da sopra si udirono
sbattere di zoccoli.
"Vai!" l'uomo stava per dare con la parte liscia dell'arma una
botta al cavallo per farlo partire.
"Non so dove andare!"
Il brigante dal lungo manto blu tese l'arco di legno chiarissimo e mirò
ancora una volta verso valle. Scoccò e la freccia volò sibilando verso
terra ma all'improvvisò deviò, mancando ancora di poco l'obiettivo;
dannazione erano tre dardi che lasciava andare e nessuno arrivato a segno
per il vento contrario! Ma l'uomo non poteva vedere la splendida dea dalle
chiome rosse che deviava con le proprie mani i colpi dal suo cavallo
alato.
"Aristide. ." supplicò con labbra ed occhi il giovane.
L'anziano uomo tenne la spada mezza sfoderata poi sospirando, dopo aver
lanciato uno sguardo indietro, la rimise dentro e saltò sul cavallo
assieme ad Idrio; partirono al galoppo ed Aristide ordinò al giovane di
tenersi ben saldo per non cadere. Intorno a loro le pareti di roccia
inizarono ad allontanarsi e sulla spianata, alla loro destra, un altro
gruppo di uomini su cavalli scalpitanti attendevano.
Aristide vide un sentiero che saliva verso sinistra e lo imboccò tirando
la redine: i nervi del cavallo guizzarono assieme ai muscoli che saltarono
sulle rocce, rincorrendo una via di salvezza che forse s'era aperta
davanti a loro. La Grecia non era più posto sicuro neanche per Ateniesi .
.
Una freccia gli si conficcò nella spalla e l'uomo rimase senza fiato,
cosa di cui s'accorse Idrio, davanti a lui, che tentò di aprire bocca ma
fu azzittito.
"Continua. . a seguire la strada: il cavallo è docile." disse
l'uomo mettendo a forza nelle mani del ragazzo le redini, per poi
appoggiare le sue sulla sella e facendo leva smontare. Il cavallo, con
solo una persona sopra, presto svanì dalla vista.
"Aristide!" gridò Idrio tra le lacrime, senza potersi voltare,
stringendo le gambe ancora di più ai fianchi della bestia. L'uccellino,
in una tasca della sua veste fece un verso acuto e il ragazzo acquistò
una miglior presa sulle redini e strinse i denti.
___
La lunga fila di letti scomodi e rozzi, un ghigno solo increspò quelle
belle labbra proporzionate al pensiero di quello a cui era solito, e a
quanto lontano da lì, da quegli usi e quei costumi era stato allevato.
Ora non aveva alcuna importanza. Ora, la sua mente allenata era ben ferma
su un solo scopo.
E il sorriso si tese un po' di più nell'udire il passo fermo e deciso
rimbalzare sulle rozze pareti della camerata spoglia; il ragazzo, nel
corridoio, appoggiò con cura la lancia sulla rastrelliera deputata, la
sua pelle abbronzata era lucida dal sudore che gli velava anche il volto,
contratto e attento. I ricci scuri gli danzavano sulle spalle, seguendo il
ritmo del fiato e piccole gocce di sudore gli brillavano addosso come
fossero stati gioielli.
Astre indossò la sua più contrita espressione abbattuta e venne avanti,
le mani intrecciate lievemente e lo sguardo basso, come in un attacco improvviso
di timido pudore, una pudica Afrodite che era giaciuta con chiunque ma la
cui pelle arrossiva ancora di fronte a uno sguardo scintillante.
Pirecrate, non appena l'aveva scorto avanzare, già aveva in bocca
l'esortazione a girare largo da lui, ma il rimbrotto asciutto gli morì
sulla lingua quando lo vide così silente e pacato, senza la consueta
mascherata arroganza che gli velava lo sguardo e quella innominata
sensazione che spandeva intorno a sè. Timore e forse . . Astre sospirò
di fronte all'espressione inconsciamente inquisitrice, alla quale rispose
con un gesto secco del capo. Sollevò appena una mano e lo Spartano si
accorse che le lunghe dita pallide tremavano.
"Nulla di grave, Pirecrate."
Per quanto poco empatico fosse, lo Spartano non ci credette, in bilico
com'era tra desiderio di tornare al Campo, dove suoi compagni si stavano
ancora allenando, e la tenera pietà che gli stava sgorgando in cuore. Ma
in fondo non erano affari che lo riguardavano . . si stava per girare
quando toccò a lui sospirare, adesso, guardandolo negli occhi, e disse
"Non dirò nulla, Astre, perchè poco conosco di te e nulla so di
cosa ti ha ferito così, ma ascolta il mio consiglio: parlane con Pherio,
sono certo che lui potrà aiutarti o almeno esserti di conforto."
All'udire quel nome il volto elegante si contrasse come se fosse stato
fisicamente ferito, scosse di nuovo con forza la fronte e mosse un passo
titubante per superare lo Spartano, le sue spalle tremarono e un
singhiozzo gli sfuggì dalle labbra. Pirecrate riuscì solamente a
spalancare gli occhi, spaesato dall'innominabile sorpresa, quando vide
Astre, a un passo da lui, affondare il volto fra le mani per nascondere
lacrime sgorgate da chissà dove.
Astre, dopo pochi attimi parve scuotersi, asciugandosi di fretta le guance
con il dorso delle mani. "Perdonami Pirecrate. ."
Le mani dello spartano calarono sulle sue spalle, preoccupato.
"Ma che succede?"
Sembrava davvero preoccupato, Astre sollevò appena il capo incrociando il
suo sguardo con quello di Pirecrate lanciandogli una lunga occhiata
profonda da sotto quelle lunghe ciglia nere.
"Nulla. A volte il tradimento è amaro da sopportare."
"Pherio?" domandò Pirecrate chiedendosi in cuor suo come mai
Pherio, se legato ad Astre, avesse tradito quel legame.
Le spalle sottili si scossero, leggere.
"Anche. Ma sono cose di cui mi vergogno. ."
La sua voce si spezzò in gola, un nuovo tremito gli percorse il corpo e
acconsentì alle braccia forti dell'altro ragazzo di cingergli le spalle,
in un gesto di simpatia istintiva. Non aveva dunque visto male, Pirecrate
era davvero un uomo giusto e pietoso, corretto e onesto, che non avrebbe
mai gioito per la malasorte piombata su un altro uomo. Semplice e giusto.
. quale miscela era più facilmente utilizzabile per i propri piani? Astre
gli si appoggiò contro, il capo sulla spalla, la schiena tremante, la
gola singhiozzante.
"Vergognarti? Cosa . . c'è qualcosa che, forse, posso fare? Io non .
." nessuno era mai andato da lui a piangere e non aveva mai visto
nessuno comportarsi così a Sparta, non un uomo, per lo meno. Pirecrate
sentì il dispiacere crescergi dentro ma non sapeva come fare, nè cosa .
. Si limitò a tacere di fronte allo sguardo affogato di lacrime, al dolce
rossore di quelle guance così pallide per mancanza di sole e quella sua
strana, aliena raffinatezza nell'essere disperato. Astre scosse il capo
affondando il capo sul suo petto.
"Lo saprai anche tu di . . del nobile Kakeo. . - silenzio in
risposta, un solo singhiozzo - e io . . io sono stanco . . "
Le sue belle labbra si torsero, amare, sfregando il volto sulla pelle nuda
del petto di Pirecrate, un nuovo singhiozzo, improvvisamente il suo bacino
sottile che si infisse tra le gambe dello spartano, un movimento leggero,
prima la morbida curva dei fianchi poi l'osso dell'anca puntarsi
direttamente sul suo sesso. Sentì il corpo muscoloso contro il suo,
contrarsi, come tremare, forse avrebbe allentato la presa se Astre non
avesse continuato a piangere in silenzio. Le lacrime fredde erano una
carezza umida su quella pelle accaldata, Pirecrate deglutì a fatica nel
sentire quel corpo sinuoso danzargli di nuovo fra le braccia mischiando
lacrime e sospiri, un'assurda, strana dolcezza unita a un dolore ormai
lontano, come se fosse stemperato nel presente. Pirecrate tossicchiò
muovendo un indeciso passo indietro.
"Astre, io credo che non . ."
Le braccia del Persiano si strinsero con forza intorno alla sua vita,
tenendolo stretto a sè.
"Ti prego! Ti prego, almeno tu, non . . io vorrei solo . ."
Di nuovo silenzio, di nuovo un movimento leggero, uno sfregarsi
inequivocabile, le mani sulla pelle, un tremito sempre meno nascosto, il
bel corpo di Pirecrate che rispose immediatamente a quella frizione. Astre
sorrise furtivamente prima di sollevare gli occhi su quelli luminosi e
profondi dello spartano che lo fissava incantato e senza parole. Gli donò
un sorriso pallido e ingenuo poi il suo capo gli si posò di nuovo sul
petto, baciando leggermente quella pelle morbida e salata dal sudore.
Morse appena un capezzolo, sentì i suoi muscoli scattare, duri, le sue
mani affondare le unghie sulle sue spalle e in risposta null'altro che un
sussurro soffocato.
Pirecrate fece un passo indietro e si appoggiò con un sospiro al muro,
Astre scivolò in ginocchio di fronte a lui, sorrise di nuovo a quegli
occhi luminosi e stupefatti insieme e chinò il capo.
Un corpo perfetto da statua di bronzo, una pelle morbida e tesa su dei
muscoli duri come il marmo, una proporzione assoluta in ogni suo arto . .
le sue mani scivolarono sul contorno definito delle sue cosce, salendo
sotto la tunica leggera da allenamento, sollevandola appena.
Astre dischiuse le labbra. Delizioso. Era quel corpo che aveva sfiorato il
corpo di Pherio? Era quel corpo che aveva posseduto quello di Pherio,
oppure ne era stato posseduto? Da qualche parte doveva ancora esserci il
suo odore, il suo sudore .. Astre chiuse gli occhi, tenendo il ritmo perchè
quel corpo di bronzo gli si sciogliesse fra le labbra senza fatica. Lo
sentiva sussurrare sopra di lui, le palpebre socchiuse, il volto teso e
insieme perduto dal piacere. Era così facile possedere quel Pirecrate,
perchè mai Pherio si era concesso a un corpo che con tanta facilità
poteva essere conquistato? Magari Pirecrate gli aveva parlato d'amore .
.per quale altro motivo altrimenti, Pherio, avrebbe giaciuto con lui? Se
avesse voluto solo piacere sarebbe andato da lui, non da uno spartano come
Pirecrate. . Cercò di sorridere, con le labbra tirate e impegnate com'era
ora. No, era certo la prima volta, quella, che donava piacere in quel modo
a un uomo, la schiena contro un muro, ma di certo mai era stato così
soddisfatto.
Sentì quelle dita forti affondare fra i suoi capelli morbidi e scuri, i
suoi gemiti ritmati e poi bevve il suo seme, avido, deliziato quasi.
Quando Astre si rimise in piedi, abbracciò quelle spalle ampie, ora
rilassate. Sentì le mani di Pirecrate sfiorargli la schiena, una morbida
carezza tiepida, il suo respiro veloce solleticargli il lobo.
"O Numi del cielo . . che mi hai fatto fare, Astre?"
Lui sorrise appena, stringendolo con forza.
"Mi hai dato un po' di. . sollievo, Pirecrate. Ti devo chiedere
perdono."
Sentì il suo capo agitarsi, seccamente, poi le sue mani, di nuovo, si
alzarono a sfiorargli leggermente i capelli con dolcezza.
"Non devi chiedere scusa di nulla . . assolutamente di nulla . .
"
___
Improvvisamente e bruscamente la strada si inclinò ed il cavallo fu
costretto a saltare per non scivolare. Idrio chiuse gli occhi non volendo
vedere il terreno tanto scosceso sotto di lui e sentirsi male, ma li riaprì
quando la schiena battè contro la sella con forza e una leggera
esclamazione di dolore gli uscì dalle labbra. Continuò a galoppare a
ritmo serrato lungo la discesa, cercando di ignorare le nausee allo
stomaco: le altezze non gli erano mai piaciute nè tantomeno era mai
salito più di due volte su un cavallo in vita sua. Dietro di lui zoccoli
e zoccoli pesanti di altri cavalli schioccavano sul terreno e sulla dura
roccia, sempre più vicini e prossimi.
"Avanti!" spronò l'animale dando un colpo alla pancia e non
riebbe la voglia di guardare quando il cavallo spiccò un salto sopra un
piccolo precipizio; sperò davvero che quell'animale fosse abbastanza
abile da ritoccare terra. Così fu, per merito d'Artemide, e il giovane fu
felice di vedere che la strada riprendeva ad essere piana e più avanti si
apriva in una grande prateria. Mancava così poco e sarebbe riuscito a
sfuggire tra l'erba alta: sarebbe bastato raggiungere una città per
essere in salvo e trovare il modo di andare a cercare gli altri.
Ma l'animale ad un certo punto iniziò a rallentare. Furono completamente
vani tutti gli sforzi e tutti i calci disperati che Idrio gli diede: il
cavallo era troppo stanco per muovere un solo altro passo. Il giovane
Ateniese quando lo capì si quietò mettendo le mani con le redini sulla
sella e lasciando cadere le gambe rilassate lungo i fianchi della bestia
che anzi fin troppo -pensò- aveva fatto il suo lavoro. Non si girò
quando i passi dei cavalli si fermarono dietro di lui, sia perchè aveva
tutti i muscoli paralizzati e tremanti dal timore, sia perchè non voleva
vedere la sua fine: con una mano rassicurò l'uccello dentro la veste che
quasi gli sembrava cresciuto. Sarà una splendida aquila . .
Gli ordinarono qualcosa in un greco miserrimo e afferrarono le redini
dell'animale, costringendolo a scendere; li guardò di sott'occhi: erano
tre, due con mantelli lunghi ma scuri, l'altro con uno blu ed occhi neri
come la pece. Domandò qualcos'altro ma il Greco era talmente stroppio che
l'Ateniese non riuscì a comprendere, intimidito da quello sguardo di
fuoco e di ghiaccio.
Gli venne da piangere ma si fece forza: non avrebbe dato la soddisfazione
a dei barbari schifosi di vedere un Greco piangere!
Quello col mantello blu lo fissò per qualche istante, nell'espressione
una luce minacciosa, prese un corno di legno scurissimo e lì dentro tirò
aria con la bocca facendo rintronare le note cupe ed aspre tra le pareti.
Idrio alzò gli occhi a quel cielo che, anche lui, era oscuro, con nel
cuore una preghiera per tutti gli Ateniesi rimasti indietro, ma sopratutto
per Aristide . .
___
"Pirecrate!" gridò lo Spartano adulto dai lineamenti feroci al
ragazzo appena tornato al Campo.
"Sì, maestro!" rispose Pirecrate prendendo una spada e
preparandosi ad allenarsi con gli altri.
"Quanto ci vuole per mettere una lancia a posto?" domandò
quello, ed alcuni tra i giovani fecero dei sorrisini ironici senza cessare
però di scambiarsi colpi con la spada.
"Chiedo scusa." disse, in tono dimesso, Pirecrate per evitare di
essere punito da un insegnante arrabbiato, che era la cosa peggiore che
potesse capitargli in quel momento.
"Va bene, adesso trovati un compagno d'allenamento!"
Naturalmente tutti fecero finta di non aver sentito e continuarono a
duellare tra di loro: anche solo *allenarsi* con Pirecrate, a meno che non
si possedesse la forza di Pherio, significava fare una pessima figura
davanti all'allenatore, il quale avrebbe dato esercizi in più per
rafforzarsi. Il problema era che tra pochi giorni il gruppo dei giovani di
diciotto-diciannove anni sarebbe partito per i ritiri in montagna e
sicuramente era meglio arrivarci con tutti i muscoli al posto loro.
Antinoo lì vicino ci pensò sopra un attimo ma prima che potesse
decidersi udì la voce limpida risuonare nel Campo.
"Mi alleno io con Pirecrate" uscì la voce ferma di Pherio, il
quale a spada in mano, iniziò a dirigersi verso lo Spartano bruno
dall'altra parte della piazza.
"Stavi senza far niente?" chiese Pirecrate scherzosamente, dopo
essersi ripreso dalla sorpresa di vedere Pherio nel suo gruppo
d'allenamento quando, prima che si fosse assentato, non c'era.
"Io mai!" rispose l'altro prendendo posizione davanti a lui, la
spada alzata, i piedi ben piantati in terra, e un sorriso un pò pallido
sulle labbra. Come se qualcosa lo tormentasse . . Pirecrate pensò ad
Astre: forse era davvero successo qualcosa di grave tra di loro; ma cacciò
via quel pensiero concentrandosi sul combattimento. Le ferite delle
fustigate alla schiena erano solo delle cicatrici miele scuro sulla
schiena di Pirecrate, chiaro su quella di Pherio.
"Questa volta ti batto." disse serio il ragazzo coi capelli
bruni e quello dalla lunga chioma dorata, intrecciata, sorrise nel
cogliere la provocazione.
"Come ogni volta."
___
Gli legarono stretti i polsi e lo fecero salire su un cavallo assieme ad
uno di loro, per scendere a valle dove li aspettavano gli altri. Non c'era
nessun suono a parte l'erba che frusciava sotto le carezze del vento:
neanche i grilli cantavano quella sera e il ragazzo cercò di farsi forza
e di non disperare. Ci doveva essere un modo per scappare. Quei barbari
parlarono in una lingua a lui sconosciuta e il giovane tentò di dire
qualcosa in quel suo Greco naturalmente elegante e perfetto, però uno di
quelli gli gridò di stare zitto.
"Non azzardatevi a dirmi ciò che devo fare!" rispose veramente
arrabbiato: dei barbari, dei balbettatori, che dicevano a lui di far
silenzio! Quello col mantello blu scosse il capo e prese una frusta legata
ad una sella del cavallo, lunga e nera, le sciolse il nodi della piccola
corda che la teneva arrotolata. Tirò indietro il braccio e con un gesto
secco e deciso tirò giù: il suono schioccò nell'aria e poi nella carne
del ragazzo, che rimase senza fiato dalla sferzata ma rimase in piedi;
l'uomo ripetè l'operazione e questa volta frustò talmente forte che quel
giovane arrogante cadde dove era il suo posto: per terra.
"Devi fare silenzio, puoi parlare solo quando te lo diciamo
noi!" Idrio si ritrovò con le lacrime agli occhi dall'umiliazione e
dal dolore sulle braccia e sulla schiena, ma ciò non fu sufficiente per
soffocare il suo spirito.
"Io sono una persona libera. . - disse quasi sussurrando ma con voce
ferma - non potete farmi que- Ahhhhhhahh" gridò perchè un'altra
stilettata gli sfregò la dolce pelle della schiena, che non trovava
riparo dalla veste sottile. Poi un'altra, un'altra e un'altra ancora. Fino
a che il suo respiro non si era fatto corto e mozzato nella gola.
Di nuovo il cuoio schiozzò nell'aria ma finì nella polvere vicino al suo
braccio sinistro e gli giunse alle orecchie "Adesso alzati."
detto dalla solita voce dura e gelida. Idrio fece come gli fu intimato per
non doverne prendere altre - faceva *troppo* male e gli venne in mente che
a Sparta era vista come una cerimonia una simile cosa - e stette in
silenzio a capo chino mentre parlarono tra di loro. Poi si divisero e
quello che lo aveva fustigato lo afferrò costringendolo a salire sul
cavallo, assieme a lui.
Idrio non seppe nè come nè in quanto tempo ma arrivarono in un porto:
tutto intorno a lui c'erano tanti rumori e un grande schiamazzo di genti
che compravano, che vendevano e che viaggiavano; proprio simile al Pireo,
al suo e adesso così lontano Pireo . . Il bandito gli aveva messo una
benda sugli occhi prima di avvicinarsi a quella città e quindi non poteva
vedere niente; quando lo fece smontare di sella tentò con le mani legate
di strapparsela ma gli fu data una nuova sferzata sulla gamba, che lo
costrinse a camminare. Ancora non sapeva come poter fuggire, ma era sicuro
che un modo ci doveva pure essere: se avesse chiesto aiuto qualcuno di
sicuro si sarebbe fatto avanti per aiutarlo. L'uomo col lungo mantello blu
vide l'esitanza nei passi del ragazzo, che non era dovuta al non vedere e
gli si accostò ad un orecchio dicendogli:
"Non ci pensare neanche." e sinceramente gli sarebbe piaciuto
poter vedere gli occhi spaventati di quel Greco.
I Greci erano un popolo maledetto: erano pieni di ricchezze ma non
permettevano agli stranieri, per quanto onesti più di molti Ateniesi o
Argivi o di qualsiasi altra città, di poter entrare nel loro mondo; per
questo li odiava dal più profondo del cuore . .
Camminarono, svoltarono varie volte finchè gli schiamazzi del porto e dei
mercanti del pesce puzzolente furono lontani; ad un certo punto Idrio non
riuscì più a sentire il calore del sole e i passi avevano un
leggerissimo eco. Una mano sul suo braccio lo costrinse a fermarsi e sentì
la voce di un'altra persona, un uomo. Parlarono per un pò, ma non in
Greco e Idrio non riuscì capire affatto ciò che si stavano dicendo,
anche se presto tutto gli sarebbe stato anche troppo e dolorosamente
chiaro.
Con un forte strattone gli fu levata la benda e si ritrovò davanti ad un
uomo opulento, forse greco, che lo fissava con due occhi di pietra e una
smorfia sulle labbra, in una stanza grande, con poche finestre.
"Siete greco?" domandò il ragazzo credendo d'aver trovato
possibilità di salvezza: l'uomo lo avrebbe preso e lo avrebbe aiutato ad
arrivare sano e salvo ad Atene . .
"Sì, tu pure da quanto ha detto Ozar, Ateniese da quanto vedo e
sento io." la risposta fredda troncò quasi ogni illusione; Idrio
continuò pensando che forse quello non aveva capito bene.
"Sì, sì, sono di Atene e quell'uomo -indicò col capo Ozar che era
appoggiato ad un muro, braccia conserte e viso coperto dall'ombra - ha
assaltato il mio gruppo . . - il mercante di schiavi fece un giro intorno
a quel giovane magro - . . dov'è Aristide? E' un uomo anziano. . dov'è?"
ripetè la domanda rivolgendosi ad Ozar, che uscì dall'oscurità
ignorandola completamente, concentrato sul mercante.
L'uomo grasso guardò il ladro di sbieco, un sorriso scontento sul volto.
"Lo sai che con quelli così giovani ci faccio poco." disse, in
Greco, e schioccò con la lingua prendendo la corda ai polsi di Idrio e
iniziando a tirarlo; il ragazzo cercò di liberarsi impuntandosi con le
gambe ma non riuscì ad opporsi e fu trascinato come un asino reticente
verso una robusta trave di legno al centro della stanza, assicurato lì.
Non riuscì ancora ad afferrare il destino che si stava impadronendo della
sua vita.
"Hanno più energia!"
"Sprecata negli urli sotto le frustate: è un ateniese! Mi hai
portato non un giovane greco qualsiasi, ma un ateniese! Non lo vedi che
non avrà mai lavorato in vita sua? Sono buoni solo a ciarlare,
quelli!"
"Non mi dire sciocchezze, mercante! Tutti s'adattano al lavoro!"
"90 dracme." rispose secco il mercante con un gesto della mano.
"Ma è una miseria! - rispose Ozer arrabbiandosi ed avvicinandosi al
ragazzo, afferrando e strappandogli i vestiti. Idrio lanciò
un'esclamazione indignata accucciandosi, cercando di coprire le parti
vergognose - E' sanissimo, le forze per i lavori se le farà venire! -
afferrò un pugno di capelli del ragazzo costringendolo a tirare il capo
indietro e gli mise due dita nel punto in cui mascella e mandibola si
incontrano, come si fa ad un cavallo che non vuole aprire la bocca - vieni
a vedere: ha i denti tutti a posto. Vale minimo duecento Dracme!"
affermò poi lasciandolo stare e parandosi davanti al mercante, una testa
e mezzo più basso di lui.
"Non lo posso far stare qui in Grecia: lo devo spedire via. . anche
Mileto non sarebbe il posto adatto. Atene è potente, non posso rischiare
una guerra con Corinto! 90 Dracme Ozer, altrimenti dallo ad un
altro!"
Idrio rimase paralizzato e tremante sentendo che lo stavano *vendendo* e
lo avrebbero mandato chissà dove.
"Non potete farlo!" singhiozzò quasi a voce alta, cercando di
tenere un tono fermo ma fallendo miseramente. L'aquilotta uscì dalle
pieghe del vestito ai suoi piedi beccandogli dolcemente il dito di un
piede, cercando da mangiare.
"Oh sì eccome!"
"Sono libero io!!" e si mise a mordere le corde, tentando
disperatamente di scioglierle. Lo fece con tanta disperazione che ad un
certo punto sentì il sapore metallico del sangue della sua gengiva nella
bocca, ma non si fermò. Le corde non si allentarono neppure.
"80 dracme. -disse il mercante incrociando le braccia- Ozer considera
bene che solo io posso mettermi a compare un Ateniese, di massimo sedici
anni, che dovrò spedire in Asia. - Asia! Il colpo per Idrio fu di un
impatto tale che si bloccò nei suoi vani tentativi con la corda ancora
tra i denti e le lacrime agli occhi - Non troverai nessun altro che se lo
prenda a più di cinquanta dracme."
"Quindi mi stai facendo un favore! -disse sarcastico Ozer guardando
l'uccello in terra- 90."
Pirecrate. . se solo Pirecrate fosse stato lì. .
"80."
. .avrebbe avuto bisogno della sua energia . .
"Avevi detto novanta!"
. . anzi no . . era il suo sorriso che agognava. .
"85."
. . sarebbe bastata la sua espressione dolce, anche se rara, a dargli
coraggio e forza. .
"Affare fatto!"
. . ma non c'era.
Lo schiavo, nudo e fragile, guardò l'aquila dal piumaggio marrone e
bianco ai suoi piedi, che a sua volta l'osservava con occhi pieni
d'aspettativa. L'uccello dovette spostarsi perchè delle gocce di dolore e
disperazione rischiarono di bagnarlo. .
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Antinoo, facendo finta di essere del tutto concentrato nella piccola
corona di orchidee trovata nel fiume, forse intessuta da qualche ninfa,
guardava Pirecrate di sott'occhi mentre prendeva la propria spada e la
propria bella e lunga lancia. Non lo avrebbe rivisto per un pò e il cuore
gli si strinse nel petto: sapeva che uno di loro poteva sempre morire per
una freccia tirata male o per sovraffaticamento durante gli allenamenti
ma.. . Pirecrate non riusciva proprio a levarselo dalla testa. Eppure lo
sapeva che non avrebbe mai avuto una speranza con lui, tanto lo vedeva
simile e vicino a quel Pherio, a quell'essere splendente anche se non del
tutto Spartano. Così belli insieme che era difficile non dubitare che tra
di loro non ci fosse qualcosa oltre all'odio apparente e troppo intenso.
Sospirò piano e prese coraggio per dire
"Buon allenamento" gettando di lato la corona bianca. Pirecrate
si girò verso di lui e fece un mezzo sorriso; Antinoo rimase spiazzato da
quella reazione: da un pò di tempo si comportava in modo davvero strano.
. come se fosse stato meno *aggressivo*, pur mantenendo sempre il suo
carattere 'insopportabile'. Accidenti, come poteva anche solo sperare che
un giorno Pirecrate avrebbe potuto stare accanto a lui se non riusciva a
comprenderlo? Come poteva mai sognare che Pirecrate un giorno accettasse
di stare con uno come lui?
Guardò i fiori abilmente intrecciati che d'improvviso parvero meno
solari. .
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