NOTE: i personaggi ci appartengono. Idrio e Pirecrate sono di Kalahari mentre
Astre e Pherio di Dhely, gli altri li condividiamo al bisogno, ma sono comunque
*nostri*!
Di odio di
amore parte
VI
di Dhely &
Kalahari
Pherio non si ricordava un altro giorno della sua vita in cui avesse
domandato di essere esonerato dai suoi allenamenti, per lui sacri come un
incarico divino direttamente assegnato da Hermes disceso dall'Olimpo.
Eppure quella giornata era troppo dannatamente calda, e la spada gli
pesava troppo sul palmo e l'armatura lo faceva gemere e sudare e non
riusciva a puntare la lancia verso un centro che non fosse posto in basso.
Crollò sulle ginocchia, in silenzio, senza altra forza che quella di
guardarsi intorno. Solo il sacro e gentile mormorio dell'Eurota riempiva
l'aria e vedeva l'acqua, lì a un passo, danzare e scintillare sotto il
sole torrido, come a sorridergli.
Suo zio aveva forse ragione? Era un indegno? Non era riuscito a reggere
gli allenamenti. I suoi compagni avevano taciuto e sapeva bene che, se
anche l'istruttore l'aveva ammonito per non aver prestato cura alle ferite
che aveva sulla schiena, tutti loro pensavano una sola cosa: non si era
dimostrato all'altezza della sua famiglia, dei suoi antenati. O forse,
peggio ancora, aveva dimostrato di aver preso fin troppo dai suoi reali
*parenti*. Chiuse gli occhi che gli si stavano velando, lentamente e
deglutì l'amarezza strappandosi la corazza di dosso. I movimenti bruschi
facevano sorgere un dolore sordo e bruciante sulla schiena, sentiva la
pelle tirare, il sudore irritava e molto probabilmente alcune ferite si
erano riaperte, sentiva qualcosa di denso scorrergli sulla pelle. Vide,
davanti agli occhi appannati il volto teso di Astre che lo vegliava
durante la notte, la sua sola presenza che riusciva a spalancare cortine
altrimenti impenetrabili di sofferenza, e si trascinò in ginocchio
sull'argine del fiume tuffandoci dentro il capo.
L'acqua gli sfiorava la pelle, rinfrescandogli la fronte, le tempie che
pulsavano, dandogli sollievo da quel sole arroventato che gli batteva
addosso anche quando era all'ombra di fronde spesse, com'era in quel
momento. Il fiato trattenuto divenne dolore nei polmoni. Ancora un attimo,
un attimo solo di silenzio, di fresco, di calma . . un attimo solo. .
Quando ritornò a respirare, sorrise. Non c'era nessuno che lo seguiva,
era solo. Astre non l'aveva accompagnato alle esercitazioni, quella
mattina, e ora non sapeva che fosse lì. Era solo. Un sorriso amaro gli
piegò le labbra.
Accasciato com'era sul corso del fiume aveva ancora il viso a un palmo
dall'acqua, sentiva piccoli rivoli umidi corrergli lungo gli zigomi,
seguire la linea del naso e cadere con un suono cristallino nel liquido
scrosciante che gli era così accanto. Infilando la testa sotto la
superficie, il laccio che gli teneva fermi i capelli si era sciolto, e ora
li vedeva, biondi e lisci, danzare al suo fianco, trasportati dalla
corrente come a rendere l'Eurota un fiume d'oro fuso. Il suo sorriso
divenne amaro e chiuse gli occhi, per non vedere il marchio
palpabile che faceva di lui una vergogna, indipendentemente da come si
comportasse. Lui era *comunque* una vergogna, per la famiglia, per Sparta
tutta, non esistevano prove d'appello per lui, non pareva esserci
possibilità di riscatto, né azioni abbastanza grandi perché smettesse
di essere l'indegno che era. I suoi tratti, i suoi colori parlavano più e
meglio delle sue azioni e niente e nessuno avrebbe potuto farli tacere. A
quei pensieri il fuoco parve riprendere forza nel suo corpo, e infilò le
braccia nude nella corrente lenta e costante, nascondendo un tremito
istintivo di piacere.
La febbre gli bruciava ancora il corpo, gli annebbiava la vista, gli
rendeva i movimenti impacciati e i sensi confusi. Sentiva, rapido, il
pulsare del sangue nei polsi e alla base del collo, sentiva un calore
senza nome propagarsi dal centro del petto come se vi avesse una fucina ma
il sudore che gli aveva bagnato la fronte, fino a pochi attimi prima, era
gelato e sgradevole. Ora pregò che l'acqua dell'Eurota smorzasse almeno
un poco la forza di quell'incendio che gli dilaniava l'anima, che gli
donasse almeno un poco di forza per riuscire a stare ritto sulle gambe,
senza che le ginocchia tremassero, senza che i sensi fossero sempre sul
punto di venir meno . .
I muscoli del collo gli cedettero per un attimo, e si trovò di nuovo a
capo chino sull'acqua, con la corrente che, ora, gli sfiorava appena la
fronte e Pherio sorrise, socchiudendo gli occhi. Quello era piacevole. Il
mormorio sussurrato che gli giungeva alle orecchie era come un canto di
pace, ed era troppo stanco per . .
Un movimento al suo fianco, i suoi riflessi risposero per lui: si voltò
appena verso l'origine di quel suono, fosse stato in perfetta forma ora
sarebbe stato con una spada in pugno a fronteggiare il nuovo arrivato che,
silente come una pantera in agguato, era sul punto di balzargli alla gola.
Invece incontrò i suoi occhi, scintillanti in mezzo all'ombra frusciate,
pericolosi e alteri, udì il suo respiro basso e lo riconobbe. Unico modo
per dimostrargli che l'aveva riconosciuto, Pherio sostenne quello sguardo
con forza.
Pirecrate venne avanti guardandolo truce.
"Dimmi, bastardo mezzo barbaro, che ci fai qui, tutto solo? Dove hai
lasciato il tuo micio persiano?"
Il ghigno di Pherio fu una mezzaluna acre dipinta su quel volto bello.
"Il figlio di un traditore dovrebbe essere meno lesto a offendere chi
lo circonda."
Pherio vide chiaramente la mano di Pirecrate saettare verso l'impugnatura
della spada con uno scintillio cupo sul fondo degli occhi selvaggi. Se
l'avesse sfidato ora . . socchiuse appena gli occhi quando un raggio di
sole sfuggì all'intreccio spesso formato dai rami degli alberi, alti
sopra di loro, e gli si infisse in mezzo alla fronte, accecandolo. Occhi
azzurri come polle di cielo fresco e primaverile scintillarono mandando
bagliori inquietanti, come un fulmine nel bel mezzo di un temporale che
rischiara tutto il mondo.
Il dolore gli trapassò il cervello. Se ora Pirecrate l'avesse sfidato lui
non sarebbe stato in grado di affrontarlo. Non era in grado di tenere in
piedi se stesso e reggere una spada, ora, andava al di là delle sue
possibilità.
Pirecrate l'avrebbe ucciso in un soffio, non aveva dubbi . . e di
rifiutare la sfida non se ne parlava neppure. Meglio morti che disonorati
. . suo zio l'avrebbe fatto morire mangiato dagli insetti se si fosse
comportato in maniera così vile. Lui non si sarebbe mai perdonato se si
fosse comportato in quel modo...
Pirecrate distese le dita, fissandolo con sguardo indagatore. Indugiò
lunghi istanti su quei capelli troppo chiari, disciolti nell'acqua, mentre
formavano leggeri arabeschi appena sotto la superficie liquida, mandando
davvero bagliori metallici, poi scrutò il suo corpo, quella posa piegata
sul fiume, come un animale che si fosse schiantato sulla riva
colpito al cuore da una freccia troppo rapida che era penetrata a fondo.
Solo i suoi occhi così chiari e così difficili da sostenere anche se
velati, come ora, dal dolore, gli dicevano che era ancora vivo ed invitto.
Si mosse lentamente, poi gli si mise al fianco, non troppo vicino,
scivolando seduto mentre si perdeva a fissare il fiume. Il suo volto si
piegò a sua volta in un sogghigno mentre la sua voce prendeva una
sfumatura bassa e divertita.
"Dovresti fare attenzione alle persone di cui ti circondi, nobile
Panfilo. Voci pettegole dicono di una relazione troppo intima tra te e il
persiano."
Pherio distolse lo sguardo dallo Spartano, cercando di sollevare piano le
braccia. I polsi tremavano visibilmente quando si portò le mani a coppa a
bagnarsi il viso, la fronte bruciava ancora, e sotto i polpastrelli resi
freddi dall'Eurota la pelle ardeva molto più di prima.
"Esiste una voce per ogni paia d'orecchi che voglia prestar ascolto,
lo sai. Adesso pare che anche il vento sussurri di una tua tenera simpatia
per il giovane ateniese partito due giorni fa. - il volto di Pherio si
voltò verso Pirecrate e lo scintillio di quegli occhi attirò lo sguardo
dell'altro ad allacciarsi nel suo. Un lieve sorriso gli solcò le labbra.
- Nessuno potrebbe credere che tu sia così folle, Pirecrate, neppure io.
Eppure qualcuno esiste che presta ascolto a certe sciocchezze."
Rituffò i polsi nell'Eurota distogliendo gli occhi. Non voleva vedere
l'espressione dell'altro, qualunque questa fosse.
"Tu ci presti attenzione se vieni a riferirmelo!"
Sentì rabbia fremere sotto quel timbro pastoso e caldo, quel corpo
abbronzato si tese come fosse sul punto di scattare per sventrarlo,
affondando i denti nel suo collo bianco.
"Non mi sembri incolume, tu, che sospetti di me e di Astre."
"Non mi pare di averti sentito dir nulla per smentire!"
Pherio scosse lentamente il capo. La nebbia che gli offuscava la mente era
bassa e calda, le spire erano dense, togliendogli il fiato e privandolo di
equilibrio.
"Non mi sento in dovere di smentire una menzogna, perché dovrei? La
mia intromissione servirebbe a rendere più concreto ciò che è solamente
una fola."
Silenzio, poi un tonfo basso. Pirecrate si era slacciato la spada dal
fianco, gettandola di lato, seguita dalla faretra e poi dai sandali. Si
mise in piedi, nervoso e lucido di sudore e, saltando sopra i sassi bassi
e bianchi, resi lisci dalle infinite carezze del fiume, si sedette,
accasciandosi su un masso, proprio di fronte a Pherio, guardandolo in
viso, serio.
"Non abbiamo mai parlato, io e te."
Pherio sollevò appena un sopracciglio chiaro che disegnò un arco sottile
su quel volto più pallido del solito.
"Non mi pare che qualcuno di noi ne sentisse il bisogno."
Pirecrate scosse il capo quasi con rabbia, le sue ciocche corvine gli
danzarono intorno alle tempie, arricciandosi selvagge.
"Devo chiederti una cosa seria."
Pherio si puntellò appoggiando i palmi sul fondo ciottoloso del fiume.
Non era una posa degna, quella . . deglutì la nausea quando il capogiro
lo travolse ma non ci fece quasi caso. Riuscì a sollevarsi, con una mano,
i capelli, strizzandoli dell'acqua e poi gettarseli dietro le spalle. La
schiena fu benedetta da una fresca carezza umida.
"Io e te siamo comunque fratelli, come figli di Sparta. Puoi chiedere
ciò che ritieni di dovermi domandare."
Pirecrate sbattè un attimo le palpebre poi si corrugò: solo quel mezzo
spartano, bastardo di fatto, riusciva a parlare a lui, bastardo di nome,
in quel modo, da sempre, come se mai avesse dato peso a tutto ciò che
macchiava il suo passato. 'Entrambi figli di Sparta', lesse, negli occhi
di Pherio, che ci credeva davvero. Improvvisamente si accorse, in un modo
confuso, che quello che aveva sempre definito un nemico sarebbe stato uno
dei pochi che, in una battaglia, avrebbe poggiato la schiena contro la
sua, come se fosse stato chiunque altro e non il figlio-del-traditore.
"Come hai detto tu, solo il diniego furibondo di una menzogna rende
una chiacchiera più salda e concreta. Come mai tuo zio s'infervora tanto
quando Astre viene detto 'persiano'? Ha spiegato innumerevoli volte la sua
origine, figlio di un amico di Mileto, e tutta Sparta ne è a conoscenza.
Inizio a dubitare."
Pherio chinò lo sguardo passandosi una mano sulla fronte. La sua pelle
ardente benedisse quel contatto poi prese un profondo respiro. Non si
sentiva nelle condizioni migliori per un discorso tanto delicato, *quel*
discorso, con Pirecrate, poi! Ma aveva l'impressione che, se non avesse
risposto ora, mai più avrebbe potuto avere quel ragazzo tanto vicino e
tanto . . Corrugò appena la fronte mentre un brivido ghiacciato gli
percorse la schiena. La febbre era troppo alta, avrebbe fatto meglio a
tacere . . ma aveva voglia di fidarsi di qualcuno, per una volta. Sollevò
il capo: quegli occhi da predatore erano fissi su di lui, sapevano la sua
debolezza, conoscevano la sua condizione eppure, anche se egli gli aveva
porto la gola bianca e morbida, denudato com'era dall'armatura, non aveva
attaccato. La spada giaceva sul terreno, inutilizzata, insieme alle altre
armi.
"Dubitare? Non conosco le motivazioni di mio zio, a riguardo. Forse
lui crede meglio smentire ogni menzogna che viene messa in giro sul suo
conto."
Pirecrate si mosse irritato, una belva irritata da suoni e passi in luoghi
ove non avrebbero dovuto esserci alcun odore all'infuori del proprio.
"Allora sapresti dirmi perchè non si preoccupa di smentire la voce
che lo dice ospitare spesso Astre nel suo talamo?!"
Il sorriso di Pherio gli si spezzò sulle labbra, mutandosi in un ghigno
amaro.
"Forse perché è una voce veritiera?"
Il volto di Pirecrate si spalancò nel più assoluto, incredulo stupore.
"Non è possibile! Un persiano!"
Questa volta Pherio non riuscì a non ridere, un suono basso, trattenuto
sotto i denti.
"E' un greco di Mileto, non un persiano, o te ne sei già
scordato?"
Pirecrate scosse piano il capo, abbassando gli occhi. Il silenzio li
avvolse di nuovo, solo il frusciare delle foglie sopra di loro, lo
scrosciare argentino dell'acqua sotto di loro e il fiato di Pherio che,
nonostante tutti i suoi sforzi, continuava a rantolargli nei polmoni. Lo
spartano biondo si portò una mano al petto mettendosi dritto sulle
ginocchia, il cuore pareva stare per scoppiargli, affaticato e dolorante.
Sobbalzò nel sentire la mano salda e forte di Pirecrate posarsi sulla sua
e scostarla per poter sentire il battito del suo cuore alla base del
collo.
Gli sfiorò la fronte con i polpastrelli poi si oscurò.
"Hai la febbre alta."
"Sono stato allontanato dagli allenamenti, oggi."
Vergogna gli arse le guance mentre gli tremava l'anima ma non avrebbe
avuto senso nasconderlo. Sarebbe bastato che mettesse piede entro il
cerchio più esterno delle case di Sparta perchè qualcuno corresse da lui
a narrargli l'ultima notizia: il nobile Pherio Panfilo che aveva rischiato
di cadere nel Campo. . era una di quelle cose che si sentivano una volta
sola nella vita . . Cercò di non immaginarsi suo zio Kakeo, in quel
momento, a rodersi il fegato in silenzio e a maledirlo fra i denti presso
ogni dio di cui conoscesse l'epiteto.
"Sei un orgoglioso bastardo!"
La voce di Pirecrate rideva piano e quando Pherio sollevò lo sguardo lo
vide: il volto rilassato, tranquillo quasi, gli posò una mano umida sulla
fronte poi si alzò in piedi ritornando al suo fianco, ad allacciarsi i
sandali.
"In questo sono identico a Pirecrate dei Dimani, allora . . "
Una risata calda, forte, come Pherio non ne aveva mai sentite.
"Solo che io non sono un bastardo! - gli sorrise poi gli passò un
braccio sulle spalle aiutandolo a mettersi in piedi. - Andiamo, nobile
Panfilo. E' molto meglio che quel persiano si occupi di te al posto di
correre appresso a tuo zio, se questa è la verità. Oggi sei conciato
male e, finchè non sarai tornato in forma, non ci sarebbe onore nello
sfidarti. E io non posso attendere molto il ritorno del mio
antagonista!"
E in silenzio camminarono di nuovo verso la città, un passo vicino
all'altro tra le spighe ormai quasi mature per essere colte: presto gli
Iloti avrebbero invaso quei bei campi sterminati e avrebbero fatto il
lavoro per cui vivevano, per cui erano stati assoggettati dagli Spartani,
guerrieri che non svolgevano nessuna attività manuale che non riguardasse
spade e lance e scudi. Quando l'acropoli fu in vista Pherio si staccò da
Pirecrate e fece qualche passo doloroso più lungo, per distanziarsi. Il
giovane Dimano lo guardò un attimo e sorrise come un bambino che ha
trovato il modo per arrivare al vaso di miele messo in alto dai parenti,
sciolse le mani da dietro il capo e si mise a correre, senza voltarsi
indietro. Pherio lo osservò e scosse il capo.
Quando Pirecrate arrivò nella zona dei giovani incrociò Astre che andava
in giro silenzioso - non aveva mai sentito che quei passi facessero
rumore, come quelli di un ladro o di un *Persiano*- come cercando
qualcuno; sorrise di nuovo quando gli si mise davanti chiedendogli come se
si stessa parlando di qualcosa di non importante :"Hai visto Pherio?"
e si scansò i capelli che gli venivano davanti agli occhi con un gesto
secco del capo.
Aveva dei modi davvero strani quel ragazzo . . Pirecrate aveva un intuito
che non tradiva mai ed era proprio quello a dirgli che la storia non era
come tutti credevano. O meglio, come tutti quelli di cui ne erano a
conoscenza cercavano di raccontarla. Ma, in fondo, non erano affari suoi .
.
"Non ho la minima idea di dove si sia cacciato, non sono solito
andargli appresso come fai tu!" rispose sollevando spalle e mani,
facendo per passargli accanto.
"Ah sì e questi come me li spieghi?" Astre con un movimento
velocissimo e leggero come l'aria mise e scansò subito le mani sul
vestito, all'altezza della spalla.
"Ma che . . " stava per ribattere Pirecrate, che lo avrebbe
atterrato per molto meno di quel tocco, se Astre non gli avesse messo
davanti agli occhi quelle stesse dita.
"Conosci qualcun altro che abbia capelli così chiari?" i suoi
occhi erano leggermente ristretti, le sopracciglia corrucciate.
Dai polpastrelli uniti di indice e medio scivolava un unico capello
dorato.
Pirecrate non seppe che dire ma fece una faccia indifferente.
"Come vuoi che sappia in che modo ci siano finiti . . sarà stato il
vento." e diede le spalle ad Astre deciso a volersene tornare nella
camerata.
Astre divenne rosso in viso dalla rabbia e chiuse i pugni, serrando quel
filamento dorato tra le dita mentre le unghie iniziavano ad incidere la
pelle: mai in vita sua . . Allora non era una 'storia vecchia', possibile
che per tutto quel tempo non si fosse accorto di niente? Una goccia di
sudore scivolò giù da quella pelle perfettamente liscia e rosata.
Girando il capo di lato vide un arco e delle frecce, li afferrò, e
rabbioso lo tese; mirò Pirecrate, al cuore . . Pherio non *doveva* essere
di nessun altro! Non poteva, qualcun altro, toccarlo, o peggio, baciarlo,
sfiorarlo, farlo gemere! Pherio era *suo*!
I muscoli delle braccia tesi al massimo, quella corda che non vedeva l'ora
di cantare e quella freccia di volare verso l'obiettivo, stette così per
qualche secondo. Poi, chiudendo gli occhi e stringendo le labbra, si
costrinse a muovere il braccio sinistro, con cui teneva l'arco, verso
occidente, verso il cortile aperto e guardò in cielo. Un uccello in quel
momento volò alta sopra il dormitorio, Astre riaprì gli occhi profondi
come una notte e luminosi come stelle d'Oriente e lasciò andare la
freccia.
Accortosi del rumore Pirecrate si voltò e vide Astre abbassare lentamente
l'arco, mentre sentì un tonfo dal cortile. Una grande aquila giaceva
sulla terra brulla trafitta da una lunga freccia piumata di nero.
Astre fissò il pavimento, poi rialzò lo sguardo verso Pirecrate, che si
sentì quasi ghiacciare davanti a quell'espressione di furia pura e gelida
che vedeva su quel volto, di solito sempre così perfettamente misurato,
mai con una minaccia dipinta sopra, in ogni suo angolo. Il messaggio non
poteva essere più chiaro: 'Se tocchi Pherio fai quella fine'.
Il Dimano non cambiò espressione, si limitò a fissarlo per qualche
secondo come a dire 'Provaci' ed entrò nelle porte dei dormitori.
"Maledizione!" sussurrò il ragazzo dai capelli corti, al centro
del corridoio vicino all'apertura centrale dell'edificio, ancora con
l'arco in mano e un'espressione contorta a tendergli i bei lineamenti.
Mai, prima d'allora, qualcuno aveva osato fargli un affronto simile:
nessuno gli aveva mai confessato di amarlo, figuriamoci averlo fatto per
poi affogarsi nelle braccia di un altro uomo! Per la prima volta nell'arco
di tutta la sua giovane esistenza qualcuno gli aveva sbattuto in faccia
che lui valeva meno di qualcun altro, lui . . lui che era sempre stato
quello col potere di decidere cosa valesse e cosa no! Lui che dava il peso
alle cose, alle idee! Lui che decideva non solo di vita o morte, ma anche
di bene e male! Lui, la cui parola era legge, i cui desideri erano sacri,
i cui pensieri erano messaggeri divini!
Prese gli estremi dell'arco e lo spezzò sul proprio ginocchio, facendo
finire in schegge quel legno tanto accuratamente lavorato, selezionato:
avrebbe ammazzato quel bastardo di Pirecrate se solo . . se solo diamine
non fosse stato costretto a vivere a Sparta! Basta basta basta! Ne aveva
abbastanza di quei greci, come se il suo precettore non fosse già
esistito ad assillargli la vita: erano *odiosi* e persino quelli che si
diceva avessero costumi integri, gli Spartani, non erano altro che un
ammasso di ipocriti: un vecchio gli era saltato addosso, c'era il nipote
che gli diceva 'credo d'essermi innamorato di te' e poi si incontrava con
un altro, che non aveva fatto una piega pur sapendo che lo avrebbe potuto
ammazzare! Basta basta basta!
"Astre . ." un leggero sussurro, un po' aspro come da chi non
parla da molto, venne dalle sue spalle: l'ultima voce che avrebbe voluto
sentire oppure la prima, dipendeva da come voleva metterla.
Si voltò lentamente. Pherio era pallido come un cencio, le sue spalle
tremavano appena e gli occhi lucidi erano come spiritati. Non
un'espressione a piegare quel volto, solo un'ombra di estrema spossatezza,
dolore. Astre s'irrigidì notando il suo portamento, lievemente goffo e
troppo lento, come se cercasse di camuffare uno zoppichìo. Una striscia
carminia di sangue gli solcava il braccio bianco e i capelli, appicciati
alla fronte, sembravano ancora umidi. Qualcosa gli si gonfiò nel petto.
Solamente solerzia, o forse pena . . qualunque cosa fosse Astre la soffocò
sul nascere. Quel corpo ferito e ancora arso dalla febbre era stato
*toccato* da qualcuno che non era lui!
Questa idea bastava per far svanire qualunque pensiero che avrebbe potuto
intenerirgli il cuore.
Se quell'idiota provava piacere nell'essere tra le braccia di un altro
uomo quando era in una condizione simile, bhè, peggio per lui! Astre giurò
sui suoi dei che gliel'avrebbe fatta pagare, che avrebbe pianto mille
lacrime per ogni carezza che aveva permesso a Pirecrate di donargli, che
il dolore che aveva provato alla fustigazione sarebbe stato nulla
paragonato a quello che gli avrebbe fatto fiorire dentro.
Astre strinse i denti quando Pherio gli passò accanto, il capo lievemente
abbassato, come a controllare ogni proprio passo, il fiato un suono rauco
che gli usciva dalla gola.
"Devi cambiarmi le bende, Astre."
Lui annuì in silenzio, camminando al suo fianco, seguendolo verso i
dormitori.
Ma non lo toccò.
__
Le antiche querce di Sparta lanciavano lunghe ombre, proiettate dalla luce
delle stelle, intorno alla terra in cui affondavano le radici. Astre
sospirò socchiudendo gli occhi di fronte all'involto pesante e grosso che
s'era portato da Sparta, parecchie miglia alle sue spalle, ben nascosta
dietro una collina.
L'Eurota, lo chiamavano fiume, per lui non era che un misero rivolo
sudicio. Fiumi erano ben altri e lui li aveva visti tutti; pure il grande
Eufrate, linfa di immense e antiche civiltà, dalla corrente forte e
gialla, e il Nilo .. ah il Nilo .. l'unico ricordo gradevole di tutto
l'Egitto, terra di sabbia e tombe e mummie: tra l'oro delle dune quando il
sole era in perfetta posizione lo si poteva vedere scorrere come argento.
Chissà che visione avrebbe potuto averne un dio dall'alto del cielo:
sicuramente sarebbe stato simile ad un serpente sinuoso, un serpente
luminoso scolpito vivo sulla terra dorata, che era gelosa di
quell'abbaglio meraviglioso. Solo quel fiume benediva una regione che
altrimenti sarebbe stata dimenticata dagli dei.
L'Eurota era, invece, un semplice torrente, un sottile filo d'acqua che
bastava alla popolazione di Sparta solo perchè la città perdeva
solitamente metà dei suoi cittadini ogni decennio in battaglia. Stupidi
spartani, figli di stupide leggi . .
La lampada ad olio che ardeva, schermata, servì per far ardere, rosse di
braci, un pizzico di piante profumate. Astre guardò con attenzione il
movimento del fumo pesante muoversi verso l'alto e si corrucciò. Sopra la
brace posò della corteccia di cedro che sprigionò i suoi aromi al tocco
della lingua guizzante e poi altri rametti di pino e due gocce preziose di
ambra, le quali evaporarono all'istante spandendo nell'aria una nuvola
azzurra.
Le stelle, lontane, continuavano il loro percorso. Ancora poco sarebbe
occorso perchè fossero nella posizione esatta per trarre auspici. Astre
sfilò da un fodero, scuro come la notte, un pugnale della sua terra,
riccamente decorato sull'elsa e sulla lama infuse parole dorate di lingua
perduta tanto era antica. Lo posò accanto al cadavere dell'aquila uccisa,
portata in quel luogo, avvolta con cura in una stoffa pesante.
Quado la lama affondò in quel cadavere Astre era talmente concentrato sul
suo lavoro che neppure la venuta degli Dei olimpici al suo fianco avrebbe
potuto distrarlo. Espose le viscere e sollevò la testa verso le stelle
sopra di lui. Lasciò che la loro luce gli penetrasse la mente affinchè
fosse pronta a ricevere e gli purificasse lo sguardo affinchè fosse lungo
e acuto. Chiese ispirazione e scienza.
Davanti a lui si pararono mille immagini oppure una, ombre del sogno
divinatorio che svanivano e venivano, erano e non erano in continuazione:
poi qualcosa si fece chiaro e...Sbattè un paio di volte le palpebre,
risollevando il capo di scatto. Eppure no, gli astri erano al loro giusto
posto, lassù, nulla era sbagliato e lui . . era troppo esperto in certe
pratiche per aver compiuto errori, allora cosa. ..?
Si corrugò, stringendo con forza i pugni. Affatto niente di confortante,
anzi, tutto il contrario...eppure prima della sua venuta in Grecia non
aveva visto niente di simile nelle divinazioni.
Auspici di tale gravità per cui neppure lui, erede di una tradizione
millenaria, conosceva esorcismo in grado di richiamare il tocco della
buona sorte su di loro. Neanche avendo strumenti più raffinati e potenti
avrebbe potuto fare niente in quel frangente.
Pessimi auspici, era vero, ma almeno clementi. Da quelle viscere in cui si
leggeva chiaramente disperazione, dolore e perdita, tutto il resto era
confuso, perso, indistinto intorno a un unico, nettissimo segno che
indicava un legame saldo.
Il punto preciso in cui la sua freccia aveva colpito: l'utero dell'aquila.
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